La sottana del diavolo
Spadafora, uno
dei pochi paesi rimasti lontani da ogni rete ferroviaria, ignoto alla carta del
Touring perchè nessuna bicicletta e nessun automobile vi passa mai non
essendovi nelle sue vicinanze cosa alcuna degna di essere vista; Spadafora
infine, uno dei paesi più poveri in qualunque senso e sotto qualsiasi aspetto,
fu messo sottosopra un giorno da una straordinaria notizia ben degna di
commuovere un paese dove le donne sono in grande maggioranza. Don Assalonne
Mei, parroco, aveva ricevuto da una lontana città questa lettera inaspettata:
«Reverendo
signor Parroco,
«Una donna di
nome Ester Serpinelli, nativa di codesto paese di Spadafora ma vivente da quasi
vent'anni all'estero, venne a morte il giorno 4 del corrente mese lasciando con
suo testamento olografo, in data di un anno prima, eredi dello spoglio
personale i poveri di Spadafora e nominando esecutore testamentario il
reverendo parroco di detto paese. In seguito a che mi pregio avvertirla che
tengo a sua disposizione numero tre bauli, due valigie, una cassa di legno e
ventidue scatole di cartone contenenti il suddetto spoglio personale della
defunta Ester Serpinelli. In attesa di pregiata risposta le presento, signor
parroco, tutti i miei rispetti.
«Devotissimo
«Dott.
Gaudenzio Ripetti
«Notaio.»
- Ed ora che
cosa si fa? - aveva subito pensato don Assalonne togliendosi e rimettendosi la
papalina, come se quel modo di arieggiare il cranio lo dovesse guidare più
lucidamente attraverso il dedalo delle ventidue scatole di cartone, senza
contare il resto. La città da cui proveniva la lettera era troppo distante
perchè egli potesse pensare neanche per ischerzo di andarvi in persona a
verificare quella faccenda. Bisognava dunque scrivere e scrisse:
«Pregiatissimo
signor Notaio,
«Mi affretto
a darle ricevuta della sua stimata lettera nella quale era annunciata una
eredità di spoglio personale per i poveri della mia parrocchia. Non essendo in
grado di giudicare l'entità degli effetti lasciati dalla defunta Ester
Serpinelli (che io non conobbi perchè da quindici anni appena ho qui cura
d'anime), le sarei obbligatissimo se volesse darmi maggiori ragguagli, in
seguito ai quali e visto se mi conviene per il vantaggio de' miei poveri
accettare questo spoglio, ogni spesa dedotta, la pregherò del favore di mandare
qui ogni cosa.
«Resto
pertanto, egregio signor notaio, suo obbligatissimo
«Don
Assalonne Mei
«parroco
di Spadafora.»
Impostata
colle sue proprie mani la lettera, don Assalonne mentre rientrava in casa si fermò
sulla soglia della cucina a guardare la sua vecchia serva Agata che
spennacchiava un pollo. A un tratto le disse:
- Agata, voi
che siete di questo paese, vi ricordate di una certa Ester Serpinelli partita
vent'anni sono? Signora Ester Serpinelli?
- I
Serpinelli - rispose la donna - vossignoria lo sa al pari di me, non sono
ricchi. Giacomo il taglialegna è un Serpinelli; sono Serpinelli quelli che
fanno andare il mulino nel bosco, che non guadagnano nemmeno tanto da sfamarsi;
signore Serpinelli, che io sappia, non ve ne sono mai state.
Lì per lì don
Assalonne non chiese altro, ma la curiosità della vecchia, serva stuzzicata nel
lungo digiuno non la lasciò tranquilla. Tolta l'ultima penna al pollo, scosso
il grembiule, ripulite le mani e infilato sul braccio il secchio da attinger
acqua mosse alla fontana persuasa che vi avrebbe bene incontrato qualcuno. Non
si ingannava infatti, chè già due donne vi avevano attinto e prima di ripartire
col carico scambiavano parola con Cristoforo, il vaccaro, venuto a vedere se la
conca per le bestie era colma. A tutti costoro l'Agata domandò se avevano
conosciuto una signora Ester Serpinelli.
A farlo
apposta nessuno l'aveva conosciuta. Cristoforo il vaccaro tuttavia, cambiando
di posto alla cicca che gli gonfiava una guancia, mormorò:
- Una Ester
io conobbi, saranno vent'anni, che m'aveva stregato co' suoi occhi ladri e Dio
sa che cosa non avrei fatto per entrarle nelle grazie. Ma la briccona sul più
bello mi piantò in asso e nessuno la vide più in Spadafora.
