Vecchio walzer
La marchesa
Stefania Accoramboni rientrando quella sera nella propria camera aveva un volto
così animato e le mosse così giovanili che la cameriera, al suo servizio da
trent'anni, se non fosse stato per il rispetto era sul punto da esclamare:
«Come è bella oggi, signora marchesa!». Osservazione troppo confidenziale per
una cameriera di stampo antico ed offensiva anche, in un certo senso, perchè
implicava il sospetto che la marchesa potesse essere qualche volta meno bella.
Senza dubbio
coloro che non sanno disgiungere la contemplazione di una donna da una
immediata sensazione di desiderio avrebbero trovato che la marchesa era fuori
combattimento; ma vi sono pure, per quanto rare, persone di gusto delicato
capaci di intendere il fascino sottile di tutto ciò che muore, di un cielo
velato, di una rosa appassita, e quelle persone ammiravano nella marchesa
Accoramboni la maestà elegante della figura che gli anni non erano riusciti a
piegare, la linea giovanile della testa che aveva conservato quasi tutti i suoi
capelli, la grazia del sorriso che mostrava intatti quasi tutti i suoi denti e
la piccola mano appena impallidita nella gradazione signorile di un fine avorio
sul quale fossero passate le labbra di una schiera ristretta ma appassionata di
fidi adoratori.
Nulla della
degradante rovina che sembra in certe donne abdicare, oltre ai distintivi del
sesso, perfino alla dignità umana, turbava in questa privilegiata l'equilibrio
perfetto di una mente rimasta giovane in un corpo rimasto sano. Se ella non
avesse già avuto nell'antichissimo stemma di famiglia il motto degli
Accoramboni avrebbe potuto scegliere questo: «Frangar non flectar», tanto la
sua avvenenza sembrava intangibile.
Non si nega
che qualche ritocco sapiente qua e là cooperasse al risultato finale di un
fascino che si esercitava senza pericoli ma non privo di compiacenze sopra una
società raffinata e cortese, la quale, avvezza da un terzo di secolo a ripetere
«la bella marchesa Accoramboni», non vedeva la necessità di modificare
l'aggettivo. Diceva a tal proposito il vecchio generale di Rocca Latour, che
era stato ufficiale nelle Guide e grande seduttore al cospetto di Dio: «Vi è
restauro e restauro. Bisogna distinguere, perchè tutto dipende dal merito
dell'oggetto restaurato e dalla abilità del restauratore. Convengo che a rifare
una cappella rustica e goffa si perde tempo e denaro e impiastricciando
malamente di pittura volgare un affresco prezioso scolorito dal tempo si
offende l'arte e si disgustano gli occhi degli esteti; quando invece un tempio
degno è degnamente conservato alla nostra ammirazione tutto è per il meglio e
dobbiamo rallegrarcene. Non vi si celebreranno più i divini uffici, ma
innalzato all'onore di monumento nazionale ci darà ancora una gioia per le pupille
e un volo per il pensiero».
La marchesa
Accoramboni rientrava dunque quella sera nella sua camera (dopo di avere
assistito alla scritta nuziale della figlia di sua figlia) con passo elastico ed
occhi scintillanti. Era più che sera, veramente, poichè la pendola di marmo
nero incrostata di rame dorato sullo sporto della caminiera segnava il tocco e
mezzo. Ella peraltro non vi diede neppure un'occhiata e sedendo sul divanino di
damasco giallo, fra le due finestre, sembrava disposta anzichè ad andare a
letto a continuare per suo conto una piacevole conversazione interrotta.
- La signora
marchesa sarà stanca, - disse a buon conto la cameriera per tastar terreno.
- Affatto.
Non ho punto sonno. La serata è stata bellissima.
Tuttavia,
scorgendo sul volto della vecchia donzella quel bisogno di riposo che ella non
aveva, mossa a compassione e non volendo trattenerla oltre, le porse
gentilmente il collo per farsi slacciare la collana di brillanti.
- Come stava
bene la signorina nel suo abito rosa! - disse ancora la cameriera.
- Sì, stava
bene, ed era tanto felice. La sua felicità mi faceva ringiovanire.
- La signora
marchesa non ne ha bisogno.
- Non farmi
dei complimenti, cara, ne ho già ricevnti troppi questa sera. Dammi l'acqua
bollita e andiamo a letto da quelle due povere vecchie che siamo io e te. Ma
prima toglimi l'abito, voglio stare un po' in libertà.
Intanto che
la cameriera sfilava le brevi maniche dell'abito di velluto la marchesa sostò
un istante a riguardare le proprie braccia, quelle braccia che erano state uno
de' suoi principali vanti, che vedove ormai di materiali amplessi apparivano
pur degne nel loro esiguo candore di stringere ancora il sogno. La cameriera la
coperse poi con un leggero accappatoio e destramente, acconciandole il capo per
la notte, ridusse a metà l'onda dei ricci.
