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Luigi Arnaldo Vassallo Gli invisibili IntraText CT - Lettura del testo |
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Le cinque sedute
La prima
Le sedute si tennero, abitualmente verso le ore ventuna, nella sala del Circolo Minerva, chiuso a chiunque non appartenesse al gruppo degli sperimentatori. La prima seduta si svolse la sera del 18 dicembre. Dirigeva, per comune consenso, il professor Francesco Porro. Erano presenti, oltre a me, quattro persone che, per facilità di narrazione, designerò con questi nomi convenzionali: il dottor Venzi, il signor Prati, il signore e la signora Morani. Benché la sala già sia stata descritta dal Porro, credo necessario ripetere. È una sala quadrata con due finestre, chiuse da solide inferriate, dai vetri e dagli scuri che combaciano ermeticamente. Il vano della finestra presso cui siede la Palladino è poi chiuso da una tenda bianca e da due ampi cortinaggi scuri, che scendono fino a terra costituendo così il gabinetto medianico, propizio ai fenomeni di materializzazione. Una lampada elettrica interna può, quando occorra, rischiararlo. Oltre le sedie, la sala non contiene altri mobili che questi: un tavolino rotondo, una tavola di legno bianco, rettangolare, abbastanza capace perché sei o sette persone vi stiano sedute attorno, e un tavolone assai più lungo e molto pesante, a foggia di scrivania appoggiato presso il muro che intercede tra le due finestre. Lampade elettriche sono congegnate in modo da rischiarare con luce bianca o luce rossa, secondo i casi: la luce rossa, però, per quanto attenuata, è molto viva: dopo essersi abituati qualche minuto, non differisce dalla bianca e permette di chiaramente distinguere ogni minima particolarità.
Il gruppo siede intorno alla tavola bianca, di fronte alla tenda. L'Eusapia è nel centro, le spalle alla finestra. La signora Morani ne tiene la mano sinistra e il piede sinistro: io la destra e il piede destro. Una volta per sempre, dirò che, a frequentissimi intervalli, con insistenza quasi noiosa, l'uno e l'altra, verificando il pollice della medium, avvertiamo i presenti d'avere conservato il rispettivo controllo; segnalazione che, nella prima seduta, torna pressoché inutile, poiché i tre quarti dei fenomeni succedono in piena luce, e la medium, i suoi atteggiamenti, le sue mani sono senz'altro visibili a tutti. Il gruppo forma la catena, vale a dire ognuno tiene le mani dei suoi vicini. Tal catena è una garanzia reciproca: forse, aiuta i fenomeni, ma non è punto necessaria. Tanto vero che, spesso, le manifestazioni più intense e più certe avvengono quando la catena è in parte o del tutto interrotta. Così pure, chi ha conoscenza ampia della materia, sa che non serve a nulla neanche tenere il medium. Parecchi gruppi, e mi parrebbe il miglior sistema, a esuberanza di controllo, preferiscono chiuderlo senz'altro in una specie di gabbione isolato, che basta a escludere ogni tentativo sospetto.
Qui, stimo utile, a uso dei profani in materia, dire in succinto alcunché sopra l'essenza delle facoltà medianiche. Il medium è un individuo più o meno costituito come tutti gli altri esseri, ma ha la facoltà di proiettare, di esternare, di emanare, d'irradiare una massa di forze fisio-psichiche che, a detta di alcuni, basta senza altro a provocare i fenomeni: secondo gli spiritualisti, invece, rappresenta un serbatoio di forze materiali alla cui entità allo stato fluidico attingono gli elementi necessari per compiere atti identici a quelli dei viventi. Il medium quindi non è già, come tanti suppongono, una specie di mago Sabino, capace di far danzare folletti e gnomi, nè un dottor Faust che, coi pentagrammi e le formule magiche, sappia evocare Mefistofele: il medium non dispone di nessuna potenza attiva o soprannaturale: anzi deve adattarsi a una passività incosciente: così che delle sue facoltà non ha né merito, né colpa. Tutti abbiamo i mezzi per nuotare, per far dei salti mortali, anche, e per andare a cavallo: eppure, relativamente assai scarso è il numero dei palombari, degli acrobati, dei perfetti cavallerizzi. Altrettanto si può dire delle facoltà medianiche: è lecito supporre che esistano latenti in ciascuno di noi, eppure soltanto un ristretto numero di individui è capace di mettere in azione tali forze occulte. Si può intanto al punto in cui siamo, affermare col dottor Visani Scozzi: - Noi dobbiamo ritenere il medium come un ipnotico puro, o come un ipnotico isterico, se si tratta di gradi alti della medianità. A tal seconda categoria, con caratteri accentuati, andrebbe assegnata, a giudizio degli scienziati, Eusapia Palladino: vale a dire un essere facile all'eliminazione parziale o totale dell'io cosciente, a una disintegrazione delle facoltà automatiche, che possono essere dominate, una per una o nel loro complesso, come la tastiera d'un pianoforte. Come e perché, nessuno sa. Noi non sappiamo perché la calamita attragga il ferro e non il sughero: perché l'elettricità passi attraverso il rame e non attraverso il vetro: perché la gallina faccia l'ovo e l'ovo la gallina: dobbiamo dunque limitarci a studiar gli effetti, in attesa che più acuto ordine di indagini venga a rivelarci la causalità.
