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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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LIBRO IV.

 

Parlar volea, ma pallido tremante

Dopo molto agitarsi il labbro incerto

Ai detti non s’apriva, e la parola

Pensata invano divenia sospiro.

Gio. Battista Niccolini.

 

I.

 

All’alba novella si ripresero le caccie nel bosco e lieto apparve Conibert ad inseguire i daini ed i capretti. Trassero colà dalle propinque ville o fare ove stanziavano alcune famiglie Longobarde, i vassalli ed i servi a dare omaggio e donativi al loro signore; molti ottennero grazie delle quali vennero a supplicarlo, alcuni o in compenso di prestati servigi, o pel versato oro, o per favore e patrocinio di qualche grande, ottennero franchigie o libertà.

Si rinnovarono le danze, i banchetti; mancò [550] chi con ischerzevoli giuochi e beffardi motti tenesse lieta la brigata e provocasse incomposte risa.

Primi fra questi erano i nativi della terra dei Bertoggia che s’avvalla ove nasce il torrente Luria, fra’ colli che sono a pedale delle alpi liguri: a un tempo adulatori cinedri e buffoni, diceansi Bertoldi dal loro casale, e aveano privilegio alla corte Longobarda di porre tutto a scherno; come tuttora vive tradizione fra la nativa loro valle e fra quei discendenti, che pajono d’una razza particolare. Nulla avea per essi d’inviolato, i costumi, il pudore, le donne e fino il re, che spesso punto dai loro motteggi adombrava, ma si passava di tutto, purchè dessero argomento al ghignare ed allo sghignazzare di tutti. Non mancò pure chi ripetesse i canti apparati per tradizione dagli Scaldi che seguivano l’armi d’Attila e d’Alarico.

Accolse Ermelinda i fiori che le tributarono le mogli e le figlie degl’Arimanni che coltivavano le terre di regio feudo, e le retribuì colle prede della caccia e di cortesi parole.

 

 

II.

 

Al terzo giorno, fra i suoni giulivi di trombe marziali, ritornarono le brigate e la regia coppia a Pavia-Ticino. Risuonavano le volte del palazzo al succedersi di tante genti ancora gaje de’ passati sollazzi.

Veniano i cittadini e i grandi che non aveano [551] seguita la caccia a salutarli, traevano le donne ad ossequiare la regina, tutti accorrevano e alternavano il gratulare pel fausto ritorno, ma non apparia Teodote. Maravigliò Ermelinda che non le fosse accorsa incontro la fida damigella: ne chiese, si volò per lei, fu dimandata e cerca invano; ella non era nella regia: si interroga e niuno sa darne notizia, si va in traccia di Siro e sparve. Se ne turba Ermelinda, ammutolisce il marito e fosco s’affissa in Vigalf; dubbio ne ondeggia il padre.

Allora alcuno narra che da due non si vide in palagio la damigella il servo, e ognuno credea avessero seguita la caccia. Altri più tardi annunzia essersi udite nella prima sera brevi soffocate grida ne’ reali appartamenti e osservati nella notte innoltrata due schiavi che trasportarono al Ticino un grave involto e il gittarono nell’onde che vi chiuse sopra, e che essi al ritorno furono dai soldati trafitti.

 

 

III.

 

A tai novelle si getta uno sgomento negli animi, e tutti scambiano dimande, formano nuovi pensieri e conghietture; chi parte, chi ritorna, e interrogato da tutti nulla sa rispondere e si stringe nelle spalle. Trema, impallidisce Teodoro e a tutti dimanda della figlia, e corre, e cerca in ogni luogo, e parla forsennato, sa che si faccia e dica.

Fra tanta confusione giunge infine anelante chi [552] narra, che all’alba del secondo giorno fu veduta uscire di palazzo, tutta avvolta ne’ vestimenti e coperta il volto, una donna che fuggìa come spaventata, e spesso guardava addietro quasi temesse d’essere raggiunta. Ma anco la casa di Teodoro era deserta, non vi era tornato alcuno, sicchè non si sapeano formare nuovi pensieri; per quanto si sollecitasse, riescì sapere più oltre in quella notte, che si volse torbida, inquieta nella regia. Ne lamentava Ermelinda, ne fremeva il re; e Teodoro tutto commosso da paterno amore, pingendosi al pensiero mille diverse sventure, non sapea trovare pace, e piangendo incolpava la propria ostinata ambizione, per cui perdesse la figlia.