- Allora è proprio
lei! - esclamò l'Agata.
- Si chiamava
Serpinelli?
- Può darsi.
Era sorella di quel Gianni che tiene adesso il mulino nel bosco.
- Serpinelli,
per l'appunto.
- Ma sono
tutt'altro che signori i Serpinelli.
- È vero;
tuttavia questa Ester che voi avete conosciuta può aver fatto fortuna, che so,
sposando, per esempio, un gran signore. Ora che ci penso mi pare di
ricordarmela. Non era una ragazza bianca bianca con due occhi neri neri che
sprizzavano fuoco?
- Sì, - fece
Cristoforo, - parevano due bracie. È a quelle che mi sono cotto, ma la storia è
vecchia e l'Esterina è morta certamente.
La serva del
parroco si affrettò a recare al suo padrone le poche ed incerte notizie
aggiungendo solamente di suo come fatto appurato il ricco matrimonio. L'Agata
apparteneva a quel tipo di persone che hanno raramente una idea e quando per
caso se la vedono pullulare nel deserto cervello vi si attaccano tenacemente
col vago istinto che dovrà passare del tempo prima che ne spunti un'altra.
Quest'idea poi del matrimonio di una ragazza di Spadafora con un gran signore,
onorando in certo qual modo il paese, le mandava di rimbalzo una gloriola nella
quale si ringalluzziva tutta. Se avesse avuto anche lei il coraggio di
abbandonare il paese venti o trenta o quarant'anni addietro…. e perchè no?
Il parroco ed
il notaio intanto continuarono a scambiarsi delle lettere, finchè un bel giorno
il corriere che faceva lo scarso servizio di Spadafora scaricò nel cortile
della canonica un cumulo di pacchi di tutte le dimensioni e di forme così
svariate che l'Agata, rinunciando a parlare, rimase a bocca aperta per qualche
minuto.
- Ed ora mo'
che cosa si fa?
L'esclamazione
era del parroco. L'Agata, serrata ben bene la porta affinchè nessuno venisse a
curiosare prima del tempo, prese in esame quei colli uno per uno, palpandone la
superficie, picchiando colle nocche nei fianchi, tentando coll'indice la
resistenza delle funi incrociate ed espresse finalmente la sua opinione.
- Io direi di
aprire qui, fra noi, prima di darne avviso al paese. Bisogna ben sapere di che
si tratta.
- Giusto,
giusto, - fece don Assalonne che dal momento che se li era visti dinanzi in un
mucchio così fatto guardava i bauli, le valigie e le scatole con una certa
diffidenza.
Fu ancora
l'Agata che disse: - Apriamo?
E poichè il
prete, paralizzato da una singolare timidezza al pensiero delle femminili
spoglie che stavano per uscire fuori non osava pronunciarsi, essa, ratta,
tagliò colle forbici che le pendevano dal grembiule la funicella di una scatola
rotonda che più delle altre aveva colpito la sua immaginazione e ne venne in
luce un gran cappello tutto rosso con piume di siffatta lunghezza che mai più
ella avrebbe pensato un uccello le potesse rivestire.
Dietro quel
primo cappello, araldo sfolgorante di eleganze ignote fino allora agli abitanti
di Spadafora, altri ne versarono le misteriose scatole, diversi per forma, per
colore, per audacie fantastiche ed impreviste. E come non si poteva, lasciare
tutta quella roba in mezzo al cortile, l'Agata, aiutata da don Assalonne, si pose
coscienziosamente a portare in casa ogni oggetto man mano che veniva fuori.
Si
ammucchiarono così nel modesto tinello del parroco pervaso da una luce
monastica e da un odore misto di incenso e di rinchiuso seriche gonne ricoperte
di falpalà, trine, nastri, busti di raso bianco e di raso carnicino, calze di
seta traforate, guanti, fazzoletti di trine, camicie sottili trasparenti,
fibbie, fiocchetti, cinture, mantelline, tutta una ondata di morbidezze, di
baluccichii, di profumi, di colori e di forme nuove. Certi nastri si
attorcigliavano a guisa di serpentelli vivi intorno alle dita rugose della
vecchia serva; da certe aperture di busto sembrava uscire uno scoppio di risa
provocatrici e folli; non ridevano pure frementi ad ogni scossa le trine
arricciate in fondo alle sottane, fluide tra le mani inesperte come se
volessero prendersi giuoco dei loro nuovi padroni?
