II.
«Ben t'avvenga, o stranier, che non disdegni
Del proscritto la stanza! Oh, il curïoso
Mio desir non t'offenda: avresti il suolo
Di Verona toccato? o nulla almeno
Dell'infelice mia patria t'è noto?»
«Verona tua, gran Valafrido,
ancora
Non visitai, ma qui di Francia io movo
Per quella volta.»
Adel così dicendo,
Una scritta porgeva: e con ossequio
(Mentre quei legge) osserva le sembianze
Dell'eroe cui per molte cicatrici
Beltà non scema: è in Valafrido un misto
Tal di guerriera cortesìa e fierezza
Che affetto ispira e in un tema e stupore.
«Che? Tu del sir di Rocca Incisa
alunno,
Di lui ch'a Eligi mio chiuse le ciglia? -
E dal felice tetto del vegliardo
L'ardente febbre involati de' prodi,
Il bisogno di gloria? Oh, dritto ei parla,
Con paterna amarezza lamentando
Giorgio il tuo dipartir! Ne' generosi
V'è un impulso di Dio che li sospinge:
Uopo è onorarlo, anche se il cor ne pianga.»
Adel s'inteneria rammemorando
Del suo signor l'affettuoso sdegno,
Quando i suoi preghi a forza il combattuto
Congedo ottenner. Poi dalle ospitali
Accoglienze animato - «O Valafrido,
Guida mi sieno i tuoi consigli: acceso
Dall'alta istoria di tua eroica fede
Pel trucidato nostro italo Augusto,
Al sitibondo mio ferro ho la morte
Del traditor giurata.»
«O giovinetto,
il cor mi brilla udendoti. Perduta
Tutta de' giusti ancor dunque la stirpe
Non è in Italia? I giusti - oh, ma son rare
Stille che pure cadono dal cielo
In torbido ocean, che inosservate
Nelle giganti sue schiume le ingoja!
T'arrida un giorno la fortuna: or tempo
È di sostar: te perderesti indarno
E del trafitto Cesare quel sacro
Unico avanzo su cui pende il brando
Dell'assassin.»
«Ciò che a salvar la figlia
Di Berengario lungamente opravi
Noto m'è o Valafrido...»
«E non t'è noto
Che al novo italo sire Ugo negando
Chinar l'insegna mia, se dalle mani
Dell'assassin Rasperto ei non togliea
La donzella regal, meco possente
Esercito ebbi che d'onore al sacro
Nome parea tutto avvampar? L'infido
Ugo mi trae ne' lacci suoi chiedendo
A me di pace il parlamento: i dritti
Son vïolati delle genti: in ferri
Tratto mi veggio. Ov'eran le promesse
Dell'esercito mio? dove la sete
Di giustizia e vendetta? Oh vitupero!
I creduti leoni eran conigli
Che un fischio sperde. Alla prigion m'involo,
A mie castella mi ricovro, ai servi
Do franchigia e virtù: la fede e il grato
Animo in prodi trasmutò gli abbietti:
Pugnar, morirò al fianco mio. Ma invano
Sperai che gara in petti altri e gentile
Pudor si ridestasse. Il soverchiante
Numero mi sconfigge: Ugo e Rasperto
Al suoi adeguan le mie rocche,e a stento -
Ramingo, insidiato, egro - l'afflitta
Testa posar m'è in questi monti dato.»
«Signor, tu il sai,soccombe il
retto,e vana
Però non è la sua caduta: è crollo
Che desta le sopite alme e del retto
A compir le sublimi opre le incalza.»
«Adel, m'ascolta: speme una
accarezzo,
Sol una.»
«Qual?»
«La grande alma d'Ottone.
Io in Lamagna trarrò, moverò l'ira
Del generoso: il vindice d'Italia
E del tradito imperador fia Ottone.»
Al quarto dì si separar gli eroi:
Valafrido oltre l'Alpi, e Adello mosse
Alla città infelice ove vassallo
Del re malvagio domina nel sangue
Il feroce Rasperto. Avea costui
Folto stuol di satelliti, raccolti
Tutti d'infra le truci orde venute
Di stranie terre alla rapina. - Adello,
Onde vie meglio ascondere che in petto
Lombarde cure ci prema, avventuriere
Nalio di Francia fingesi, cui sorte,
O errori giovanili, o irrequïeta
Brama d'eventi fuor di patria spinse.
