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Silvio Pellico
Poesie inedite

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  • VOLUME PRIMO.
    • I PARENTI.     Deus cilim honoravit patrem in filiis (Eccli. c. 3, v. 3)
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I PARENTI.

 

 

Deus cilim honoravit patrem in filiis

(Eccli. c. 3, v. 3)

 

 

Inno di gratitudine e d'amore

Al Creator de' nostri cuori amanti,

Di tutte meraviglie Creatore!

 

Dacchè pel fallo prisco doloranti

Alla luce veniam, qual dolci aïta

Ne' genitorï è data a' nostri pianti!

 

In ogni coppia umana, onde la vita

D'altri umani si svolge, ecco una diva

Pe' figiuoletti carità infinita.

 

 

Vedi la vergin titubante e priva

D'ogni ardimento, simile a cervetta

Che intorno guata, e de' perigli è schiva.

 

Chi nella fievol, timida animetta

Opra mutazione inaspettata,

Quand'è fra il coro delle madri eletta?

 

Di progenie d'Adamo al ciel chiamata,

Grave è il sen della dianzi paventosa,

E il pondo regge da dolor cruciata.

 

Ed il porta con forza generosa!

E dopo un figlio compro a tanto prezzo

D'orrende angosce, altri portar pur osa!

 

Oh di strazii mirabile disprezzo

In creatura sì gentil, che solo

Parea nata de' fiori al molle olezzo,

 

Onde bëasse a lei d'intorno il suolo

E le dolci aure col suo bel sorriso,

E morisse alla prima ombra di duolo,

 

Per destarsi felice in Paradiso.

 

Vedi la donna col suo piccol nato,

Che suggendole il seno a lei sorride:

Sebben abbiale tanto egli costato,

La madre da lui mai non si divide.

Insazïata il guarda, insazïato

È il provveder ch'ei non s'affanni e gride:

Animo lieto o da timore oppresso

Nella veglia o nel sonno ha ognor per esso.

 

Lo sposo benchè a lei caro cotanto,

È più caro perch'ei pur ride al figlio;

Sovente, favellando a lei d'accanto,

S'avvede ch'ella e core e mente e ciglio

Tien sovra il pargol con sì forte incanto,

Che non ha udito il marital consiglio:

Allora ei tace e mira, e con dolcezza

Il lattante e la madre egli accarezza.

 

Oh tristo il giorno, oh trista l'ora, quando

Giace nella sua cuna egro il bambino,

E la giovine madre sospirando

Ad ogn'istante riede a lui vicino,

E invan teneri detti prodigando

Tien sulle amate labbra il petto chino,

Ma l'offerta mammella ei bacia appena,

E non la sugge, ed a vagir si sfrena!

 

Oh con qual lutto miserando allora

La spaventata si rivolge a Dio!

Oh come al dubbio che il figliuol le mora

Trema se in lei fu reo qualche desìo,

E perdono dimanda, e s'infervora,

Promettendo al Signor viver più pio!

I soli Angioli ponno anzi all'Eterno

Sì ardente prego alzar, qual è il materno.

 

Giorno di liete voci, ora felice,

Quando sceman del pargolo i vagiti!

Quand'ei cerca la dolce genitrice

Con isguardi dal riso ingentiliti!

Quand'ei di novo il caro latte elice,

E scherzoso riprende i suoi garriti!

Tai porge allor la madre inni d'amore,

Quai mandar può de' Serafini il core!

 

Ov'alti rischi fervono,

Vieppiù la madre ardita

Pel frutto di sue viscere

Pronta è a donar la vita.

 

Ella, se fera scoppïa

Divoratrice vampa,

Verso la cuna avventasi,

E il pargoletto scampa.

 

Se il picciol piede illusero

Di cupo rio le sponde,

La madre piomba rapida,

E il tragge, o muor nell'onde.

 

Ella, se il figlio palpita

Tra infetto aere tremendo,

Tenta i suoi dì redimere,

Le piaghe a lui lambendo.

 

Se patria e tetto invadono

Empie, omicide squadre,

Stringe i suoi figli, e impavida

Pugna per lor la madre.

 

 

Tal è la nobil donna ingigantita

Dalla materna celestial possanza,

Che a tutte generose opre la invita.

 

Ma un sacrifizio v'è che ogni altro avanza,

Ed è in lei quell'assidua ed operosa

Sulla cara progenie vigilanza.

 

Alma di buona madre più non posa

Finchè non ha ne' figli suoi destata

Di virtù la favilla glorïosa.

 

Nè puote alma di figlio esser pacata

Fra inique gioie, se ha una madre ancora

Che i vestigi di lui tremando guata,

 

E occultamente prega, e s'addolora.