Era già alto il giorno novello e nulla ancora si sapeva di Teodote, allorchè si giunse a scoprire che per suo ordine venne dalla casa di Teodoro trasportato nel monastero di santa Maria presso la minor porta che uscia di città e perciò diceasi Pusterla, il Crocifisso che ella solea tenere nella propria stanza. Si vola tosto confusamente da molti a quel sacro cenobio, ma è ripulso ognuno, perchè chiuso l’ingresso a’ profani fra le sacre velate che seguivano le regole di san Benedetto. Minacciò prepotente Vigalf di penetrarvi a forza, ma fu risposto, fulminare l’ira di Dio chi profanasse il loco. Tutto però annunziava che ivi ricovrasse la fuggitiva, e la regina mosse subito ella stessa in traccia della sua compagna al monastero.

[553]

 

IV.

 

La badessa che ivi allora reggea, era di stirpe longobarda, mentre già i dominatori perchè nulla restasse a confidenza o a benefizio de’ Romani, aveano innalzata gente di loro nazione non solo alle cure civili, alle dignità pastorali, ma fino alle cattedre de’ monasteri; e aveano abati e badesse Longobarde Monte Casino, santa Giulia e santa Maria di Brescia e di Pavia-Ticino.

Però era mite Anselperga; e sposandosi nel signore, dimenticò la nativa oltracotanza, ed era ossequiata qual madre fra le monache, temuta dai cittadini cui era noto stare per lei il volere dei dominatori.

 

 

V.

 

Ermelinda seppe da questa, che da due era apparsa col primo albeggiare alla porta del monastero una giovanetta tutta chiusa nel paludamento, la quale parea con grave e sereno aspetto, velare un turbamento mortale nell’animo. S’annunziò di stirpe romana, e Teodote abbracciò il sacro altare, chiese ospitalità in nome della Madre che è rifugio de’ miseri, chiese d’essere enumerata fra le pie dedicate alla Vergine e di assumere tosto i voti. Asseverò innanzi all’unito Capitolo delle monache il suo desiderio che sostenne sempre con egual [554] fermezza; parca nel favellare, modesta, ferma d’aspetto, sebbene soffocasse sovente a stento qualche profondo sospiro e tergesse colla mano furtiva le lagrime che le sorgeano sugli occhi. Fu vana ogni richiesta intorno la causa della sua agitazione, o che valesse a farle manifestare il motivo che la muoveva a tanto passo; e solo quando le suore di universale accordo annuirono di ammetterla fra loro, parve lieta, e inginocchiata in mezzo al concistoro, alzò le mani al cielo e gliene rese grazie piangendo.

Ma pur bisognava il consenso del Vescovo, cui spettava giudicare non fossero imprudentiprecipitosi voti: Teodote mandò con uno scritto pel venerabile Damiano; tosto vi venne, e come le favellò e ne raccolse la confessione, premuroso la presentò alle monache quale nuova ancella del Signore. Allora svoltasi la donna dal paludamento, le cadde dal capo una biondissima chioma che le scendea fino a’ piedi, e apparve di tanta splendida avvenenza che fu tenuta un angelo ivi inviato dal cielo. Mentre il prelato arredavasi dei pontificali paramenti per accôrre nel gregge eletto la novella adempta, fe’ ella recare dalla sua casa un Crocifisso, e lo collocò sull’altare. Indi di propria mano si recise le chiome e le depose in voto al piè della croce, svestì le profane insegne del mondo, assunse gli abiti da cenobìta, i sacri veli, proferì di ferma voce gli irrevocabili voti; e solo fu lieta quando benedetta dal pastore, potè dire, che il suo regno omai più non era di questo mondo.