Più di una
volta don Assalonne incespicò nello strascico di un abito da lui retto con
braccia maldestre; gli caddero gli occhiali in una scarpetta bianca tempestata
di lustrini e quando volle cercare più tardi il suo breviario lo trovò
prigioniero fra un mazzo di ricci biondi e una scatola di belletto.
- Santo Dio,
che cosa mi è mai capitato! - mormorò il buon prete con una inquietudine che
cresceva di minuto in minuto.
L'Agata,
infocata nei pomelli delle guance, ficcava gli occhi in mezzo a quegli
splendori non risparmiando le osservazioni.
- Domando io
se queste sono camicie! una tela di ragno è più solida; cerco inutilmente le
camicie vere, perchè già non è possibile che la defunta signora abbia indossato
questa ragnatela senza avere una vera camicia. E come poteva camminare con
queste scarpe che si piegano nelle mani a mo' di un giunco? soffiare il naso in
questi fazzoletti che non basterebbero a coprire l'ostia consacrata?
- Non
mischiate il sacro col profano, - ammonì severamente don Assalonne. - Già ci
siamo occupati anche troppo di questa roba.
Occuparsene
però dovette ancora il buon curato contro suo genio nei giorni seguenti, perchè
avendo annunciato dal pulpito che c'era una eredità da dividere tra i poveri
del paese, la sua porta fu presa d'assalto. Le donne principalmente non
chiudevano più occhio alla notte facendo calcoli sopra calcoli, pensando ognuna
di rifornirsi di abiti e di biancheria collo spoglio della defunta. I
Serpinelli, in qualità di parenti, avanzavano le maggiori pretese e quantunque
non avessero saputo più nulla della Ester fin dal giorno lontano della sua
fuga, mostravano di interessarsi con maggior diritto degli altri.
Ma siccome il
testamento parlava chiaro dei poveri di Spadafora senza precisare alcuno il
parroco non potè tener conto delle querimonie dei parenti. Poveri poi in
Spadafora lo erano, dal più al meno, tutti, eccettuato il farmacista, l'oste e
poche altre famiglie. Fu dunque un accorrere in massa di cupidigie eccitate, di
miserie speranzose, di desideri latenti sprigionatisi all'improvviso, come se
una vampata misteriosa fosse passata sul tranquillo paese di Spadafora
accendendo un focherello in ogni mente, un'ansia di gaudio in ogni cuore.
- Piano,
piano, - badava a gridare l'Agata, - non vedete che pestate coi vostri zoccoli
questo abito di velo? Giù quelle mani! Ehi! là in fondo, finitela con quel
cappello, me lo spiumate tutto. Olà! olà! Non capite che è un busto? che
bisogno c'è di fiutarlo? Lo avete forse preso per un mazzo di fiori?
La serva del
prete si sbracciava a mantenere l'ordine spesso turbato da esclamazioni di
meraviglia o da curiosità indiscrete, mentre don Assalonne andava e veniva, disorientato,
colle mosse di un pesce fuori d'acqua, malcontento di sè e degli altri,
pensando al modo di chiudere in fretta quella ridicola parentesi della sua
vita.
Intanto, allo
slancio ammirativo del primo momento, subentrava da parte di quelle povere donne
la scoraggiante constatazione che nessuna di esse avrebbe mai potuto servirsi
di quella roba. Invano le più giovani si sentivano crescere la saliva in bocca
e tremavano di commozione toccando quelle stoffe, quei nastri, quei pizzi,
quelle piume, quelle scarpette luccicanti d'oro, quelle vitine scollate che
esse non avrebbero osato mettere, oh! no, ma dinanzi alle quali il loro cuore
batteva collo stesso turbamento misto di paura e di attrazione invincibile che
le prendeva qualche volta sulle balze scoscese dei loro monti là dove
precipitava fosco d'ombre l'abisso. Invano! Di solide gonne di panno, di grossa
tela, di pesanti calzerotti esse avevano duopo e il trovarsi dinanzi tutta
quella roba magnifica ma inutile le rendeva meste.
- Cosa si fa?
Cosa si fa? - gemeva don Assalonne.