 

Negli anni primieri

Del forte maschietto,

V'è mente selvaggia,

V'è indocile affetto,

Par ch'indi s'annunci

Futur masnadier.

La picciola belva

Se alcun la minaccia,

Vieppiù baldanzosa

Innalza la faccia;

Di colpi, di rischi

Non prende pensier.

Qual è quello sguardo,

Qual è quella voce

Che frena l'audacia

Del picciol feroce?

Incanto sì dolce

La donna sol ha.

Ed ella ripete,

Ripete l'incanto,

Frammesce sorriso,

Disdegno, compianto,

E amore gl'infonde,

Gl'infonde pietà.

 

Non bada la saggia

Se petti inumani

Diran che a domarlo

Suoi studi son vani;

In cor d'una madre

Speranza non muor.

E quei che parea

Futur masnadiero,

S'infiamma del bello,

S'infiamma del vero,

Divien della patria

Gentile decor.

 

La madre è il primo dell'infanzia amore!

Poi di ragione al dolce lampo i teneri

Fanciulli aman la madre e il Crëatore!

Sõave affetto sentono

Pel padre, pe' fratelli e per le suore,

Ma il lor pensier più consolante ed ìntimo

E quello ognor: la madre e il Crëatore!

 

E tutti quasi del Vangelo i forti,

Che con grand'opre od immortali pagine

Più ricchi di virtù sono al ciel sorti,

Dal sen materno attinsero

L'amor, l'ingegno e i nobili trasporti,

E della madre caramente memori,

Iddio amando, con lei sono al ciel sorti.

 

Quale stupor, se pienamente spanta

D'un diletto figliuolo entro lo spirito

Alta fiamma si sia di madre santa?

D'uomini gravi assidua

Cura in noi del sapere i germi pianta,

Ma niuna cura è guida al cor del giovine

Come riso gentil di madre santa.

 

In quello sguardo che posò primiero

Sovra i nostri dolori e i nostri giubili,

È un poter che strascina a pio sentiero.

Mille congiuran fàscini

A pervertir di gioventù il pensiero,

Ma in lagrime di madre, o nel suo tumulo

È un poter che ritragge a pio sentiero.

 

Agostin dagli errori avvincolato,

Udendo della madre i sacri gemiti,

Bramava consolar quel core amato;

Nel rimirarla, a palpiti

Religïosi si sentìa spronato;

Doppiò il desìo del ver, doppiò le indagini,

E terse il pianto di quel core amato.

 

Ne' giovani anni del Salesio santo,

La madre, che il dovea da sè dividere,

Un giorno mosse a lui solinga accanto:

Sotto vetusta rovere

In cima a giogo alpin fermata alquanto,

L'opre di Dio mirando, esclamò: «Figlio!

Pensa che quel gran Dio t'è sempre accanto!»

 

E gli parlò sì calde e generose

Ricordanze dell'alta, unica gloria,

Che Dio per meta all'uman viver pose,

Che il giovin cor rifulgere

Vide al suo sguardo le celesti cose,

E il dir materno in lui restò indelebile,

E saldo il piè pel cammin arduo pose.

 

 

 

Ma di veri ed opposti elementi

Vien temprata dell'uom la saggezza:

Ei bisogno ha di freno e dolcezza,

Ei bisogno ha di forza e d'ardir.

Troppo i figli addolcir prolungata

Indulgenza di madre potrìa;

Ne' lor cuori animosa energìa

Ogni padre è chiamato a nodrir.

 

Della madre il söave sembiante

Il bambino con gioia mirando

Brameria riprodurre quel blando

Elegante sentir femminil.

Ed insiem nel mirar si compiace

Più severi del padre gli sguardi;

In sè brama gli spirti gagliardi

Che più bella fan l'indol viril.

 

Grazie, amabile Ingegno divino,

Che, in donarci i duo cari parenti,

Vuoi che sorga gentil nelle menti

Armonia di contrarie virtù!

Tutti grazie a te rendano i figli

Che gustàr de' parenti l'amore!

Ed ai mesti orfanelli, o Signore,

Notte e dì padre e madre sii tu!

 

 

 

Quanta in un padre e in una madre splende

Luce emanata dall'Eterno Iddio!

D'affetto pari al lor niun cor s'accende.

 

A' genitori miei come poss'io

Render le gioie prodigate e il pianto,

E gli esempi, e i consigli, e il pregar pio?

 

Troppo sovente immemor fui del santo

Senno che ad essi per me il Ciel largiva,

E baldanzoso i lor dettami ho franto.

 

Ma se per vie superbe io mi smarriva,

Cercando il ben dove il Signor nol pose,

E di mondani sapïenza ambiva,

 

Quai salutari spine a me le cose

Pur rimanean, cui già m'aveano impresse

L'anime de' parenti generose;

 

E contento io non era nelle stesse

Più inebbrïanti glorie che il mio orgoglio

E l'altrui vanità crëato avesse.

