Due mondi
Conosco un
paese che sta a quattro metri di livello sotto il mare, affondato dietro gli argini
di un fiume dai ricchi affluenti le cui acque gonfiandosi lo inondano spesso e
trasportando dall'una all'altra riva interi banchi di sabbia ne vanno mutando
continuamente l'aspetto e la configurazione; malinconico paese perduto in mezzo
a vaste campagne di grano sulle quali torreggiano cime di pioppi giganteschi
appena mosse dall'aria greve. Paese triste che fu un tempo allegra città e che
della caduta signoria conserva una specie di dignità pensosa sparsa nelle vie
larghe dove l'erba verdeggia sulla soglia dei palazzi abbandonati, nelle piazze
deserte, in certi viottoli oscuri mai battuti dal sole, dove pure rizza il
fianco monumentale una vecchia bicocca trasformata in prigione e l'abside
longobarda di una chiesuola coperta di musco.
Era appunto
in una di queste vie, la più oscura, la più triste, la più romita, che salendo
due deformi gradini di mattonato per una porticina esigua si entrava
nell'abitazione di mamma Monica, dove l'impressione prima faceva pensare
simultaneamente ad una cantina, ad un pollaio e ad un ripostiglio di legna.
Ognuna di queste cose si trovava veramente ad occupare in piccola parte lo
stretto vestibolo che a porta rinchiusa rimaneva quasi buio, e vi stava pure la
scala conducente al piano superiore; ma tutta la vita delle persone che vi
abitavano si svolgeva a quel pianterra umido e basso, in una lunga cucina che
si apriva dirimpetto alla porta d'entrata mostrando in fondo una finestretta
dai vetri affumicati come si vedono in alcuni quadri olandesi, ed era tanto
lunga la cucina che quella finestretta sembrava la lente posta in fondo ad un
canocchiale.
La giornata
d'inverno, penetrando dai piccoli vetri opachi con una luce che la neve
circostante rendeva più bianca, prendeva a tergo la figura evanescente di mamma
Monica accantonata presso il focherello del camino; e mentre davanti il
riflesso della fiamma le coloriva di insolito vigore il volto nonagenario, i
raggi pallidi che le piovevano sulla capigliatura d'argento la circondavano di
un nimbo etereo.
- Come è
bella oggi la nostra mamma! - disse la maggiore delle tre figlie.
- Sì, è
bella, - rispose la seconda.
- Molto
bella, - confermò la terza.
Queste
figliole erano anch'esse tre vecchierelle quasi incorporee, coi capelli appena
un po' meno bianchi di quelli della loro genitrice. Girondolavano chetamente
per la cucina, dandosi attorno alle loro faccenduole: una accomodava sul
tagliere in belle file simmetriche certi cappelletti col ripieno di zucca che
erano la grande specialità del paese nei giorni solenni; un'altra, seduta vicino
alla finestra, macinava il caffè; l'ultima attizzava la legna sul focolare. Fu
costei che soggiunse dopo un po' di tempo:
- Non vi
siete accorte come oggi il fuoco soffia e sbuffa?… Segno di visite…. Verranno,
verranno!
Mamma Monica
sorrise debolmente.
- Nevvero,
mamma, che verranno?
- Io lo
credo; poichè domani è Natale, Piero non vorrà mettersi in viaggio nel giorno
santo. Se assomiglia a suo padre deve avere il rispetto delle feste solenni.
La maggiore
delle figlie, che era quella che macinava il caffè vicino alla finestra, si
alzò, e dopo di aver riposto la polvere nell'apposito barattolo di latta,
fattasi accanto alla madre le susurrò piano colle mani sotto al grembiule:
- Se devo
dirti la verità, mamma, quel pensiero che la sposa di Pietro è una ballerina
non mi va giù….
- Era, era, -
rispose la nonagenaria.
- Ma è sempre
una brutta cosa che lo sia stata. Quando mai vi furono ballerine nella nostra
famiglia?
Le due
sorelle, ognuna dal loro posto, approvarono in silenzio col capo.
