III.
Nell'arduo calle della gloria i
primi
Cantai passi d'Adello: or trasvolando
Sull'ali rapidissime del tempo,
Additerò sol come lampi i lunghi
Patimenti e le gesta onde l'eroe
Gli anni suoi segnalava.
Ugo, insultando
Delle città, de' vescovi e de' forti
Itali castellani a' privilegi
E schernendo i trattati ed impunita
La libidin lasciando e la rapacia
De' suoi baroni, acceso avea nel regno
Di civil guerra la esecranda face.
Dal furor della plebe i regii
messi
Lacerati venian: le inesorate
Lance del sire offeso alla vendetta
Trucemente scagliavansi. Ammucchiati
I cadaveri ingombrano le strade,
Nè v'ha chi li sotterri: il pellegrino
Riede al natio villaggio, e indizio appena
Del loco ov'ei sorgea songli i mezz'arsi
Rottami delle pietre e pochi teschi - Forse
del padre e dei fratelli i teschi!
Tal de' Lombardi era lo stato.
Adello
De' depredati borghi e monasteri
In difesa accorrea: di lui, nemico
Più formidabil non avea il tiranno.
Ma in breve queste guerre han
tratto all'imo
D'ogni miseria la contrada: il mese
Della messe venia, ma il sol versata
La sua virtù feconda avea ne' semi
Dell'ortica e del cardo; e da lontano
Il fuggiasco villan piangea sul brando
Che a' dì più lieti gli falciava i campi.
Ride Burgundia. «Or tempo è di
riporre
I nostri ferri agl'Itali divisi!»
E già possente esercito calava
A sicura vittoria. Allora Adello
Vede la gran rovina: ad impedirla
Non v'è che la concordia, e alla concordia
Città rivali stringer sol può un scettro.
Del nome suo l'autorità sopisce
Gli odii: ei radduce le cosparse insegne
Appo la regia insegna. Or la salute
Dell'itala corona oprisi, e il guardo
Sulle colpe ond'è tinta uom non sollevi.
L'impulso dell'eroe quasi un
novello
Spirto ne' pria diversi animi ha infuso.
Ugo, con maraviglia, in sua difesa
Color vede morir cui dianzi ha raso
Le castella o i tugurii: il crudo petto
A forza inteneriasi: ambir la gloria
Parve di scancellar co' benefizii
E con la giusta signoria le cieche
Ire sue prime. Adello, e altri guerrieri
D'onesta fama, sedi ebbero somme
Nel consiglio del re - ma quando piena
Fu de' Burgundi la sconfitta e saldo
Novellamente il trono, ecco, al tiranno
Ombra fa il nome del suo prode, e al dritto
Favellar suo magnanimo la taccia
Dassi ben tosto di ribelle orgoglio.
Dicon vetuste cantiche il
giudizio
Scellerato ch'espulso ha dalla patria
Chi la patria avea salva.
Andò il ramingo
Del veneto leone agli stendardi
E lor sacrò la spada sua. - I superbi
Isolani, già tempo, avean le spiagge
Di Dalmazia predate e con la frode
Tolto di là tal venerando oggetto
Che da secoli e secoli a fraterno
Pellegrinaggio i Dalmati adunava
E fea d'un ricco monister la gloria:
Era la lancia d'un antico eroe
Che dal giogo pagano in molte pugne
Sottratto avea le natie valli. Il grido
Degli eccelsi miracoli, operati
Dalla reliquia di quel santo, al furto
I mal devoti veneti sospinse.
Ma intanto rotte più fiate, e
sempre
Rinascenti nell'ira e più tremende,
Di padre in figlio le tribù selvagge
Con giuramento avvinconsi al racquisto
Dell'onorata lancia o a eterna guerra.
Un feroce lor capo, Adeoniro,
Col manto di pio zelo, infesta il mare
D'incessanti, audacissime, inaudite
Piraterie. Sui piccioli sui legni,
Di ladroni invincibili una turba
Ei radunò che d'uom, fuorchè l'aspetto
Null'altro serban; fama appo i lontani
Sparse ch'uomin non erano, ma mostri
Prodotti dai nefandi abbracciamenti
Delle dalmate streghe e de' demoni.
