Gli occhiali
Una tenda a
rete di color turchino scuro separava la bottega dell'ottico dalla strada,
invasa a quell'ora da un sole cocente che sembrava, anticipare l'estate
quantunque non si fosse che in giugno.
Nella vetrina
i canocchiali da teatro allineati simmetricamente, quelli di pelle nera, quelli
d'avorio, quelli di madreperla, quelli di metallo, tutti ben lucidi e puliti,
avevano l'aria di dormire, come accade in tempo di morta stagione, accanto alle
lenti solite che si vendono tutti i giorni ed a certi complicati trabiccoli per
studi speciali che facevano fermare i ragazzi curiosi sempre di ciò che non
capiscono.
Tentavano
anche i ragazzi di sbirciare nell'interno della bottega dove si rizzava sopra
un cavalletto di legno un grande stereoscopio, ma la tenda a rete di color
turchino scuro nello stesso modo che impediva alle mosche di entrare impedivalo
pure agli sguardi dei piccoli indiscreti.
A un dato
momento, tuttavia, sotto la pressione di una piccola mano serrata in un guanto
di pelle di Svezia, la tenda si scosse e ondeggiò aprendo il passo ad una
signora dall'aspetto semplice e distinto che scomparve subito nella penombra
interna. Giungendo dalla caldura della strada il negozio presentava un ristoro
di oasi che la signora avvertì subito con una lieve espressione di piacere nel
bel volto pallido un po' sfiorito.
- Le sue
lenti non sono ancora pronte, - esclamò l'occhialaio da dietro il banco,
sospendendo di frizionare con un pezzo di flanella un manico di tartaruga -; se
ha la bontà di aspettare dieci minuti, un quarto d'ora al più…
- Benissimo,
- fece la signora prendendo posto con tutto suo agio sopra un divanuccio
collocato in fondo al negozio, fra due scansie che lo rinchiudevano isolandolo
in una improvvisazione di cantuccio intimo assai attraente. - Non ho fretta e
si sta bene qui.
Poi girò
intorno gli occhi, calma, assorbendo la quiete dell'ambiente silenzioso e
fresco come una biblioteca. Una scarsa luce quasi di tempio attraverso il
turchino scuro della tenda le cui maglie filavano i raggi del sole, stendeva
una specie di tessuto vaporoso dove non si muoveva un sol atomo di polvere.
Dietro il banco il principale aveva ripreso a frizionare la sua tartaruga coi
movimenti calmi e sapienti delle mani un po' floscie avvezze alle cure
meticolose dei piccoli oggetti fragili; era vestito di nero con una severità
professorale e portava i capelli argentei lucidi e ben pettinati divisi da una
parte in una riga così perfetta che sembrava tracciata con un regolo. Un misterioso
rumore intermittente veniva dal retro-bottega, come di lima… ma poteva anche
essere altra cosa.
La signora si
accomodò meglio sul divanino, presa da una languida stanchezza che aveva il suo
fascino in quel luogo raccolto, fra le bacheche ornate di piccoli istrumenti
ignoti, di rigidi astucci d'onde luceva appena con un bagliore discreto il
torso convesso di una lente o una sottile rilegatura d'oro. Un termometro
dinanzi a lei segnava ventisette gradi; fuori dovevano essere più di trenta.
Con una mano sulla bocca, la signora sbadigliò lievissimamente.
In
quell'istante apparve nel negozio un signore di mezza età, o piuttosto di tre
quarti d'età, molto ben conservato, ritto, elegante, il passo elastico, la
pupilla viva; alla bottoniera del suo completo grigio occhieggiava un mazzolino
di fiori azzurri da campo. Egli chiese che gli mostrassero un canocchiale da
montagna, e intanto trasse fuori dal taschino del bianco panciotto un paio di
«pincenez» da fare aggiustare.
- «Sprechen Sie deutsch»?