- Il Signore
- soggiunse mamma Monica - sa Lui quello che si fa. Del resto, anche una
ballerina può essere una ragazza onesta.
Ubbidienti,
le tre figlie non replicarono una sola parola; la mamma doveva saperne più di
loro. Ammutolivano sempre così con una specie di rassegnazione umile tutte le
volte che si accennava a cose od avvenimenti che la loro semisecolare innocenza
non poteva comprendere. Ma la maggiore aveva visto tanti anni addietro, in
un'antica strenna, una vignetta colorata che portava per titolo: «Zuleika la ballerina»;
e rappresentava una giovane odalisca leggermente vestita la quale intrecciava
una danza orientale davanti al Sultano con tali mosse e attitudini che le
avevano lasciato nella memoria un turbamento incancellabile. Alla osservazione
della veneranda madre ella tacque al pari delle sorelle ma tornò a prendere il
suo posto vicino alla finestra guardando fuori.
L'orto, che
appariva traverso il piccolo quadrato della finestra circondato da un alto muro
e così pieno di verde che un po' ne restava anche nella fredda stagione, voleva
dire per quelle volontarie recluse tutto l'orizzonte. Quanti pensieri, quanti
sogni, quanti desideri, quanta tristezze, quante rinuncie, ed anche quanta
definitiva acquiescenza dovevano racchiudere le esili pianticelle dei cucurbitacei
arrampicate sul muro dal quale aprivano in primavera il largo ventaglio delle
foglie molleggianti alle prime brezze! Pensieri ingenui, sogni casti, tristezze
senza nome, rinuncie senza lotta e dolce dolce chinare dei cuori all'oscuro
decreto della Provvidenza che tale aveva voluto dell'esser loro.
- Il gatto è
fuori, - esclamò improvvisamente la maggiore che aveva visto ondeggiare la rada
siepe di mortella che divideva l'orto, - andiamo a prenderlo, poverino!
- Vado io, -
disse l'ultima delle tre sorelle che si era abbastanza abbrustolita accanto al
fuoco.
Aperse la
rozza imposta di legno che conduceva all'orto e trovato il miccio in mezzo alla
neve se lo pose nel grembiule scottante ravvolgendolo con tenerezza materna.
- Stai bene eh?
qui; stai bene, girovago, al calduccio?… Meglio il fuoco che la neve, eh?
La mamma lo
volle vedere, lo volle accarezzare anch'essa, e le altre due vennero a far
coro. Gli occhi del miccio luccicavano attraverso un lembo del grembiule e le
quattro vecchie ridevano, ammiccando, solleticandolo colle loro mani rugose che
tremavano un poco.
Suonarono in
quel mentre le festose campane del mezzogiorno. La nonagenaria si fece il segno
della croce, mormorando le prime parole del «Benedicite»; risposero le figlie
in attitudine raccolta colle mani giunte; ed ella replicò:
- Diciamo
un'«Ave Maria» per coloro che sono in viaggio.
Nella mente
della vecchiarda l'idea del viaggio mal poteva disgiungersi da infinite
peripezie su strade malagevoli infestate da briganti; non avendo per suo conto
mai vista una ferrovia non cessava dall'aggiungere alle sue preghiere quel pio
richiamo ai pellegrini viaggiatori d'altri tempi. Ma in quel momento la
preghiera aveva una destinazione ben precisa. Ella pensava a Piero che doveva arrivare
colla sposa. Questo nipote, che non conosceva, era figlio del suo unico figlio,
il quale, partito da giovane in qualità di cameriere non aveva più fatto
ritorno, ed era morto all'estero.
Compresero le
figlie l'amorosa preoccupazione materna; colle tre teste grigie chine intorno
alla venerabile testa bianca, l'«Ave Maria» fu recitata con ardore, seguita da
un breve silenzio durante il quale il gruppo delle vecchie sullo sfondo della
finestretta assumeva la rigidità arcaica dei primitivi. Ricominciava a nevicare
lentamente.
. . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Due colpi
bussati alla porta di strada fecero sobbalzare la minore delle figlie la quale
corse subito ad aprire. A quell'atto le povere guancie emaciate di mamma Monica
arrossirono per la commozione; si levò in piedi, così fragile e barcollante che
sembrava un'ombra, e mosse alcuni passi verso il vestibolo, seguita dalle altre
due figlie che rattenevano il fiato e spalancavano gli occhi sulla singolare
apparizione.
Chi erano
questi signori e che cosa volevano? Un giovinotto con soprabito scuro e bavero
di pelliccia si affacciò primo alla soglia; aveva un paio di pantaloni
attillatissimi e scarpe gialle; l'orlo di un fazzoletto di finta batista usciva
dal taschino del petto, una catena d'oro si sprofondava in quello del
panciotto; aveva un paio di baffi ingommati e tirati su fin sotto gli occhi; un
brillante scintillava al suo mignolo.
- Chi cerca?
- domandò colei che aveva aperto la porta.
- La signora
Monica Deviti?…
A un cenno
affermativo l'elegante sconosciuto fece un passo avanti scoprendo una leggiadra
donnina il cui volto sprofondava quasi tutto sotto l'ala prepotente di un
cappello intorno al quale attorcigliavasi una lunga piuma grigiastra, ma il cui
corpo provocante si mostrava invece con ostentazione sotto la morbidezza
complice di un drappo sottile color turchese.
- A chi ho il
bene di parlare? - articolò, confusa, la voce tremula della nonagenaria.
- La signora
Monica Deviti?
- Monica
Deviti sono io; signora no, - rispose col suo sorriso ingenuo, accennando ai
forestieri che entrassero.
Ci volle un
po' di fatica da ambe le parti per riconoscersi. Lo stupore e il disinganno
furono reciproci. Ma quando il signore elegante dichiarò di chiamarsi Pietro Deviti,
mamma Monica sopraffatta dalla commozione lasciò sfuggire qualche lagrima. La
figlia maggiore esclamò: Gesù! Le altre, incapaci a parlare, si affrettarono a
porre delle sedie intorno al fuoco.
Una vocetta
stridula, aspra, stonata, fischiò di sotto alla lunga piuma:
- È questa la
casa?
La seconda
figlia si affrettò a spiegare che lì accanto c'era il tinello, ma nel rigore
del verno la mamma preferiva mettersi in cucina, dove si stava più caldi.
- Ho
novantadue anni, - disse la vecchiona, quasi per scusarsi.
La voce
stridula risuonò ancora in una breve ma inopportuna risata; Pietro Deviti a sua
volta scusò la sposa dicendo che era molto giovane.
Poi stettero
a guardarsi tutti insieme passando di meraviglia in meraviglia. Pietro Deviti
faceva il cameriere anche lui come suo padre, ma le povere vecchie zitelle non
avevano mai visto altro che il cameriere della «Colombina», quando andavano a
prendere un po' di vino per la mamma e non sapevano capacitarsi di tanta
eleganza, ne pigliavano soggezione, nè per qualunque cosa avrebbero ardito dare
del tu a quel loro nipote così ben vestito. Quanto a mamma Monica, ci vedeva
poco, e metteva tutte le sue forze nell'offrire da mangiare e da bere ai nuovi
arrivati.
- Pranzerete
con noi or ora, se non volete altro prima, - concluse ella affabilmente.
La donnina
vestita in color turchese diede uno spintone al marito che si affrettò a
rispondere:
- Ma noi non
pranziamo a quest'ora.
- No?… - fece
mamma Monica con dolcezza, - ebbene, quando vorrete.
La figlia
minore additò il tagliere con benevola disinvoltura per vedere di rompere quel
ghiaccio:
- Guardate,
vi abbiamo preparati i cappelletti col ripieno di zucca; sono le zucche del
nostro orto.
- E di sopra -
soggiunse la seconda - vi aspetta il vecchio letto di papà e mamma, colla
coperta filata dalla mamma stessa quando venne sposa.
