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Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
Gli ermi silenzi, il claustro,
I.
Intanto la nuova sacra ancella tutta rivolta coll’animo a Dio, poneva ogni sua cura e pensiero perchè sperando in lui, la circondasse della sua misericordia. Gli interi suoi giorni si volgeano in devozione, in penitenza ed in opere di beneficio.
A sostenere almeno in parte le prove del noviziato che non avea fatto, prese Teodote sopra di sè il carico di condurre tutte le pratiche devote della religiosa comunità. Quindi era sorta innanzi l’alba per apprestare le ufficiature in coro, e le funzioni del tempio, nè riduceasi alla notte [565] nell’umile letto che dopo d'essersi a lungo consolata nella preghiera. Allorchè qualche suora cagionevole di salute non potea attendere a’ doveri claustrali, ella la soccorrea benignamente dell’opera propria; e ove alcuna giaceva inferma, le prestava tutti gli offici onde era bisognevole, la vegliava la notte, e pregava per lei.
Come poi Teodote era versata ne’ studj meglio d’ogni altra monaca, tutte ricorreano a lei perchè le dirigesse nelle ottime letture. Interpretava loro le sacre carte e ripeteva quelle omelie del grande Gregorio, che erano cibo dell’anima in que’ tempi miserabili di barbarica oppressione, perchè si inanimavano i figli a rintuzzare il dente avvelenato che mordea la comune patria, e a ricovrare uniti l’antica libertà. In questa cura spesso di tanto s’accendea la pia, che pareva inspirata dal celeste fuoco che mosse i sacri veggenti quando lamentarono la servitù di Sionne: pingeva alle compagne le miserie de’ fratelli, e le invitava a supplicare Dio che salvò il popolo eletto, perchè potessero togliersi tanta vergogna.
II.
Crescea quindi ognora più fra le cenobite l’opinione per la nuova compagna; a lei aveano ricorso per consiglio, in lei riponeano l’animo confidente nelle tribolazioni, a lei si volgeano per avere savia regola nelle proprie azioni. Era l’amica, la consolatrice, la madre di tutte.
[566] Venuta dopo non molto Anselperga a morte, fu infatti per concorde consenso delle monache eletta Teodote alla dignità di Badessa. Però renitente ella rifiutò a lungo quell’onore, perchè diceva essere troppo pericoloso avere impero sugli altri, e temere Iddio non le togliesse fra vano orgoglio ogni lume di ragione: ma Damiano le ordinò di assumere il carico cui era segnata, e vi si arrese per obbedienza.
III.
Allora tutto si disponeva pel sacro rito, col quale conveniva si ordinasse la nuova Badessa giusta il cerimoniale prescritto dai Concilii. Doveasi condurre nel maggior tempio del monastero che era di consueto aperto anche alla devozione de’ cittadini, e dove le monache non conveniano che in divisati giorni solenni. Nei quindici dì che precedeano quella pompa, esse si rendeano tutte all’alba nella cripta di questa basilica mentre ne erano ancora chiuse le porte; e innanzi alle reliquie de’ martiri e de’ confessori, con lungo alternato salmeggiare, propiziavano lo Spirito che regge l’universo, perchè illuminasse la destinata a governare sopra di loro.
Consumavano poscia l’intera giornata in continua faccenda, a disporre le cose della loro casa, a riordinarle, a migliorarle, a ripulire i sacri arredi, a preparare nuovi paramenti, a largheggiare [567] nuove beneficenze. Perchè la festa cadeva in primavera pensarono renderla più lieta coi fiori, onde la loro sorella fosse pari alla sposa de’ sacri cantici: ingiuncarono le porte e i luoghi più distinti del convento e la soglia del santuario, di rose, di giacinti e d’altre erbe, sicchè tutto intorno dolcemente oliva e ricreava.
IV.