- La signora
marchesa fa il massaggio ora?
- No, no. Va
pure a letto. Tutto è pronto nello spogliatoio?
- Ma se vuole
che resti alzata….
- No, ti
dico. Mi coricherò da sola.
- La
bendatura….
- Niente,
niente questa sera. Va a letto.
- Le tolgo le
scarpe almeno?
Con un lieve
moto d'impazienza la marchesa tese prima l'uno poi l'altro de' suoi piedini che
liberati dallo stretto scarpino nero a ricami di giaietto ebbero un guizzo
doloroso, in causa di un piccolo callo al mignolo, ma che furono subito messi a
posto entro due pianelle foderate di cigno, morbidissime.
- Ed ora va.
La marchesa
aveva gran bisogno di rimanere sola per richiamare all'ordine le sue idee
scompigliate dalle diverse emozioni di quella serata memorabile. Anzitutto le
belle nozze della nipotina adorata, nozze d'amore e di fortuna insieme, mentre
colmavano i più ambiziosi de' suoi desideri rimovevano pure quelle dolci ceneri
del passato che in un cuore di donna non diventano mai fredde interamente. È
questa una soddisfazione che la natura riserba alle madri e alle nonne di
rivivere nelle loro creature al punto che i successi delle figliuole sono come
successi propri.
Precisamente
così. La carnagione squisita di camelia che tutti avevano ammirato nella
giovane fidanzata non era forse la sua, la sua carnagione di un tempo, quando
ella pure portava abiti color di rosa, ed aveva quella vitina così sottile, e
quei magnifici capelli ondulati sugli omeri? Ognuo degli sguardi che il
fidanzato rivolgeva alla sua graziosa promessa e che la marchesa afferrava a
volo, le dava la sensazione di ritrovare in un bosco dove ci credevamo perduti
un sentiero noto. Ella si sorprese a sorridere quando i due si sorridevano e in
un momento in cui il giovane chinandosi verso la fanciulla per dirle una parola
la fece arrossire, commossa, la marchesa pure si sentì affocare la guancia dal
riflesso di una fiamma lontana…. Era stato allora che un'amica, esagerando un
poco, come succede, le mormorò all'orecchio: «Non sembri la nonna ma la sorella
maggiore».
I complimenti
non ubriacavano la vecchia signora piena di spirito e di esperienza. Ella li
accoglieva come moneta dovuta, buttandoli con indifferenza nel reparto della
sua memoria dova se ne erano già accumulati tanti, dove se ne sarebbero
accumulati ancora, fiori di carta della gentilezza; sempre fiori però e per ciò
cari alla sensibilità femminile.
Una cosa che
la marchesa voleva evitare ad ogni costo era il ridicolo delle donne mature che
pretendono ancora di fare delle vittime nel sesso forte. Conservarsi bella, più
bella che poteva, aiutare in tutti i modi la natura che già le si mostrava
tanto favorevole, sta bene. Era per lei questione di decoro, di buon gusto, di
fine educazione; era un bisogno per sè stessa, per non inorridire davanti a uno
specchio, ed anche perchè se l'aspetto della vecchiaia è poco accetto dovunque
e una vecchia rinfronzolita fa schifo, nondimeno una vecchia trascurata che
presenta la testa calva e le mani ad uncino è altrettanto ripugnante. La giusta
misura, l'equilibrio, ecco ciò che voleva la marchesa. Per questo la stoffa de'
suoi abiti era di prima qualità, ma il colore severo; la sua conversazione
amabile, anche gaia, ma di una gaiezza contenuta dove passava come un velo
gettato sopra una nudità procace il soffio ineffabile di una dolce malinconia;
malinconia nobile, rassegnata, che non la rendeva punto infelice, che solo
toglieva al piacere di vivere una parte di volgarità.
Staccata da
lungo tempo dai pensieri amorosi le accadeva qualche volta di provare una
bizzarra sensazione, ed era quando percorrendo rapida le vie colla snella
persona affondata nelle pelliccie invernali che la nascondevano per metà,
sentiva posarsi su di lei uno di quegli sguardi di uccello da preda che gli
uomini sogliono lanciare alle donne giovani. La marchesa allora affrettava il
passo, fuggendo con una specie di pudore a ritroso da ciò che le sembrava una
complicità di inganno.
Ma quella
sera, quella sera ella aveva avuto il migliore de' suoi trionfi, bella nonnina
ammirata, invidiata.