Niuna legge li stringe altra che un voto -
Pronunciato col rito abbominando
Di libare in un calice una stilla
Di caldo ancor veneto sangue - e il voto
È d'assalir qualsiasi veleggiante
Pin di San Marco, o scompagnato corra
O a torme, o debol sembri o poderoso,
E dalla pugna non ristar ch'o estinti
O vincitori. A queste anime atroci
Ogni pietà verso i nemici è ignota,
Ma tra loro mirabile è una gara
D'assistenza e giustizia e comunanza
Di beni e mali. Adeonir divide
Il bottin, nè maggior parte a sè dona
Che al più abbietto compagno. In gozzoviglie
E in limosine sprecan, non curanti
Tutti del pari, ogni tesor soverchio,
Quand'armi e barche e attrezzi hanno, ed ai figli
E alle donne e a' feriti han provveduto.
Tal delle imprese loro è la ventura,
E con tali atti di barbarie han tinto
Di stragi l'onde, che il nocchier più ardito
Nell'adriaca laguna inoperose
Tien le sue sarte, e unanime la voce
Dell'atterrito popolo s'innalza
Perchè il furto s'espii ch'a furor tratto
Ha de' Dalmati il santo, e a' loro altari
Con doni la fatale asta si renda.
Il senato assentì: ma col ritorno
Della reliquia, pur mutar natura
Non potè l'indomato avido spirto
De' bugiardi pirati: e con più angoscia
Pianse Vinegia le nuove onte, e mosse
Con alte navi e prodi capitani
Ad estirpar di que' malnati il seme.
Ahimè, che de' suoi prodi il
morir forte
Non giovò alla repubblica! In tai giorni
Di lutto universale, uno straniero
Sorge e il linguaggio degli eroi parlando,
Radduce nelle curve alme il coraggio.
Quello stranier pugnato avea sui pini
Della sconfitta armata, e al valor suo
De' pochi avanzi si dovea lo scampo.
Era Adello! Il magnanimo senato
Plaude all'ardir del cavaliero; un novo
Armamento decreta: Adel le prore
Capitanando, alla vittoria corre,
E sepolcro i pirati ebber nell'onde.
Favorita canzon del marinaro
Divenne questa istoria, e tutti i liti
D'Italia l'impararono, e ne' gioghi
Più segregati d'Apennino - allora
Che un sir bandisce all'ospite il festino -
Dice al suo vate: cantaci il bel nome
Del vincitor de' dalmati pirati.
Memoria non restò delle sciagure
O degli affronti perchè Adel partissi
Dalle bandiere del leone. Amalfi
Diede ospizio e onoranza al capitano,
E per lui prosperò; la terra e l'acque,
Più d'una volta, del suo sangue intrise,
Ma invitto il vider sempre e più tremendo.
Tacerò quelle pugne e dirò il giorno
Che - tempo era di pace e vincolato
D'Amalfi all'armi il brando ei non tenea -
Adel coll'oro suo recossi ai Mori
Che in Tunisi avean sede, e quanti schiavi
Potè redense. Il sacrificio ei compie
D'ogni suo aver, perocchè morti entrambi
Son gli adorati genitori, e il pio
Figlio all'anime lor schiudere il cielo
Spera con opre che al Signor sien grate.
Un dì, secondi egli aspettava i
venti
Per la reddìta, ed ecco entra nel porto
Con festive urla un predator; parecchie
Sbarca gementi vittime, e fra quelle - Oh
sorpresa! oh sciagura! Adel ravvisa
Un cavalier troppo a lui noto, è desso,
D'Eloisa lo sposo!
Ai primi amplessi
(Ed oh quanti dolori in quegli amplessi
Squarcian d'Adello il nobil cor! qual misto
D'antica gelosia, di riverenza
Per le virtù del sir, di generosa
Compassïon, d'affanno immaginando
Le pene d'Eloisa in udir preda
Ai scellerati masnadier lo sposo!)
Ai primi sfoghi di pietà, succede
L'interrogar sollecito dell'uno
E il racconto dell'altro.
«Oh Adel compiuta
È la sventura mia! Tu vedi il figlio
Del felice Usignan, già di castella
Sì ricco e d'armi, cui possenti trame
Di perfidi congiunti han da sei lune
Rapito ogni dominio. I figli miei
E lor misera madre (ah, poich'al duolo
Il tuo signore e mio, Giorgio soggiacque!)
In salvo a Nizza appo mia suora addussi.
Ivi una notte una masnada irrompe
Di Saracini. Io d'Eloisa, e quanti
Dolci pegni m'avanzano, la fuga
Combattendo proteggo: oh, almen per loro
M'arrise il ciel! Ma cinto, disarmato,
Carco di ferri io vengo. Anzi il mattino
Salpan le collegate arabe navi:
Quai di Spagna eran, quai del Sardo e quali
Di quest'africo lito; a me la somma
Lontananza toccò!»
