L'ANIMA
D'UNA FIGLIA.
(Parla qui Maria Valperga di Masino alla
Contessa Eufrasia sua
madre).
Quonium pius e
misericors est Deus.
(Eccli.
2)
Piangimi, o dolce Genitrice: a Dio
No, non è oltraggio il tuo
materno pianto.
Della tua mente ogni
pensier vegg'io,
Leggo le pene onde il
tuo core è infranto,
Scerno fra cotai pene un
gioìr pio,
Me figurando al Re de'
Cieli accanto;
Scerno che tu il maggior
de' sacrifici
Rinnovelli ogni giorno e
benedici.
Ma affinchè le tue lagrime pietose
Grondino più soävi, o
madre amata,
Io ti paleserò cagioni
ascose,
Per cui sì tosto al ciel
venni chiamata:
Non fu olocausto sol che
Iddio t'impose
Per affinar l'anima tua
elevata:
Di me compassïone alta
lo prese,
E me sottrarre a sommi
affanni intese.
La tempra ch'Egli al fianco tuo mi dava,
Era tutta d'affetto e
d'innocenza:
Io caldamente i genitori
amava,
Io gioconda sentìami in
lor presenta:
Il caro guardo tuo mi
confortava,
Qual guardo di superna
intelligenza:
Io d'uopo ognor avea di
starti unita,
Tu della vita mia eri la
vita.
Di congiunti e d'amici altr'alme belle:
Dopo il padre e la madre
eranmi care:
Tanto v'amava, e tanto
amava io quelle,
Che più tesori io non
sapea bramare.
Il pensier che sorride
alle donzelle
Di rosei serti e nuzïale
altare,
A me non sorridea,
temendo ognora
Che a te vivrei meno
vicina allora.
Dato m'avresti, è ver, degno consorte,
E quindi io molto esso
pregiato avrei;
E d'esser madre avuto
avrei la sorte,
E rapita m'avriano i
figli miei;
Ma come inevitabili di
morte
Son su questo o su
quello i dardi rei,
Avrei veduto chi sa
quali amati
Anzi a me infelicissima
atterrati!
Ah! s'io perduto avessi alcun di loro,
E te precipuamente, o
madre mia,
Sì acerbo fora stato il
mio martoro,
Che capir mente d'uom
non lo potria!
Commosso fu quell'Ottimo
che adoro
Dai dolci sensi ch'egli
in me nodrìa,
E perchè strazi io non
avessi atroci,
Una invece mi diè di
molte croci.
Quest'una era il lasciarvi, o miei diletti,
E più, madre, il lasciar
te sì dogliosa:
Pesante croce fu! la
ricevetti
Come don dell'Eterno
ond'era io sposa:
Premendola al mio sen,
piansi e gemetti,
Ma investimmi Ei di
grazia generosa:
Pesante croce! ma in
serrarla al core
Sentii che al cor
serrava il mio Signore!
Sai tu perchè negli ultimi momenti
Io, nel parlar delle mie
nozze eterne,
Volsi ancora su te
sguardi ridenti,
Come talun che liete
cose scerne?
Dalle lor salme l'anime
innocenti
Divelte son con
voluttadi interne:
Perde per esse il pungol
suo più forte
La regnante sul mondo
ira di morte.
Già pria di separarmi dalla spoglia
Dotata fui di vista
celestiale:
Schiusa a me ravvisai
l'eterea soglia,
Vestita mi sentii
d'angelich'ale:
Tutto mi s'abbellì, fin
la tua doglia,
Cui di rado la terra
ebbe l'eguale:
Divina luce a me svelava
il merto
Del materno dolore a
Gesù offerto.
E vidi allora, o madre mia, che il mondo
De' rammarichi nostri
non è degno:
Vidi che frode e
malignar profondo
Han tal perpetuo fra'
viventi regno,
Che spirto ivi non puote
andar giocondo,
Benchè di virtù segua il
santo segno:
Compiangendo chi resta
in tanta guerra,
Io mi strappai contenta
dalla terra.
E contenta vieppiù me ne strappai,
Perchè i tuoi sensi mi
fur noti appieno:
Seppi che da tal madre
io germogliai,
In cui fortezza mai non verrà
meno:
Seppi che a dritto il
caro padre amai,
E ch'ambo in ciel
ristringerovvi al seno;
Seppi ch'io,
precedendovi, ottenuto
Avrei per voi d'eccelse
grazie ajuto.
Piangimi, o dolce genitrice: a Dio
No, non è oltraggio il
tuo materno pianto;
Ma pensa che felice or
qui son io,
Che degli sposi mi toccò
il più santo;
Che siccome eri tu
l'angiolo mio,
Angiolo or son che
aleggio a te d'accanto,
E, qual tu provvedevi a'
gaudii miei,
Così di me perenne cura
or sei.
Duo carissimi spiriti celesti
Meco sempre su te stanno
vegliando,
Cui pochi giorni tu per
prole avesti,
Poi ratti a Dio volaron
giubilando:
Nostra gara è scostare i
dì funesti
Dal tuo materno aspetto
venerando:
Una di nostre gioie è
sul tuo viso
Certo mirar suggel di
Paradiso.
Possederti vorremmo in ciel sin d'ora,
Ma carità ciò chieder
non consente:
Tale offri degno esempio
a chi dolora,
Tal sei provvida madre
all'indigente;
Se tarda viene a te la
suprem'ora,
Maggior gloria n'avrà
l'Onnipotente,
E, al suo cenno, da noi
tua fronte amata
Fia di più chiare stelle
incoronata.
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