Siamo dunque seduti in catena, in piena luce, e la Palladino è sveglia e cicaleggia alcuni minuti, colla sua parlantina disinvolta. A poco a poco, s'accheta e man mano il viso prende tutt'altra espressione. In luogo dell'aspetto gioviale, i lineamenti sembrano come cristallizzarsi in una maschera tragica del teatro antico. La medium ha qualche sussulto e più tardi sembra abbandonata in uno stadio di leggera ipnosi, appoggiando talora la testa, come stanca, sopra la mia spalla sinistra. In piena luce, vediamo il tavolino tondo, a un metro dalla medium e da nessuno tocco né sfiorato, avvicinarsi, strisciando sul pavimento, alla tavola nostra. Sul tavolino stanno una tamburella, un mandolino, una cornetta ciclistica e un'armonica. Giunto presso la tavola il tavolino si solleva, come se una mano robusta lo reggesse al piede, si inclina e rovescia sopra la tavola nostra tutti gli strumenti, dopo di che si abbassa e ritorna al posto primitivo. I colpi convenzionali chiedono l'oscurità. Non appena spenta la lampada elettrica, tutti gli strumenti suonano, vagando in aria nei punti più disparati della sala e la cornetta ciclistica, soprattutto, sempre squillando, sembra trascinata da vorticosa celerità. Sento appoggiarmi leggermente qualche cosa sul torace: è il mandolino, sorretto da due braccia, che mi stringono amichevolmente, come se la persona che lo regge fosse in piedi dietro di me. Le corde vibrano di arpeggi. Poi, la tamburella mi viene posta delicatamente sul capo. Fenomeni pressoché consimili son denunciati dalla signora Morani e da altri.
A un certo punto, sento una mano assai larga, potrei dire il doppio di quella della medium, posare, con carezzevole pressione, sopra le mie spalle. Tosto esclamo: - A giudicare dalle dimensioni, direi che è la mano di John King. Non ho finito, che tre manate sul dorso, amichevoli ma poderose, intese da tutti (tre colpi significano: si) paiono confermare la mia supposizione: si tratti cioè del noto spirito-guida, che sembra presiedere a tutti i fenomeni della medium. Seguono carezze quasi affettuose, non più d'una, ma di due grosse mani ben distinte: poi il mio braccio destro viene proteso in alto e sento sulle dita lo strisciare vellutato di barba o capelli finissimi e morbidi come seta: provo cioè la sensazione identica che John ha procurato a quanti, e sono una falange, hanno partecipato a tali sedute. Ci si ordina di far luce: e al chiarore elettrico vediamo gli strumenti essere tornati al primitivo posto, sopra il tavolino tondo, ch'è nel suo cantone abituale. E in piena luce, tutti noi vediamo il mandolino levarsi, in senso orizzontale, come sorretto da due mani invisibili, avvicinarsi all'omero destro della signora Morani, rimanere immobile in tal posizione, isolato, all'altezza d'un metro e venti da terra: e in tal posizione, fa sentire vari accordi precisi, per modo da dover ammettere che una mano prema le corde contro il manico e un'altra le faccia vibrare. Tal fenomeno dura lungamente, per modo che parlare di allucinazione parziale o collettiva sarebbe un'ipotesi stupida. Sempre in luce, altri fenomeni seguono, che ometto, perché a sazietà ripetuti in resoconti di sedute consimili e vengo a quelli di ordine più elevato.