Tacitamente a lungo ogni suo passo
Esplorato venia. Seco si stringe
Un burgundo guerrier: cieca fidanza
Mostragli Adel, sognati casi narra,
Forte invaghito del mestier dell'armi
Dicesi,e a poco a poco ode gli offerti
Patti, e ingaggiarsi appo Rasperto assente.
L'avvenenza d'Adel, la signorile
Sua destrezza nell'armi attirò in breve
Del tiranno gli sguardi, e di sua corte
Agli ufficii l'assunse.
Adel fremea
Nell'incurvar l'altera alma alle bieche
Non imparate ancor del debole arti:
Ma incurvarla era forza, o prorompendo
Mal augurata far l'impresa. È lieve,
Di Berengario sulla tomba il mostro
Strascinar per le chiome e trucidarlo;
Ma di Rasperto riman poscia il crudo
Nipote Euger, che in sua balia rinchiusa
Tien nella torre Sigismonda e il sangue
Versar della infelice orfana puote.
Pria che vendetta dell'estinto or vuolsi
Dell'oppressa innocenza oprar lo scampo.
Cauto osservar gli spiriti, una
tela,
Se arride il tempo, ir preparando, e il cenno
Di Valafrido attendere - tal era
Lo spettante ad Adello inteso incarco.
Ma più lune trascorsero, e l'eroe
Di Lamagna non torna, e orrende nozze
(Onde gli ambiziosi emuli tronche
Sien le speranze) intimansi alla figlia
Di Berengario coll'infame Eugero.
Repente sulle piazze alla
sommossa
Chiamar la turba? Ed a qual pro? Non altri
Tentaron questa via? Tosto immolati.
Dalla viltà del volgo, - od a ritrarsi
Costretti si vedeano, onde il tiranno
Non estinguesse del lor re la figlia.
Dar l'assalto alla torre? e con quai brandi?
Ah, in molti petti è l'ira, il desio in tutti
Della vendetta, la virtù - in nessuno!
O almeno Adel non la scoverse. - Un fido
Servo, che collattaneo era del vecchio
Padre d'Adello, e indivisibil sempre,
Fin dal natal del giovin sir gli stette,
De' suoi segreti è il sol custode: oh, gli anni
La destra aggravan d'Almadeo; compagno
Fora mal certo nel ferir!
«Buon padre,
Urge il tempo, ho deciso: ad ogni rischio
Sol rimango io, ma Sigismonda è salva.»
«Che dici o mio signor?»
«Sotto l'ammanto
D'altra grave cagion, rapido cocchio
E destrieri apparecchiansi: al tramonto
Portator de' messaggi io di Rasperlo
Al re m'invio - ciò crederassi - il cocchio
Tu guiderai; più prezïoso un pegno
In mio loco ivi fia. Non della corte
D'Ugo il cammin,ma di Vinegia prendi:
Sino al mar non ristarti: un agil legno
Senza indugio v'accolga, ed al suo illustre
Proscritto zio la vergine conduci.»
«Deh, l'arcano mi spiega!
«Odi: tu sai
Che alla prigion della regal donzella,
Fuorch'a entrambi i tiranni e alle lor guardie,
Ad uom recarsi non è dato. Appena
Due antiche ancelle - e l'una a Sigismonda
Nutrice fu - ponno ogni dì all'afflitta
Di compianto e amistà porger ristoro.
Ad esse favellai. Della nutrice
Le spoglie io vesto, all'altra m'accompagno,
In carcer resto, e assuntesi le spoglie
Della nutrice, Sigismonda fugge.
Ir non può in fallo il colpo: occhio severo
Su queste donne non s'estende. Inferma
Da lungo è quella onde la voce io tolgo:
Muta sol ivi penetrar, ravvolta
In ampio velo: al scender della torre
Al lor umile tetto uom non le segue.
Buje or sono le notti: al destro lato
Del vicin tempio le fuggiasche trovi.
Salgano il carro immantinente: sferza
Senza posa i cavalli.»
«O signor mio,
Che fai? tua vita perdi: a' genitori
Pensa.»