 

Inestirpabil resta il buon germoglio

A que' dolci, infantili anni piantato,

In cui d'alta malizia il cuore è spoglio.

 

Io m'avvolgea tra dubbi, e innamorato

Pur mi sentìa secretamente ognora

Di quell'Iddio ne' primi dì invocato.

 

E quando il Sol gli oggetti ricolora,

Ed ammirandol poscia al suo tramonto,

E nottetempo udendo batter l'ora,

 

E in mille di que' casi in cui più pronto

Fassi a grave sentir l'intendimento,

Sì che in lui nasce d'alte idee confronto,

 

Mi sovvenìa con dolce incantamento

La carità del padre, e di colei

Dal cui seno ebbi vita ed alimento;

E allor tornava sovra i labbri miei

Irresistibil uopo di preghiera,

E i miei delirii m'appariano rei.

 

Nel ricordar la madre, un fascino era

Che quasi mal mio grado m'attraea

Alla credenza e all'amistà primiera,

 

E della madre ai templi indi io riedea!

 

O padri! o genitrici! il più efficace

V'è dato minister sovra la terra:

Da voi pende de' figli la verace

Intima calma, o la perpetua guerra.

 

Sentir non basta natural dolcezza

A' cari vezzi di crescente prole;

Non basta ch'uomo obblii truce fierezza,

Come nel suo deserto il leon suole

Quando sul leoncel ch'egli accarezza

Spiegar le insanguinate ugne non vuole;

Non basta ch'uom de' figli suoi le strida

Tolleri, aïzzi, e i giochi lor divida.

 

Non basta ch'ei, mentre con essi scherza,

Pur li brami al suo cenno obbedienti,

E talor pigli l'esecrata sferza

A domar le più irose audaci menti.

 

Uop'è che padri e madri abbian sublime

Conoscimento dell'ufficio loro,

E le impronte, che i figli accolgon prime,

Sien d'amor, d'innocenza e di decoro.

Uop'è che i genitor la prole estime,

Perchè non da piaceri o sete d'oro

O bassa invidia spinti unqua li miri,

Ma da pii, generosi, alti desiri.

 

Gemer che val che nostra età sia guasta?

Che abbondin tradimenti e fratricidii?

Che del dubbiar l'orribile cerasta

Strazii le menti e tragga a' suicidii?

 

Al torrente de' vizi argin chi pone,

Se mal la patria a' figli suoi provvede?

Se de' fanciulli il cor non si dispone

Da' genitori ad alti sensi e fede?

Se il giovine schernir religïone,

O simularla da' canuti vede?

Perchè t'onorerà, padre, il tuo figlio,

Se in te virtù mai non brillò al suo ciglio?

 

Sia maledetta la progenie ingrata

Ch'alza sul genitor risa di scherno!

Mal s'affanni di giubilo assetata,

E nell'alma sua vil regni l'inferno!

 

Ma al par de' figli iniqui e irreverenti,

Voi sommamente sciagurati e abbietti,

Che versate negli animi innocenti

Mortifero velen con opre e detti!

Vita lor deste, e por li avete spenti!

Da Dio li avete, e contro a Dio concetti!

Prodotto avete per l'età future!

Germi rei di più ree progeniture!

 

Bella è di colta civiltà la luce,

Che assai chimere d'ignoranza espelle!

Ma se spoglia è di fè, non altro adduce

Ch'arti affinate in basse anime felle.

 

Altera iva, già tempo, i suoi tesori

Di ricchezza e di fama e di possanza

Roma pregiando, e sebben tocche avesse

L'ignee quadrella di sventura, e sommo

Più sulla terra il cenno suo non fosse,

Ancor a sè dicea: «La invitta io sono!

«L'accenditrice della sacra fiamma

«Del saper nelle genti! e indarno lutta

«Contra il mio genio di barbarie il genio!»

Ma venne il dì che la città del mondo

Fremebonda languendo in crudo assedio,

Prevedea suo sterminio ed il trionfo

Della barbarie propugnata e sparsa

Dal valente Alarico.

Una Sibilla

Nel roman Foro passeggiava irata,

Cinta da cittadini; e se speranza

Fosse di gloria le chiedean coloro,

E richiedeano con affanno. - Ed ella

Con disprezzo miravali, e taceva,

E passeggiava irata, e i dardeggianti

Sguardi della divina alto terrore

Nella plebe infondeano. E poichè sempre

Insisteano le turbe a interrogarla

Sovra i destini della patria, il riso

Amaro del disprezzo in furor santo

Volse; e, strappato dalle grigie chiome

Il vel, la fronte colla destra palma

Si percosse tre volte, e a' suoi pensieri

«Uscite!» disse, - e uscirono tremendi!