Viene chiesto a John se altre entità siano presenti e s'egli possa aiutarle a manifestarsi. Tre colpi rapidi danno affermativa risposta. Tosto, in luce, attraverso la tenda oscura, e un palmo al disopra della testa semi-sonnecchiante e immobile dalla medium, nettamente appare, visibile a tutti, una mano giovanile, affusolata, nervosa, che fa cenni vivaci e graziosi di saluto, specialmente verso la direzione mia. La mano, con una parte di polso, rimane visibile per parecchi secondi. Viene chiesta l'oscurità e tosto intorno a me avvengono, con un prorompere esplosivo, manifestazioni di gioia. Sento distintamente un contatto di persona a tergo: due braccia mi stringono fortemente, mi riallacciano appassionatamente più e più volte, con slanci di tenerezza: due mani delicate e nervose, i cui caratteri corrispondono a quella da tutti veduta, mi stringono la testa, mi fanno carezze d'ogni sorta; una luce ch'io non vedo, ma che viene concordemente dagli altri denunciata, sembra circolare il mio capo, e ricevo lunghi, forti, replicati baci, che tutti gli altri distintamente sentono scoccare, al pari di me. Tutto l'insieme dei caratteri di tali manifestazioni fisiche e spirituali non ha per me più nessun equivoco: tanto più che una mano, identica a quella apparsa, rimane lungamente nella mia mano destra (mentre con la sinistra proseguo a stringere la destra della medium, che non ho mai abbandonata, durante l'intera seduta), e la tavola, con rapidi moti tiptologici, compone frasi a me soltanto familiari, come per darmi prova assoluta dell'identità dello spirito filiale, che si manifesta con tanta complessività di caratteri concomitanti, da formare la sua completa e a me ben nota individualità. Pure, a esuberanza, richiedo ancora una prova d'identità, che subito, con quella specie di telegrafia alfabetica, ch'è la tiptologia, mi viene accordata, articolando rapidamente uno dei tre nomi di mio figlio, nome ignoto persino ai più stretti consanguinei: Romano.
Non basta. Io gli dico: - Sai, Naldino, che ho sempre con me un tuo caro ricordo? E tosto un dito si appunta contro la tasca interna del mio soprabito, non solo contro il portafogli, ma sul punto preciso ove sta il ritratto di mio figlio, e preme due o tre volte, con non dubbio significato di tenerezza. Allora, io mi rivolgo a questa entità, dicendogli: - Poiché ti è dato manifestarti in forme così complete e straordinarie, perché non ti fai vedere? puoi? prova... Viene risposto sì e coi colpi convenzionali, si domanda di far la penombra, che consiste nel mettere una candela accesa presso l'uscio, fuor della camera: l'unica luce acconcia a permettere la visione di quanto vado a esporre. Sebbene la luce sia debole, a breve andare permette di distinguere nettamente i profili degli oggetti e quelli di tutti noi. Ignorando quel che fosse per manifestarsi, io guardavo, con intensità d'attenzione, la zona ben luminosa dell'uscio semiaperto, quando a un tratto, sento il dotto Venzi, il signor Prati, il professor Porro, esclamare a un tempo: - Un profilo! un profilo! ... e molto distinto... non vedete? E io, con accento di dolore: - Ah! io non vedo nulla. - Ma dove guardate? - Verso l'uscio... - No... eccolo di nuovo... voltatevi dalla parte della signora Morani. Mi volto verso il punto indicato, e vedo ben nettamente disegnarsi in nero una silhouette precisa che, dalla tenda, tra la medium e la signora Morani, s'inclina sulla tavola portando la testa verso i miei occhi a una distanza al più di venti centimetri, per poi alzarsi. Supplico di farsi vedere ancora e la silhouette tosto si ripiega verso di me, rimane immobile alcuni secondi, poi dilegua.
