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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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DUELLO D’UN MARINAJO

Racconto

 

Un uffiziale di armata di terra, audace e prosontuoso, ostentava sempre la maggior bravura della milizia terrestre a petto della marittima; per quante ragioni gli si dicessero sulla fermezza dei soldati di mare, per le tante fortunose vicende in cui si trovano, ei le teneva sempre un nulla, anzi volentieri procacciava di accattare brighe comarinai. Un era in un caffè di Napoli e predicava quelle sue bravure, e in un angolo stava assiso un capitano di mare. Alcuni che gli erano accosto lo toccarono col gomito e copiedi, per [474] porlo in avvertenza; ma egli quasi lo avesse per nulla, si fe’ da capo a quelle sue ciancie, e disse mille frascherie per esaltare il coraggio dei soldati di terra a fronte de’ marinai.

Intanto il capitano non si commoveva punto, e con fronte sempre uguale seguiva a fumare il suo zigaro. Quel silenzio imbaldanzì il petulante, e quasi fosse fuori di senno tenne tai propositi contro a’ marinaj, per deprimere il loro coraggio, che i circostanti ne ammutolirono: temevano non avvenisse qualche scandalo, se il capitano finalmente se ne sdegnasse. Però era nulla, ei fumava, alcuno giunse mai a scoprire sul suo volto traccia di mutamento.

Appena il millantatore si rimise di que’ cicalecci e tacque, il capitano che era sul finire dello zigaro, si alzò e passatogli vicino, tutto pacato gli disse:

— Signore, io sono un capitano di mare; ricordatevi tutto ciò che avete detto.

E l’altro prosontuoso, quasi credendo d’intimorirlo, lo interruppe:

— E che, vi tenete per offeso? sono pronto a darvi ragione in qualunque modo. —

Il capitano, senza dimostrare risentimento, cavò un biglietto di visita, lo pose sul tavolo:

— Quivi è il mio nome e la mia abitazione: domani mattina alle otto. — Prese un altro zigaro, lo accese, e partì.

Gli amici presenti, parte furono lieti di quanto [475] avveniva, parte incresciosi: ne dissero parole diverse all’uffiziale; ma egli borioso rispondeva di voler provare quanto valessero il suo braccio e il suo coraggio, sollecitava l’ora di andare al duello. Tutto il corse dagli amici, dai conoscenti, narrava la sua ventura; li disponeva a un grande avvenimento; ei credeva di spaventare l’avversario colla sola presenza. Il capitano non ne parlò con alcuno, e attese al solito alle proprie cure.

Venne la mattina, battevano le otto, e, l’uffiziale vestito di tutto punto, era alla porta del marinajo: entrò e lo vide al solito arredato dimessamente, e con voce alta gli disse:

— Eccomi pronto a qualunque arma vi piaccia, e in qualunque luogo. — Il capitano si alza, e lo guarda:

— Benvenuto. — Va alla porta, la chiude, ne leva la chiave, conduce l’uffiziale alla finestra, e accennando all’altezza:

— Quarto piano....

— Lo so: ho fatte le scale....

— Meglio — rispose il marinajo, e gittò la chiave in istrada.

A quel atto l’uffiziale si scosse:

— E che, intendereste fare una violenza? — Pone mano alla spada, tasta le tasche ove tiene le pistole, e si ricompone.

Il marinajo gli indica una sedia a lato di un tavolo, posto in mezzo alla stanza e gli accenna di sedere; egli si pone a quella ch’è dall’altra parte.

[476] In mezzo al tavolo era collocato un bariletto per modo che posava sur un fondo: copriva l’altro un tappo di legno, e pareva un di quegli ove si conciano le acciughe; intorno erano due candele, due acciarini, due pipe, e del tabacco da fumare. L’ufficiale guardò quegli arnesi, e nulla comprese, e già solleticato dal proprio orgoglio, pensò che il capitano intendesse sciorre la disputa con uno scherzo.