[555] Tanto narrava Anselperga ed era tutta commossa pur pensando, ora la rassegnazione disperata profonda che talora mostrava la giovane come chi è prostrato da una grande sciagura; ora la tempesta che si vedeva suscitarsele in animo, succedendole in volto cambiamenti instantanei, traccie di serenità e di indeterminata tristezza e scomparire, pari a bufera che a un tratto offusca di vapori l’orizzonte e li disperde. Aggiungeva poi, che nel seguente giorno apparve Teodote più serena e di placida fronte, silenziosa però e grave, e desiosa di solitudine, e avere passate molte ore nella preghiera.

 

 

VI.

 

Non potea Ermelinda immaginare la causa di sì improvviso mutamento nella sua damigella, credere vi fosse spinta di propria volontà, e ne temea qualche inganno od arte altrui: desiderò parlarle, sapendo la badessa disdire tal favore alla regina, l’addusse a Teodote.

Era ella nell’interna chiesetta destinata al privato orare delle monache; stava genuflessa col capo chino sull’inginocchiatorio, e sì raccolta, immobile che non s’avrebbe creduta persona viva. Dimandata sollevò la testa, e le fiamme che le ardevano il viso, gli occhi gonfi rosseggianti annunziavano le passioni che le ferveano in petto ed il recente pianto. Guardava Anselperga come chi si risente da smarrita visione e desto attende il cenno altrui; ma come vide venirle innanzi Ermelinda parve se le destassero di subito gli assopiti pensieri; però tostamente, quasi riscossa e richiamata in se stessa, si ricompose, prese un aspetto sereno, si alzò e la inchinò come solea, e quale ancella rispose ossequiosa all’amplesso che ella le diede.

 

 

VII.

 

Restò Ermelinda incerta a que’ gravi modi, e più al nuovo abito religioso di Teodote, sicchè quasi le parve altra donna che pria non era.

Vestiva una nera roba di lana che se le stringea al corpo dal collo fino ai fianchi, d’onde a crespe libera cadea al piede: copriva il braccio doppia manica, l’una stretta e lunga fino alla mano, l’altra corta e larga ricadente dal gomito. Era sovra imposto alla veste la penitenza o scapolare di san Benedetto, che in lunga lista e larga forse due palmi le cadeva fino a’ piedi dal petto e dalle spalle: il focale o due bande di candidi lini raggiustati le ricingeano e copriano il capo, e sì le giravano intorno alla fronte, alle orecchie e sotto il mento che appena ne usciva il viso, e dilatavasi quasi facciola sul petto: se le stendea sulla testa nero velo che rappiccato e raffermo agli orli verso la fronte, le cadeva libero sulle spalle. Tutto quindi in quel severo arredo, quasi triste gramaglia, parea accordarsi in lei al chiuso suo dolore, e conciliarle sensi di rispetto.

[557]

 

VIII.

 

Come la regina stette alquanto sopra pensiero, e fissando Teodote vide che mansueta la riguardava, fattasi animo le stese la mano, e chiamandola a nome d’amica, le chiese ragione di quel suo improvviso consiglio, e la dimandò di quanto fosse occorso mentre ella stava assente. Chinò la combattuta giovane gli occhi a terra e non le fece risposta; e ben si comprese dal viso, su cui abbenchè rattenute vedeansi succedere le commozioni interne, che ella facea forza a se stessa per serbare un silenzio che avea deliberato. Perchè Ermelinda poi l’assalìa di preci e di lamenti, e apponeale fino a ingratitudinemal rispondesse al tanto amore che lo portava, assunse Teodote un far più grave, e conserte al seno le mani udiala senza turbarsi e silenziosa; solo come quella finito di querelarsi, pure ansiosa affissandola pareva provocarla a parlare, volse l’ancella gli occhi ossequiosi al cielo e con soave e ferma voce brevemente le rispose:

— Ho seguita la volontà del Signore: calmati, o regina, e ti sovvenga che mal si conviene ai mortali osare di leggere nel suo libro eterno. —

Diruppe Ermelinda in pianto poichè comprese uscire invano le proprie parole, e lamentava più non le restasse la confidente amica che le valesse di scorta e di consiglio. Sentiva Teodote che quel pianto movea da verace sentimento, le piovea sul [558] cuore e l’avrebbe commosso se non vi sedeano cure più gravi e crudeli: pure spogliava in parte quel rigore ond’erasi cinta, se le innondavano gli occhi di represse lagrime; la prese dolcemente per la destra, gliela strinse e accennando all’effigie del Salvatore che era sopra l’altare, le dicea con ferma voce: — Confida in lui, e puri saranno sempre, almeno i tuoi pensieri. —

 

 

IX.