Ora, seduta
sul divano giallo in mezzo alle due finestre, intanto che ritirava ad uno ad
uno gli anelli dalle dita sottili, vedeva ripassare nella mente la figurina
graziosa della fidanzata e il fidanzato anche, così tenero, così affettuoso,
ravvolti entrambi in quella luce siderale dell'amore felice ma non ancora
soddisfatto che tinge ogni cosa intorno di un riflesso divino: nè la cornice
faceva torto al quadro, chè era per tutto l'appartamento un olezzare di fiori,
uno splendere di doppieri di vecchio argento, un avvicendarsi di parenti e di
amici tutti sorridenti, tutti recanti il loro augurio agli sposi.
E poi…. (gli
usci erano chiusi, la cameriera lontana, il silenzio signore della notte) la
marchesa osò riaffacciarsi ad un'altra visione. Quattro occhietti lucidi la
guardavano, è vero, dall'alto della caminiera ma appartenevano a due statuine
rappresentanti Dafne e Clori le quali fiancheggiavano la pendola di marmo nero
incrostata di rame dorato e la marchesa non ne ebbe paura. Stavano là da tanti
anni, dovevano avere tanta esperienza del mondo!…
Sulle…. sulle labbra….
Le prime note
di un walzer roteavano, turbinavano nelle orecchie della marchesa. Oh! non era musica
classica quel walzer di Luigi Arditi: «Il bacio». Le sue nipotine avrebbero
riso di una composizione così semplice, volgaruccia, musica per le gambe! Ella
pure, la marchesa, se lo era scordato insieme al vezzo di coralli e alla
ghirlandina di rose che avevano accompagnato il suo grande ingresso nella
società. Pure quelle note saltellanti, piene di brio, riaffacciatesi così
improvvisamente alla sua memoria, cancellavano il lavoro di un terzo di secolo.
Ella non giudicava. Sentiva. Sentiva l'onda della sua giovinezza ritornare a
lei, fremere, spumeggiarle intorno, sollevarla, cullarla. Il tempo? Ma il tempo
non esiste che fuori di noi. Nel nostro cuore, nel nostro cervello, siamo noi i
padroni del tempo: vecchi a trent'anni o giovani a sessanta.
Stavano
suonando una fuga di Bach nella gran sala di cerimonia quando una voce alle sue
spalle aveva mormorato sommessamente:
- Ricorda,
marchesa, «Il bacio» di Arditi?
Ella si era
voltata sussultando ma senza riconoscere il vecchio sdentato e sorridente che
le aveva rivolta la singolare domanda.
È sempre
penoso dover confessare ad una persona che non la si riconosce. La marchesa col
suo tatto delicato faceva sforzi incredibili per evitare al suo interlocutore
questa piccola mortificazione. Fu lui che replicò senz'ombra di amarezza.
- Sono
cambiato nevvero? L'eterna giovinezza è privilegio delle Dee.
- Ah, - fece
la marchesa rammentando a un tratto, - Vendramin!
Conte
Vendramin, ora. Al tempo in cui lo aveva conosciuto si chiamava semplicemente
Gigi Vendramin, ma aveva vent'anni ed era un compenso.
- Un risorto,
marchesa. Ho passato tutta la vita all'estero. Sono qui questa sera perchè sto
per diventare un poco suo parente…. vi fu un giorno in cui desiderai esserlo
molto….
- Infatti -
soggiunse vivacemente la marchesa a cui si tinsero le guance di un leggero
incarnato - i Vendramin sono congiunti alla famiglia del fidanzato di mia
nipote.
Allora
incominciarono a sgranare un fitto rosario di memorie! il come e il dove si
erano incontrati la prima volta, la schietta allegria, il tripudio spensierato
di quell'età; e la tale e la tal altra cosa, e la tale e la tal altra persona;
quanti fuggiaschi, quanti morti, quanti smarriti lungo la via! Il vecchietto
ritornava con particolare compiacenza a quel waltzer di Arditi.
- Se lo
abbiamo ballato, eh?
La marchesa
assentì con un grazioso movimento del capo.
- E cantato.
- Anche.
- E messo in
esecuzione un poco…
- Oh! che
dice mai! Questo poi no.
- Un poco
appena…. per mio conto…. col desiderio. «Sulle…. sulle labbra…. se poteeessi….»
Sono le parole del walzer.
Accennando a
bassa voce il motivo gli occhi del vecchietto brillavano.
- Vendramin,
siamo seri.
Così aveva
detto la marchesa agitando nobilmente con moto lento il suo ventaglio di piume
nere. E Vendramin smorzava sotto un inchino rispettoso lo sfavillare delle
pupille.