Voleansi per quella cerimonia il Pastore che reggea la chiesa Ticinese, e due Badesse d’altro gineceo per sussidiare alla suora eletta. Inviarono quindi a pregare il venerabile Damiano che degnasse venirvi, e il presentarono di nuovi sandali e calze di seta e d’una candida dalmatica, i cui due lati, a ricordanza de’ due Testamenti, erano uniti alla sinistra da dodici lacci ricamati a foglia di vite, rannodati da dodici fibbie d’oro. Sulle due estremità poi che cadeano in angolo, aveano esse di loro mano intessuto in oro, in quello che cadeva addietro un angelo colla verga o baccolo viatorio, insegna della potenza; sulla punta che copriva il petto, un vitello che suonava la cetra ad otto corde, e richiamava quel coro delle virtù che poste in armonìa da’ cristiani, rendono grazie all’Eterno.
Invitarono le Badesse di sant’Agata e di san Marino siccome de’ conventi più antichi che nella città seguissero l’ordine di san Benedetto. [568] Inviarono in dono per ciascuna due palme di verde cipresso, il simbolo con cui indicavasi le vergini elette nello spirito del Signore ornate delle foglie dell’eterna vita. Di grazia esse accoglievano siffatto onore, e bandivano nella propria comunità si facesse per tre giorni digiuno ed orazioni a propiziare il favore della Vergine per la benedetta che prendeva il governo delle agnelle a lei dedicate.
Tutte le pratiche che si usavano nella Pusterla, seguivano colla direzione della madre Priora, che nelle raunanze sedeva sempre a diritta della sedia vacante abbaziale. Intanto la novella candidata vivea sceverata e sola nella propria cella, orava nella privata chiesa per prepararsi con penitenza ad assumere il grado. A queste devozioni, spesso la povera Teodote diffidando di sè, mescea molte lagrime e invocava Maria perchè fra la dignità e gli onori non la abbandonasse, nè la corrompesse tarlo di colpevole ambizione.
Appena sorse la desiderata aurora del dì statuito, convennero tutte le monache in concistoro nell’aula di capitolo, e poichè ad una voce sciolsero l’inno a invocare lo Spirito increato, la Priora si alzò dal proprio seggio e ad alta voce, bandiva che erasi eletta a presiedere alla loro comunità la suora Teodote. Indi volgendosi in giro dicea: — Sorelle vi scongiuro pel giudizio finale, per tutte [569] le divine ed umane miserie, per la fede che riponete ne’ misteri immortali, dite, manifestate se vi nasce qualche dubbio intorno a questa elezione. —
Stette alquanto muta, e come niuna rispose, ella riprese: — Volete adunque Teodote per vostra badessa? — e le altre in coro rispondeano: — Vogliamo. — Ed ella: — Vi piace? — e le altre, — Ne piace. — E la Priora: — Ebbene abbiatela: — e accennava Teodote, ed ella si levava dall’umile stallo ove era stata silenziosa e a capo basso, e faceva un inchino. In quel momento suonavano tutte le campane del monastero e la voce armoniosa delle coriste scioglieva l’inno inspirato al divo Ambrogio nella letizia di conseguita grazia.
Intanto le monache si levavano, si ordinavano a due a due e in processione, s’avviavano verso la chiesa, girando silenziose lungo i chiostri. Quali recavano arredi sacri, quali il calice, la mistica patena, il vino e il pane azzimo per la celebrazione del divin sagrifizio, quali le insegne per la nuova badessa. Chiudeva il corteggio Teodote, cui accompagnavano due monache, una per lato.
VI.
Era la basilica intitolata all’Arcangelo Michele, a tre navate disuguali, sostenuta la volta da colonne a capitelli diversi, che in pietra arenaria tenevano sculti i simboli con cui i padri della [570] chiesa primitiva ordinavano si offerissero a’ sensi de’ fedeli i veri del cristianesimo.
