I
PARENTI.
Deus cilim honoravit
patrem in filiis
(Eccli. c. 3,
v. 3)
Inno di gratitudine e d'amore
Al Creator de' nostri
cuori amanti,
Di tutte meraviglie
Creatore!
Dacchè pel fallo prisco doloranti
Alla luce veniam, qual
dolci aïta
Ne' genitorï è data a'
nostri pianti!
In ogni coppia umana, onde la vita
D'altri umani si svolge,
ecco una diva
Pe' figiuoletti carità
infinita.
Vedi la vergin titubante e priva
D'ogni ardimento, simile
a cervetta
Che intorno guata, e de'
perigli è schiva.
Chi nella fievol, timida animetta
Opra mutazione
inaspettata,
Quand'è fra il coro
delle madri eletta?
Di progenie d'Adamo al ciel chiamata,
Grave è il sen della
dianzi paventosa,
E il pondo regge da
dolor cruciata.
Ed il porta con forza generosa!
E dopo un figlio compro
a tanto prezzo
D'orrende angosce, altri
portar pur osa!
Oh di strazii mirabile disprezzo
In creatura sì gentil,
che solo
Parea nata de' fiori al
molle olezzo,
Onde bëasse a lei d'intorno il suolo
E le dolci aure col suo
bel sorriso,
E morisse alla prima
ombra di duolo,
Per destarsi felice in Paradiso.
Vedi la donna col suo piccol nato,
Che suggendole il seno a
lei sorride:
Sebben abbiale tanto
egli costato,
La madre da lui mai non
si divide.
Insazïata il guarda,
insazïato
È il provveder ch'ei non
s'affanni e gride:
Animo lieto o da timore
oppresso
Nella veglia o nel sonno
ha ognor per esso.
Lo sposo benchè a lei caro cotanto,
È più caro perch'ei pur
ride al figlio;
Sovente, favellando a
lei d'accanto,
S'avvede ch'ella e core
e mente e ciglio
Tien sovra il pargol con
sì forte incanto,
Che non ha udito il
marital consiglio:
Allora ei tace e mira, e
con dolcezza
Il lattante e la madre
egli accarezza.
Oh tristo il giorno, oh trista l'ora, quando
Giace nella sua cuna
egro il bambino,
E la giovine madre
sospirando
Ad ogn'istante riede a
lui vicino,
E invan teneri detti
prodigando
Tien sulle amate labbra
il petto chino,
Ma l'offerta mammella ei
bacia appena,
E non la sugge, ed a
vagir si sfrena!
Oh con qual lutto miserando allora
La spaventata si rivolge
a Dio!
Oh come al dubbio che il
figliuol le mora
Trema se in lei fu reo
qualche desìo,
E perdono dimanda, e
s'infervora,
Promettendo al Signor
viver più pio!
I soli Angioli ponno
anzi all'Eterno
Sì ardente prego alzar,
qual è il materno.
Giorno di liete voci, ora felice,
Quando sceman del
pargolo i vagiti!
Quand'ei cerca la dolce
genitrice
Con isguardi dal riso
ingentiliti!
Quand'ei di novo il caro
latte elice,
E scherzoso riprende i
suoi garriti!
Tai porge allor la madre
inni d'amore,
Quai mandar può de'
Serafini il core!
Ov'alti rischi fervono,
Vieppiù la madre ardita
Pel frutto di sue
viscere
Pronta è a donar la
vita.
Ella, se fera scoppïa
Divoratrice vampa,
Verso la cuna avventasi,
E il pargoletto scampa.
Se il picciol piede
illusero
Di cupo rio le sponde,
La madre piomba rapida,
E il tragge, o muor
nell'onde.
Ella, se il figlio
palpita
Tra infetto aere
tremendo,
Tenta i suoi dì
redimere,
Le piaghe a lui
lambendo.
Se patria e tetto
invadono
Empie, omicide squadre,
Stringe i suoi figli, e
impavida
Pugna per lor la madre.
Tal è la nobil donna
ingigantita
Dalla materna celestial
possanza,
Che a tutte generose
opre la invita.
Ma un sacrifizio v'è che
ogni altro avanza,
Ed è in lei
quell'assidua ed operosa
Sulla cara progenie
vigilanza.
Alma di buona madre più
non posa
Finchè non ha ne' figli
suoi destata
Di virtù la favilla
glorïosa.
Nè puote alma di figlio
esser pacata
Fra inique gioie, se ha
una madre ancora
Che i vestigi di lui
tremando guata,
E occultamente prega, e
s'addolora.
Negli anni primieri
Del forte maschietto,
V'è mente selvaggia,
V'è indocile affetto,
Par ch'indi s'annunci
Futur masnadier.
La picciola belva
Se alcun la minaccia,
Vieppiù baldanzosa
Innalza la faccia;
Di colpi, di rischi
Non prende pensier.
