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Silvio Pellico
Poesie scelte

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  • ADELLO   CANTICA.
    • II.
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II.

 

«Ben t'avvenga, o stranier, che non disdegni

Del proscritto la stanza! Oh, il curïoso

Mio desir non t'offenda: avresti il suolo

Di Verona toccato? o nulla almeno

Dell'infelice mia patria t'è noto?»

«Verona tua, gran Valafrido, ancora

Non visitai, ma qui di Francia io movo

Per quella volta.»

Adel così dicendo,

Una scritta porgeva: e con ossequio

(Mentre quei legge) osserva le sembianze

Dell'eroe cui per molte cicatrici

Beltà non scema: è in Valafrido un misto

Tal di guerriera cortesìa e fierezza

Che affetto ispira e in un tema e stupore.

«Che? Tu del sir di Rocca Incisa alunno,

Di lui ch'a Eligi mio chiuse le ciglia? -

E dal felice tetto del vegliardo

L'ardente febbre involati de' prodi,

Il bisogno di gloria? Oh, dritto ei parla,

Con paterna amarezza lamentando

Giorgio il tuo dipartir! Ne' generosi

V'è un impulso di Dio che li sospinge:

Uopo è onorarlo, anche se il cor ne pianga

Adel s'inteneria rammemorando

Del suo signor l'affettuoso sdegno,

Quando i suoi preghi a forza il combattuto

Congedo ottenner. Poi dalle ospitali

Accoglienze animato - «O Valafrido,

Guida mi sieno i tuoi consigli: acceso

Dall'alta istoria di tua eroica fede

Pel trucidato nostro italo Augusto,

Al sitibondo mio ferro ho la morte

Del traditor giurata.»

«O giovinetto,

il cor mi brilla udendoti. Perduta

Tutta de' giusti ancor dunque la stirpe

Non è in Italia? I giusti - oh, ma son rare

Stille che pure cadono dal cielo

In torbido ocean, che inosservate

Nelle giganti sue schiume le ingoja!

T'arrida un giorno la fortuna: or tempo

È di sostar: te perderesti indarno

E del trafitto Cesare quel sacro

Unico avanzo su cui pende il brando

Dell'assassin.»

«Ciò che a salvar la figlia

Di Berengario lungamente opravi

Noto m'è o Valafrido...»

«E non t'è noto

Che al novo italo sire Ugo negando

Chinar l'insegna mia, se dalle mani

Dell'assassin Rasperto ei non togliea

La donzella regal, meco possente

Esercito ebbi che d'onore al sacro

Nome parea tutto avvampar? L'infido

Ugo mi trae ne' lacci suoi chiedendo

A me di pace il parlamento: i dritti

Son vïolati delle genti: in ferri

Tratto mi veggio. Ov'eran le promesse

Dell'esercito mio? dove la sete

Di giustizia e vendetta? Oh vitupero!

I creduti leoni eran conigli

Che un fischio sperde. Alla prigion m'involo,

A mie castella mi ricovro, ai servi

Do franchigia e virtù: la fede e il grato

Animo in prodi trasmutò gli abbietti:

Pugnar, morirò al fianco mio. Ma invano

Sperai che gara in petti altri e gentile

Pudor si ridestasse. Il soverchiante

Numero mi sconfigge: Ugo e Rasperto

Al suoi adeguan le mie rocche,e a stento -

Ramingo, insidiato, egro - l'afflitta

Testa posar m'è in questi monti dato.»

«Signor, tu il sai,soccombe il retto,e vana

Però non è la sua caduta: è crollo

Che desta le sopite alme e del retto

A compir le sublimi opre le incalza.»

«Adel, m'ascolta: speme una accarezzo,

Sol una.»

«Qual?»

«La grande alma d'Ottone.

Io in Lamagna trarrò, moverò l'ira

Del generoso: il vindice d'Italia

E del tradito imperador fia Ottone.»

Al quarto dì si separar gli eroi:

Valafrido oltre l'Alpi, e Adello mosse

Alla città infelice ove vassallo

Del re malvagio domina nel sangue

Il feroce Rasperto. Avea costui

Folto stuol di satelliti, raccolti

Tutti d'infra le truci orde venute

Di stranie terre alla rapina. - Adello,

Onde vie meglio ascondere che in petto

Lombarde cure ci prema, avventuriere

Nalio di Francia fingesi, cui sorte,

O errori giovanili, o irrequïeta

Brama d'eventi fuor di patria spinse.