«Agli esempii lor penso: la vita
Posposer sempre al maggior ben - l'onore!»
«Del tinto personaggio a me la
cura
Dona, all'illustre zio tu stesso adduci
La salvata donzella.»
«Oh, ben da tanto
M'estimo io sì! nè a tue virtù, la gloria
Di morir per sì giusto atto, minore
Certo sarìa! Ma di soverchia mole
È, Almadeo, tua presenza: in guisa niuna
Dal travestir s'illuderian gli sgherri:
Me affida inoltre il valor mio: l'acciaro
Del padre d'Eloisa io sotto ai lini
Donneschi porto, e allor che s'avvedranno
(Dopo molte ore, deh, ciò sia!) le guardie
Dell'inganno sofferto, io d'atterrarle
E scampar non dispero; e piena l'opra
Forse eseguir che il morto re domanda.»
Resistenza e preghiere e
ammonimenti
Ripetè invan l'antico. - I fatti egregi
Pensa anche il vil talvolta: il sol gagliardo
Li pensa e compie - e tra il pensiero e il fatto
È una ferrea catena, e niuna scossa
Quella catena fa ondeggiar.
Le donne
Alla torre presentansi. Il guardiano -
«Dio ti ridoni la salute o inferma!»
E la sana risponde: «Oggi l'affanno
Più dell'usato la meschina opprime,
Nè a veglia quindi appo la dama a lungo
Starci forse potremo.» E ciò dicendo,
Al saluto venal porgea cortese
Qualche mercede.
Inesplorate i neri
Avvolgimenti della torre ascendono,
E lor la trista cella si disserra
Di Sigismonda; indi il guardian sen parte.
Tutto in breve ode la fanciulla.
Invasa
Da sorpresa e rossor, confusi, incerti
Detti favella. Il giovin cavaliero
E la vecchia fedel con premurose
Istanze le fan forza. Ah, d'involarsi
Dall'infame imeneo trattasi, i dubbi
Stolti, funesta ogni esitanza fora!
Della nutrice a Sigismonda i veli
S'appongono. - L'inferma appo la dama
Lunga dimora far non può: al suo letto
Già si ritira. In fondo era alla cella
Adel quando il guardian chiuse, e le donne
Fuor della torre addusse; ed osservato
Perciò non venne.
Poich'è sol, del manto
Che il cingea si discioglie, e il suo guerriero
Aspetto ripigliando, avido tende
E inquïeto l'orecchio. Ei di sventura
Trema - non già per sè: sull'elsa ha il pugno:
I perigli ricorda in cui quel brando
Conquistò a Giorgio la vittoria: stretta
Si tien sul cor la zona d'Eloisa -
E sovrumana forza alla sua destra
Tal s'infonde, che intrepido i suoi giorni
Venderia e cari a folta schiera innanzi,
Ma alla fuggiasca pensa e per lei trema.
«Che direbbero Italia e
Valafrido,
E i miei parenti e un dì Eloisa, ov'io
Con improvvida audacia a morte spinta
Avessi Sigismonda? Eppur la scelta
Di più partiti io non avea, e il peggiore
Era l'indugio. Strepito non odo:
Oh cielo, arriso avresti? Ale ai corsieri
Presta, lor tracce agli inseguenti ascondi!
Propizii sovra il mar spira i tuoi venti!
In porto adduci l'innocente afflitta,
E ch'io pera, se il vuoi, ma inglorioso
Non sia il mio fato!»
Secoli son l'ore,
Ma pur segue una l'altra, ed ogni istante
Reca in Adel nova speranza e gioja.
Verso il mattin - prostratto era
ei davanti
A un crocefisso, e per la patria orava,
E per tutti i mortali, e più pei cuori
Che sono al suo più strettamente avvinti -
Quando un suono di passi e di parole
Pei rimbombanti angusti anditi giunge
Al prigioniero. Stridono le chiavi
E gli orrendi cancelli. In piedi ei balza:
Ascolta - e i ghigni scellerati scerne
Dell'impudente Euger. Venìa il malvagio
Ad annunciar, che irrevocabil cenno
Dell'empio sir, ferme ha in quel dì le nozze.
