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Silvio Pellico
Poesie inedite

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  • VOLUME PRIMO.
    • UNA DONNA.   Quoniam mulier sancta es et timens Dominum. (Judith. c.8.29).
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UNA DONNA.

 

Quoniam mulier sancta es et timens Dominum.

(Judith. c.8.29).

 

Nota è a me sulla terra una mortale

Che dal Ciel tutti i doni ebbe più chiari:

Poch'alme han forza d'intelletto eguale,

E fior dal meditar colgon sì rari:

S'alza di fantasìa su fulgid'ale,

E a' più posati ragionanti è pari:

Pronta discerne il ver, pronta l'addita,

E tanta luce è da umiltà addolcita.

 

Cinta ell'è di ricchezze e di splendore,

E le aggradano brio, riso, favella;

Tutte potrebbe del suo viver l'ore

Incantar con magìa sempre novella:

Par che delizïato il suo bel core

Ogni affannoso sentimento espella;

Ma questa d'eleganti arti regina

Nutre d'egregi fatti ansia divina.

 

E color che l'ammirano raggiante

D'ingegno e grazia in suoi ridenti crocchi.

Ignoran che fissati ha poco avante

Sopra miseria spaventosa gli occhi;

Che sua candida man dianzi tremante

Alzò il mendico prono a' suoi ginocchi;

Che il delicato piè stanco or riposa

D'aver recato ad egri aïta ascosa.

 

De' suoi giorni in sull'alba acerba morte

Rapito a lei la dolce madre avea;

Ma il padre in sen chiudeva anima forte,

Anima avversa ad ogni bassa idea:

Ei della figlia le pupille accorte

Volgere a desideri alti sapea:

Pensante crebbe, e in ogni tempo ambìo

Il sorriso del padre e quel di Dio.

 

Data fu la sua destra a mortal degno

Di tesauro sì bello e invidïato.

Lontana dal natìo, gallico regno,

Mosse al diletto suo compagno a lato:

Non mirò i novelli usi con disdegno,

Non portò di straniera orgoglio usato:

Amò la nova patria, amò l'antica,

Visse de' giusti d'ogni lido amica.

 

Il livor de' volgari alla gentile

Perdonò l'esser nata in altre sponde,

Tanto le piacque farsi a noi simìle

Avvezzando le sue labbra faconde

Non solo al bel, sonante italo stile,

Ma al dïaletto che di Dora all'onde,

E in tutte le dolci aure subalpine,

Bench'irto, par che ad amicizia inchine.

 

Ai genitori dell'amato sposo

Abbellì reverente i vecchi giorni,

Però che ognor fu suo pensier pietoso

Che da nostr'opre gloria al Signor torni,

E da noi con amor religïoso

La voce del vicin di rose s'orni,

E dal Ciel maggiormente al dolce sesso

Recar sollievo altrui venga commesso.

 

Ma a costei non bastava entro sue mura

Spander pietà, sorriso, amore e pace:

Dello spettacol dell'altrui sventura

Nel petto le scendea duol sì verace,

Che santa spesso l'assalìa paura

D'appagarsi in virtù scarsa e fallace:

Pareale ch'a indigenza oro gittando,

Poco pur sia di carità al comando.

 

Allor si fu che a visitare assunse

Il tugurio di gioia derelitto;

Allor si fu che più desìo la punse

Di commoversi al gemer dell'afflitto;

Allor, com'angiol, fra i sospiri giunse

Di tapine espïanti il lor delitto;

Allora, insieme a facil don, largiva

Fatiche, ambasce, carità più viva.

 

Per alcun tempo di celar s'impose

Ai leggeri del mondo i passi santi:

Non già che paventasse le vezzose

Celie dell'alme vili ed inamanti,

Ma perchè vereconda ella ognor pose

L'orme sue pe' sentieri al ciel guidanti:

Poi cotal luce sue bell'opre diero,

Che ad alcun più sottrar non si potero.

 

Fra i tristi cuori ond'era impietosita

S'annovravano quei delle infelici,

Che, sebben colpa in lor venga punita

Da universale scherno e leggi ultrici,

A risorgere ancor bramano aïta,

E affetti serban di virtute amici:

Men proprii falli che gli altrui talvolta

Più d'una d'esse han nell'obbrobrio avvolta,

 

In pria delle dolenti incarcerate

Si fe' consiglio, e al lor governo diessi:

Da lei furo ivi pene allevïate,

E di religïon gaudii concessi:

Furon le trepidanti alme incorate,

E talor vinti i cuor più duri istessi:

Dove eran pria disordine e furore,

Addusse pace e penitenza e amore.

 

E non fugaci benefizi questi

Brillàr di caldo ma incostante petto:

Riede ogni giorno in quegli alberghi mesti,

E vi sparge opportun, söave detto.

Acqueta ivi gli spirti ad ira presti,

Ispira cortesìa col dolce aspetto:

Il sincero ammendarsi o loda o sprona,

E i migliorati cuori guiderdona.

 

Ma pur fuori del carcere infinite

Donne e fanciulle in duol veggionsi immerse,

Che per amor falliro e fur tradite,

Ed ahi! di fama più non vivon terse.

Rïalzarsi vorrìan, ma da inaudite

Sorti vittima son d'alme perverse:

Sottrarsi anelan da periglio ed onta;

Ov'è una destra a sostenerle pronta?