Ove si vedevano i mistici animali che raffiguravano gli Evangelisti, ove serpi attortigliati schiacciati, draghi abbattuti sgozzati da un uomo, o il sozzo genio del paganesimo sconfitto dalla religione di tutta purezza; ove una colomba con in becco un ramo d’olivo o un picciolo quadrato, a simboleggiare la redenzione e l’anima umana; ove la fenice sulle fiamme ed accennava la risurrezione. Più spesso la vergine coi cipressi, Adamo ed Eva sotto l’albero della vita, Daniele nel lago de’ leoni, e alcune croci sporgenti fra varie sempre tripartite foglie.
Sopra ciascuna porta che mettea al tempio, erano scolpiti a varj piani o il tortuoso girare d’una vite carica di grappoli, o caccie di lepri e di daini, pesci guizzanti nell’acqua; a ricordare or il popolo cristiano che si abbraccia e si sorregge come quella flessibile pianta, o la sua fralezza e proclività a peccare pari a que’ deboli animali, o lo stesso popolo privilegiato che nuotando nelle acque della fede procaccia eterna salute. Sulla maggior porta, in cima all’Arco, sovrastava un Angelo collo scettro, e più sotto quasi base a’ suoi piedi, stava un libro aperto su cui erano segnate la prima e l’ultima lettera del greco alfabeto che richiamavano le parole scritturali: — Io sono il principio ed il fine di tutte le cose.
Sopra le navate laterali si aprivano le loggie [571] destinate negli altri templi alle vedove e alle vergini, e quivi serbate alle monache nelle consuete ufficiature. Alla fine delle navate si salìa per ampia scala a gradini dispari di numero alla tribuna, che sorgea sopra la confessione. In mezzo a questa si levava l’altare formato di una semplice mensa, sorretta da cinque colonnette, quattro laterali rotonde, ed una mediana riquadra, che alla sommità avea un incavo in cui stavano riposte le reliquie, ed era coperto dalla pietra sacra pure riquadra: la mensa poi avea due lati, sicchè si potesse celebrarvi e da quello che guardava la chiesa e da quello che volgeva all’abside.
Quattro colonne di porfido che posavano sulla soglia sostenevano sopra la mensa il dorato fastigio od ombracolo; sul frontone del quale era raffigurato da una parte l’eterno Padre che dà le chiavi e una pergamena a san Pietro e a san Paolo; dall’altro il Salvatore assiso in trono colla destra alzata in attitudine di benedire, con un libro aperto nella sinistra sulle cui pagine era scritto: — Io sonola luce del mondo. — Sulla parte più eminente o cupola splendea tutto d’oro il Salvatore colla bandiera, a onorare il mistero della risurrezione. Dissotto al baldacchino era sospesa nel mezzo una colomba d’oro, ivi sostenuta da quattro argentee catenelle che si rappiccavano sopra i capitelli delle colonne: aveva essa vacuo e aperto il seno, entro il quale si custodiva l’ostia sacrosanta, e intorno le faceano corona sette ardenti candelabri.
[572] Ai lati estremi della tribuna verso la chiesa, sorgeano i due amboni o pulpiti con leggìo su cui posare i libri per recitarvi l’evangelio e le epistole. Intorno all’abside che volgea in semicircolo, girava un ordine distinto di gradini a sedili o troni, in mezzo ai quali più eminente e ricca di addobbi si alzava la cattedra episcopale. Alla fine del lato sinistro più umile ma distinta, vedeasi la sedia destinata alla Badessa. Alcuni cancelli dell’altezza d’un uomo e coperti da un velario, giravano intorno alla tribuna dalla parte che volgea alla chiesa, per distinguerla da’ luoghi ove conveniano i fedeli, i catecumeni e gli altri devoti, i quali non erano ammessi di presenza nel sacro penetrale ove si celebrava.
VII.