Frenava Arnaldo
Con viril forza il pianto: Adel, compreso
Da tanta folla d'infelici e cari
Pensieri, il volto si copria e lasciava
Alle lagrime sue libero sfogo.
«E anche il mio antico sire è nel
sepolcro!
Sì lunghi anni di gloria, e poi nel lutto
Morir miseramente! ecco, empia terra,
Il guiderdon che alla virtù largisci! -
Ma no, delle onorate opre la meta
Non è il sorrider di mortal fortuna:
Amaro a' giusti è il vivere, e beato
Solo quel dì che al mondo vil ti toglie!»
Così esclamava Adel, sazio de'
giorni
Glorïosi, ma sterili di gioja
Ch'ei tratto avea, da quando allontanato
Erasi da Eloisa. E or par che tutta
Da mal estinte ceneri risorga
La giovenil sua fiamma: i detti, il volto
D'Arnaldo lo riportano ai remoti
Tempi del suo delirio. Ei vede i colli
Della Sonna fioriti - il santuario
Ove la pia fanciulla iva sovente
A lagrimar sulla materna tomba -
L'inghirlandata barca ove ella, assisa
Sulle ginocchia di suo padre, al canto
Talor sciogliea la voce; e talor l'inno
Era d'Adello; e allor della donzella
Più timido era il canto e più pietoso!
Che pensa, Adel, tua nobil alma?
I campi
E le rocche d'Arnaldo andrai col brando
A racquistar pe' figli suoi? ma in ceppi
Ei qui rimansi: squallido, languente
È il suo sembiante: il duol forse e la dura
Servitù in breve troncheranno il filo
Di quella vita... Libera Eloisa?
Oh pensiero infernal! Ma nella mente
Anche de' giusti sfolgora i suoi foschi
Lampi l'inferno - e più son giusti appunto
Perchè talvolta eguali a' rei son quasi,
Ed allor non soccombono, e con arduo
Sforzo sopra il mortal fango s'innalzano.
D'altri schiavi al riscatto ogni
tesoro
Già avea consunto Adello: al predatore
D'Arnaldo in cambio, egli offresi. Accettato
Venne il partito, perocch'egro il primo
Schiavo parea, e salute e forza spira
Del novel la persona. Il sir francese
Queste mosse ignorava, e i suoi voraci
Crucci addoppiava l'esser conscio, ahi troppo
Degli affetti d'Adello. Alta è la stima
Che la virtù dell'Italo gli desta;
Ma pur già scorge nel futuro, accanto
Alla donna (e ancor bella era Eloisa)
Il rival cavaliere, e quella stessa
Virtù che in esso ammira è il suo spavento.
Ma oh come in sè medesmo ei si
vergogna
Di sì bassi concetti, allor che tolte
Vede a sè le catene, ed alle braccia
Poste d'Adel!
«Che fia? Non mai! Sublime
Insania, Adel, ma insania è questa! infermi
Giorni redimer di chi tutte ha tronche
Le vie di rimertarti e così all'imo
Cadde che d'ogni grande atto la speme
Da fortuna gli è tolta - e invece i giorni
Preziosi immolar di chi seconde
Tutte ha le sorti e per la gloria vive!»
«Arnaldo, i pregi tuoi taccio che
sommo
Ti fer sempre a' miei guardi; or sol rammento
Quanta importanza i giorni han di chi i sacri
Titoli vesta di marito e padre:
Appo tal, nulla è la deserta vita
Di chi solingo passeggia la terra
(E tal son io), di chi, s'allegri o gema,
Niun bea il suo riso e niun piange al suo pianto.»
Volea soggiunger l'altro. Adel
temendo
D'aver con triste voci intenerito
Il suo rivale e forse appalesato
Della stanca dolente alma il segreto,
Apre un gentil sorriso - Va', gli dice,
A consolar la tua dolce famiglia;
Cura nostra primiera esser de' questa:
Indi per me non t'affannar: lontane
Non son l'itale sponde, e ivi sì egregi
Cuori mi fean di loro amistà dono,
Che in me certezza è la lor gara al pronto
Riscatto mio.
«So, generoso Adello,
Che in sue nuove tempeste Ugo invocava
Il braccio tuo; so che anelò Vinegia
Di ritorti ad Amalfi, e che in ciascuna
Itala signoria ferve la brama
Di possederti a suo campion: ma esporti
Di fortuna a' capricci, ah no, non posso!
Sol crederei, se in mia balìa fosse indi
Il tuo pronto riscatto: oh, ma ti dissi
La mia piena miseria!»
