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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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A

GIROLAMO NOVATI

 

Amico.

 

Tu mi hai comprovato in quest’anno quanto sia dono prezioso un amico fra le sventure: nella perdita di quella dolcissima che creava in me tutti i pensieri, e formava da due anni la beatitudine di mia vita, fra il miserrimo affanno che me ne seguì, tu mi fosti e sei sempre indiviso compagno: tu mi togli a quella solitudine in cui vedo avverarsi quanto dicea il vedovato Alighieri:

 

Pianger di doglia e sospirar d’angoscia,

Mi strugge il cuore ovunque sol mi trovo.

 

solo procuri di sovvenirmi di sollievo nella tristezza, ma con quel tuo animo mite, con quella benevolenza che è sì cara, paziente ascolti i miei lamenti, quanto io ti racconto della mia Erminia. Io pure ti parlo [494] ogni giorno della soavità de’ suoi affetti, del suo colto ingegno e perizia nelle belle arti, come mi soccorresse ne’ geniali studi e come mi cercasse di tutta dolcezza allorchè toccava l’arpa e in ispecie mi suonava le variazioni che ella avea composte, inspirate da quel patetico che è solo del più esquisito sentire. Ti narro quindi la sua fermezza nelle disgrazie, le austere sue virtù, e la pace celestiale onde si apprestava al previsto immaturo fine, solo dolente di separarsi dall’amico del suo cuore.

Fra queste care ed acerbe ricordanze, tu mi ascolti pietoso, già mi rispondi con quel freddo silenzio e quel viso indifferente che suggella nell’animo gli affetti e sul labbro le parole; ma ti commovi e meco quasi piangi al mio pianto. Allora il mio cuore, [495] che dopo quella perdita si è chiuso ad ogni sentimento che non sia di dolore, sente ripigliarsi e versare in una dolce melanconia, giacchè sembra che le umane passioni, pari alle note che formano l’armonia, bisognino d’un accordo per isvolgersi con maggior soavità.

Se io di sì pietoso ufficio te ne sia grato, non accade dirtelo, però te lo testimoni in parte questa breve non so se storia o novella, che mi piace offrirti: in essa a una dira e pur troppo vera sciagura, che tanto a vedere quali fossero que’ Longobardi che gli storici buonamente credettero fino al secolo nostro felicitassero Italia, associai un archetipo che sta sempre sopra a’ miei pensieri: in essa trovai compagnia ne’ momenti che mi mancava la tua e quella [496] degli altri nostri amici, che teco dividono il soccorrere alla mia tristezza. Ben vedi dunque se ti appartenga! Tu poi, e pur di tanto siami cortese, la porgerai ad essi quale arra e pegno della mia riconoscenza, e dirai loro, che fra la vedovanza d’ogni santo affetto, è pure ancora impareggiabile merito l’amicizia.

Forse parrà soverchio, che io ragionassi d’una mia ambascia in queste carte, destinate a venire innanzi al pubblico, che di consueto non vuole sentirsi parlare di private miserie. Ma io dovea pur dire quale motivo mi muovesse a intitolarti questo racconto, perchè alcuno non ti credesse qualche potente a cui prostituissi gli scarsi miei pensieri: so poi che questo pubblico fu spesso indulgente verso molti, che in varie età [497] scrissero a lungo di sciagure simili alla mia. D’altro lato, ho ferma credenza che degnerà solo chinare un’occhiata su questo racconto, chi avrà qualche simpatia cofratelli che il precedettero; e ciò non già perchè in essi sia pure orma di merito, ma perchè forse vi scontreranno qualche cosa che s’accordi col loro sentire. Quindi ad animegentili ed oso credermi amiche, non peserà l’avere udito un mio lamento, anche perchè varranno a intendere la sentenza del coronato Profeta che l’amore è forte come la morte.

I severi poi di gusto che unicamente si pascono di cose meritevoli d’accostarsi agli squisiti palati, que’ gelati cui nausea ogni parola che senta di passionato, vedranno questo tenue lavoro, il cureranno: tal [498] pensiero mi allevia il timore di essere riescito loro increscioso.

Ti associa dunque co’ nostri amici al buon volere de’ primi, accogli quanto solo posso darti, e seguita a consolarmi colla consueta tua affezione.

 

 

Pavia, 1.° aprile 1832.

Il tuo

Defendente.

 

[499]

TEODOTE

Storia del secolo viii.





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