Appena Teodote toccò il limitare della chiesa, si udirono alcune alterne voci dolcemente cantare:
— Ecco l’ancella, ecco la sposa prediletta: bello è il suo volto, i suoi occhi sono di colomba; in lei non è macchia e il Signore la condusse nella sua casa. — Ecco il fiore del campo, ecco il giglio della valle: le fanciulle l’hanno veduta e la celebrarono beata: vieni e sarai cinta di corona. —
Una nuova commozione cercò la giovane a quelle parole auguste, le vacillò il piede vedendosi fra tanta frequenza di persone e santità di riti: fiammeggiò in volto conscia nella propria [573] umiltà, che mal se le convenisse sì magnifica pompa, ma tosto soccorsele il pensiero del proprio dovere, alzò gli occhi al cielo, e si rinfrancò. Con fermo passo trasse all’altare apparecchiato dal lato che volgea all’abside, s’inginocchiò, orò pochi istanti, e si prostese boccone sui gradini. Tosto le cenobite in doppio coro alternarono le litanie della Vergine e de’ Santi.
Allora si ritrassero le due monache che avevano accompagnata la candidata fino a quel momento, e invece vennero a’ lati di lei e restarono in piedi ad assisterla, le due Badesse decorate delle insegne del proprio grado. In questo mezzo s’aprì la maggior porta del tempio, calò dal bianco cavallo il venerabile Damiano, entrò con numeroso corteggio di sacerdoti nella casa d’Iddio augurando pace a tutti que’ che l’abitavano. Scese nella confessione e genuflesso al faldistorio che gli recavano innanzi due araldi, orò brevemente, indi ritornato in chiesa, salito alla tribuna s’assise in trono.
VIII.
Intanto veniva a fine quell’alterna salmodia delle sorelle, e il mansionario di quella chiesa, a cui era commesso dirigere le ufficiature nel monastero, vestito di camice e insignito di candida stola, salì all’altare, e voltovi il dorso, levata la destra sopra la penitente prostesa, ad alta voce orava.
— Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio dispensatore [574] delle grazie, invochiamo la tua misericordia sopra questa tua serva Teodote, perchè costodisca con dignità il primate dell’ordine, sia sapiente ma umile, insigne per religione, savia nelle dottrine, decorosa nella gravità, pia nella compassione, cauta nell’operare, forte nelle tentazioni, paziente nell’ingiurie, ferma nella pace, pronta nelle elemosine, frequente nelle ammonizioni, efficace nella misericordia. Nè si dimentichi che tu stai giudice dei suoi giudizj, e che quando ti supplicherà per qualche grazia, ti degnerai concederla con clemenza. —
IX.
Sorgea la pia adepta e le due Badesse l’adduceano innanzi all’assiso vescovo che grave la interrogava: — Vuoi, suora Teodote, come è ordinato nelle sacre scritture, insegnare colle parole e coll’esempio? — e l’altra chinata la testa rispondea: — Voglio. —
Ed ei riprendea: — Vuoi consegrare l’intera tua vita a solo operare il bene, attendere alle divine cose? Vuoi essere umile e paziente, e apprenderlo alle sorelle di santa Maria? Vuoi essere misericorde verso i poveri e i pellegrini? Vuoi osservare la regola del monastero con ogni scrupolo per quanto è in tuo potere? — e l’altra ad ogni dimanda ossequiosa ripeteva: — Voglio. —
Ponevano due leviti sul capo al presule l’aurea mitra tutta incoronata di gemme; ei rizzavasi e [575] benedicea la monaca, pregando: — Dio onnipossente, fa’ salva l’ancella che si umilia a’ tuoi piedi. Ti benedica, o Teodote, il Signore che fece e benedisse il cielo e la terra. Ei ti conservi, ti custodisca da ogni male, ei ti dia sussidio, sicchè tu sia una torre di fortezza, nè vi possa alcun nemico. — Le imponeva ambo le mani sul capo e supplicava a visitarla lo Spirito che fiammeggiò nella mente degli Apostoli.
X.
Dopo traevano innanzi alcune cenobite, l’una sporgea spiegato un nero velo, l’altra sur argenteo piatto un anello. Davasi talora, per distintivo d’onore, come a’ vescovi un secondo palio, alle sacre vergini un secondo velo, oltre a quello che loro si concedea nella prima consegrazione, e questo avea nel mezzo disegnata una bianca croce: tale distintivo meritò pure Teodote per le sue virtù da Damiano.