La donnina
che non aveva voluto sedersi accanto al fuoco fece una piroetta, mormorando
ironicamente: Che gioia!… e l'aria mossa dalle sue sottane portò alle nari
della seconda figlia un acuto odore di muschio. La maggiore delle tre sorelle,
rannicchiata dietro la madre, guardava da un po' di tempo con indicibile
sorpresa un gonnellino di seta rosa e verde coperto di merletti che appariva e
spariva continuamente nei rapidi movimenti della sua proprietaria. Ciò le
rammentava con una visione violenta «Zuleika la ballerina».
Pietro Deviti
si trovava più male di tutti. Aveva accettato per convenienza di sedere accanto
alla veneranda Nonna, e, intanto che ella gli narrava di suo padre giovinetto,
egli, con un fuscello, frugava nella cenere del focolare cercando il mezzo di
cavarsela alla men peggio. Che sfortunata idea era mai stata quella di venire a
conoscere i suoi parenti! Sollevando tratto tratto gli occhi dalla cenere
vedeva il quadratello appannato della finestra, con quei vecchi vetri
verdognoli dietro ai quali la neve sembrava anche più triste e si desiderava
lontano cento chilometri.
A un tratto
una delle sorelle esclamò:
- Venite a
vedere il presepio?
Pietro Deviti
si alzò con premura, stese i pantaloni sotto al ginocchio, arricciò i baffi e
fece un cenno a sua moglie. In un angolo del tinello che fiancheggiava la
cucina, sopra una cassapanca, era stato rizzato il paesaggio di cartone colla
capanna coperta di paglia e il bambinello Gesù con un pannolino attraverso il
corpo fra il bue e l'asinello che dovevano riscaldarlo. Le pie donne si
affrettarono poi a spiegare che la Madonna era la figura in ginocchio col manto
azzurro e i tre vecchi sul fondo rappresentavano i Re Magi. San Giuseppe
mancava perchè proprio la sera prima era caduto per terra rompendosi in due.
- Guarda!
Guarda!
L'interruzione
veniva dalla sposina che aggrappata al braccio di suo marito si abbandonava a
un nuovo accesso di ilarità.
- …. guarda
il bambino. È il costume tale e quale avevo io nel balletto: «Amore è il più
furbo». Solamente che….
Pietro Deviti
chiuse con una mano la bocca a sua moglie e prendendo una sùbita risoluzione,
disse:
- Andiamo!
- Come? Dove?
E il pranzo?
- Non posso
fermarmi, - confermò lui abbottonandosi il soprabito fin sotto la gola.
- E i
cappelletti?
- Li
mangerete voi.
Mamma Monica
dal suo cantuccio gridò:
- Che c'è?
Cosa dice Piero?
- Dice che
vuol partire.
- Ma è
impossibile…. è appena venuto! Dobbiamo fare il Santo Natale insieme.
- Non posso,
non posso.
- Lo avevi
promesso, - gemette la vecchia Nonna con una tristezza profonda.
- Avevo
promesso la visita e l'ho fatta; non ho parlato io del Natale; non posso, non
posso. Addio a tutte.
- Ed anche ai
personaggi del presepio, - esclamò la sua compagna strisciando una riverenza
buffa. - A rivederci nella valle di Giosafat.
Mamma Monica
tornò a sollevarsi dalla sedia, ma le gambe le tremavano troppo; le sue figlie
la sorressero intanto che ella stendeva la mano in atto di benedire chi
partiva. Non fece in tempo però; la porta di strada si schiuse rapidamente;
ella brancicò un poco colla destra tesa, sbattè le palpebre, disse:
- Ma perchè
sono partiti?
Su quelle
parole così semplici di un dolore tanto profondo le quattro vecchie stettero
mute. Parve che qualche cosa d'invisibile si fosse spezzato intorno a loro. La
neve cadeva sempre dietro i vetri opachi della finestra…. Un odore di biscia
era rimasto nell'aria.
|