Il consiglio
lo diede la signora Radegonda, sorella del farmacista e vedova di un
veterinario col quale aveva vissuto sei mesi appena, ma che per il fatto di
essere stata maritata a un quasi dottore e di avere viaggiato (cinquanta
chilometri lontano da Spadafora), assumeva volontieri delle arie da dottoressa
e di donna pratica del mondo. Col suo naso aguzzo e la bocca tagliata in
fessura da salvadanaio non le riusciva difficile di comporsi una maschera
austera che incuteva rispetto agli ingenui spadaforesi.
Già guardando
minutamente le opime spoglie sciorinate nel tinello la signora Radegonga aveva
fatto un visaccio che così brutto ancora non lo aveva visto nessuno e tratto il
parroco in un cantuccio non s'era peritata a mormorargli nell'orecchio qualche
cosa di ben terribile perchè il buon prete andava negando colla testa: Ohibò!
Ohibò! armeggiando colle mani nell'aria a guisa di uno che sta per annegare.
- A buon
conto, - insistè la signora Radegonda, - se questa Ester Serpinelli si fosse
maritata avrebbe chiesto a lei la fede di battesimo.
- Ma io non
c'ero allora, io non so nulla, io non sospetto di nulla.
- Per qualche
cosa esistono i registri della parrocchia; li può consultare quando vuole.
- Ma non
occorre, non occorre. Ora si tratta di dividere la roba.
- Io non ne
ho bisogno, - dichiarò alteramente la signora Radegonda, - pure vorrei morire
nuda come sono nata piuttosto che mettere il mio corpo a contatto di quelle
vesti corrotte. Non capisce nulla lei? Naturale del resto poichè non ebbe….
moglie (stava per dire marito). Dia retta a me che conosco il mondo, che ho
viaggiato…. questa è roba del diavolo!
- Uh! Uh! -
fece don Assalonne.
- Un onesto
sacerdote come è lei non può permettere che le sue pecorelle si dividano il
bottino di Berlicche. Del resto che cosa ne farebbero di questi veli e di
questi rasi per andare a zappar la terra? Sa che cosa deve fare? Venda tutto.
Il denaro non conserva traccia della via per cui è venuto e i poveri di
Spadafora ne avranno almeno qualche utile.
Ragionevole
era il consiglio, e don Assalonne, che non vedeva l'ora di lavarsene le mani,
lo accolse subito. Ci fu qualche difficoltà per sapere a chi vendere una merce
così fuori dell'ordinario, ma la signora Radegonda si offerse di farne parola a
certe sue conoscenze di città e don Assalonne ordinò all'Agata di tornare a
rimettere tutto nelle rispettive scatole e bauli.
- Se ne esco
con decoro, - pensò il buon parroco, - faccio una novena a Sant'Antonio.
Chi non si
consolava invece di dover rinunciare a tanta grazia di Dio era l'Agata. Ad ogni
oggetto che rientrava nelle scatole ella vedeva sparire un raggio, un bagliore,
un ondeggiamento, e il tinello rifarsi buio e l'odore di rinchiuso risorgere
dai mobili. Si fermava a rimirare i più piccoli particolari, i bottoni di una
giacca, gli spilloni di un cappello, accarezzando ogni cosa con un rammarico
appassionato che quasi le spremeva lagrime dagli occhi. Ma il più doloroso
distacco lo provò sollevando delicatamente una sottana che, a farlo apposta, le
parve rispondesse con un sommesso frou-frou di simpatia.
Bella era la
sottana, magnifica, a larghe righe, una di amoerro rosa, l'altra di raso
celeste; e sulla riga celeste correva una ghirlandina di rose, sulla riga rosa
si avvicendavano i piccoli fiori celesti dei non-ti-scordar-di-me. Morbida la
stoffa, spumosa, pieghevole, lucente; splendido il disegno; e un sottile
profumo si svolgeva dalle pieghe più riposte dandole una singolare parvenza di
vita.
- No, no, -
gemeva l'Agata, - questa non me la lascio portar via. Non s'è mai visto una
meraviglia simile; bisogna farne un abito per la nostra Madonna.
Appena la
visione di un abito per la Madonna balenò radiosa nella mente della pia
femminuccia, che trovò subito gli argomenti per farne persuaso don Assalonne.
Anzitutto non si sarebbe mai più presentata una eguale occasione per cambiare
il meschino abituccio di cotone che era una vergogna a vedersi sul corpo
benedetto di Maria Santissima. Poi era un modo di propiziare continuamente
l'anima della defunta tenendola presente alla misericordia divina. Infine
restava visibile a tutto il paese una memoria del benefizio ricevuto e questo
era quasi un dovere.