Prese questi il velo, e tosto due monache rimossero di testa alla sorella quello che già teneva: ella s’inchinò e il savio le stendeva il novello sul capo aggiungendo: — Prendi il velo che già avesti per indizio del pudore e della continenza; ti sia segno di virtù, scudo contro le male tentazioni. Come il primo, serba pur questo senza macchia innanzi al tribunale che giudicherà i secoli, ed a cui si chinano le gerarchie delle potenze [576] celesti, delle terrene, delle infernali per tutta l’eternità. — E tosto la velata con voce soave e tremante cantava: — Iddio mi vestì di ciclade intessuta d’oro, mi ornò d’immensi monili. Iddio pose un segno sul mio volto, perchè niuno amatore io mi abbia fuorchè la sua misericordia. —
Rimessale poscia la mitrella formata di lana, oro e porpora, benediva il savio antistite un anello e pigliavale la destra: — Vieni diletta a sposarti: l’inverno è passato, germoglia la terra, olezzano le fiorite vigne, canta la tortora, vieni a sposarti. —
Le passava l’anello per le tre prime dita della mano e il ritraeva, e solo lo lasciava sul quarto; ed ella rispondea con metrica voce: — Dio mi cinse di suo anello, e come sposa mi decorò di corona, —
XI.
Ripetuto questo rito che usavasi anche nella prima consegrazione delle vergini, le due badesse movevano a’ lati opposti, e ritornavano a’ piedi della cattedra, recando l’una un libro tutto ricoperto di velluto, ed era la regola di san Benedetto; l’altra un bastone pastorale tutto argenteo coll’un capo rivolto a maniera del lituo con cui Mosè guidava i popoli alla salute. Sporgea la prima il volume al vescovo, ed ei lo riponeva nelle mani della nuova insignita: — Prendi le leggi tramandate dai santi Padri per [577] governare la pia comunanza, a cui sei fatta guida e maestra, — ed essa ponendo la destra sul libro, giurava di seguirne scrupolosamente ogni dettato.
Alzava poscia l’altra badessa il pastorale, e il mitrato Aronne invocava Dio regolo de’ secoli della vita a benedirlo, e le due Badesse cantavano ad una voce: — Salve regolo del giusto; salve regolo del tuo regno. —
Commettealo poscia il sacerdote nella destra a Teodote: — Prendi il bastone pastorale con cui condurrai il tuo gregge, e ti sia esempio di giusta severità: prendi la verga de’ pastori perchè sia sollecita e di emendare le pecorelle a te commesse, e di provvedere al loro bene: prendi il mistico vincastro per governare gli offici del cenobio. Ti renda severa nel correggere i vizi, e nel giudicare senza sdegno; e quando sarai irata, questo ti richiami la misericordia del pastore di tutti i popoli. Questa verga ti sia segno di sacra moderazione, perchè rifranchi i deboli, confermi i dubbiosi, corregga i tristi, diriga i retti nella via dell’eterna salute. —
XII.
Quelle auguste cerimonie e quelle solenni parole che scendeano in animo alla donna colla compunzione che le inspirava la sua pietà, l’avevano più volte commossa, sicchè se le offuscavano gli occhi nel pianto e quasi sentiva venirsi meno.
[578] Per che quando le fu indicato di rendersi alla sedia designatale, volentieri accordò il piede a quell’invito.
Mentre le cenobite cantavano accordando le voci:
— Disse il Signore, voi che mi avete seguito vi assiderete sopra il mio seggio — gravemente ella incedendo innanzi alle due Badesse che di poco le stavano dietro, salì i gradini su cui si levava la cattedra. Atteggiata di maestà stette ivi in piedi attendendo, finchè Damiano le venne innanzi e le ordinava: — Siedi Teodote abbadessa, io ti colloco nel trono della tua dignità, nel trono che innalzò san Benedetto sopra que’ che per seguirlo rinunziano al mondo ed alle sue pompe: egli degni vegliarti dal paradiso e custodirti colle tue sorelle, — Di propria mano la collocava nel seggio, le facea il segno della redenzione, e ritraevasi a prendere nuovi paramenti pel divin sacrifizio.