Tacitamente a lungo ogni suo passo

Esplorato venia. Seco si stringe

Un burgundo guerrier: cieca fidanza

Mostragli Adel, sognati casi narra,

Forte invaghito del mestier dell'armi

Dicesi,e a poco a poco ode gli offerti

Patti, e ingaggiarsi appo Rasperto assente.

L'avvenenza d'Adel, la signorile

Sua destrezza nell'armi attirò in breve

Del tiranno gli sguardi, e di sua corte

Agli ufficii l'assunse.

Adel fremea

Nell'incurvar l'altera alma alle bieche

Non imparate ancor del debole arti:

Ma incurvarla era forza, o prorompendo

Mal augurata far l'impresa. È lieve,

Di Berengario sulla tomba il mostro

Strascinar per le chiome e trucidarlo;

Ma di Rasperto riman poscia il crudo

Nipote Euger, che in sua balia rinchiusa

Tien nella torre Sigismonda e il sangue

Versar della infelice orfana puote.

Pria che vendetta dell'estinto or vuolsi

Dell'oppressa innocenza oprar lo scampo.

Cauto osservar gli spiriti, una tela,

Se arride il tempo, ir preparando, e il cenno

Di Valafrido attendere - tal era

Lo spettante ad Adello inteso incarco.

Ma più lune trascorsero, e l'eroe

Di Lamagna non torna, e orrende nozze

(Onde gli ambiziosi emuli tronche

Sien le speranze) intimansi alla figlia

Di Berengario coll'infame Eugero.

Repente sulle piazze alla sommossa

Chiamar la turba? Ed a qual pro? Non altri

Tentaron questa via? Tosto immolati.

Dalla viltà del volgo, - od a ritrarsi

Costretti si vedeano, onde il tiranno

Non estinguesse del lor re la figlia.

Dar l'assalto alla torre? e con quai brandi?

Ah, in molti petti è l'ira, il desio in tutti

Della vendetta, la virtù - in nessuno!

O almeno Adel non la scoverse. - Un fido

Servo, che collattaneo era del vecchio

Padre d'Adello, e indivisibil sempre,

Fin dal natal del giovin sir gli stette,

De' suoi segreti è il sol custode: oh, gli anni

La destra aggravan d'Almadeo; compagno

Fora mal certo nel ferir!

«Buon padre,

Urge il tempo, ho deciso: ad ogni rischio

Sol rimango io, ma Sigismonda è salva.»

«Che dici o mio signor?»

«Sotto l'ammanto

D'altra grave cagion, rapido cocchio

E destrieri apparecchiansi: al tramonto

Portator de' messaggi io di Rasperlo

Al re m'invio - ciò crederassi - il cocchio

Tu guiderai; più prezïoso un pegno

In mio loco ivi fia. Non della corte

D'Ugo il cammin,ma di Vinegia prendi:

Sino al mar non ristarti: un agil legno

Senza indugio v'accolga, ed al suo illustre

Proscritto zio la vergine conduci.»

«Deh, l'arcano mi spiega!

«Odi: tu sai

Che alla prigion della regal donzella,

Fuorch'a entrambi i tiranni e alle lor guardie,

Ad uom recarsi non è dato. Appena

Due antiche ancelle - e l'una a Sigismonda

Nutrice fu - ponno ogni dì all'afflitta

Di compianto e amistà porger ristoro.

Ad esse favellai. Della nutrice

Le spoglie io vesto, all'altra m'accompagno,

In carcer resto, e assuntesi le spoglie

Della nutrice, Sigismonda fugge.

Ir non può in fallo il colpo: occhio severo

Su queste donne non s'estende. Inferma

Da lungo è quella onde la voce io tolgo:

Muta sol ivi penetrar, ravvolta

In ampio velo: al scender della torre

Al lor umile tetto uom non le segue.

Buje or sono le notti: al destro lato

Del vicin tempio le fuggiasche trovi.

Salgano il carro immantinente: sferza

Senza posa i cavalli.»

«O signor mio,

Che fai? tua vita perdi: a' genitori

Pensa.»