Ma la porta dischiudesi - oh
sorpresa
Spaventevole al reo, d'imbelle donna
In loco all'affacciarglisi improvviso
Incalzante guerrier! Pongon la mano
Alle spade i satelliti e il lor duce,
Urla mettono orrende, orrendi colpi
Metton, ma invan: già steso è al suolo Eugero,
Già spiccia il sangue da più petti: in cerca
D'aita e in fuga altri si volge: umana
Opra questa non credon, ma prodigio
Invincibil del cielo. Adel si slancia
Con volo irrefrenabile atterrando
Tutti gl'inciampi, e della torre è uscito.
Al popol corre, con possente voce
Incita a compier l'alta impresa: ei narra
Dell'involata all'esecrande nozze
Figlia di Berengario.
«Avventuriero,
Qual credeste, io non son, d'estrania terra!
De' Saluzzesi monti, italo io sono,
Figlio del sire Adel, che antico servo
Fu dell'ucciso imperador! Vendetta
L'adirata onoranda ombra a me chiese,
A voi tutti la chiede. Oggi la taccia
Si lavi che (già omai volge il terz'anno)
Vi disonora e dican la fraterne
Ed emule città - Giacea nel fango
Per rio destin, non per viltà, Verona!»
Il suo apparir maraviglioso, i
caldi
Accenti del guerrier, la reverenza
E la pietà che spiran le ferite
Onde il volto gronda - e par ch'ei solo
Conscio non siane - un inatteso effetto
Producon nella turba. Al denso stuolo
Delle feroci mercenarie lance,
Che con Rasperto irrompono, non cede
Come altre volte il volgo: aspra battaglia
Le vie e le piazze insanguina: le opposte
Ire in eroi trasmuta anco i più vili.
Adel s'azzuffa col tiranno. Ivi era,
Ivi a mirarsi spaventevol cosa
Il furor de' gagliardi, il mortal odio,
E di disperazion l'ultima prova!
Lunga è la lotta, dubbia è la vittoria:
Si soffermano il popolo e i guerrieri,
E alterno è il plauso ed il terror. Ma alfine
Precipita il tiranno: a quella vista
Sgomentati si sperdono gli sgherri:
Grida di gioja il popolo manda - e Adello
Trionfator, ma semivivo, cade
De' suoi compagni d'arme infra le braccia.
Dio quella vita ad altre angosce
ed altre
Glorie serbava: ma all'esauste vene
Del campion di Verona a grave stento
Riedè salute.
Un dì, al suo letto ei vede
Inoltrarsi due duci. Uno ei ravvisa:
È Valafrido. Di Lamagna i prenci
Questi trovato avea sì nelle interne
Discordie avvolti, che niun d'essi cura
Prender potea dell'itale fortune.
Oh come Valafrido i dolci amplessi
Rende al ferito eroe! come gentile
Dal labbro suo suona la lode al forte
Fatto d'Adel! Nè men commosso e onesto
Favellando applaudìa l'altro guerriero.
Il magnanimo zio di Sigismonda
Quegli è che ad onorar venne l'ignoto
Della nipote redentor: - Più giorni
Con delicata indagine il vegliardo
Spiò se in cor d'Adel fiamma d'amore,
Eccitatrice d'alte gesta, ardesse
Per l'augusta donzella, e dagli accorti
E amici detti un raggio tralucea,
Qual di desio che Adello osi a tai nozze
Elevar sue speranze.
Il perspicace
Garzon di quel linguaggio i sensi intende:
Ma cortesìa vuol che li ignori, e aperto
Scansi rifiuto. Quindi uopo tingendo
D'amichevol conforto e di fidanza
A sollevar del mesto animo il pondo,
Con fil e candor narra al buon vecchio
L'umile istoria de' suoi giovani anni,
E il foco inestinguibile che inceso
Le virtù d'Eloisa e la bellezza
Han nel suo petto, e tutto dice - tranne
Che riamato ei sia. - Ben gli era nota
La sfolgorante venustà e la dolce
Alma di Sigismonda, e come i prenci
Si contendan sua destra e quella destra
Porti forse venture alte di regno;
Ma più che ogni tesoro e più che i troni
È a lui la sua Eloisa - oh doloroso
Sovvenir d'un bel sogno! inutil culto!
Inutil no, giacchè sublima il core!
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