Tanto disse e
tanto fece l'Agata, rincalzando i suoi argomenti con quelle infinite piccole
premure che ogni donna sa trovare quando vuole ottenere qualche cosa da un
uomo, che il parroco finì per accondiscendere; ed ella, felice, incominciò
nell'ombra e nel mistero la grande opera. Importava che non trapelasse nulla
prima del tempo stabilito per evitare inutili commenti nel paese, e il tempo
stabilito doveva essere la Madonna di settembre, consacrata alla festa
particolare di Spadafora.
Con aghi e
forbici, con misure e rettifili, piena di trepidanza e di audacia insieme, la
serva del parroco si improvvisò sarta del paradiso; tolto dalla statua della
Madonna l'abito vecchio, lo distese sulla meravigliosa sottana per rilevarne le
proporzioni esatte, sentendo che ella compiva allora l'azione più importante di
tutta la sua vita; e taglia e cuci e stringi e allenta, ora sembrandole di aver
toccata la perfezione, ora avvilita in presenza di improvvise difficoltà, ma
sempre sostenuta da quella specie di febbre che accompagna le grandi creazioni,
ella potè finalmente mostrare l'opera sua a don Assalonne che ne rimase abbagliato.
Effettivamente
la povera e meschina Madonna di Spadafora non sembrava più quella; cinta dalle
pieghe flessuose della magnifica stoffa, la figura di legno che una rozza mano
aveva intagliata con linee di una rigidità arcaica acquistava agli occhi dei due
ingenui ammiratori una imponenza nuova. Gli occhietti dell'Agata luccicavano di
strabocchevole letizia; quelli del parroco, più calmi, più avvezzi a
contenersi, sparivano ogni tanto sotto alle palpebre quasi volessero
raccogliere in asilo sicuro la gamma ridente dei due colori celeste e rosa così
abilmente fusi nell'avvicendamento delle righe e dei fiori.
- Bello,
bello, non c'è che dire. Brava Agata!
Questo fu il
primo trionfo; ma ben altri se n'aspettava l'Agata per il giorno della festa,
quando trecento o forse quattrocento persone sarebbero rimaste a bocca aperta
dinanzi al capolavoro. Notti insonni, veglie agitate, ansia ed impazienza
furono i naturali forieri dell'avvenimento. Contro l'abitudine, non si ammisero
alla vigilia le donne del paese per vestire la Madonna; l'Agata volle fare
tutto da sè affinchè l'effetto della improvvisata riuscisse più solenne.
E finalmente
il gran giorno venne, giustificando tutte le speranze dell'Agata che
rincantucciata presso all'altare si godeva ad una ad una le esclamazioni del
popolo accorso, intuendo nelle sue viscere di pulzella le ebbrezze di una madre
a cui lodano la bella prole.
Improvvisamente,
vera folgore a ciel sereno, la sua beatitudine fu interrotta da un terribile
pizzicotto nel braccio.
- Siete pazza?
- le urlò nell'orecchio la bocca a salvadanaio della signora Radegonda. -
Bisogna proprio aver perduto la testa per vestire la nostra Madonna con quella
roba venuta chi sa da dove. Come mai don Assalonne ve lo ha permesso? Si è mai
visto un simile sacrilegio?
- Ma che
sacrilegio! - borbottò l'Agata fregandosi il braccio, divenuta a un subito di
pessimo umore -; se un'anima buona ha lasciato il suo spoglio ai poveri la
Madonna non può che aggradire la sua parte.
- Siete
proprio una zotica. Credete che non riconosca questa sottana? che non l'abbia
esaminata, direi interrogata, se voi ne poteste capire qualche cosa. Ma cosa
volete mai capire che siete senza marito, che non avete pratica di mondo e non
metteste mai piede fuori del paese?
Al sommesso
battibecco delle due donne la gente incominciava a distrarsi e la serva del
parroco, vedendo compromessa la maestà della chiesa, rispose un: - Vada alla
malora! - che mise il colmo alla collera della signora Radegonda, la quale,
ritta in piedi, col naso più che mai aguzzo, teso l'indice minaccioso verso
l'avversaria, esclamò:
- Andate alla
malora voi che vestite la Madonna colla sottana del diavolo!