Il signore saltò
indietro due passi al suono delle barbare parole pronunciate dietro di lui e
lasciò libero il banco a un drappello di viaggiatori che sulla risposta
affermativa dell'ottico vi si precipitarono ingombrando il negozio colle loro
persone massiccie, i grossi piedi corti e le grosse faccione erubescenti. Vi
erano nel drappello uomini, donne e qualche campione di sesso incerto; e tutti
tenevano tanto posto che il signore non sapeva più dove mettersi.
- Scusi, sa,
- gli disse il principale con un sorriso imbarazzato, - se non le dispiace
attendere….
- Si figuri!
Retrocedendo
fino in fondo al negozio, e voltandosi, il signore si trovò faccia a faccia
colla signora.
- Oh!!
- Voi!!
Certo nessuno
dei due alzandosi quel mattino avrebbe immaginato di dover mettere fra i casi
della giornata il singolare incontro. D'ambo le parti la sorpresa fu tanto
schietta quanto piacevole; se lo dissero subito prima cogli occhi, poi con una
stretta di mano lunga, cordiale….
Fu la signora
che ritraendo la manina ed arrossendo un poco colla grazia che alcune donne
conservano anche quando non sono più giovani mormorò piano:
- Da quanto
tempo non ci vediamo più!
- Da quanto!
L'istante di
silenzio che seguì fu impiegato da ognuno dei due a un breve calcolo mentale.
Il signore disse:
- Ma vi
ritrovo la stessa.
- Oh! prego….
- Sì sì, vi
assicuro, la stessa, - soggiunse con accento commosso, - almeno per me.
- Sempre
galante.
- Dite
fedele.
- Questo mi
sembra un po' troppo, via!
- Secondo ciò
che si intende per fedeltà. Credete che….
- Ma anche
voi state benissimo, - interruppe vivacemente la signora, - non soffrite più
quei terribili mali alla testa?
- No. Da
quando mi sono ritirato in campagna la mia salute si è rinnovata.
- Vivete in
campagna adesso? Così si spiega perchè non ci siamo incontrati più.
- Veramente
vengo spesso in città, ma piccole corse, scappate come questa per comperare gli
occhiali.
La signora si
morse le labbra con un sospiro doloroso.
- Io so a che
cosa pensate, - continuò lui. - Volete che ve lo dica? Pensate al tempo in cui
la mia vista, era così buona che in piena notte scrivevo versi d'amore per
gettarli nella vostra fines….
- Anche la
mia vista si è indebolita assai. Ho durato fatica a servirmi delle lenti, non
potevo abituarmi. Fu l'oculista che me le impose. Che fare? Convenne
rassegnarsi.
- Piccole
miserie del resto quando gli occhi si conservano belli.
La signora
abbassò i suoi, non sapendo come prendere il complimento che quantunque
indiretto era stato accompagnato da una mimica troppo espressiva per non appropriarselo.
Del resto ella sapeva perfettamente che i suoi occhi erano ancora belli e che
tutta la sua persona, favorita da una grazia speciale, resisteva
vittoriosamente alle insidie dell'età. Non si dice che non vi contribuisse un
uso moderato e sapiente delle risorse che la civiltà offre alle donne ma
infine, poichè il risultato era buono, nessuno poteva dolersene.
La banda dei
tedeschi intanto aveva messo a soqquadro il negozio e il principale che appunto
in quell'ora si trovava solo aveva il suo bel da fare ad accontentare tutti.
Con un gesto
gentile la signora additò il posto vuoto sul divano.
- Credo che
dovremo aspettare ancora un poco.
- Nè io me ne
dolgo! - esclamò il signore sedendosi rapidamente accanto alla signora.
- Una volta
non vi piaceva la campagna….
- Una volta.
Ohimè si cambia. Non potete credere quale piacere io provi ora nella solitudine
dei prati o coltivando i fiori del mio orto…. Fiori e frutti.
- Anche i
frutti?
- Vi
scandalizzerò. Ho un pollaio.
- Allevate le
galline?
