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Silvio Pellico Poesie scelte IntraText CT - Lettura del testo |
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I.
Quando oltre l'Alpi il giovinetto Adello Dal povero movea tetto paterno, Pria di varcarle, un guardo all'orizzonte Natìo rivolse e pianse: e rammentando De' genitori la virtù e l'affetto Ripetè il pronunciato innanzi a loro Fervido giuramento. - «Ah, no, al tuo nome, Patria degli avi miei, nè al vostro, o santi Parenti alcun disdor l'opre d'Adello Non recheranno mai! Verrà in Italia Il cortese straniero, e dirà - Pace, O terra, di gentili alme nutrice! Poi la via proseguì. - Scudiero al vecchio Suo consanguineo ei già che, di possanza Ricco e di fama, appo Lïon, sui colli Della Sonna fioriti e sulla Rocca Incisa dominava. Al giovinetto Accoglienza amorevole il canuto Giorgio far si degnò. Molto gli parla De' cari genitori, e si compiace, Perocchè del garzon commossa uscìa Dal cor la voce, e gli soggiunge - «Il cielo Non prosperò del padre tuo i destini, Ma un ospite leal diegli, un amico Che a lui la destra, e a chi da lui ne venga A stender pronto è ognor.» Quell'onorata Destra baciava Adello, e umile e fida Servitù prometteva al suo signore. Degli antichi scudieri e famigliari Già l'ossequio acquistossi il verecondo Italo garzoncello: e i cavalieri Col sir congratulavansi e le dame Per l'onestà del nuovo alunno: e lieto Questi fra sè dicea: «Giungervi possa Autori de' miei dì, quanto il lontano Vostro figliuol dagli stranieri è amato!» Ma di Giorgio crescea la bionda figlia E di beltà un miracolo e d'amore E di grazia era, e di virtù, Eloisa: Ambìan la mano sua molti di Francia Illustri cavalieri, e al prode Arnaldo Il padre la destina. Era negli occhi Della fanciulla e sulle labbra un pronto Di cortesia e candor nobil sorriso, Ch'ove volgeasi consolava: e quando Ella uscia del castel, gl'infimi servi E il passeggiar mendico avidamente A mirarla si feano, e ognun tornava Più sereno al suo ufficio e a' suoi dolori. Ma quel tenue sorriso era qual pio Raggio di luna che ricrea il ramingo, Eppur misterioso un sentimento Move che non è gioja - e più soave - Della gioja fors'è, ma dolce ispira Di meditar vaghezza e di silenzio: Tal la sera in un tempio è melodia Di giocondo ma augusto organo - ascolta Delizïando l'anima pensosa. Quella tinta lievissima, quell'aura Che alla beltà del timido sembiante Beltà diresti aggiunga, e par sia nube - Non nube di dolor, ma di gentile Malinconia, e pietosa indole un cenno - Quell'è l'incanto irresistibil donde Sì affettuosi a lei volgonsi i guardi. Nel tetto suo, dalle verginee stanze Fuori di rado appar: ma dagli aerei Passi se il fievol suon per le echeggianti Sale s'annunzia - o al genitor si rechi, O a visitar famiglio infermo - e Adello Sulla sua via si trovi, oppur da lungi Trasvolar l'abbia vista, ei di sè ignaro Palpita, e quasi un angiolo trascorso Ivi fosse e beato abbia quell'aere, Ei le sale ricalca ove Eloisa Passò e santificar sentesi il core. Ai conviti paterni, infra le antiche Sue dame e il padre assisa - o accanto ad essi Passeggiando tra i fiori - o nella barca Che a' giorni estivi a tarda ora per l'onde Va qua e là gli zefiri cercando, Della donzella i saggi detti ammira Il giovine scudier: ma pochi sempre S'udian, nè quel silenzio era quel velo O infecondo o superbo; era quel velo Onde beltà pudica asconder crede I suoi tesori, e più pregiati e certi L'altrui commossa fantasia li adora. No, all'intelletto uman, o esterno mondo, Non sei bastante; esprimer tutto, indarno Agogneresti, i sensi percotendo Co' tuoi colori e suoni: egli in su porta Più grande un mondo - l'ineffabil regno Di quel principio che in noi pensa e scerne L'alta armonia delle create cose. In quel regno mental l'uomo adorando Contempla il bello, e più e più il vagheggia Qui, perchè in tutto il suo fulgor qui splende! Perciò di caste immagini è silenzio Quell'arcana vaghezza, onde men cara È talor la parola. - Oh, che mai sono Le scritte bende, onde il pennel presunse Della madre di Dio dirti l'amore? Non le ingegnose bende, il sacro volto Dica al Figliuolo «Io t'amo:» ivi un indizio L'immaginante spettatore, e tutta Troverà in sè di quell'amor la istoria. Ma quella possa, ohimè! ch'hanno le menti Di penetrarsi una nell'altra, ad onta Che di mister si cingano, scoverto A Eloisa e Adello