Qual è quello sguardo,
Qual è quella voce
Che frena l'audacia
Del picciol feroce?
Incanto sì dolce
La donna sol ha.
Ed ella ripete,
Ripete l'incanto,
Frammesce sorriso,
Disdegno, compianto,
E amore gl'infonde,
Gl'infonde pietà.
Non bada la saggia
Se petti inumani
Diran che a domarlo
Suoi studi son vani;
In cor d'una madre
Speranza non muor.
E quei che parea
Futur masnadiero,
S'infiamma del bello,
S'infiamma del vero,
Divien della patria
Gentile decor.
La madre è il primo dell'infanzia amore!
Poi di ragione al dolce
lampo i teneri
Fanciulli aman la madre
e il Crëatore!
Sõave affetto sentono
Pel padre, pe' fratelli
e per le suore,
Ma il lor pensier più
consolante ed ìntimo
E quello ognor: la madre
e il Crëatore!
E tutti quasi del
Vangelo i forti,
Che con grand'opre od
immortali pagine
Più ricchi di virtù sono
al ciel sorti,
Dal sen materno
attinsero
L'amor, l'ingegno e i
nobili trasporti,
E della madre caramente
memori,
Iddio amando, con lei
sono al ciel sorti.
Quale stupor, se
pienamente spanta
D'un diletto figliuolo entro
lo spirito
Alta fiamma si sia di
madre santa?
D'uomini gravi assidua
Cura in noi del sapere i
germi pianta,
Ma niuna cura è guida al
cor del giovine
Come riso gentil di
madre santa.
In quello sguardo che
posò primiero
Sovra i nostri dolori e
i nostri giubili,
È un poter che strascina
a pio sentiero.
Mille congiuran fàscini
A pervertir di gioventù
il pensiero,
Ma in lagrime di madre,
o nel suo tumulo
È un poter che ritragge
a pio sentiero.
Agostin dagli errori
avvincolato,
Udendo della madre i sacri
gemiti,
Bramava consolar quel
core amato;
Nel rimirarla, a palpiti
Religïosi si sentìa
spronato;
Doppiò il desìo del ver,
doppiò le indagini,
E terse il pianto di
quel core amato.
Ne' giovani anni del
Salesio santo,
La madre, che il dovea
da sè dividere,
Un giorno mosse a lui
solinga accanto:
Sotto vetusta rovere
In cima a giogo alpin
fermata alquanto,
L'opre di Dio mirando,
esclamò: «Figlio!
Pensa che quel gran Dio
t'è sempre accanto!»
E gli parlò sì calde e
generose
Ricordanze dell'alta,
unica gloria,
Che Dio per meta
all'uman viver pose,
Che il giovin cor
rifulgere
Vide al suo sguardo le
celesti cose,
E il dir materno in lui
restò indelebile,
E saldo il piè pel
cammin arduo pose.
Ma di veri ed opposti
elementi
Vien temprata dell'uom la
saggezza:
Ei bisogno ha di freno e
dolcezza,
Ei bisogno ha di forza e
d'ardir.
Troppo i figli addolcir
prolungata
Indulgenza di madre
potrìa;
Ne' lor cuori animosa
energìa
Ogni padre è chiamato a
nodrir.
Della madre il söave
sembiante
Il bambino con gioia
mirando
Brameria riprodurre quel
blando
Elegante sentir
femminil.
Ed insiem nel mirar si
compiace
Più severi del padre gli
sguardi;
In sè brama gli spirti
gagliardi
Che più bella fan
l'indol viril.
Grazie, amabile Ingegno
divino,
Che, in donarci i duo
cari parenti,
Vuoi che sorga gentil
nelle menti
Armonia di contrarie
virtù!
Tutti grazie a te
rendano i figli
Che gustàr de' parenti
l'amore!
Ed ai mesti orfanelli, o
Signore,
Notte e dì padre e madre
sii tu!
Quanta in un padre e in
una madre splende
Luce emanata dall'Eterno
Iddio!
D'affetto pari al lor
niun cor s'accende.
A' genitori miei come
poss'io
Render le gioie
prodigate e il pianto,
E gli esempi, e i
consigli, e il pregar pio?
Troppo sovente immemor
fui del santo
Senno che ad essi per me
il Ciel largiva,
E baldanzoso i lor
dettami ho franto.
Ma se per vie superbe io
mi smarriva,
Cercando il ben dove il
Signor nol pose,
E di mondani sapïenza
ambiva,
Quai salutari spine a me
le cose
Pur rimanean, cui già
m'aveano impresse
L'anime de' parenti
generose;
E contento io non era
nelle stesse
Più inebbrïanti glorie
che il mio orgoglio
E l'altrui vanità crëato
avesse.