A memoria
d'uomo non si era mai dato uno scandalo simile in Spadafora. L'Agata svenne
cadendo a ridosso dell'altare, mentre la folla si stringeva intorno alla
signora Radegonda per tentare di calmarla. Ma proprio allora un grido di
spavento risuonò sotto la vôlta della chiesa e si vide una lingua di fuoco
investire violentemente l'abito della Madonna. In men che si dica, le belle
righe, i fiori delicati della serica stoffa scomparvero in mezzo alle fiamme ed
al fumo.
È ben vero
che alcuni volonterosi si prestarono subito a spegnere l'incendio saltando
addosso alla sacra immagine con una furia che mai più si sarebbero permessa in
altra occasione, ma brancicando alla cieca finirono col rovinare anche quello
che per avventura s'avrebbe potuto mettere in salvo. Era una pena a vedere
brandelli di amoerro rosa cadere sul suolo smunti ed avvizziti proprio come
rose morte, e strisce di raso celeste volteggiare per l'aria sotto gli insulti
del fumo che ne faceva uno straziante simulacro di illusioni perdute.
La signora
Radegonda continuava a gridare: - Ecco la vendetta divina!
L'Agata,
riavutasi dallo svenimento, piangeva a calde lagrime, e Dio sa dove si sarebbe
andati a finire se il sagrestano non fosse accorso a far sgomberare la chiesa.
Mogio mogio
nel suo tinello oscuro don Assalonne si abbandonava ad amare riflessioni.
Quando mai le era venuto in mente a quella Ester Serpinelli di lasciare una
così stramba eredità e di appiopparla precisamente sulle sue spalle! È
obbligato un uomo che vive fuori del mondo, un povero prete di montagna, a
conoscere vita miracoli e abitudini delle donne che non ha mai nemmeno viste?
Certo, egli aveva accettato con soverchia leggerezza il carico di quel
vestiario bizzarro, ma santo cielo, chi poteva immaginarne le conseguenze? La
colpa maggiore, indubbiamente, andava difilata all'Agata ed alla sua
strampalata idea di vestire la Madonna con quella sottana indiavolata….
Toltasi la
papalina con un movimento rabbioso, don Assalonne si grattava la pera e la sua
faccia bonaria andava facendosi buia. I teologhi, i padri della Chiesa, tutti
gli interpreti della divina volontà concordavano col dire che Dio non avrebbe
più fatto miracoli in un mondo che se ne mostra così poco degno. Miracoli
dunque no. Tuttavia, chi può mettere ostacolo al volere di Dio? E se per un
caso eccezionale, Lui che tutto può, avesse voluto ancora una volta ricorrere
al miracolo, conveniva al parroco di Spadafora di contrastarglielo? Ma,
corbezzoli, un miracolo nella sua parrocchia, anzi un castigo di Dio, chi sa a
quali avvenimenti lo preparava! Se ne sarebbe immischiato il vescovo, forse il
Santo Padre….
Don Assalonne
sudava freddo. Non potendo reggere al peso di pensieri tanto gravi si alzò e
per la porticina segreta della chiesa volle andare sul posto a verificare la
strage.
Tutto si
trovava ancora nel disordine che vi aveva lasciato la folla dei fedeli; le
panche smosse, qualche rosario, qualche fazzoletto per terra, pezzi di stoffa
bruciacchiata qua e là. Avvicinandosi all'altare vide la cara Madonna spogliata
d'ogni suo ornamento e si sentì stringere il cuore, ma vide in pari tempo un
oggetto verso il quale si precipitò con subita speranza. Era una candela
dell'altare rovesciata proprio accanto alla sedia dove l'Agata aveva eretto il
suo posto di osservazione e dove era caduta in seguito allo svenimento
trascinando la candela che senza alcun dubbio aveva infiammato l'abito della Madonna.
Ora la spiegazione dell'incendio si presentava semplice, chiara, indiscutibile.
- Signore vi
ringrazio! - esclamò il prete inginocchiandosi e baciando con ardore i piedi
della Madonna.
Comprese che
il buon Dio si era accontentato di punirlo per la sua leggerezza con un po' di
paura e tornò alla pieve con un passo tanto leggero che sembrava volasse.
Nota.
Credevo di
avere inventato io il nome di Spadafora; invece il segretario del Touring
mandandomi la carta del club mi avverte gentilmente che di Spadafora ve ne sono
due in Italia. Chiedo grazia per questo terzo.
|