- Non le allevo
precisamente ma il chiccherichì del gallo è una musica che mi innamora.
- In fatto di
musica almeno converrete che non siete fedele. Vi piaceva tanto una volta «La
stella confidente».
- Mi piace ancora
ma, capite, non ho più nulla da confidarle. E voi siete ancora mondana come lo
eravate al tempo in cui mi toccava cercarvi di festa in festa, di teatro in
teatro…. pazzamente, solo per scambiare uno sguardo, una parola, una stretta di
mano?
- Non vado
quasi più in società. Non siete persuaso che alla lunga vi si annoia?
- A chi lo
dite!
- Sono sempre
gli stessi discorsi inconcludenti e vuoti. Se volete parlare sul serio di un
argomento nuovo vi guardano come una bestia rara e il meno che vi tocca è di
sentirvi dare dell'originale. In teatro è peggio. Vi divertite forse voi agli
spettacoli moderni?
- Ho
rinunciato assolutamente al teatro. Assisto alle nuove produzioni seduto nella
mia poltrona e leggendo quello che ne scrive il mio giornale. Non andiamo
sempre d'accordo sugli apprezzamenti ma almeno se mi scappa detto che l'autore
è un asino ciò non ha conseguenze.
- Vi
ricordate il duello che aveste a proposito di Sbarbaro? Quanto ho tremato per
voi!….
- Grazie,
cara. Sarebbe stata una morte ben sciocca. Ho cambiato radicalmente di
opinione.
- Eravate
così bollente allora, così pronto ad accendervi, a lottare per le vostre idee….
- Non lotto
più; lascio che ognuno pensi a suo modo o non pensi affatto. Purchè non vengano
a gettar sassi nel mio pollaio ed a rovinarmi l'erba novellina del mio prato,
piena libertà a tutti di fare o di disfare il mondo.
- Non è un
po' di egoismo questo?
- Tutto è
egoismo negli uomini. Quando agivo diversamente non era forse per obbedire al
mio gusto d'allora? Il mio egoismo aveva un altro colore, ecco tutto. Ma,
ditemi la verità, avete proprio tremato per me quando dovevo battermi?…
La domanda
inaspettata ricondusse una leggera fiamma sulle guancie della signora che ne
parve ringiovanita. Rispose subito:
- Ne
dubitate?
- Tremato
veramente? tremato per il timore di perdermi?…
- Per che
cosa dunque?
Il signore
assaporò per un attimo le dolci parole, ma non potè impedire che l'aspide
nascosta tra i fiori non desse il suo sibilo. Involontariamente sussurrò,
piano, guardandola sotto le ciglia:
- E Viviani?
- Dio mio! -
fece la signora congiungendo le palme, - sareste ancora geloso?
- Non ne ho
più il diritto, ma lo fui, lo fui terribilmente!
Egli
continuava a fissarla sperando forse un diniego che non venne. Soggiunse allora
con amarezza:
- Eravate
tanto coquette….
- Io?!
- Ma sì, lo
siete anche in questo momento. Non vi compiacete forse delle mie torture
retrospettive?
- Tanto
retrospettive che non devono più torturarvi affatto. (Così disse ironicamente
la signora).
Il signore
reclinò la fronte mordendo il pomo della sua canna. Per qualche minuto nessuno
dei due parlò. Fu egli che riprese:
- Io passai
notti di inferno pensando a quell'uomo che abitava presso a voi, che poteva
vedervi a tutte le ore, che vi amava…. certamente vi amava.
Invece di
rispondere la signora aperse e chiuse per ben due volte il suo ventaglio, poi,
come colpita da un ricordo improvviso, chiese:
- Non
facevate voi la corte un poco a vostra cugina Amelia?
- Che
cattiva! Che cattiva!