«Agli esempii lor penso: la vita

Posposer sempre al maggior ben - l'onore!»

«Del tinto personaggio a me la cura

Dona, all'illustre zio tu stesso adduci

La salvata donzella.»

«Oh, ben da tanto

M'estimo io sì! nè a tue virtù, la gloria

Di morir per sì giusto atto, minore

Certo sarìa! Ma di soverchia mole

È, Almadeo, tua presenza: in guisa niuna

Dal travestir s'illuderian gli sgherri:

Me affida inoltre il valor mio: l'acciaro

Del padre d'Eloisa io sotto ai lini

Donneschi porto, e allor che s'avvedranno

(Dopo molte ore, deh, ciò sia!) le guardie

Dell'inganno sofferto, io d'atterrarle

E scampar non dispero; e piena l'opra

Forse eseguir che il morto re domanda.»

Resistenza e preghiere e ammonimenti

Ripetè invan l'antico. - I fatti egregi

Pensa anche il vil talvolta: il sol gagliardo

Li pensa e compie - e tra il pensiero e il fatto

È una ferrea catena, e niuna scossa

Quella catena fa ondeggiar.

Le donne

Alla torre presentansi. Il guardiano -

«Dio ti ridoni la salute o inferma!»

E la sana risponde: «Oggi l'affanno

Più dell'usato la meschina opprime,

Nè a veglia quindi appo la dama a lungo

Starci forse potremo.» E ciò dicendo,

Al saluto venal porgea cortese

Qualche mercede.

Inesplorate i neri

Avvolgimenti della torre ascendono,

E lor la trista cella si disserra

Di Sigismonda; indi il guardian sen parte.

Tutto in breve ode la fanciulla. Invasa

Da sorpresa e rossor, confusi, incerti

Detti favella. Il giovin cavaliero

E la vecchia fedel con premurose

Istanze le fan forza. Ah, d'involarsi

Dall'infame imeneo trattasi, i dubbi

Stolti, funesta ogni esitanza fora!

Della nutrice a Sigismonda i veli

S'appongono. - L'inferma appo la dama

Lunga dimora far non può: al suo letto

Già si ritira. In fondo era alla cella

Adel quando il guardian chiuse, e le donne

Fuor della torre addusse; ed osservato

Perciò non venne.

Poich'è sol, del manto

Che il cingea si discioglie, e il suo guerriero

Aspetto ripigliando, avido tende

E inquïeto l'orecchio. Ei di sventura

Trema - non già per sè: sull'elsa ha il pugno:

I perigli ricorda in cui quel brando

Conquistò a Giorgio la vittoria: stretta

Si tien sul cor la zona d'Eloisa -

E sovrumana forza alla sua destra

Tal s'infonde, che intrepido i suoi giorni

Venderia e cari a folta schiera innanzi,

Ma alla fuggiasca pensa e per lei trema.

«Che direbbero Italia e Valafrido,

E i miei parenti e un dì Eloisa, ov'io

Con improvvida audacia a morte spinta

Avessi Sigismonda? Eppur la scelta

Di più partiti io non avea, e il peggiore

Era l'indugio. Strepito non odo:

Oh cielo, arriso avresti? Ale ai corsieri

Presta, lor tracce agli inseguenti ascondi!

Propizii sovra il mar spira i tuoi venti!

In porto adduci l'innocente afflitta,

E ch'io pera, se il vuoi, ma inglorioso

Non sia il mio fato!»

Secoli son l'ore,

Ma pur segue una l'altra, ed ogni istante

Reca in Adel nova speranza e gioja.

Verso il mattin - prostratto era ei davanti

A un crocefisso, e per la patria orava,

E per tutti i mortali, e più pei cuori

Che sono al suo più strettamente avvinti -

Quando un suono di passi e di parole

Pei rimbombanti angusti anditi giunge

Al prigioniero. Stridono le chiavi

E gli orrendi cancelli. In piedi ei balza:

Ascolta - e i ghigni scellerati scerne

Dell'impudente Euger. Venìa il malvagio

Ad annunciar, che irrevocabil cenno

Dell'empio sir, ferme ha in quel dì le nozze.

