Uno scandalo
Nell'afa del
recinto chiuso si sarebbero sentite a volare quel paio di mosche miserelle che
erano capitate là dentro, se anch'esse sfiaccolate e senza energia non se ne
fossero state aderenti alla tenda di grossa tela color arancione, la quale
tenda pur non serviva nè a mitigare il caldo esterno del solleone nè quello
interno della stanza dove una trentina di ragazze sbadigliavano sui loro
compiti aspettando l'ora della liberazione. Già a terminare il componimento non
c'era nemmeno da pensarci, con quella giornata sciroccale fatta apposta per
togliere ogni lena a chi l'avesse avuta, figurarsi poi a chi non l'aveva! La
stessa Varisco non era ancora riuscita a trovare la prima parola. Si sa che se
non viene la prima le altre sono più difficili ancora, per cui Varisco se ne
stava a masticare la cannuccia cogli occhi al soffitto. Improvvisamente, che è
che non è, le pupille della fanciulla si accendono e scintillano del lampo
della ispirazione; la cannuccia ricondotta alla sua naturale pendenza corre
veloce sulla carta.
Le compagne
di Varisco la guardano con invidia. Come mai ella ha potuto trovare il bandolo
di quel tema su Gerolamo Savonarola, la sua predicazione e il suo supplizio?
Bel soggetto da trattarsi nel mese di luglio, proprio quello che ci voleva. O
chi si ricorda ancora di Gerolamo Savonarola dopo tanto tempo che è morto?… Ma
già. Varisco è stata a Firenze, che ci ha la nonna; avrà veduto almeno il posto
dove fu rizzato il rogo e allora, si capisce, qualche cosa si può dire.
Fortunata Varisco!
La fanciulla
non si accorge di essere osservata. Ella scrive, scrive, scrive, rossa in
faccia, sprofondata così nella sua ispirazione che le compagne la chiamano
invano.
- Varisco,
dimmi una parola anche a me, la prima, tanto da poter cominciare….
- Varisco, ti
ricordi di che paese era quel frate?
- Era proprio
un frate, Varisco? E l'anno in cui visse?
Un ronzìo di
alveare subentra al silenzio stanco; un subito risvegliarsi di energie che
vorrebbero riconquistare il tempo perduto; un incrociarsi di domande, di
risposte, di malintesi; un scrosciare sommesso di risatine miste a qualche
ripicco, a qualche rimbeccata.
- Silenzio! -
grida la maestra.
Tutte
tacciono come per incanto; ma adagio adagio, con un movimento di acqua cheta,
si spingono l'una verso l'altra fino a trovarsi a portata di leggere al di
sopra della spalla della scrivente.
- Fatevi in
là, - mormora Varisco infastidita, - come siete male educate! - e nello stesso
tempo copre colla mano la sua paginetta di scritto.
Per alcuni
istanti il silenzio ritorna. Nella caldura afosa si ode scricchiolare
rapidamente la penna di Varisco e le sue pupille che tratto tratto si sollevano
sembrano inseguire al di là della tenda color arancione una visione ridente che
lascia le fanciulle più che mai perplesse sul modo con cui trattare la morte
del Savonarola.
Ma Luzzani,
che era più curiosa delle altre, rizzandosi in punta di piedi potè finalmente
gettare un'occhiata sul foglietto e il suo stupore fu tale che per poco non
ruppe in una fragorosa esclamazione. Videro l'atto le compagne e circondandola
premurosamente si fecero subito a domandarle come incominciava la composizione
di Varisco.
- Ah! come
incominciava? - Luzzani con ambedue i pugni stretti sulla bocca tratteneva a
stento le risa.
- Dillo!
dillo! - imploravano le altre.
- Zitte! -
fece ancora la voce della maestra.
E per un
altro poco il silenzio ritornò. Ma la fanciulla che era la più vicina a Luzzani
mormorò pianissimo:
- Dillo
solamente a me!
Luzzani che
ne schiattava dalla voglia le soffiò all'orecchio:
- «Mio
adorato Gustavo».
-
Impossibile.
- Giuro.
- Che c'è? -
Che avete detto? - Cosa ha detto Luzzani, «mio adorato Gustavo»? - Impossibile!
- Che significa? Savonarola non si chiamava Gustavo. - Eh? Che cosa?… Non ho
capito. - «Mio adorato Gustavo». Oh! cielo! Ma questo è il principio di una
lettera. - Varisco che fai? Lascia vedere. - Si può forse trattare il tema per
lettera? - Sì. - No. - Lasciami stare. - Impertinente! - Villana! - Lo dirò
alla signora. - No. - Sì. - Taci.
