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Silvio Pellico Poesie scelte IntraText CT - Lettura del testo |
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I.
Piangi, o la più gentil fra le convalli Dello spumante Pellice, ove un giorno Alle sale d'Aroldo i Saluzzesi Cavalieri affluìano ad alte feste. Più non vedrai delle sue torri a sera Uscir giulivo il cieco vecchio Aroldo, Caramente appoggiando un braccio e l'altro Sovra Ioffrido e Clara, ed il canuto Ciglio volgendo con amor, ma indarno, Ai dolci rai del tramontante sole. Que' figli suoi nascean gemelli, e santa Tenerezza li univa. Or sola e mesta Clara accompagna il cieco padre a sera Fuor della torre, perocchè il gagliardo Fratel devote ha l'armi alla difesa Del pio Tommaso suo ramingo prence Contro i nemici della patria terra. Rosseggiava bellissimo un tramonto Sulle nevi lontane, e stupefatto Pareva il sol che dal romito albergo A salutarlo non venisse il vecchio. Ahimè, quell'era di sventura un novo Spaventevole dì! Schiudesi alfine La porta del castello, e con veloci Passi agitatamente escono Aroldo, Clara e più servi; nè il canuto ciglio Ai soavi del sole ultimi rai Volger si cura. Che avvenia? - Dal campo Infausto messo è giunto. Il pro' Ioffrido Contro l'usurpator del saluzzese Seggio osando tropp'oltre avventurarsi Nel calor della pugna, il circondaro L'empie straniere spade, e prigion cadde. Speme di riscattar sì cara vita Nutre il barone antico; e vuole ei stesso Trar supplichevol senza indugio al truce Fortunato invasor, che se talora Immolar gode i miseri captivi, Talor si placa a ricca d'oro offerta, Molto dovendo da sua iniqua sede Oro il tiranno effonder sulle bande Dell'alleato provenzal monarca. Giunto al margin vicino ove al tragitto Nel rigonfiato Pellice è apprestata La navicella, Aroldo porge il bacio Del congedo alla figlia. Allora al collo Gli s'avvinghia la pia. - Sola a mie stanze Non riederò, buon genitor; pupilla Esser della tua fronte a chi s'aspetta Se non a me? Forse pietà maggiore Assalirà dello sdegnato sire Il cor, s'umano ha cor, prona a' suoi piedi La veneranda tua canizie e gli anni Giovenili di vergine scorgendo, Che colla vita del fratel la vita Chiede del padre. Vuole opporsi Aroldo, Ma mentre in barca ei scende, ella d'un balzo Già vel precede, e al consentir paterno Fa cogli amplessi vïolenza, e l'onde Perigliose attraversano. Ma ov'era L'Angiol del vecchio afflitto e l'Angiol tuo, Generosa innocente? A voi non velo Fecer colle tutrici ale a celarvi Alla vista de' prossimi ladroni Che irrompono co' brandi alla rapina. Voler divino ai nembi di sfortuna Lascia possanza sovra i giusti un tempo; Ma breve è il tempo sotto il sole, e arcana Nei patimenti una virtù Dio pose Ch'anco i giusti migliora e a sè li innalza. Sbandato di predoni era un drappello, Che della guerra col favor raccolto S'era d'Itale spiagge e di straniere A rubamenti ed omicidii, altero Linguaggio alzando di zelanti eroi, Campioni della patria e di Manfredo. S'azzuffan del baron coi fidi servi, E nell'orrenda mischia ad uno ad uno Dal soverchiante numero feriti Vengon que' servi, e de' vincenti in mano Son le ricchezze che a comprar la vita Destinava del figlio il cieco sire. Intero un dì per boschi e per dirupi Ei trascinato colla figlia venne, Ma il manto della notte ai duo infelici Prestò propizie tenebre, e dal mezzo Del brïaco drappel de' masnadieri Quetamente si trassero alla valle. Come lontani fur dall'empia frotta, E ardiron favellare, il cieco strinse La figlia al seno, e grazie alte le rese D'averlo addotto a salvamento, e lei Per l'accorto suo senno e per la dolce Filial carità ribenedisse. - Or dove, o padre, senza aïta alcuna Ci avvïeremo? - O Clara mia, remoti Siam dal nostro castello, e a ritornarvi Il tempo mancheria; son prezïosi Tutti gl'istanti; acceleriamo il passo Verso il campo nemico, appo le triste Di Saluzzo rovine. O senza doni Compariremo anzi al tremendo sire, Ma sincere promesse il piegherranno A moti di clemenza. Inoltre ho fede In mia canizie e in queste spente occhiaie E nel pianto che versano, e ben anco, Figlia, nel