ha la vicenda Del lor misero affetto. Ambi più volte Guardandosi arrossiro: e - inosservato - Talora Adel della fanciulla il volto Atteggiarsi a mestizia ed a profonda Estasi vide, e impallidir se udia Reduce dalla caccia il giovin prence Ch'esser le dee consorte, e più se udia Di costui rammentarsi i genitori Che dal Reno s'aspettano, e allorquando Giunti essi fien, si compieran le nozze. Nè lieto ad Eloisa è più il festivo Giorno del padre suo? l'inclito giorno Sacro al santo de' prodi, al generoso Di Cappadocia cavaliere?2 Ah! tutto L'affettuoso adopra onde il sereno Ritrovar de' passati anni, e compiuta Far l'allegrezza del buon sir. - Gioiva Questi alle danze e al canto de' vassalli, Ma più d'ogni altro è a lui grato l'omaggio Della tenera figlia e dell'amato Italo suo scudiero. Essa dell'armi Le glorie ignora, e sol del padre canta I pacifici giorni, e la clemenza Verso i nemici, e il benedir concorde De' felici suoi servi, e il dolce ospizio Che appo il suo focolar trova l'illustre Pellegrino e l'oscuro, ed il credente E l'infedel - ed ogni strofa chiude Intercalando un giubilo d'amore: «Ah sì, tal d'Eloisa è il genitore!» Ond'è che men degli altri anni gioconda Comparia la donzella, e più diletto Pur la sua voce trasfondea ne' cuori? Ah, dovunque la tua fiamma s'apprende, Ivi, o Amor, è una vita, ivi un incanto Che tutte le gentili arti sublima! Universal lode era, e d'Adello Non pur motto s'udia: ma il guardo a caso Sovra lui pon la giovin dama, e il guardo Innamorato incontra - e, oh, d'ogni lode Ben più le parve! Il mutuo turbamento Perocchè romoroso era l'applauso, Null'uom vide o capì. - Si ricompone Adel: sulla infiorata arpa coll'agili Dita preludo, e l'armonia celeste Gli versa in cor de' mali suoi l'obblio. Son guerrieri i suoi carmi. Ei di san Giorgio Dice l'eroico spirto - E della figlia Di quel re dice il pianto e le sciagure Che divorata esser dovea dal drago, Quando il cappadocèo redentor venne Della beltà e dell'innocenza. Ignuda La vergine regale al drago esposta Pinger non osa Adel: cinta d'un velo, Il sembiante ei le dona d'Eloisa, E il biondo crine ed il ceruleo sguardo E sì amabil ne trae quadro pietoso Che a tutti molce gli ascoltanti il petto. L'arrivo ei dice del campione e l'ira Contro a' codardi cavalier che il brando Non consacrano a' deboli, e a quel sesso In che onorar dobbiam Maria: e descrive La terribil battaglia; e la sconfitta Del mostro immane; e il giubbilo e il trionfo Che la turba apparecchia; e la modestia Del vincitor che involasi, e a novelle Per la terra trascorre inclite imprese. Oh, allor d'Adel, nell'inno suo di fuoco, Tutto il cavalleresco animo splende! I bei fatti lo esaltano; una viva Sete di gloria lo divora: in vago Disordin, nella mente i grandi esempi Gli si confondon del guerrier ch'è in cielo E quelli del suo sir, e a entrambi aita Chiede e virtù perchè lor orme ei prema. Quell'affanno, quel nobile desìo, Più che le lodi avutene commove Il magnanimo vecchio: «Eccoti, o figlio, L'onorato mio ferro; i dì verranno Ch'io giacerò cogli avi, e questo ferro Mieterà ancor per mano tua gli allori!» Al valente cantor doni gentili Porgean le dame, e il sir dicea: «Tu sola, Figlia, sconosci la virtù e le nieghi L'amabil guiderdone?» - Alla paterna Dolce rampogna ella sorride, e tosto, Vergognando, discignesi dal petto Candida sottil zona, e sovra l'arpa Leggiadramente del cantor la posa. Oh che son gli altri fregi? Il tempo forse Potrà la rimembranza o scancellarne O almen scemar; ma questa zona! - «Il seno D'Eloisa cingevi! e tu sentito Hai di quel seno i palpiti! e sentito Forse li hai raddoppiarsi (ahimè, pur troppo Ell'è certezza!) allor che o la mia voce Udia da lunge o i guardi miei trovava E mie pene leggeavi!» Ah, da quell'ora Cosi delira Adel! Spesso un tintinno D'arpa s'ode la notte entro il castello: Egli è il misero amante che riposo Sul letto non rinvenne, e con dimesso Suon quelle melodie va ricordando Che più son care ad Eloisa - e il bianco Lin che dal musical legno discende. Sopra il volto li ondeggia e sopra il core, E reverenti baci egli v'imprime, E gli parla e il ribacia, e talor forse D'una lagrima il bagna. Il destin move Un dì la giovin dama a errar solinga Tra le rose dell'orto, ed ivi il caro De' suoi pensier segreti idolo incontra. Ambi treman, ritrarsi ambi vorriano: Ma, perch'egli era mesto, una soave