- Cos'è
questo subbuglio? - tuona minacciosa la voce della maestra. - È il modo di gridare?
Sono signorine o sono monelli che ho in classe?
Questa volta
è fiato sprecato. Il demonio della curiosità domina tutte le ragazze che
vogliono leggere a qualunque costo la singolare composizione, spingendosi,
urtandosi, fino a che la maestra si accorge dove è veramente il focolare della
sommossa e con accento imperiso chiama:
- Varisco!
L'interpellata
si fa pallida. Tutte le altre palpitano per la commozione del momento, ma
nessuna parla più.
- Varisco,
che cosa ha davanti?
Le due mosche
sulla tenda color arancione produssero forse l'indistinto stridore che seguì
queste parole, o forse fu un tentativo di Varisco per far sparire il foglietto?
Comunque, il suono non era ancora svanito nell'aria che la mano della maestra
piombò con destrezza di avvoltoio sul malaugurato foglietto e lo portò via al
di sopra delle teste esterrefatte delle scolare.
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Nel gabinetto
della Direzione era stato radunato un Consiglio d'urgenza. La direttrice
severa, imponente, con un gran naso grifagno a cavalcioni della faccia
giallognola rammentava lontanamente Pietro Arbuez, il terribile inquisitore.
Della stessa famiglia appariva la maestra, irritatissima perchè lo scandalo era
avvenuto nella sua classe. Più mansueto e bonaccione si mostrava don Celso, il
catechista, il quale riusciva persino a sorridere di tanto in tanto mentre
coll'occhio mite di linfatico percorreva le linee sottili del corpo del
delitto.
- Non c'è che
dire. Sembra una lettera portata fuori tale e quale dal «Segretario galante». E
la fanciulla è?…
- Varisco.
Emma Varisco, di quinta.
- Quella
brunetta che sembra una zingarella?
- Non ho mai
visto zingari, - disse la maestra con piglio sdegnoso, - ma è ben degna di
somigliare a simili banditi una che si permette tali cose; nell'aula della
scuola! alla mia presenza!
- Che
direbbero mai le «Orsoline» se lo sapessero! - esclamò la direttrice giungendo
le mani quasi a scongiurare il pericolo. - Esse che accusano il mio educandato
di mancanza di religione! Sarebbe un discredito senza esempi.
- Non lo deve
sapere nessuno, - consigliò il catechista, - pur che le condiscepole non se ne
sieno accorte.
- Lo sanno!
Lo sanno! - gemette la maestra. - È questo lo scandalo. Quella Luzzani
maliziosa come Lucifero l'ha letta certamente o tutta o in parte e riferita
alle compagne.
Don Celso
tornò a guardare il foglietto che aveva in mano. «Mio adorato Gustavo! Da quel
giorno che ti ho veduto bello come un angelo e fiero come un soldato».
- Non ha
l'antitesi molto felice, Varisco.
- È una
scribacchiona, - interruppe la maestra, - lascia scappare dalla penna tutto ciò
che le passa per quella testa sventata, senz'ordine, senza stile.
- E chi sarà
Gustavo? - osservò la direttrice. - È necessario saperlo.
- Probabilmente
qualche cuginetto, - soggiunse don Celso con intenzione di attenuare la colpa.
- Bisognerebbe interrogare la ragazza. Alcune frasi della lettera inducono a
credere che legge romanzi. «l'ebbrezza che provo pensando a te….» Ah! benedetta
gioventù!
- E come
fanno a leggere romanzi, domando io, colla sorveglianza, colla severità della
nostra disciplina!! Chiamatela, chiamatela subito.
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La fanciulla
venne, a testa bassa, accartocciando le cocche del grembiule.
- È lei che
ha scritto questa lettera? - domandò la direttrice con un cipiglio tale che, se
fosse stato una saetta, di Varisco non rimaneva più neppure un capello.
La testa
della fanciulla si abbassò più ancora ma non rispose.
- Chi tace
acconsente. Possiamo prendere il suo silenzio per una confessione; anzi è desso
la prova più sicura dello stato della sua coscienza. Ah! si vergogna ora? Non
osa sollevare lo sguardo verso i suoi superiori? Ma con quali parole chiameremo
noi la incredibile sfrontatezza sua che non si peritò di portare l'onda impura
di tali sconcezze in mezzo alle innocenti compagne, nel sacrario
dell'educandato, sotto i nostri occhi? Non sa che con questo documento in mano
io potrei scacciarla ignominiosamente additandola all'obbrobrio di tutti gli
onesti?