XIII.
Allora le monache levatesi dagli stalli, traevano alla nuova Badessa che stava assisa col pastorale nella sinistra, colla destra cadente sul ginocchio, suffusa il volto di fuoco celestiale. Le veniano innanzi ad una ad una, le davano omaggio d’un inchino e le baciavano il sacro anello.
Intanto le coriste con soave voce alternavano: — Apri, o Signore, le nostre labbra ed annunzieremo le tue lodi. Tu che soffiando il tuo vento hai [579] dispersi i tuoi nemici che hai distesa la tua destra e la terra gli ha inghiottiti, ti sei degnato volgere a noi il tuo volto; hai veduta l’umiltà della tua ancella e l’hai esaltata. Tu l’hai fatta grande perchè lo puoi; tu ne serba le sue virtù, la rendi sollecita a coltivare la vigna a cui la creasti custode. Fanne una rocca di fortezza. Sia lodato Iddio che è nostra salvezza, sia glorificato; il Signore è un grande potente e il suo nome è il Signore, e regnerà in sempiterno. —
Celebravasi indi la messa colla pompa pontificale dal mitrato presule: la nuova Badessa gli dava alla purificazione l’acqua alle mani, e allorchè egli avea fatta la consumazione, cibava la penitente nelle due specie del cibo celeste.
Venuto a termine il rito, allorchè il celebrante congeda i devoti, volgeasi il Vescovo verso i fedeli dall’altare, e preso il pastorale alzava la destra a impartire la benedizione solenne a Teodote, che genuflessa a’ piedi della propria sedia e congiunte le mani, stava a capo devoto, ma guardava l’inspirato Aronne: — Ti benedica l’Onnipossente, la cui gloria narrano i cieli e la terra; ti ajuti il figlio di Dio che ha redento l’uomo: degni custodirti e conservarti perchè il serva nell’opere a lui care: ti illumini, ti liberi da ogni male, ti difenda colla sua destra, e ti apra il regno de’ cieli. —
S’udiva rispondere a tutti que’ che erano colà congregati, una sol voce, un sol canto che raffermava quel voto.
[580]
XIV.
Poco appresso si schiudeano i serrami del cancello che divideva la tribuna dalle altre parti della chiesa, perchè dovea uscirne il prelato, venuta a termine la funzione che avea amministrata. Fra la folta del popolo che curioso accorreva a guardare e prorompea sulla soglia, apparve innanzi tutti un uomo canuto, tremante e rigate di lagrime le lanose gote. Era Teodoro, che sempre stato confuso colla moltitudine nella preghiera, si spingea innanzi per osservare la figlia recinta da tanto religioso splendore, e mirandola sull’alto trono ne era tutto commosso. Il vide Teodote e sentì cercarsi da soave dolcezza; e volonterosa sarebbe precipitata dal seggio per correre all’amplesso paterno, se la santità del loco non le avesse vietato inchinare a private affezioni.
Alzò il canuto la destra supplichevole al pastore affinchè soffermasse, e aggiunse: — Perchè anch’io non sia straniero a sì augusto rito, concedimi di deporre a’ piedi di quella cattedra la donazione di parte de’ miei averi a questo convento: quivi con lei che mi è più diletta, restino pure le dovizie de’ miei avi, e perdoni alle mie colpe quella misericordia che deprime i potenti e solleva i miseri. —
Mentre parlava recavasi fra le mani un ricco dittico tutto d’avorio, ornato a belli intagli. Sulla [581] parte superiore del mistico libro era sculta la natività del Salvatore nella povera capanna, sull’altra la Madre dolorosa che tenea in grembo il figlio deposto dalla croce: univano le due tavolette tre fermagli d’argento, e acchiudevano tra altri fogli, la pergamena ripiegata su cui era stesa la donazione.