Ma tant'è, la
stura era data allo spumeggiante vino dei vent'anni e la marchesa se lo sentiva
correre nelle vene come un'onda di sangue rinnovato. Era quello il segreto dei
suoi sguardi più luminosi, delle sue guance più rosee, del suo collo più eretto
mentre si sottraeva con dotta modestia ai complimenti che fiorivano sul suo
passo. L'aveva seguita, il dolce segreto, nel rifugio della camera sacra
all'intimità, la urgeva nell'ora della stanchezza contendendo le sue forze al
sonno. Con un braccio arrotondato sulla spalliera del divano, sciolto l'altro
mollemente nel grembo, la marchesa non sapeva staccarsi dai leggiadri fantasmi
del suo passato. Al pari di Faust il suo cuore implorava: Arrèstati ora felice!
Un po' di
tosse venne bruscamente a strapparla al fascino. Guardò la pendola: mancava un
quarto alle tre.
- Coraggio! -
disse a sè stessa; e si alzò.
Venti minuti
buoni passarono ancora prima che la marchesa potesse sollevare la coperta di
pizzo del suo letto. Ella era entrata nello spogliatoio dove una fila discreta
di oggettini misteriosi e di vasetti variopinti faceva bella mostra sul piano
levigato della teletta.
Quando ne
uscì, imbevuta di indistinti profumi, cinta di candida batista e toccò
finalmente le coltri, si sovvenne di ingoiare una pillola che era il suo
abituale viatico per la notte. Un po' umiliata da tante manovre dovute eseguire
per la propria conservazione la marchesa diede un gran sospiro e spense la
fiammella elettrica.
Dobbiamo noi ringraziare
o maledire quella arcana potenza che raddoppia la nostra vita creando per noi
soli innumeri mondi, talora, pieni di orrore, tal altra attraversati da
celestiali visioni? La marchesa stendendo nel letto le vecchie membra parve
disfarsi di esse e librando a volo l'immaginazione nutrita dalle rimembranze
della sera ripiombò tutta nel suo passato più lontano, pur conservando
coscienza di essere stata vecchia, quanto dire con una intensità di godimento
quale non può essere data che dal sogno.
Si vedeva in
una grande sala da ballo circondata da specchi che riflettevano il suo volto di
quindici anni. Impressione inaudita! il suo volto di quindici anni, fresco,
ridente, il volto di Stefania prima che diventasse la marchesa Accoramboni. La
gioia di ritrovarsi così giovane le faceva balzare il cuore, la riempiva di
un'estasi cui nessun'altra era paragonabile. Sorrideva a sè stessa nelle ampie
specchiere dove si profilavano, come allora, altri volti di fanciulle, e, come
allora, il suo era il più bello di tutti.
Sulle… sulle labbra….
La
materialità del suono non giungeva alle sue orecchie, ma ella sentiva il
waltzer di Arditi e insieme un formicolio di sangue nelle vene, una voglia
pazza di ballare. Non fu Vendramin che venne a richiederla di un giro, no. Fu
un giovinetto del quale non riusciva bene a distinguere la fisionomia. Un
nuovo? Un dimenticato?… Si presero per la mano, egli le cinse la vita con un
braccio e subito una grande dolcezza la invase. Passando dinanzi agli specchi
vedeva ora un altro volto chino sul suo; che volto? chi era? un nuovo? un
dimenticato?… Sempre le sfuggiva la fisionomia, ma cresceva la dolcezza del
girare, cresceva, cresceva…
Oh! come si
amavano! Egli non glielo aveva però detto e il soave mistero che stava ancora
rinchiuso nella cerchia degli occhi la avvolgeva tutta di un magico incanto.
Amava! Era amata!
La visione a
questo punto si confuse un poco. Non più sala, non più specchi, non più lumi.
Cessata la musica. Ogni cosa intorno sembrava sfumare in una evanescenza
inconsistente. La realtà stava per vincere il sogno. Ma il giovinetto dal volto
irriconoscibile stringendola vieppiù nelle sue braccia le aveva accostato le
labbra alle labbra e la marchesa si destò con un gran grido sotto l'impressione
di un bacio ardente.
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E perchè no?
Perchè la marchesa non avrebbe chiuso quel bacio fra le sue memorie più
intimamente care? Un sogno! Ma che erano state se non sogni le promesse di
altri baci menzogneri, il miraggio di altri amori? Era sicura la leggiadra
fidanzata della sera innanzi cui appariva sì lieto il talamo di ritrovarvi
sempre il sapore del primo bacio? Conosce l'amore voluttà più alte di quelle
che dà l'illusione?
La marchesa
non lo credeva. Un bacio ancora le aveva riserbato la vita, il più puro, forse
il più vero perchè nessun disinganno poteva distruggerlo ed ella ne accolse in
seno la profonda dolcezza. Chi sa! Il giovinetto dal volto irriconoscibile era
forse Colui che ella aveva atteso invano fino allora.
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