«Vaticinio d'obbrobrio e di morte

«All'iniqua Regina del mondo!

«Sette giorni; e poi veggo giocondo

«Qui sue fiamme Alarico gettar!

«In tre parti ecco Roma divisa:

«Un'intera, altra mezzo abbattuta;

«La maggiore ecco fumiga muta

«Sovra l'ossa che un dì l'abitàr».

 

Dell'antica Sibilla al disperante

Grido colpiti di spavento, alzaro

Miserevol lagnanza i cittadini,

E a lei diceano, e al cielo: «Onde su noi,

«Onde su figli così orrendo fato?»

Guardolli la inspirata, e lungamente

Tacque fremendo, indi il silenzio ruppe:

 

«Onde mova sì fera condanna,

«O perversa d'eroi discendenza!

«Più da voi di virtù la credenza

«A' figliuoli trasmessa non fu!

«Non v'è popol che piombi in rovina,

«Se non dove s'innalzi tal prole

«Che non sa, che non può, che non vuole

«Fuorchè oltraggio ed obblio di virtù!»

 

E vinse Alarico,

E in fiamme andò Roma,

E tutti la stirpe

Latina fu doma!

E invan quegli oppressi

Dell'Itala terra

Dicean: «Fummo grandi

«In pace ed in guerra!»

Disgiunte da forza

Di mente e di cor,

Le voci orgogliose

Schernìa il vincitor.

 

E fama narra che la pia Sibilla

Per le italiche sponde ramingando,

Molle sovente avesse la pupilla

Sui rei trionfi dell'estranio brando:

Chiesta venìa talor se una favilla

Prevedesse di scampo, e come, e quando;

Ed allor rispondea più corrucciata:

«Stirpe forse vegg'io dal fango alzata?»

 

Inteneriasi poscia, ed agli afflitti

«Luce, dicea, non fulge or di speranza!

«Ma da viltà cessate e da delitti,

«E crescete ad onor la figliuolanza.

«A nulla giova favellar di dritti,

«E gli avi rammentar con gran burbanza:

«D'ammendati parenti all'opre sole

«Puote ribenedetta andar la prole».

 

Ma i più ascoltavan, e movean la testa,

E tenean la fatidica per pazza;

E lungh'anni durò la ria tempesta

Degl'invasori sull'iniqua razza.

Tutta convenne tracannar la infesta

Di servitù e d'obbrobrio amara tazza;

Sepolta andonne civiltà, e con pena

Dopo secoli ancor ripigliò lena.

 

Manda, o Signor, lo spiro tuo possente

Ne' padri che al mio tempo han la tutela

Della patria speranza adolescente!

 

Quanto sia gran tesoro ad essi svela

Un'affidata nova alma immortale,

Cui tanti move assalti corruttela.

 

In padri e genitrici un'ansia eguale

Desta sì, che ne' figli i pensier santi

La possa degli esempi non affrale!

 

La madre allor ne' dolci cuori pianti

Profonda e pia di bell'amor semenza

Per tutte l'opre ad alta fè guidanti;

 

E il genitor protegga, la innocenza,

E la scorti, e la eserciti, e la inforzi

Contr'ogni non vitale, empia, scienza.

 

Caldo zelo ad estinguer non si sforzi

La nobil vigoria de' giovani anni,

Ma pïamente il fidar troppo ammorzi,

 

Sì che delle inesperte anime i vanni

Luce, lontan dal vero Sol, cercando,

Non si perdan nel vuoto e negl'inganni.

 

A due falli i parenti omai dian bando:

Uno è il vano agognar che tutto a' figli

Nell'odïerna età paja esecrando.

 

I sempre spaventosi, irti consigli

Ispiran diffidenza, e ciechi allora

Vieppiù s'avventan quelli entro a' perigli.

 

E l'altro fallo è più funesto ancora:

Quello di chi, spregiando i tempi andati,

Del novo senno tutti i vanti adora,

 

E dall'are tue sante illuminati

Non gli cale, o Signor, che i figli sieno,

Ma li spera da orgoglio sublimati.

 

Lode a filosofia, ma quando in seno

Porta umiltà ed amor; quando a' suoi voli

Tuo infallibil Vangelo è guida e freno!

 

Altro lume non fia che mai consoli,

Ed appuri, ed innalzi umani cuori,

E per cui nelle vie de' lor figliuoli

 

Gloria acquistino e pace i genitori!

 

Non v'è patria felice, se a Dio

Consecrate non son le famiglie;

A' parenti, a' garzoni ed a figlie

Solo vincolo egregio è la Fè.

Dove cresce magnanima stirpe,

Talor anco sventura la preme,

Ma non pere, non crolla, non teme

Il Signor della forza ha con sè!

 

 

 




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