LE
PASSIONI.
Gustate et
videte quoniam suavis est Dominus.
(Ps. 39, 9.)
Dov'è mia gioventù? Dove i bëati
Anni d'amor, del Rodano appo
l'onde?
Dove il ritorno a' miei dolci
penati,
E mia stanza alle Insùbri aure
gioconde?
Dove in Milano i glorïosi vati
Che mi cingean dell'apollinea
fronde?
Dove mia gloria alle applaudite
scene?
E poi dove il decennio infra
catene?
Io di carcere usciva egro, e piangendo
Il mio buon Federico e gli altri
cari,
Cui dato ancor da quel recinto
orrendo
Rieder non era ai desïati lari:
Poscia esultava, Italia
rivedendo,
Ed alfin temperando i giorni
amari
Fra gli amplessi de' mei sacri
canuti,
Per me sì lungamente in duol
vissuti.
E omai da un lustro tutto ciò trascorse!
E nuovi plausi a me la patria
diede,
E di nuovi Aristarchi ira mi
morse,
E di nuovi propizi ebbe la fede,
E nuova infanzia a me d'intorno
sorse,
E di morte vid'io novelle prede,
E «Vana cosa è questo mondo!»
esclamo,
E separarmen voglio - ed ancor
l'amo!
L'amo perch'alme vi trovai fraterne,
Che all'alma mia s'avvinser
dolcemente,
E diviser mie gioie, e
nell'alterne
Pene collacrimàr sinceramente:
E v'ha tali amistà che fièno
eterne,
Benchè tessute in questa ombra
fuggente,
Benchè tessute ov'ogni nobil core
S'apre appena a virtù, lampeggia
e muore.
Degg'io, poss'io da tutte cose amate
Divellere una volta il mio
pensiero?
Io, le cui sorti furono esaltate
Da tanto lutto e tanto gaudio
vero!
Io, le cui rimembranze innamorate
Han su mia fantasia cotanto
impero!
Io, cui balzar fa sin talora il
petto
Vista di leve, inanimato oggetto!
Reduce a lidi miei, dopo che giacqui
Sepolto vivo per sì cupe notti,
Agli affetti più teneri
compiacqui
Che la sventura non avea
interrotti;
Nè agli estinti carissimi pur
tacqui
Culto di preci e di sospir
dirotti;
Indi a rivisitar presi le antiche
Pagine ch'ebbi a dolce veglia
amiche.
E sovente su libri polverosi
La man vo riponendo tremebonda,
Ed apro, e parmi a' giorni
studïosi
Tornar di giovinezza, e il pianto
gronda!
E trovo i segni che ne' libri io
posi,
Ove con mente mi fermai profonda,
Ove ad alti pensier d'amato
autore
Commento fei di verità o
d'errore.
Pur con sensi diversi or vi rimiro;
O libri tanto amati a' dì
primieri:
Vate son io, ma spento è in me il
desiro
Di prostrarmi idolatra anzi agli
Omeri.
Se volgendo lor carte ancor
sospiro,
Magia non è de' grandi lor pensieri:
Più d'un libro m'è caro, e pure
in esso
Di rado cerco lui; cerco me
stesso.
E non sol me vi cerco: alla memoria
Del me passato aggiugnesi
indivisa
Di palpiti d'amor söave istoria,
Quando un'egregia m'infiammava in
guisa,
Ch'io per lei sola ambìa pietate
e gloria,
Ch'io sempre in lei tenea l'anima
fisa,
Che d'un sorriso suo per farmi
degno,
Sempre agognava ingentilir lo
ingegno!
E se pio talor fui, pregio egli è stato
Di quella generosa animatrice:
Era ad essa straniero il
forsennato
Foco d'amor che mi rendea
infelice;
Ma compatìa mie pene, ed elevato
Volea il mio spirto, e lo volea
felice,
Ed allòr che più insano io le
parea,
S'affannava, e garrivami, e
piangea.
Quella donna, onde il bel, nobile viso
Polvere è da molt'anni, e l'alma
in Dio,
Non disamai, benchè da lei
diviso,
E onorerolla tutto il viver mio:
Ma nuovi poscia affetti han me
conquiso,
E quel primiero ardor
s'intiepidìo:
Quel ch'era in me un incendio, è
una favilla
Che come lampa ad un sepolcro
brilla.
Senza obblïar la già cotanto amata,
Altra ammirai ch'or dispartita è
anch'essa;
E in me virtù credendo io
sublimata
Per averla a sì bello angiol
commessa,
L'anima mia da orgoglio
inebbrïata
Vana si fea di lungo ben
promessa:
Giorni d'alto dolor mi mosser
guerra,
E a lei pur venni tolto, ed è
sotterra!
Sete d'amor, sete di studi, e sete
D'innalzar sopra il volgo il nome
mio,
Gran tempo mi rapìan sonno e
quiete,
Nè scerno se ammendato oggi son
io:
Tu che del cor le latebre secrete
Solo ravvisi e mondar puoi, gran
Dio,
Pietà di me che tanto sempre
amai,
E sino a te l'amor non sollevai!
Tante cose sfumarono al mio sguardo,
E tutto giorno sfumar altre io
miro!
Valga d'esperïenza il raggio
tardo,
In che sforzatamente oggi
m'aggiro,
Ad oprar alfin sì che più
gagliardo
A tua bellezza s'erga il mio
desiro,
E nulla tanto da' mortali io
brami,
Quanto ch'ognun tuoi pregi scorga
ed ami!
La legge tua non è d'irto rigore,
Sol le idolatre passïoni abborri:
Lunge che a te dispaccia amante
cuore,
Ad un cuor fatto gel più non accorri.
Tu vuoi che a' miei fratelli io
con ardore
Così soccorra, come a me
soccorri:
Tu vuoi che in forte guisa il
bello io senta,
Tu vuoi che al giusto il plauso
mio consenta.
Tu doni a' figli tuoi mente e parola,
Non perchè il dono tuo venga
sepolto;
Tu non imprechi investigante
scuola
Su non vietato ver fra l'ombre
avvolto:
In odio a te l'indagin empia è
sola
Che contra il cenno tuo l'ardire
ha volto:
Tu gl'ignari del mal chiami
felici,
Ma il veggente non reo pur
benedici.
Tu che sei tutto amor, la sacra stampa
Della natura tua nell'uomo
imprimi:
Gagliardo sprone e inestinguibil
lampa
Tu sei di tutti aneliti sublimi.
Tu godi quindi se il mio spirto
avvampa
Per que' tuoi fidi che in virtù
son primi:
Tu godi se fra lor taluni eleggo,
E nel lor santo oprar meglio ti
veggo.
A me tu dato hai queste fiamme ardenti,
Con cui desìo de' petti amici il
bene,
E con cui studïando i tuoi
portenti
Traggo esultanza, e di capirti ho
spene:
Così caldo sentir più non diventi
Esca giammai di vanità terrene:
Mie passïoni in guisa tal
governa,
Che lode sièno a tua saggezza
eterna.
Sempre le temo, e sempre sento ancora
Che in amar altre cose io troppo
m'amo:
Cieca errò mia bollente alma
sinora,
E presa fu di sua superbia
all'amo.
Distruggi il suo sentire, o lei
migliora;
O vil torpore, od
amor santo io bramo;
Ah no, non vil torpor, dammi amor
santo,
Tu che le tue fatture ami
cotanto!
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