- Già, noi siamo
sempre cattive quando non vogliamo prestarci al vostro giuoco. Vi piacerebbe
ora di rendermi responsale di quel che avvenne fra noi, ma io preferisco,
poichè il destino di ciascuno è ineluttabile e il sogno che abbiamo sognato
insieme non si tradusse in realtà, preferisco di questo nostro incontro così
fortuito portare con me un dolce ricordo. Volete perdonarmi i torti che ho
potuto avere, mentre io mi sento così bene disposta ad assolvervi di quelli che
per avventura potreste avere voi stesso?
Il signore
alzò gli occhi verso la porta. Una nuvola oscurava il sole e dalle maglie della
tenda la luce più pallida sembrava sostenere un velo nell'aria. I tedeschi
erano partiti; anche il principale non si trovava più al suo posto dietro il
banco. Erano soli. I vetruzzi, le tartarughe, gli ori tutt'all'ingiro
splendevano delicatamente colla moderazione di filosofi che sanno la vita.
Il signore
che adagio adagio aveva ripresa la mano della signora vi depose un bacio lieve
e lungo.
- La vostra
generosità mi fa doppiamente rimpiangere ciò che ho perduto.
- No, non
rimpiangete nulla, la felicità è fatta di transazioni.
- Vi ho
conosciuta così piena di fede nell'assoluto!
- È vero.
L'assoluto è l'ideale dei vent'anni; poi si comincia a transigere coll'amore
che non è mai quello che si immaginava….
Il signore
volle interrompere ma la signora continuò:
- …
coll'amicizia di cui si scoprono a poco a poco i doppi fondi innumerevoli e
sempre più ristretti, come quelle ingegnose scatole giapponesi che vi
presentano un uovo e ne contengono sette od otto; con noi stessi infine quando
all'apparire del primo capello bianco lo strappiamo, o lo tingiamo, o facciamo
il possibile per nasconderlo, o rassegnandoci pensiamo che la tinta grigia
nelle chiome non è poi quella spiacevole cosa che pretendono i pessimisti.
Guardate il mio cappello, come vi sembra? Io ho sempre abborrito il colore
viola, eppure alla mia età devo subirlo.
- Il vostro
cappello è delizioso e il color viola vi si addice magnificamente; ma
lasciatemi dire, amica mia, che se le vostre comparazioni tra l'assoluto e il
relativo mi persuadono abbastanza ve ne è una che desidererei discutere. Avete
affermato con una crudele sicurezza che l'amore non è mai come lo si immagina.
Forse il primo amore….
- Ogni amore
è un primo amore.
- Il motto è
profondo. Pure, non vi sembra che (diciamo la prima volta) appunto perchè si
parte dall'assoluto è ovvio che si cada nel relativo, mentre può accadere che
più tardi, quando abbiamo fatta nostra la teoria, delle transazioni, ci aspetti
la gradevole sorpresa di un assoluto…. o quasi.
La signora
rise di un morbido riso smorzato:
- Quel quasi, amico mio, guasta tutto. Credete a
me, quando si è perduta la fede nell'assoluto e che noi stessi non abbiamo più
nulla di assoluto è meglio rinunciare all'amore.
- Che è mai
allora la vita?! - esclamò il signore con impeto.
- Vi sono dei
compensi, - rispose a bassa voce la signora.
- Nominatene
uno.
- Quest'ora.
- Ecco il
«lorgnon», - disse il principale sbucando dal retro-bottega, - chiedo scusa di
aver fatto aspettare tanto.
- Ah! -
mormorò sommesso il signore all'orecchio della signora che si era alzata
prontamente, - se voleste essere ancora quella di una volta!
Ella prese il
«lorgnon» dalle mani del principale piegando il capo con un movimento pieno di
grazia e di malinconia:
- Mi chiedete
l'impossibile.
- Perchè?
- Perchè io
una volta guardavo il mondo coi miei begli occhi….
- Che sono
sempre belli.
- Forse. Ma
vedete questi vetruzzi? non posso più farne senza ora e gli occhiali, amico
mio, sono essi che fanno guardare il mondo in un altro modo!
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