 

Profferiva la sventurata queste ultime parole con un suono di dolore, e tutta fiammeggiava, e si ricomponeva. Anselperga che attendea ad ogni suo atto, ne raccoglieva un incognito senso di pietà; ma la regina resa più confidente da que’ modi, se le avvicinava con maggior animo e recingendola dolcemente d’un braccio, pure la sollecitava. — Ah no, Teodote! cambia consiglio: Iddio si adora in ogni luogo, si può dargli gloria con tutte le azioni della vita; tu sei sortita a un chiostro. Pur forse ancora giungo in tempo! vieni, ritorna meco: vivi all’amor mio, a confortarmi col tuo esempio alla virtù, a sostenere la ragione de’ miseri che si affidano al tuo patrocinio; ti arrendi Teodote al mio pianto, vieni. —

Taceva, la fissava e parea ancora coll’intenzione degli occhi ripeterle, vieni; ma Teodote era irremovibile, la udiva, e fra commossa e irrequieta le rimandava la preghiera. — Non contristarmi [559] o regina col tuo dolore: te ne scongiuro, abbi compassione di una misera... Cessa, ogni tua parola è vana, sebbene mi accenni il tuo affetto... è vana... Egli accolse i miei voti, si scioglieranno giammai... — e alzava la testa ed accennava la santa immagine e parea parlasse inspirata.

La regal donna nulla sapea comprendere fra tanto bujo, ma quel fermo aspetto, quel deliberato cenno le mettea un misterioso sentimento d’ossequio e di persuasione che non s’ardìa più innanzi. Stava alquanto ad osservarla muta, pensosa, indi con improvviso affanno la abbracciava, e colla voce tronca da singhiozzi le raccomandava la propria memoria: non rispondeva Teodote che d’un amplesso, esagitata anch’essa da violenti passioni e soffocata la voce da sospiri. Ermelinda infine parea suggellare quella promessa con un bacio e partiva.

 

 

X.

 

Di questa impreveduta fuga più ne fremea Conibert, incitato da’ malvagi consigli di Vigalf. Istigava costui l’affetto, l’ambizione di Teodoro, e facevagli vedere fossero arti e inganno tesigli dai nemici per porlo in sospetto di poca fede presso i Longobardi, metterlo in disgrazia del principe e spogliarlo della gloria onde era cinto sopra tutti gli Italiani. ciò solo, ma che a vendicarsi di tanta sua grandezza, pensavano trafiggerlo [560] crudelmente, togliendogli l’amore, e la vicinanza della figlia.

Vi prestava fede il credulo, ne alzava gravi rumori, e dicea non potersi accôrre que’ voti senza l’assenso del padre. Ne facea querela a Damiano, e ostentava intendere di prendersi la figlia coll’armi in mano e fino sul sacro altare; tale essere pure il volere di chi avea impero sopra di lui, e potea d’un cenno rovesciargli il seggio.

Ma il santo vescovo non era d’animo cui sgomentassero minaccie di potenti, e sovente a sussidio de’ vinti avea lottato cobarbari. Egli conosceva i gravi casi e gli irremovibili pensieri di Teodote, e avea fermo sostenerne pur col martirio la libertà. Però come non volea si accagionasse a violenza la celerità del rito, assentiva al padre penetrare nel convento, persuadere la figlia ad uscirne; se ella il chiedea, dava promessa invocare dal pontefice perchè la sciogliesse.

 

 

XI.