tuo. Pensava Aroldo ospizio Prender non lunge, ove la figlia al raggio Della luna scorgea l'amica torre D'un consanguineo sir. Ma là giugnendo, Odon che il giorno pria furibonda oste Era quivi passata e avea deserta La rocca e trucidato il castellano, E devastato a' villici i tugurii. Il negro pan de' villici dispersi Piangendo rompe colla figlia Aroldo, E beono alle lor tazze. Indi sen vanno Per tutti i casolari, invan cercando Palafreno o giumento: avean le schiere De' nemici avidissime votata In que' lochi ogni stalla. - Ahi, dilungati Vieppiù ci siam dal tetto nostro, o padre! Or dove andrem? - Pedon la via si segua Sino al mattin: buio non è, dicesti. Fa cor; preghiamo camminando, e al guardo D'altri ladron te, mia dovizia or sola, Te il ciel pietoso asconderà. Sì disse, E di padre l'affetto e di sorella Lena lor porge insino all'alba. Il campo Mostrossi allora al pauroso orecchio Della fanciulla pria che agli occhi. - O padre, Odi tu, disse, odi tu roco un suono Simile al suon della bufèra o a quello Di molte acque correnti? Il vecchio capo Ei soffermò, ed immemore un istante Delle sue angosce, alzò la barba e rise. -Oh di qual gioia quel fragor m'empiea Negli anni miei di gloria! È il campo, o figlia! Noto è ad orecchio di guerrier quel suono, Come voce di sposa al suo diletto. Un dì così fremente io il bellicoso Aere appena sentia, sovra il mio scudo Battea forte l'acciaro, e dai precordii Metteva un grido che atterrìa da lunge Del nemico le scolte. E i miei congiunti Dicean: «Voce è d'Aroldo, oggi si pugni, Chè dove è Aroldo, è la vittoria.» Or fiacca È questa voce, e più la destra, e al breve Giubilo del guerrier tosto succede In me a quel suono il trepidar del padre. Proseguiro alcun tempo, e quindi Clara, Che sino allor söavemente a' detti Del genitore avea frammisti i suoi, Incominciò a interrompersi, e risposte Dar che, non conscio l'intelletto, un moto Parean sol delle labbra. A poco spazio Vedea della distante oste per l'aure Quasi di nave altissimi duo pini Elevarsi e ondeggiar, poscia fermarsi Come al suolo confitti. E secondata Venìa quell'opra da un clamor che il primo Clamor non era, ma or fischiante or rotto Da infami ghigni o da cupo silenzio. A' sensi suoi creder dovea? Le cime Parean gravate de' duo legni, e il pondo Che le gravava non scerneasi. Udito Spesso Clara ha di barbari supplizi, Ove ad appesa vittima lo strale Drizzano i bersaglieri, ed ottïen palma. Quei che divide dalle ciglia il teschio. Di tai supplizi un questo fora? Oh dubbio Peggior di morte! E chi alla sbigottita Dice s'uno colà de' morïenti L'amato suo fratello ora non sia? Chi le dice se il passo al genitore Vietare a forza ella non debba? Ahi lassa! E se il padre trattien, non di Ioffrido, Che forse ancor sull'albero non pende, Cagionerà la morte?... Ad ogni costo Vadasi al fatal loco! Il piè, tremando In ciò pensare, affretta. In man la mano Della meschina Aroldo tien. - Di gelo, Fra sè diceva, è questa man, siccome Quella ch'io strinsi di sua madre al letto Ove s'estinse. Indi il vegliardo scuote Il capo, quasi scuotere volesse Un malaugurio, e non potea. - Di morte, Figlia, i negri m'inseguon pensamenti. Abbi pietà di mia vecchiaia, e i cari Detti mi porgi che tue labbra sciorre Uniche san, quando scorato è il padre. Nata ne' giorni di sventura, e in erma Torre cresciuta, ove sorelle e madre Vide spirar, sollecita a sinistri Presentimenti schiuder l'alma, è fatto In lei religïon. Si raccapriccia In udir che s'affaccin alla mente Del genitore e in quest'istante i negri Pensamenti di morte. A lui si volge, Apre le labbra - e i consolanti detti Ch'uniche sciorre un dì sapean, non trova: Non trova, ed ahi! la prima volta è questa Che inobbedito di suo padre è il cenno. - Più de' pensier miei tristi or malaugurio M'è il tuo silenzio, ei dice. E lo spavento In lei crescendo, e a' rai primi del sole Splender veggendo le volanti frecce, Improvviso s'arresta. - Oh genitore! Non c'inoltriam: non odi tu le strida Degli assassini? - Il figlio, il figlio mio Forse a morte strascinano: affrettiamci. - Deh, padre, ferma! a' piedi tuoi ten prego. Io