 

Tal destra ecco a lor tendersi! ed è quella

D'una mortal, che, siccom'angiol monda,

Pur contro al suo decoro non appella

L'inchinarsi a infelice vagabonda,

L'udirla con dolcezza di sorella,

L'aprirle un tetto ove il suo pianto asconda.

D'afflitte ed oltraggiate a molta schiera

Quel pio rifugio è di virtù carriera.

 

Non somiglia a prigion, non è prigione;

Ad entrarvi le ree non son costrette:

Nè quelle, che invocata han tal magione,

Ivi da forza fremon quindi strette.

Asilo è d'alme per rimorso buone,

Che lavorano e gemono solette,

E pregano il Signor pel mondo tristo,

Che il lor fallir con empio scherno ha visto.

 

Poscia che fu quel mite albergo eretto

Per pensier della donna generosa,

Provvide ella che attiguo un altro tetto

Sorgesse a secondar vaghezza ascosa

D'ammendate, che in velo benedetto

L'anima aver chiedeano a Gesù sposa:

Un solo tempio i duo ricovri unisce,

E il mutuo canto i lutti ivi addolcisce.

 

Talor io di quel tempio in segregata

Parte mi prostro, e mesco i preghi miei

A quelli della pia turba scampata

Dalla pietà operosa di colei.

L'anima mia a quel canto si dilata,

E occulto piango su miei giorni rei;

E in cotal donna ad altri spirti duce

Ravviso anco per me celestial luce.

 

Nè quest'amica degli afflitti cuori,

Per ritrarli all'altezza del Vangelo,

Li circonda di spregi e di rigori,

Si ch'ognor tremin, quasi in ira al cielo:

Del pentimento ai nobili dolori

Vuol congiunta speranza e amante zelo;

Vuol quella santa ilarità tranquilla,

Per cui la Croce maggiormente brilla.

 

Certo, ell'avea le inique voci udito

Contro a religïon vibrate spesso:

Che selvaggia sia questa, ed avvilito

Cada, se a lei si volge, un cuore oppresso;

Mostrar quindi la saggia ha statüito,

Che fede e cortesia si danno amplesso,

Che penitenza e consolante riso

Ponno concordi alzarci al Paradiso.

 

Ah sì! caratter questo è ben del vero,

E sol di Cristo nella legge splende!

Che in chiunque a virtù mova sincero,

Santificati e duolo e gaudio rende:

Retta è la via del penitente austero

Che ne' deserti caritade accende:

Retto altresì, purchè temprato e pio,

È il civile consorzio innanzi a Dio.

 

Onore ai forti Anacoreti! e onore

A tali, che bensì reggon la Croce,

Bensì il proprio e l'altrui piangono errore,

Nè ignoran di mestizia il carco atroce,

Ma rimangon nel mondo, e con amore

Spandendo van religïosa voce!

Duo son diversi modi, ambo divini,

Per cui l'uomo al Signor si ravvicini.

 

L'ammirata da me soccorritrice,

Mentre al Signor ravvicinare anela

Adulta moltitudine infelice,

Pur di bimbi plebei prende tutela;

Perocchè padre indarno e genitrice,

Che faticando tutto il dì trafela,

Vorrìa de' meschinelli assumer cura,

E, negletta l'infanzia, ahi! si snatura.

 

Memore che sì cari il Dio umanato

Dichiarò i pargoletti ond'era cinto,

La pia nel proprio ostello ha radunato

Stuol di fanciulli in duplice ricinto,

Ove, mentre sostegno al corpo è dato,

Viene a virtù il crescente animo spinto,

Vigilando colà vergini umìli

Ad addolcire i palpiti infantili.

 

Intanto, pur allor che senza asprezza

Un cor religïon fervido porta,

Consüetudin mai di vil mollezza,

Nè per sè, nè per altri unqua sopporta.

Poco gl'incanti della vita apprezza

Chi di celeste amor l'alma conforta:

Giorni in secreto mena penitenti,

E se bello è il rischiar, corre ai cimenti.

 

Questa donna vegg'io quindi nel tristo

Tempo in cui Dio l'indico morbo scaglia

Trarre agl'infermi ad onta del previsto

Pericolo che a molti il cuore ismaglia.

Compiange, esorta, ajuta, e volge a Cristo

Chi in angoscia di morte si travaglia,

Poscia a piangenti vedove e orfanelli

D'orrenda povertà tempra i flagelli.

 

In tai fatiche ed in quell'aure infette

Langue della gentil la debol salma,

Ma sinch'altri giovar Dio le permette,

Ella non osa a sè conceder calma:

Il benevol desìo forza le mette,

E sua fiducia dal Signore ha palma:

Dolora, ma prosegue, e con sant'arte

Altrui suoi patimenti asconde in parte.

 

Tal esser può sì fievol creatura,

Qual è donna cresciuta a splendid'agi,

Quando al lume del Ciel che l'assecura,

Pace e gloria non pone in bei palagi,

E rammenta che un Dio prese figura

Di poverello, e visse infra disagi,

E di lui ne assevràr le labbra sante

Che in ogni afflitto Ei stassi a noi davante!

 

Tal esser può, restando pur nel mondo

E in convenevol, fulgida eleganza,

Chi nutre del Vangel senno profondo,

Chi gode esser di Dio fatto a sembianza,

Chi sa che spirto uman d'opre fecondo

Non dee in van'ombre usar la sua possanza,

Ma in amar Dio! ma in dimostrargli amore,

Sempre sacrando all'altrui bene il core!

 

 

 




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