Uopo ad Arnaldo
Il ceder fu. Partì sulla primiera
Cristiana prora: agl'Itali l'annunzio
Esso, con altri dall'eroe redenti,
Portar di questo fatto. Onor parea
Stringer più d'una terra alla salvezza
Del guerriero in catene: il sir francese
Non osò dubitarne; Adello stesso,
Benchè scevro d'orgoglio, aver sul grato
Animo altrui credea qualche dritto -
Tutti obbliaro il misero!
quattr'anni
Le afriche solitudini l'han visto,
Con abbietti compagni ad opre abbiette
Sotto varii tiranni i suoi sudori
Spargere oscuramente - ed eroe ancora
Esser per gl'infelici, o alleviando,
Con gravarne sè stesso, i lor dolori,
O al rassegnato suo religïoso
Senso le svigorite alme estollendo.
Chi ai Saracini il tardo
inaspettato
Prezzo portò del cavaliero? Un messo
Che dalle rocche vien d'Arnaldo. Il sire
Fedeli colleganze e alto valore
Ricondotto hanno a' suoi dominii e a tutta
La paterna sua gloria.
Adello è asceso
Sull'ospital naviglio: al marsigliese
Porto ei veleggia. Oh come dir la gioja,
La gratitudin che il bel cuore inonda?
Come i diversi palpiti, approdando?
Poi, sul corsier veloce alle castella
Del suo benefattore e d'Eloisa
Senza posa traendo?
«Ei giunge: incontro
Moveangli il sire ed Eloisa e i figli
(Figli di quell'imen; pur cari all'alma
Gentil d'Adello!) Mutui i commoventi
Detti suonano e i teneri singhiozzi
E la sincera nobil lode. Un riso
Del ciel parea per que' mortali eletti
Aver portato sulla terra il gaudio
Che dal suo trono Iddìo raggia ai beati!
Ma quel foco di vita che nel ciglio
Brillava ad Eloisa, insolito era.
Da lungo tempo in essa è illanguidito
Il fior della salute. Adel s'accorse
Ch'ella reggeasi con fatica; e intende
Che nella notte in che da Nizza a fuga
Ella errava co' figli, un dardo colse
Leggermente un di questi: ahi, velenato
Fors'era il dardo! Il bambinel da orrenda
Crescente piaga si struggea: la madre
Quella piaga lambendo al figliuol suo
Crede render la vita e, ohimè, s'illuse!
Sotterra è il pargoletto, e da quel tempo
A stento l'arte di Salerno e i voti
Appesi sugli altari e i benedetti
Maravigliosi farmachi al dolente
Sen dell'eroica madre addur novello
Sembran vigor.
Ben tosto Adel conobbe
Che sol gli affetti subitanei un breve
Ponean rossor su quelle guance. Il dolce
Soggiorno alcuni mesi ei protraèa
Appo gli ospiti amati, e con Arnaldo
Il timore alternava e la speranza
Per l'egra donna - Ahi lasso! inferocisce
Rapidamente il morbo! - Adel sul letto
Di morte la mirò. Tutta obblïava
Ei sua virtù: chiedea ragione al cielo
Dei mali onde a gran fiotti il mondo inonda
Ch'egli ha creato, e in quegli orrendi fiotti
Indistinto sobbissa e il buono e il reo.
«Oh Adel (rispose la morente -
e furo
Questi gli ultimi accenti) oh Adel, ritraggi
La insensata parola! È il duol cimento
Ove Dio prova degli umani il core.
Te a egregi fatti i lunghi sacrifici
Portaron: nè t'incresca! e parver lunghi;
Ma, come stral per l'aer, fugge quest'ombra
Ch'uom vita appella e salda cosa estima!
Nè infelice è chi muor, ma chi morendo
Guarda gli anni volati ed alcun'orma
Da lui lasciata di virtù non trova!»
Voce a Eloisa allor mancò:
sorrise,
Strinse al seno i figliuoli, all'onorato
Sposo si volse - e dir parea «Co' figli,
Adel ti raccomando» - e più non era.
Così passò la santa.
Incerte storie
Narrano d'un Adel ch'appo i Toscani,
Dopo quel tempo gli Ungari sconfisse:
Fors'era il nostro eroe; forse in più gesta
Ancor brillò la gloria sua. Ma il vate
Che del sepolcro suo cantò, non dice
Se non che vecchio Adel morì e mendico,
Perdonando agl'ingrati, e ripetendo
Que' detti d'Eloisa: «È il duol cimento
Ove Dio prova degli umani il core;
Né infelice è chi muor, ma chi morendo
Guarda gli anni volati ed alcun'orma
Da lui lasciata di virtù non trova!»
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