Ma la porta dischiudesi - oh sorpresa

Spaventevole al reo, d'imbelle donna

In loco all'affacciarglisi improvviso

Incalzante guerrier! Pongon la mano

Alle spade i satelliti e il lor duce,

Urla mettono orrende, orrendi colpi

Metton, ma invan: già steso è al suolo Eugero,

Già spiccia il sangue da più petti: in cerca

D'aita e in fuga altri si volge: umana

Opra questa non credon, ma prodigio

Invincibil del cielo. Adel si slancia

Con volo irrefrenabile atterrando

Tutti gl'inciampi, e della torre è uscito.

Al popol corre, con possente voce

Incita a compier l'alta impresa: ei narra

Dell'involata all'esecrande nozze

Figlia di Berengario.

«Avventuriero,

Qual credeste, io non son, d'estrania terra!

De' Saluzzesi monti, italo io sono,

Figlio del sire Adel, che antico servo

Fu dell'ucciso imperador! Vendetta

L'adirata onoranda ombra a me chiese,

A voi tutti la chiede. Oggi la taccia

Si lavi che (già omai volge il terz'anno)

Vi disonora e dican la fraterne

Ed emule città - Giacea nel fango

Per rio destin, non per viltà, Verona

Il suo apparir maraviglioso, i caldi

Accenti del guerrier, la reverenza

E la pietà che spiran le ferite

Onde il volto gronda - e par ch'ei solo

Conscio non siane - un inatteso effetto

Producon nella turba. Al denso stuolo

Delle feroci mercenarie lance,

Che con Rasperto irrompono, non cede

Come altre volte il volgo: aspra battaglia

Le vie e le piazze insanguina: le opposte

Ire in eroi trasmuta anco i più vili.

Adel s'azzuffa col tiranno. Ivi era,

Ivi a mirarsi spaventevol cosa

Il furor de' gagliardi, il mortal odio,

E di disperazion l'ultima prova!

Lunga è la lotta, dubbia è la vittoria:

Si soffermano il popolo e i guerrieri,

E alterno è il plauso ed il terror. Ma alfine

Precipita il tiranno: a quella vista

Sgomentati si sperdono gli sgherri:

Grida di gioja il popolo manda - e Adello

Trionfator, ma semivivo, cade

De' suoi compagni d'arme infra le braccia.

Dio quella vita ad altre angosce ed altre

Glorie serbava: ma all'esauste vene

Del campion di Verona a grave stento

Riedè salute.

Un dì, al suo letto ei vede

Inoltrarsi due duci. Uno ei ravvisa:

È Valafrido. Di Lamagna i prenci

Questi trovato avea sì nelle interne

Discordie avvolti, che niun d'essi cura

Prender potea dell'itale fortune.

Oh come Valafrido i dolci amplessi

Rende al ferito eroe! come gentile

Dal labbro suo suona la lode al forte

Fatto d'Adel! Nè men commosso e onesto

Favellando applaudìa l'altro guerriero.

Il magnanimo zio di Sigismonda

Quegli è che ad onorar venne l'ignoto

Della nipote redentor: - Più giorni

Con delicata indagine il vegliardo

Spiò se in cor d'Adel fiamma d'amore,

Eccitatrice d'alte gesta, ardesse

Per l'augusta donzella, e dagli accorti

E amici detti un raggio tralucea,

Qual di desio che Adello osi a tai nozze

Elevar sue speranze.

Il perspicace

Garzon di quel linguaggio i sensi intende:

Ma cortesìa vuol che li ignori, e aperto

Scansi rifiuto. Quindi uopo tingendo

D'amichevol conforto e di fidanza

A sollevar del mesto animo il pondo,

Con fil e candor narra al buon vecchio

L'umile istoria de' suoi giovani anni,

E il foco inestinguibile che inceso

Le virtù d'Eloisa e la bellezza

Han nel suo petto, e tutto dice - tranne

Che riamato ei sia. - Ben gli era nota

La sfolgorante venustà e la dolce

Alma di Sigismonda, e come i prenci

Si contendan sua destra e quella destra

Porti forse venture alte di regno;

Ma più che ogni tesoro e più che i troni

È a lui la sua Eloisa - oh doloroso

Sovvenir d'un bel sogno! inutil culto!

Inutil no, giacchè sublima il core!

 

 




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