stessa innanzi andronne, e se Ioffrido In vita è ancor, di novo al fianco tuo Tosto mi rendo, ma te... O ciel! raddurre Te vivo a casa allor io posso almeno! - Sciagurata, che parli? Orrende cose Forse tu vedi e a me non dici. Ovvero Fra quelle voci che il mio antico orecchio Non distinte percuotono, tu scerni Voci di morte e del fratello il nome. Che vedi tu? Che al giovenil tuo orecchio Porta il tumultüoso aere d'atroce? - Nulla, o buon padre. Ma t'arresta; pensa Che se tu, giunto appo i nemici, udissi L'orribil caso... tu m'intendi... allora Orfana forse rimarrei nel campo. - Me perder temi, e non t'avvedi, insana, Che scellerata è tua pietà? Egli muore, E tu qui mi rattieni? Il varco sgombra, Tel comando, obbedisci. All'inusata Ira paterna impaurissi Clara; S'alzò. Con passi rapidi il cammino Misura il cieco, e strascinata quasi La giovinetta il segue. Erasi spersa La turba intanto che cingea i duo pini, E presso a questi il padre e la sorella Arrivan di Ioffrido. Ella più volte Erse il ciglio tremando, e insanguinate Scorse due salme, e incontanente a terra Ritrasse il guardo. E non varrìa sovr'esse Fiso tenerlo ad indagar; chè franta Han la coppa del cranio, e dal mozzato Lor sembiante piovea cèrebro e sangue. Ma quell'orrida vista e lo spavento Forza a' ginocchi tolgonle ed al core: - Padre! dic'ella, padre!... E qui stramazza A' piè d'Aroldo. E mentre brancolando Col caro pegno tra le braccia fugge D'in mezzo della via, però che udito Brigata di cavalli ha scalpitante Di qua dal campo alla sua volta, e ignaro Ad un de' lati fermasi, ove un tronco D'albero sente; innanzi a lui lo stuolo Giunge de' cavalieri. Era Manfredo, Che di baroni provenzali cinto Per intenti di guerra iva il terreno Intorno visitando. Una fanciulla Scorge egli tramortita ed un vegliardo; E voltosi ad Aroldo, acerbamente Così gli grida: - O discortese e stolto, Perchè nel sangue d'un fellone e sotto Il patibolo tratta hai quell'afflitta, Cui toglie i sensi il raccapriccio? - Oh sire, Oh novo sire di Saluzzo! esclama L'antico cavalier, cui non intera L'aspra parola del crudel pungea, Nota è ad Aroldo ancor la voce tua: Aroldo io son dalle romite torri Che si specchian nel Pellice. E l'illustre Tuo genitor te adolescente spesso Adduceva a mie sale, e co' miei figli In un calice sol beevi a mensa. Ah per memoria del tuo estinto padre Oggi pietà di me ti prenda! Il figlio Ch'unico maschio avanza a mia vecchiaia, E cadde tuo prigion, deh non rapirmi! Io non leggeri doni a te in riscatto Dal mio castel portato avea, ma iniqui Predatori per via m'hanno assalito. Alle mie braccia il caro figlio rendi, E qual tributo m'imporrai ti solvo, Pareggiasse anco de' miei campi aviti L'intero pregio. - O sciagurato Aroldo, Di qual osi tributo or favellarmi, Se finor tutto mi negasti? È tardi. - Tardi, o sire, non è. Seguita, è vero, Fu da bollente figlio mio l'insegna De' prischi Saluzzesi e di Tommaso, E la vittoria a tua prodezza arride. Ma tu il fervido oprar del giovinetto Dona pietosamente al supplicante Suo genitor che in venti pugne il sangue Versò pel nobil padre tuo, quand'esso Con tanta gloria signorìa qui tenne. - È tardi, o vecchio, e duolmene. In te accogli Tutta la forza ond'è capace il core D'un cavalier. Sovra quel legno pende Un trafitto cui grazia altra non posso Conceder più che di ritorlo ai corvi, E consentirgli de' suoi cari il pianto. Disse, e accennando che una guardia il morto Dalla croce calasse e all'infelice Lo rimettesse, cogli sproni un tocco Dïede al cavallo e col suo stuol disparve. Clara i sensi racquista, e oh di dolore Qual novo orrendo palpito! Era dunque Il fratel suo quel miserando ucciso! Eccolo tolto dal funesto legno; Ed ella il raffigura a cicatrici Che sul petto ei portava. Oh come il vecchio E l'angosciata giovin su quel corpo S'abbandonan piangendo! Ella in lino L'infranta testa pïamente avvolge, E chiede aiuto ai vïandanti. A dolce Carità si commove una famiglia Di Saluzzesi agricoltori, e dato Viene un carro con bovi, onde al lontano Castello il morto cavalier si tragga.
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