Uno scoppio
di pianto interruppe la sfuriata. Don Celso credette bene di appoggiare una
mano sulla testa della colpevole soggiungendo:
- O
figliuola, figliuola l'hai fatta grossa.
La direttrice
per nulla intenerita continuò acerbamente:
- Ci vuol
altro che piangere quando il male è fatto! Chi rimedia allo scandalo dato? E
chi è questa persona?
Varisco,
sempre muta come un pesce, nuota nelle proprie lagrime ed asciugandosele col
grembiule lascia sfuggire dal taschino di esso una piccola fotografia che la
maestra raccoglie prontamente, guardandola prima, gettando un grido di orrore
poi:
- Anche
questa ci voleva!
Il cartoncino
passa nelle mani della direttrice che a momenti sviene. Don Celso si accomoda
gli occhiali e guarda anche lui. È il ritratto di un bel giovane dai lineamenti
regolari, dall'attitudine ardita, dallo sguardo fiammeggiante; sotto c'è
scritto: «Gustavo alla sua adorata Emma».
- Questa
faccia non mi è nuova, - pensa don Celso.
E la maestra
al colmo dell'indignazione esclama:
- Ma è dunque
una tresca in tutta regola!
La
direttrice, a giudicare dall'apparenza, sta forse per decretare la morte di
Varisco, quando don Celso, vedendo la fanciulla nel colmo dell'abbattimento,
accasciata al suolo, la solleva con dolcezza e le dice:
- Andiamo,
Varisco, un po' di sincerità. Sarai perdonata se aprirai interamente l'animo
tuo a chi vuole il tuo bene. Fosti condotta a un passo sconsigliato, poverina;
lo capisci anche tu, nevvero, di aver fatto cosa contraria alla modestia, alla
verecondia, che sono le più belle doti di una fanciulla? Sei pentita, nevvero?
Su, animo. Dio è misericordioso coi più fieri peccatori; lo sarà anche con te
che non avesti certamente l'intenzione di offenderlo. Non l'avesti, di',
l'intenzione di offendere Dio?
A queste
buone parole, a questo grave scongiuro, la fanciulla sollevando finalmente il
capo protestò energicamente:
- No, no, non
volli offendere Dio!
Messa così a
posto la questione principale don Celso riprese:
- Devi dir
tutto figliuola. Perchè hai scritto quella lettera? Chi è Gustavo?
Una grande
confusione, un tremore, uno spavento ignoto le paralizzavano le parole. Il buon
prete la incuorò con un'altra carezza sulla testa:
- Via,
andiamo, chi è questo signor Gustavo?
- Nessuno, -
mormorò la fanciulla.
- Anche
bugiarda! - inviperì la direttrice.
- Pace, pace,
- disse don Celso, - non la spaventiamo. Se non vuoi dirmi chi è Gustavo, dimmi
allora di chi è questo ritratto. Sarà bene di qualcuno!
- Io non lo
so, - mormorò ancora Varisco tutta confusa.
- Spiegami
allora come si trova in tuo possesso.
La fanciulla
esitò, arrossì, volle tornare a piangere ma un sorriso venne suo malgrado a
volteggiarle sulle labbra. Disse pianissimo:
- L'ho vinto
alla riffa.
- Volevo ben
dire! - esclamò don Celso rimettendo gli occhiali, - che non era una faccia
nuova. Costui è Langiewitz!
I nasi della
direttrice e della maestra disegnarono nell'aria un immenso punto
interrogativo.
- Sì, -
completò don Celso, - Langiewitz, l'eroe polacco morto da mezzo secolo.
Tutto fu
spiegato. Varisco aveva realmente vinto il ritratto in uno di quei giuochi che
fanno le ragazze nascondendo fiori o disegni tra i fogli di un libro ed
estraendoli a sorte. Un po' romantica e colpita dalla bellezza del giovane sconosciuto
se ne formò subito un ideale chiamandolo Gustavo. Era stata lei a scrivere
sotto il ritratto «Gustavo alla sua adorata Emma».
- Ha fretta
questa figliola, - concluse don Celso ridendo bonariamente nel darle un
buffetto sotto la ganascia.
Ma l'ultima
parola la pronunciò la direttrice:
- Otto giorni
a pane ed acqua.
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