Inestirpabil resta il
buon germoglio
A que' dolci, infantili
anni piantato,
In cui d'alta malizia il
cuore è spoglio.
Io m'avvolgea tra dubbi,
e innamorato
Pur mi sentìa
secretamente ognora
Di quell'Iddio ne' primi
dì invocato.
E quando il Sol gli
oggetti ricolora,
Ed ammirandol poscia al
suo tramonto,
E nottetempo udendo batter
l'ora,
E in mille di que' casi
in cui più pronto
Fassi a grave sentir
l'intendimento,
Sì che in lui nasce
d'alte idee confronto,
Mi sovvenìa con dolce
incantamento
La carità del padre, e
di colei
Dal cui seno ebbi vita
ed alimento;
E allor tornava sovra i
labbri miei
Irresistibil uopo di
preghiera,
E i miei delirii
m'appariano rei.
Nel ricordar la madre,
un fascino era
Che quasi mal mio grado
m'attraea
Alla credenza e
all'amistà primiera,
E della madre ai templi
indi io riedea!
O padri! o genitrici! il più efficace
V'è dato minister sovra
la terra:
Da voi pende de' figli
la verace
Intima calma, o la
perpetua guerra.
Sentir non basta natural dolcezza
A' cari vezzi di
crescente prole;
Non basta ch'uomo obblii
truce fierezza,
Come nel suo deserto il
leon suole
Quando sul leoncel
ch'egli accarezza
Spiegar le insanguinate
ugne non vuole;
Non basta ch'uom de'
figli suoi le strida
Tolleri, aïzzi, e i
giochi lor divida.
Non basta ch'ei, mentre con essi scherza,
Pur li brami al suo cenno
obbedienti,
E talor pigli l'esecrata
sferza
A domar le più irose
audaci menti.
Uop'è che padri e madri abbian sublime
Conoscimento
dell'ufficio loro,
E le impronte, che i
figli accolgon prime,
Sien d'amor, d'innocenza
e di decoro.
Uop'è che i genitor la
prole estime,
Perchè non da piaceri o
sete d'oro
O bassa invidia spinti
unqua li miri,
Ma da pii, generosi,
alti desiri.
Gemer che val che nostra età sia guasta?
Che abbondin tradimenti
e fratricidii?
Che del dubbiar
l'orribile cerasta
Strazii le menti e
tragga a' suicidii?
Al torrente de' vizi argin chi pone,
Se mal la patria a'
figli suoi provvede?
Se de' fanciulli il cor
non si dispone
Da' genitori ad alti
sensi e fede?
Se il giovine schernir
religïone,
O simularla da' canuti vede?
Perchè t'onorerà, padre,
il tuo figlio,
Se in te virtù mai non
brillò al suo ciglio?
Sia maledetta la progenie ingrata
Ch'alza sul genitor risa
di scherno!
Mal s'affanni di giubilo
assetata,
E nell'alma sua vil
regni l'inferno!
Ma al par de' figli iniqui e irreverenti,
Voi sommamente
sciagurati e abbietti,
Che versate negli animi
innocenti
Mortifero velen con opre
e detti!
Vita lor deste, e por li
avete spenti!
Da Dio li avete, e
contro a Dio concetti!
Prodotto avete per l'età
future!
Germi rei di più ree
progeniture!
Bella è di colta civiltà la luce,
Che assai chimere
d'ignoranza espelle!
Ma se spoglia è di fè,
non altro adduce
Ch'arti affinate in
basse anime felle.
Altera iva, già tempo, i suoi tesori
Di ricchezza e di fama e
di possanza
Roma pregiando, e sebben
tocche avesse
L'ignee quadrella di
sventura, e sommo
Più sulla terra il cenno
suo non fosse,
Ancor a sè dicea: «La
invitta io sono!
«L'accenditrice della
sacra fiamma
«Del saper nelle genti!
e indarno lutta
«Contra il mio genio di
barbarie il genio!»
Ma venne il dì che la
città del mondo
Fremebonda languendo in
crudo assedio,
Prevedea suo sterminio
ed il trionfo
Della barbarie
propugnata e sparsa
Dal valente Alarico.
Una Sibilla
Nel roman Foro passeggiava
irata,
Cinta da cittadini; e se
speranza
Fosse di gloria le
chiedean coloro,
E richiedeano con
affanno. - Ed ella
Con disprezzo miravali,
e taceva,
E passeggiava irata, e i
dardeggianti
Sguardi della divina
alto terrore
Nella plebe infondeano. E
poichè sempre
Insisteano le turbe a
interrogarla
Sovra i destini della
patria, il riso
Amaro del disprezzo in
furor santo
Volse; e, strappato
dalle grigie chiome
Il vel, la fronte colla
destra palma
Si percosse tre volte, e
a' suoi pensieri
«Uscite!» disse, - e
uscirono tremendi!
