SALUZZO.
Et sit splendor Domini Dei
nostri super nos.
(Ps. 89, 17.)
Oh di Saluzzo antiche, amate mura!
Oh città, dove a riso apersi io
prima
Il coro e a lutto e a speme ed a
paura!
Oh dolci colli! Oh maëstosa cima
Del monte Viso, cui da lunge
ammira
La subalpina, immensa valle
opima!
Oh come nuovamente or su te gira
Lieti sguardi, Saluzzo, il ciglio
mio,
E sacri affetti l'aër tuo
m'ispira!
Nelle sembianze del terren natìo
V'è un potere indicibil che
raccende
Ogni ricordo, ogni desir più pio.
So che spiagge, quai siansi, inclite rende
Più d'un merto soave a chi vi
nacque,
E bella è patria pur fra balze
orrende;
Ma nessuna di grazia armonìa tacque,
O Saluzzo, in tue rocce e in tue
colline,
E ne' tuoi campi e in tue
purissim'acque.
Ogni spirto gentil che peregrine
A piè di queste nostre Alpi si
sente
Letizïar da fantasie divine.
Sovra il tuo Carlo, e il dotto suo parente3,
Che pii vergaron le memorie
avite,
Spanda grazia immortal
l'Onnipossente!
Dolce è saper che di non pigre vite
Progenie siamo, e qui tenzone e
regno
Fu d'alme da amor patrio
ingentilite.
Più d'un estero suol di canti degno
Porse a mie luci attonite
dolcezza,
E alti pensieri mi parlò
all'ingegno:
Ma tu mi parli al cor con tenerezza,
Qual madre che portommi in fra
sue braccia
E sul cui sen dormito ho in
fanciullezza.
Ben è ver che stampata ho breve traccia
Teco, o Saluzzo, e il dì ch'io ti
lasciai
A noi già lontanissimo
s'affaccia.
Pargoletto ancor m'era, e mi strappai
Non senza ambascia da tue dolci
sponde,
E, diviso da te, più t'apprezzai.
Perocchè più la lontananza asconde
D'amata cosa i men leggiadri
aspetti,
E più forte magìa sul bello
infonde.
Felice terra a me parea d'eletti
La terra di mio Padre, e mi parea
Altrove meno amanti essere i
petti.
E mi sovvien ch'io mai non m'assidea
Sui ginocchi paterni così pago,
Come quando tuoi vanti ei mi
dicea.
In me ingrandiasi ogni tua bella imago;
Del nome saluzzese io
insuperbiva;
Di portarlo con laude io crescea
vago.
E degl'illustri ingegni tuoi gioiva,
E numerarli mi piacea, pensando
Che in me d'onor tu non andresti
priva.
Vennemi quel pensiero accompagnando
Oltre i giorni infantili, allor
che trassi
Al di là delle care Alpi
angosciando.
Nè t'obblïai, Saluzzo, allor che i passi
All'Itale contrade io riportava,
Benchè in tue mura il capo io non
posassi.
Chè il bacio de' parenti m'aspettava
Nella città ch'è in Lombardia
regina,
E colà con anelito io volava.
E colà vissi, e colsi la divina
Fronde al suon di quel plauso
generoso,
Che premia, e inebbria, e
suscita, e strascina.
Oh Saluzzo! al mio giubilo orgoglioso
Pe' coronati miei tragici versi,
Tua memoria aggiungea gaudio
nascoso.
Oh quante volte allor che in me conversi
Fulser gli occhi indulgenti del
Lombardo,
E spirti egregi ad onorarmi
fersi,
Ridissi a me con palpito gagliardo
La saluzzese cuna, e mi ridissi
Che grata a me rivolto avresti il
guardo!
E poi che in ogni Itala riva udissi
Mentovar la mia scena innamorata,
Ed ai mesti Aristarchi io
sopravvissi,
L'aura vana, che fama era nomata,
Pareami gran tesor, ma vieppiù
bello
Perchè a te gioia ne sarìa
tornata.
Mie mille ardenti vanità un flagello
Orribile di Dio ratto deluse,
E negra carcer mi divenne
ostello.
Non più sorriso d'immortali Muse!
Non più suono di plausi! e tutte
vie
A crescente rinomo indi precluse!
Ma conforti reconditi alle mie
Tristezze pur il Ciel mescolar
volle,
E il cor balzommi a rimembranze
pie.
Del captivo l'afflitta alma s'estolle
A vita di pensier, che in qualche
guisa
Il compensa di quanto uomo gli
tolle.
E quella vita di pensier, divisa
Fra le non molte più dilette
cose,
Ora è tormento ed ora imparadisa.
Io fra tai mura tetre e dolorose
Pregava, e amava, e sentìa desto
il raggio
Del poëtar, che il cielo entro me
pose.
Miei carmi erano amor, prece e coraggio;
E fra le brame ch'esprimeano,
v'era
Ch'essi alla cuna mia fossero
omaggio.
Io alla rozza, ma buona alma straniera
Del carcerier pingea miei patrii
monti,
E allor sua faccia apparìa men
severa.
E m'esultava il sen, quando con pronti
Impeti d'amistà quel torvo
sgherro
Commosso si mostrava a' miei
racconti.
Pace allo spirto suo, che in mezzo al ferro
Umanità serbava! A lui di certo
Debbo s'io vivo, e a' lidi miei
m'atterro.
Morto o insanito io fora in quel deserto,
Se confortato non m'avesse un
core
Nato di donna, e a caritade
aperto.
Scevra quasi or mia vita è di dolore,
Ad Italia renduto e a' natii
poggi,
Ov'alte m'attendean prove
d'amore.
Benedetti color, che dolci appoggi
Mi fur nell'infortunio, e
benedetti
Color, che mia letizia addoppian
oggi!
E benedetta l'ora in che sedetti,
Saluzzo mia, di novo entro tue
sale,
E strinsi a me concittadini
petti!
Non vana mai su te protenda l'ale
Quell'Angiol, cui tuo scampo
Iddio commise,
Sì che nobil sia cosa in te il
mortale!
L'alme de' figli tuoi non sien divise
Da fraterna discordia, e mai le
pene
Dell'infelice qui non sien
derise!
Le città circondanti ergan serene
Lor pupille su te, siccome a
suora
Ch'orme incolpate a lor dinanzi
tiene.
E le lontane madri amin che nuora
Vergin ne venga di Saluzzo, e
questa
Abbia figliuola reverente ognora;
E la straniera vergin, che fu chiesta
Da garzon saluzzese, in cor
sorrida
Come a lampo di grazia manifesta!
Pera ogni spirto vil, se in te s'annida!
Vi regni indol pietosa ed
elegante,
E magnanimo ardire, e amistà fida!
Mai non cessino in te fantasìe sante,
Che in dottrina gareggino, e sien
luce
A chi del bello, a chi del vero è
amante;
E del saver tra' figli tuoi sia duce
Non maligna arroganza,
invereconda;
Ma quella fè che ad ogni bene
induce;
Quella fede che agli uomini feconda
Le mentali potenze, a lor
dicendo,
Ch'uom non solo è dappiù di belva
immonda,
Ma può farsi divin, virtù seguendo!
Ma dee farsi divino, o di viltate
L'involve eterno sentimento
orrendo!
Tai son le preci che per te innalzate
Da me son oggi, e sempre, o suol
nativo:
Breve soggiorno or fo in tue mura
amate,
Ma, dovunque io m'aggiri, appo te vivo!
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