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Silvio Pellico
Poesie scelte

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  • POESIE LIRICHE.
    • LE PASSIONI.   Gustate et videte quoniam suavis est Dominus. (Ps. 39, 9.)
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LE PASSIONI.

 

Gustate et videte quoniam suavis est Dominus.

(Ps. 39, 9.)

 

 

Dov'è mia gioventù? Dove i bëati

Anni d'amor, del Rodano appo l'onde?

Dove il ritorno a' miei dolci penati,

E mia stanza alle Insùbri aure gioconde?

Dove in Milano i glorïosi vati

Che mi cingean dell'apollinea fronde?

Dove mia gloria alle applaudite scene?

E poi dove il decennio infra catene?

 

Io di carcere usciva egro, e piangendo

Il mio buon Federico e gli altri cari,

Cui dato ancor da quel recinto orrendo

Rieder non era ai desïati lari:

Poscia esultava, Italia rivedendo,

Ed alfin temperando i giorni amari

Fra gli amplessi de' mei sacri canuti,

Per me sì lungamente in duol vissuti.

 

E omai da un lustro tutto ciò trascorse!

E nuovi plausi a me la patria diede,

E di nuovi Aristarchi ira mi morse,

E di nuovi propizi ebbe la fede,

E nuova infanzia a me d'intorno sorse,

E di morte vid'io novelle prede,

E «Vana cosa è questo mondoesclamo,

E separarmen voglio - ed ancor l'amo!

 

L'amo perch'alme vi trovai fraterne,

Che all'alma mia s'avvinser dolcemente,

E diviser mie gioie, e nell'alterne

Pene collacrimàr sinceramente:

E v'ha tali amistà che fièno eterne,

Benchè tessute in questa ombra fuggente,

Benchè tessute ov'ogni nobil core

S'apre appena a virtù, lampeggia e muore.

 

Degg'io, poss'io da tutte cose amate

Divellere una volta il mio pensiero?

Io, le cui sorti furono esaltate

Da tanto lutto e tanto gaudio vero!

Io, le cui rimembranze innamorate

Han su mia fantasia cotanto impero!

Io, cui balzar fa sin talora il petto

Vista di leve, inanimato oggetto!

 

Reduce a lidi miei, dopo che giacqui

Sepolto vivo per sì cupe notti,

Agli affetti più teneri compiacqui

Che la sventura non avea interrotti;

agli estinti carissimi pur tacqui

Culto di preci e di sospir dirotti;

Indi a rivisitar presi le antiche

Pagine ch'ebbi a dolce veglia amiche.

 

E sovente su libri polverosi

La man vo riponendo tremebonda,

Ed apro, e parmi a' giorni studïosi

Tornar di giovinezza, e il pianto gronda!

E trovo i segni che ne' libri io posi,

Ove con mente mi fermai profonda,

Ove ad alti pensier d'amato autore

Commento fei di verità o d'errore.

 

Pur con sensi diversi or vi rimiro;

O libri tanto amati a' primieri:

Vate son io, ma spento è in me il desiro

Di prostrarmi idolatra anzi agli Omeri.

Se volgendo lor carte ancor sospiro,

Magia non è de' grandi lor pensieri:

Più d'un libro m'è caro, e pure in esso

Di rado cerco lui; cerco me stesso.

 

E non sol me vi cerco: alla memoria

Del me passato aggiugnesi indivisa

Di palpiti d'amor söave istoria,

Quando un'egregia m'infiammava in guisa,

Ch'io per lei sola ambìa pietate e gloria,

Ch'io sempre in lei tenea l'anima fisa,

Che d'un sorriso suo per farmi degno,

Sempre agognava ingentilir lo ingegno!

 

E se pio talor fui, pregio egli è stato

Di quella generosa animatrice:

Era ad essa straniero il forsennato

Foco d'amor che mi rendea infelice;

Ma compatìa mie pene, ed elevato

Volea il mio spirto, e lo volea felice,

Ed allòr che più insano io le parea,

S'affannava, e garrivami, e piangea.

 

Quella donna, onde il bel, nobile viso

Polvere è da molt'anni, e l'alma in Dio,

Non disamai, benchè da lei diviso,

E onorerolla tutto il viver mio:

Ma nuovi poscia affetti han me conquiso,

E quel primiero ardor s'intiepidìo:

Quel ch'era in me un incendio, è una favilla

Che come lampa ad un sepolcro brilla.

 

Senza obblïar la già cotanto amata,

Altra ammirai ch'or dispartita è anch'essa;

E in me virtù credendo io sublimata

Per averla a sì bello angiol commessa,

L'anima mia da orgoglio inebbrïata

Vana si fea di lungo ben promessa:

Giorni d'alto dolor mi mosser guerra,

E a lei pur venni tolto, ed è sotterra!

 

Sete d'amor, sete di studi, e sete

D'innalzar sopra il volgo il nome mio,

Gran tempo mi rapìan sonno e quiete,

scerno se ammendato oggi son io:

Tu che del cor le latebre secrete

Solo ravvisi e mondar puoi, gran Dio,

Pietà di me che tanto sempre amai,

E sino a te l'amor non sollevai!

 

Tante cose sfumarono al mio sguardo,

E tutto giorno sfumar altre io miro!

Valga d'esperïenza il raggio tardo,

In che sforzatamente oggi m'aggiro,

Ad oprar alfin sì che più gagliardo

A tua bellezza s'erga il mio desiro,

E nulla tanto da' mortali io brami,

Quanto ch'ognun tuoi pregi scorga ed ami!

 

La legge tua non è d'irto rigore,

Sol le idolatre passïoni abborri:

Lunge che a te dispaccia amante cuore,

Ad un cuor fatto gel più non accorri.

Tu vuoi che a' miei fratelli io con ardore

Così soccorra, come a me soccorri:

Tu vuoi che in forte guisa il bello io senta,

Tu vuoi che al giusto il plauso mio consenta.

 

Tu doni a' figli tuoi mente e parola,

Non perchè il dono tuo venga sepolto;

Tu non imprechi investigante scuola

Su non vietato ver fra l'ombre avvolto:

In odio a te l'indagin empia è sola

Che contra il cenno tuo l'ardire ha volto:

Tu gl'ignari del mal chiami felici,

Ma il veggente non reo pur benedici.

 

Tu che sei tutto amor, la sacra stampa

Della natura tua nell'uomo imprimi:

Gagliardo sprone e inestinguibil lampa

Tu sei di tutti aneliti sublimi.

Tu godi quindi se il mio spirto avvampa

Per que' tuoi fidi che in virtù son primi:

Tu godi se fra lor taluni eleggo,

E nel lor santo oprar meglio ti veggo.

 

A me tu dato hai queste fiamme ardenti,

Con cui desìo de' petti amici il bene,

E con cui studïando i tuoi portenti

Traggo esultanza, e di capirti ho spene:

Così caldo sentir più non diventi

Esca giammai di vanità terrene:

Mie passïoni in guisa tal governa,

Che lode sièno a tua saggezza eterna.

 

Sempre le temo, e sempre sento ancora

Che in amar altre cose io troppo m'amo:

Cieca errò mia bollente alma sinora,

E presa fu di sua superbia all'amo.

Distruggi il suo sentire, o lei migliora;

O vil torpore, od amor santo io bramo;

Ah no, non vil torpor, dammi amor santo,

Tu che le tue fatture ami cotanto!

 

 

 




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