«Vaticinio d'obbrobrio e
di morte
«All'iniqua Regina del
mondo!
«Sette giorni; e poi
veggo giocondo
«Qui sue fiamme Alarico
gettar!
«In tre parti ecco Roma
divisa:
«Un'intera, altra mezzo
abbattuta;
«La maggiore ecco fumiga
muta
«Sovra l'ossa che un dì
l'abitàr».
Dell'antica Sibilla al disperante
Grido colpiti di
spavento, alzaro
Miserevol lagnanza i
cittadini,
E a lei diceano, e al
cielo: «Onde su noi,
«Onde su figli così
orrendo fato?»
Guardolli la inspirata,
e lungamente
Tacque fremendo, indi il
silenzio ruppe:
«Onde mova sì fera condanna,
«O perversa d'eroi
discendenza!
«Più da voi di virtù la
credenza
«A' figliuoli trasmessa
non fu!
«Non v'è popol che
piombi in rovina,
«Se non dove s'innalzi
tal prole
«Che non sa, che non
può, che non vuole
«Fuorchè oltraggio ed
obblio di virtù!»
E vinse Alarico,
E in fiamme andò Roma,
E tutti la stirpe
Latina fu doma!
E invan quegli oppressi
Dell'Itala terra
Dicean: «Fummo grandi
«In pace ed in guerra!»
Disgiunte da forza
Di mente e di cor,
Le voci orgogliose
Schernìa il vincitor.
E fama narra che la pia Sibilla
Per le italiche sponde
ramingando,
Molle sovente avesse la
pupilla
Sui rei trionfi
dell'estranio brando:
Chiesta venìa talor se
una favilla
Prevedesse di scampo, e
come, e quando;
Ed allor rispondea più
corrucciata:
«Stirpe forse vegg'io
dal fango alzata?»
Inteneriasi poscia, ed agli afflitti
«Luce, dicea, non fulge
or di speranza!
«Ma da viltà cessate e
da delitti,
«E crescete ad onor la
figliuolanza.
«A nulla giova favellar
di dritti,
«E gli avi rammentar con
gran burbanza:
«D'ammendati parenti
all'opre sole
«Puote ribenedetta andar
la prole».
Ma i più ascoltavan, e movean la testa,
E tenean la fatidica per
pazza;
E lungh'anni durò la ria
tempesta
Degl'invasori
sull'iniqua razza.
Tutta convenne tracannar
la infesta
Di servitù e d'obbrobrio
amara tazza;
Sepolta andonne civiltà,
e con pena
Dopo secoli ancor
ripigliò lena.
Manda, o Signor, lo spiro tuo possente
Ne' padri che al mio
tempo han la tutela
Della patria speranza
adolescente!
Quanto sia gran tesoro ad essi svela
Un'affidata nova alma
immortale,
Cui tanti move assalti
corruttela.
In padri e genitrici un'ansia eguale
Desta sì, che ne' figli
i pensier santi
La possa degli esempi
non affrale!
La madre allor ne' dolci cuori pianti
Profonda e pia di
bell'amor semenza
Per tutte l'opre ad alta
fè guidanti;
E il genitor protegga, la innocenza,
E la scorti, e la
eserciti, e la inforzi
Contr'ogni non vitale,
empia, scienza.
Caldo zelo ad estinguer non si sforzi
La nobil vigoria de'
giovani anni,
Ma pïamente il fidar
troppo ammorzi,
Sì che delle inesperte anime i vanni
Luce, lontan dal vero
Sol, cercando,
Non si perdan nel vuoto
e negl'inganni.
A due falli i parenti omai dian bando:
Uno è il vano agognar
che tutto a' figli
Nell'odïerna età paja
esecrando.
I sempre spaventosi, irti consigli
Ispiran diffidenza, e
ciechi allora
Vieppiù s'avventan
quelli entro a' perigli.
E l'altro fallo è più funesto ancora:
Quello di chi,
spregiando i tempi andati,
Del novo senno tutti i
vanti adora,
E dall'are tue sante illuminati
Non gli cale, o Signor,
che i figli sieno,
Ma li spera da orgoglio
sublimati.
Lode a filosofia, ma quando in seno
Porta umiltà ed amor;
quando a' suoi voli
Tuo infallibil Vangelo è
guida e freno!
Altro lume non fia che mai consoli,
Ed appuri, ed innalzi
umani cuori,
E per cui nelle vie de'
lor figliuoli
Gloria acquistino e pace i genitori!
Non v'è patria felice,
se a Dio
Consecrate non son le
famiglie;
A' parenti, a' garzoni
ed a figlie
Solo vincolo egregio è
la Fè.
Dove cresce magnanima
stirpe,
Talor anco sventura la
preme,
Ma non pere, non crolla,
non teme
Il Signor della forza ha
con sè!
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