Intendevano tutti alle parole di Teodoro e maravigliavano a tanta generosità: Damiano gli assentìa d’un cenno l’ingresso nel santuario. Allora quei passava tutto reverente fra i sacerdoti e le cenobite, che ritraendosi gli apriano la via: fatta genuflessione all’altare, veniva alla cattedra abbaziale e sporgea alla figlia il prezioso donativo. Riconobbe ella quel dittico, poichè apparteneva alla madre che vi avea scritte le profezie di Ezechiello e i lamenti degli Israeliti nella servitù, e sovente quando era fanciulla nella paterna casa, lo aprìa e il leggeva per soccorrere con parole di speranza le miserie de’ concittadini. Quel pregiato arredo e la pietà paterna le parvero di fausto augurio, e le raccesero nell’animo diverse ricordanze e passioni, ed in ispecie quella santa carità che fa obbliare le propie sventure pensando all’alleviamento di quelle comuni, che affliggono un popolo ed una terra. Lo pigliava piegandosi verso il veglio commossa. — Ah padre! ti rimeriti il Cielo di tanto dono, che certo nelle loro preghiere te ne saranno riconoscenti queste devote mie sorelle. —
Nell’offrire il dittico alla figlia, Teodoro tremante, [582] ossequioso, le aveva presa la destra e procacciava accostare il labbro al sacro anello, ma Teodote accortasi non consentì quell’atto di umiltà al padre. Strettagli invece la mano prestamente gliela baciò, la bagnò di lagrime e si ricompose volgendo gli occhi all’altare, quasi ad accennare come un imponente dovere la richiamasse da’ terreni pensieri.
XV.
Allora Teodoro si allontanava, e metteasi di seguito al divo Damiano, che apprestavasi a ritornare al palagio episcopio coll’egual pompa ond’era venuto a santa Maria. Alla porta della chiesa quei gli fece coppia a salire sul cavallo, indi il precedea co’ chierici e sergenti che portavano, quali il bastone pastorale, i libri sacri, quali l’ombrello, il faldistorio, la lettiga e le altre insegne d’onore.
Trascorreva per le vie il Santo Padre, cui la recente fermezza contro Alachis rendea più venerando: era salutato dai cittadini, che s’affollavano a toccargli le vesti, a dargli riverenza e riceverne le benedizioni. Alzavano tutti al vederlo i pensieri ed il coraggio, giacchè solo nell’unto pastore vedeano rifulgere l’antico splendore della nazione, e solo allora in lui come nel pontefice affissavano le speranze a racquistare le perdute franchigie, che erano ne’ voti di que’ forti petti e [583] incontaminati. Miseri! nè sapeano che la mutabil fortuna, fra tanto bujo, avrebbe loro balenato solo qualche sorriso, perchè venissero subito ancora balestrati fra nuovi servaggi; maledizione scagliata nel partire di quel mutabile, che da Roma traslocò lo splendore antico e la forza dell’impero sui confini d’Asia e d’Europa, e lasciò Italia facile preda ai barbari.
Tutti dopo il nome di Damiano, innalzavano con voce di laude le virtù di Teodote, e virtù che tanto erano care in quelle prostrazioni e vizj. Tutti aveano la sua esaltazione per pubblico favore e per grazia divina; di tanto ella era amata, e sì rari in que’ dì cadeano i premj su’ giusti ed in ispecie sugli oppressi.
XVI.
Intanto la nuova Badessa scorta dalle due compagne, e seguita da tutte le suore, avviavasi a prendere possedimento della sacra casa. Venia alle campane e le suonava, alla custodia delle reliquie e le baciava; visitava le porte della chiesa e del cenobio e ne toccava le chiavi; se le porgeano copiati in pergamena i diplomi e i diritti feudali del convento, e apriva il libro vi leggeva e promettea di mantenerli. Passeggiava i corritoi, i chiostri, le celle, e finalmente giunta al luogo di capitolo d’onde era partita umile monaca, andavasi ad assidere sulla sedia che avea lasciata vacante.