Parola essa gli volse - «Adello, udiste Favellar d'uno spirto che ogni notte Già da alcun tempo bea il castel di queti Armonici sospir?» «A quello spirto, O cortese mia donna, era speranza Che i suoi sommessi asconditi sospiri Ignorati sarien: s'alcun li udiva, Uopo è ben che nemico abbiasi il sonno - E a quello spirto assai dorria se il sonno Mancasse ad altri come a lui.» Nullo era In se quel dir; d'eluderlo v'avea Pur mill'arti o troncarlo: ahimè, quell'arti Ad Eloisa non sovvengon! Pochi Confusi detti replicò, e que' detti Molta pietà spiravano. Ah, d'ossequio Sol parlò Adel, ma questa voce uscìa Sì tenera e tremante, che simile Era alla voce «amore!» Ed ei soggiunse Sì meste cose di quei dì in che privi Saranno questi fiori e quel castello Di chi li fea sinor giocondi - e, spesso Interrotto, pur dice anco di fiori A cui del sol manca la luce, e a terra Allor chinan la testa... e più non sorge! «Oh Adel, t'intesi! il tuo proposto è orrendo: Tu vagheggi la morte!» «Oh donna! Il giorno Che tanto audace io fui d'innalzar gli occhi Sovra cosa divina, era decreta La morte mia dal ciel quel giorno.» Il pianto Sgorga a forza dagli occhi d'Eloisa; Ma dignitosa ell'è tutt'ora, e gravi I modi e le parole. Un lampo d'ira Le balenò piangendo e dir parca: Così m'astringi ad avvilirmi? - Ei muto Angosciato abbassava le pupille Più che mai reverenti onde la donna, Lagrimando non vista, il duro peso Della vergogna non sentisse. E il pio Riguardo ella scerneva, e in petto quindi Pietà maggior la inteneria. - Tal'era Di que' semplici eventi la catena Che (impreveduta) avea le due inesperte Alme condotto alla fidente e vana Compassïon del vicendevol duolo. Ma oh come quelle bell'alme, incapaci Pur d'un pensier che da virtù non tragga, Accusansi ciascuna in sè medesma Del biasmevol colloquio! È questa adunque, Pensava Adel, la mercè ingrata è questa Ch'io rendo al mio signore? a lui che tanti Su me profuse beneficii e pegni D'amistà nobilissima ed esempi Alti d'onor? Così rammento i cenni De' genitori miei, la veneranda Storia de' lor martirii e come in venti Ben più gravi sciagure immolàr tutto Fuor che lor fede a' cari prenci e al dritto? In chi di giusti nacque, è onnipossente La rimembranza de' dettami austeri Nell'infanzia bevuti e il sacro accento Con che amando addolcianli e padre e madre. Disonorar con vili atti egli teme L'immacolata lor canizie, e questo Gentil timor, ne' gran cimenti - allora Che virtù langue - di virtù lien loco. «Ahi, che feci, Eloisa? Ove trascorse L'incauto labbro! Oh, un infelice obblia Che ardì il tuo sdegno provocar! L'insania Onde vittima gemo, ancor la voce Del dover mio non soffocava appieno. Che insano fui - non vil - tel dirà il pronto Mio abbandonar questo adorato albergo Onde più mai non rivederti. Un alto Delitto le contrade itale afflisse E vendetta domanda: io la grand'ombra Di Berengario a vendicar mi reco. Cadrò nel campo dell'onore: udrai Forse in breve il mio nome e dirai «Basso Fu il viver suo, ma egli moria da forte.» Ma non men che in Adel s'avviva in petto Ad Eloisa di virtù il bel raggio: E ipocrisia sdegnando e vano orgoglio, Qual sorella gli parla e con decoro Quasi di madre e di regina - eppure Sol favellar così potea un'amante. Un celeste idïoma era, onde i pochi Predestinati cuori han conoscenza Che amaron come Adello, e un'Eloisa Sulla terra trovarono, e una volta Piansero insieme, e da quel dì migliori Si sentir - benchè forse, ahi, più infelici! Ella accenna infrangibil l'imeneo Che del suo padre la saggezza ha fermo, E dice sacro quel dover che legge A entrambi lor fa il separarsi e pace Ricercar nell'assenza: e poi soggiunge Con enfasi gentil quanto l'uom possa Sublime farsi nel dolor, se invitto Ai colpi di fortuna animo opponga, E più, se nel dolore ei sempre aneli A far sì, che ad un lito (ond'esul mosse) Spesso la fama sua giunga e tai fatti Narri di lui, che ognun qui dire ambisca: Io lo vidi, io 'l conobbi, ei mi fu caro! Con più tenera voce indi Eloisa Il rampogna che morte ei nelle prime Pugne minacci d'incontrar; gl'intima Di viver - «Donna, ah da te lunge? - «Vivi Alla patria, a' parenti... ed al conforto Pur d'Eloisa!» Questo detto ha fisso Del futur campion l'alto destino!
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2 San Giorgio, principe di Cappadocia. |
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