Rifacciamo la luce piena e allora, sempre allo scopo d'escludere ogni allucinazione personale, senza nulla dire di quel che ho visto o creduto vedere, domando a ciascuno dei presenti (nessuno dei quali ha conosciuto mio figlio) di precisare i connotati della visione. Non solo i vari connotati corrispondono tra loro: ma nella totalità corrispondono così esattamente a quelli di Naldino da non ammettere equivoci. Pure, io ricorro ancora a un esperimento decisivo. Prendo il lapis e, sul piano della tavola traccio esattamente, ponendovi tutta la mia abilità di disegnatore, la silhouette, e tutti ne riconoscono l'identità, specialmente i signori Prati e Porro, i quali erano situati in maniera da scorgere pienamente il profilo apparso. Di tali fenomeni, ragionerò più appresso: ora, esauriamo lo svolgimento della seduta. Rifacciamo il buio, e tornano le manifestazioni di John. Sentiamo levare il tappo a una grossa boccia di cristallo, piena di acqua, che sta sulla scrivania, a due metri dal gruppo. La bottiglia è portata alla bocca della medium e sentiamo, dal glu-glu, che beve parecchio. Dico: - Potrei averne un sorso anch'io? La bottiglia, un momento dopo, viene tosto appoggiata al mio labbro inferiore, ma quasi per burletta, mi si lascia bere un sorsetto e non più. Poi, si rimette il tappo alla bottiglia, che viene deposta in mezzo alla tavola nostra. Si fa luce piena, e la tavola ha levitazione e ondulazioni strane, come di mare in burrasca; mentre la bottiglia, che avrebbe dovuto rovesciarsi e rotolare cento volte in terra, rimane come inchiodata, da mano invisibile, al suo posto. A un certo punto, la signora Morani, quasi molestata dal caldo aumentato dell'ambiente, o causato dalle emozioni, dice: - Mi levo il cappello. Mentre con la sinistra cava uno spillone, a destra, ecco, una mano invisibile le toglie il secondo spillone a sinistra e galantemente le leva di testa il cappello, alla vista di tutti, deponendolo fra le mani della signora trasecolata.
Parecchi altri fenomeni consimili potrei ancora riferire, ma mi preme, né spiacerà ai lettori, un breve esame critico del fenomeno ch'ebbe per principale obiettivo la mia persona. Prima di tutto, io non soffro d'allucinazioni. Quando, e sovente, mi raccolgo in me stesso, e mi sprofondo, con rapimento, nelle più dolci memorie, nelle sacre estasi dolorose e care degli intimi affetti, neppure in tale stato d'animo ho allucinazioni di nessuna specie. Nulla vedo, nulla sento, nessuno mi bacia, nessuno mi tocca. Non ho quindi, non posso avere nessuna dubbiezza circa l'obiettività dei fenomeni, che del resto coincidono con quelli di Fedia, il figlio della contessa Minardi, le manifestazioni del quale sono esattamente descritte dal presente dottor Visani Scozzi. L'unico punto che intendo discutere, in modo chiarissimo, è l'ipotesi balorda d'un trucco della medium, secondo la manovra denunciata da Torelli-Viollier, arme ripresa da ben superficiali osservatori: che cioè la medium, liberando un piede o una mano, possa compiere fraudolentemente i fenomeni.
Sia pure. Io voglio ammettere che l'Eusapia sia riuscita (e non è vero, perché ne sarei stato tosto avvertito) a liberare la sua mano sinistra e relativo piede dal controllo assiduo della signora Morani. A ogni modo è certo ch'ella aveva sempre la destra chiusa nella mia e il piè destro sotto il mio: come è pure certo che non s'è alzata dalla sua sedia, perché un movimento simile non mi sarebbe sfuggito. Ma guardate! voglio perfin concedere che abbia potuto alzarsi dalla sedia. Ma ora, fate mente locale e ditemi: come mai, disponendo d'un braccio e d'un piede, può abbracciarmi con due braccia ben distinte e carezzarmi con due mani, nel tempo stesso, e perfino con due mani, che non somigliano alle sue? Se il suo braccio libero non diventa di due metri e più di lunghezza, come può passarmi dietro, dalla mia sinistra alla destra, circuirmi e toccare coll'indice il portafogli situato a destra? E poi quando abbiam fatto la semi-luce, ella era là, immobile, visibile, al pari di tutti noi e tenuta per le mani e per i piedi, al solito: e come poteva, con quelle sue chiome irte e scarmigliate, con quel profilo aquilino e aguzzo, con la bazza in fuori che la fa parer più vecchia di quel che sia, trasformarsi, per non si sa qual magia, nel profilo tutto diverso d'un adolescente, con i capelli corti, folti e crespi, col mento arrotondato e sfuggente, nella forma d'un viso ovale e delicato? Quella donna grassa, piccola, bonariamente infagottata, è forse simile alle nuvole di Amleto, che mutavan forma, colore, sostanza, a ogni batter di ciglio?
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