 

Mosse Teodote reverente incontro al padre, soffocando le interne commozioni, gli protese le palme, e baciandogli la destra la bagnò di una lagrima. Teodoro ponea piede in quelle soglie tutto ardente d’ira, arruffato, e guardava con occhio arrogante di disprezzo le monache e Anselperga, e già in mente meditava lunghi lamenti colla figlia, e improverarle la inesperta imprudenza e il poco amore, [561] e in voce di impero ordinarle il suo volere, condurla con ; ma appena le fu innanzi sentì tutto mutarsi. Quell’attitudine rimessa e dolorosa, quello squallore onde la vide dipinta, quel bacio e quella lagrima gli cercarono tutto il cuore del dolce affetto paterno, che posto a lotta pur sempre vincea in lui sopra le altre passioni.

Quindi dubbio, confuso, piangente, le facea varie dimande incomposte diverse, vi frammischiava qualche parola di lamento, e se ne ripigliava pentito e le rinnovava ancora. Intanto la pia in raccolta, collo sguardo chino in attitudine di ossequio, ma non dimesso, stava ad ascoltarlo, nulla rispondeva, e solo sovente alzava le pupille al cielo. Però ei non ristava e riprendeva lena e fuoco, e la sollecitava perchè almeno rivelasse la causa del suo nuovo proponimento. Sicchè affettuosa e grave essa gli rispose: — Padre, tel dissi che infausto luogo era la corte... Ah! perchè non mi lasciavi all’innocenza della nostra casa?... — Volea più dire, ma ratteneasi, e le succedeva sulle labbra un sospiro.

Come ei però s’attentò proporle di seguitarlo, e le parlò di deporre quelle sacre vesti e ritornare alla consueta vita, subito diceagli: — No padre, nessuno varrà a strapparmi viva da questo unico mio rifugio... Ha ricevuta Iddio la mia orazione, ed esaudì alla mia preghiera... — Prese intanto sì grave aspetto e apparve di tanta maestà che fuggiano a Teodoro le parole, e stava confuso senza sapere prendere consiglio.

[562]

 

XII.

 

avea pur fine l’acerba prova a cui era segnato fosse posta la infortunata, poichè in questo mezzo le apparve innanzi forsennato il re. Potè l’iniquo confidare, valesse a rimuoverla il suo impero, e innoltrò a forza nel convento.

Poichè Teodote il vide, fu a un lampo esagitata da sentimenti diversi, impallidì, avvampò, un tremito improvviso le cercò le membra, e parve subito sdegno offuscarle il volto. Però nello stesso momento girò lo sguardo alle suore, a’ circostanti, e tutti li vide in lei avidamente intesi; con maschia forza domò le burrascose passioni, si atteggiò di celeste pace, e silenziosa partì.

 

 

XIII.

 

Non osò alcuno provocarla o contenderle il passo, tutti restarono muti e presi da meraviglia. Allorchè si riebbero e le tennero dietro, fu trovata nella chiesa, genuflessa col capo inchinato fino a terra, avvolta ne’ veli innanzi alla croce. Niuno s’ardì rimuoverla; e Conibert quasi minacciato da improvvisa folgore, fuggì a precipizio del monastero.

Ostentò quindi dispetto per l’ingratitudine che la Romana avea usata colla regina, vietò fosse ricordata fra’ suoi, ei più neparlò. Fu subito avvolto da lunghe guerre, e vinto da Alachis, andò [563] per molti anni errante colla moglie cacciato dal regno; e tornato ebbe a lottare coLongobardi che spesso se gli ribellarono e il minacciarono nella vita.

 

 

XIV.

 

Teodoro, fugato Conibert, erasi ridotto alle private cure, fra le quali consumava la canizie, e avea fermo se quei pure riacquistasse il dominio, di non più ritornare alla regia.

Era calmato in lui il dispiacere causatogli per la fuga di Teodote, e senza conoscerne la causa sentiva pietà del dolore di lei. Andò al cenobio, le fe’ dire che desiderava parlare, e volonterosa ella accorse al parlatorio e si consolò di vedere mansueto l’aspetto del padre. Tornava egli spesso a quella visita affettuosa e la figlia il ricreava di soavi ragionamenti: solo non gli rispose quando ne’ primi colloqui le toccò de’ Longobardi e della causa che la spinse a prendere i voti. Perchè temendo increscerle, rispettava poi sempre quel silenzio e solo la intrattenea del proprio amore.

[564]

 

 




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