[584] Ivi le due Badesse scambiando colla novella alcuni amplessi, e appigliandosi con ambe le mani ossequiose a’ fianchi e ripetendo: — Sia con voi la pace — prendeano comiato. In funzione come erano venute, scortate dall’Abbate dell’ordine e da altri sacerdoti, si restituivano tosto al loro monastero.
XVII.
Restata sola la picciola comunità, tutte quietavano, e volsero alcuni istanti di silenzio, che in molte inducea la mente affaticata per tante cerimonie, in Teodote diversi pensieri. Pure restava a compiersi per parte delle monache il primo atto di sommissione verso la madre che aveano elevata a comandarle, ed in questa il primo uso d’impero. Perciò traevano tutte reverenti innanzi a lei, e deponeano le cariche delle quali erano già state insignite, perchè o le confermasse o vi chiamasse quali meglio le gradissero. Si tenevano tutte in giro, in atteggiamento d’ossequio, quasi volessero porre adorazione a lei che stava assisa sull’alta sedia.
Teodote avea nel passato rito sostenuto sempre l’animo, e dignitosa atteso a quanto richiedeva l’obbedienza di chi poteva sopra la sua volontà; ma dopo, sola colle compagne, più non valse a soffocare le interne emozioni e il pensiero non fosse troppo orgoglio sopportare più a lungo tanta [585] umiltà delle eguali. Precipitò dal seggio piangendo fra loro, e protese le braccia perchè l’accogliessero: — Ah! non sia, amate sorelle, non sia ch’io da voi desideri altro che questo dolcissimo nome. Amore io vi chiedo e compassione pei miei affanni; amore vuole Iddio che lo sparse in tutti gli esseri, egli che tutto amore per noi soffrì ostia d’espiazione per redimerne. Questo santo affetto ne animi e il timore d’offenderlo, e siederà fra noi lo spirito che univa la nascente chiesa; e il pregheremo perchè rasciughi il pianto delle città, redima i fratelli e i padri nostri dalla servitù longobarda, mandi l’ira sua sugli oppressori e li consumi come stoppia... —
Appena le sfuggirono queste ultime parole, di subito le troncò come se si fosse lasciata concitare da’ sensi di vendetta o da imprudenza, giunse le mani, levò al cielo un istante il viso supplichevole, quasi dir volesse, perdona, e accolse l’amplesso delle sorelle che se le stringeano intorno. Le usavano amorevolezze oneste e liete, e affettuose parole: fra tanta passione spogliò ella la tristezza usata, e sparsa di purissima gioja, sentì un istante l’orma dell’antica pace, quando fanciulla vivea nella innocenza de’ proprj pensieri.
XVIII.
Fra l’alternare di tante sollecitudini, aveansi ridotte tutte le pie donne confuse, aggruppate in [586] mezzo al capitolo. Ivi Teodote fra l’esultanza ond’era avvivata, improvvisamente chinò a ginocchia a terra e alzate le palme rendea grazia alla Vergine che sì l’avesse benedetta, soccorsa; ma la scongiurava di conservare sempre eguale nell’umiltà la povera orfanella.
Maravigliavano le monache a quel fuoco, a quel religioso appassionato entusiasmo, e si prostravano e ripeteano quella preghiera, e in tutte alla gioja di scambievoli sensi d’amistà succedeva la maggiore devozione. Però Teodote sentì che il lasciarsi più oltre a quelle commozioni potea rivelare di troppo quanto acchiudeva in animo, e si ricompose. Assunta dignità fra un fare umile, confermò a tutte le cariche che teneano, e si tolse da loro per rendersi nella cella, ed ivi sola dar libero sfogo all’ascoso represso affanno.
[587]