— E che, gli disse, m’invitaste a far colazione, o a bere l’acquavite? —

L’altro nulla rispose, e scoperchiò il bariletto: era pieno di polvere da fuoco. Prese quindi l’acciarino, la pietra fuocaja, e l’esca, e postosi vicino a quel bariletto, incominciò a battere la pietra per trarne qualche favilla. L’uffiziale lo guarda meravigliato:

— Ehi camerata! badate... State lontano, che quelle scintille non prendano alla polvere. —

L’altro segue quietamente a battere finchè l’esca s’accende: piglia un zolfanello, desta la fiamma, accende una delle candele, e la pianta in mezzo al barile della polvere. L’uffiziale impallidisce, si commove:

— Ma insomma che intendete di fare? questo è un assassinio. — Si alza, e il capitano lo guarda sempre collo stesso aspetto, col cenno della mano lo invita a sedere e ad aver pazienza, e accompagna quel cenno con uno sguardorisoluto, che l’altro obbedisce; sta però inquieto, sospiroso, [477] frugandosi intorno, guardando ora la porta chiusa, ora la finestra al quarto piano.

Intanto il capitano aveva empiuta una pipa di tabacco, e postala a bocca, trascuratamente torcendosi sulla sedia, la avvicinò alla candela, e placidamente succhiando l’allumò, mettendo dalla bocca molti nembi di fumo e inspirando di nuovo colla pipa sulla fiamma, finchè fosse bene accesa. L’uffiziale era pallido, cogli occhi immobili, quasi non fiatava, perchè vedeva che ad ogni favilluzza che fosse caduta dalla candela o dalla pipa, tutto era finito: il suo coraggio era perduto; la favella gli era fuggita, più non sapeva che si pensasse. Il capitano seguitava placidamente a fumare ed a guardare i vortici di fumo che emetteva, ora dalla bocca, or dal vaso della pipa in cui lo respingeva.

Poichè ebbe quasi consumato il preso tabacco, ripose la pipa sul tavolo, e vôlto all’uffiziale:

— La mia parte è fatta: coraggio: eccovi esca, candela e pipa, fate voi lo stesso — e torse il capo, allungò le labbra per soffiare nella candela e spegnerla. L’ufficiale a quel motto sbalzò in piedi:

— Ah ferma! — e gli pose la mano sulla bocca — se soffi siamo perduti. — Indi stese alla candela ambi le mani, e facendo delle palme intorno ad essa un riparo, la cavò dal barile, prestamente si volse dall’altra parte e la spense: cadde sulla sedia, come chi fuggì un grande pericolo tutto affannoso. Il capitano guardò questa [478] scena tranquillamente, e come vide il rivale assiso e un po’ ricomposto:

— Or via fate la vostra parte, mostrate coraggio.

L’ufficiale più non si tenne, e stendendo le braccia all’avversario:

— Ah! cessate da maggiore prova: sì, io mi do vinto; perdonate alla mia temerità; non v’ha fermezza di coraggio che vinca il vostro; sia pace e amicizia fra noi. — E gli sporse supplici ambe le mani.

Il capitano colla propria gli prese la destra e gliela strinse:

— Dunque misurate meglio gli uomini. — Cavò due tanaglie, schiantò la serraglia della porta e l’aprì; l’ufficiale parve respirare, che non era tranquillo, finchè vedeva sul tavolo quel barile di polvere. Uscì, e com’era ciarliero, era anche di buona coscienza, narrò agli amici l’intrepida fermezza del capitano: lo attese di ritorno al caffè, e gli fu intorno con ossequio: ogni volta che il vide sempre gli fece onore, e fu più cauto in avvenire.

Il capitano non parlava mai di quell’avvenimento, e quando alcuno gliene toccava, scuoteva lievemente la spalla, come se fosse stata una bagattella.

[479]

 

 




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