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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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LIBRO VI.

 

 

Sgombra, o gentil, dall’ansia

Mente i terrestri ardori;

Leva all’eterno un candido

Pensier d’offerta, e muori:

Fuor della vita è il termine

Del lungo tuo martir.

Manzoni.

 

 

I.

 

Fra questa novella e perigliosa cura, serbò pur sempre l’inclita donna l’animo umile e puro, e fu verace madre delle vergini. Tutrice del loro operare, misericorde con tutti.

Nelle ore che le monache avevano inoperose, spesso le assembrava intorno a , e assisa domesticamente fra loro, con parlare conversevole le pascolava di ottime dottrine; prendea parte alle loro tribolazioni, e animavale a rivelarle i bisogni de’ loro aderenti, perchè potessero porvi comune sussidio colle comuni dovizie.

[588] Si guerreggiavano in quegli anni fra’ Longobardi guerre ostinate, lunghe e fiere; fu la città più volte preda del vincitore, e nelle contese de’ barbari patìano pur sempre gli infortunati Romani. Fra tanta jattura, mentre la veggente provvedea che non ardisse profano vincitore penetrare nel monasterio e ne afforzava le mura e le muniva di battifredi e di fosse; era generosa di sussidj a que’ cittadini che ne sosteneano patimenti e danni. Ella sapea quali famiglie perseguitate dalla prepotenza straniera lottassero colla miseria, quai fanciulle perigliassero nell’inesperto abbandono; e una ignota mano piovea fra quei miseri le dovizie, apriva a quelle tapine un asilo. Languiva qualche egro sul deserto letto, e non richiesto lo soccorreva insperato sussidio. Era il provvido consiglio della veggente, che segreta dal chiostro spargea dappertutto la beneficenza ed il soccorso.

 

 

II.

 

Ove poi più di opere bisognavano parole, inviava i sacerdoti ed i mansionari del convento, perchè dessero consolazione a quei tribolati. Spesso desiderati da lei veniano al cenobio, ed ella stessa dal parlatorio li richiedeva di loro disgrazie, che sempre uscivano dalle immanità de’ dominatori. Aggiungea gravi consigli su quanto era richiesta, e loro fornia o i modi, o l’oro per ricuperare i congiunti, i figli, che erano stati trascinati in [589] servitù, nelle varie riprese che ora i duchi ribelli, ed ora il re aveano fatta del regno.

solo procurava qualche rimedio a’ presenti mali, ma provvedeva ai bisogni dell’animo loro e additando savie dottrine a seguire, e nudrendoli di buone speranze sui futuri mutamenti della fortuna. Apriva le sacre carte, e alzando gli occhi quasi si confortasse d’essere esaudita, leggeva in Isaìa.

— Ecco che Iddio dominatore degli eserciti spezzerà il vaso di terra con terrore, e saranno recise le piante troppo alte e abbassate le sublimi: e alzerà uno stendardo delle nazioni e riunirà i fuggitivi d’Israele. — Guardava poi gli oppressi e aggiungeva: — Patite e perseverate come il popolo eletto, e confidate che chi il trasse dal servaggio d’Egitto e voi trarrà dal straniero: perseverate nella virtù e conoscerete la Verità, e la verità vi farà liberi, e perirà di spada chi ferì di spada....

E parlava inspirata tutta fiammeggiando, e parea alzare la mano col flagello celeste; ma poi temendo non la traviasse qualche privato risentimento, si ratteneva, raddolciva l’aspetto e gli accenti e con soavità riprendea: — E se avvenga pure che falli ogni speranza, non vi perdete d’animo, ma confidate nel cielo che mai non viene meno a premiare le umane tribolazioni. —

[590]

 

 

III.

 

Si spargea la fama di quella pietà, e risuonava il nome di lei siccome di madre comune non pure in santa Maria, ma nella città: traevano sacerdoti e vescovi al convento, ed ella siccome era debito del suo grado, facea loro accoglienza colla grave maestà del proprio ministero e coll’umiltà della devota ancella. Non riceveva mai per la gratitudine de’ beneficati, o la pubblica riconoscenza, ma ripetea sempre non avere amministrato che il volere delle sorelle.

limitando le sue larghezze cogli infelici, volle pure adoperarle nell’ornare i luoghi sacri: riedificò il tempio ed il cenobio con parte delle avite fortune, e nell’interno chiostro innalzò duplice rotonda chiesetta, una superiore, l’altra sotterranea, nella quale fece scavare un pozzo di acqua benedetta. In questa cripta collocò il Crocifisso che avea per compagno e sposo de’ casti suoi pensieri, e la destinò alle alterne ufficiature che si faceano dalle monache nelle ore notturne.

 

 

IV.

 

Però fra tante cure stava pur sempre in cima a’ suoi pensieri uno tristo, cupo, doloroso che talvolta le balenava sull’annubilata fronte qual lampo [591] nel cadere dei giorni estivi, e le amareggiava i momenti più soavi della vita. Sebbene ella di subito fattane accorta, ripigliasse la serenità e si accendesse in nuovi ragionamenti; pure quando era sola, quel pensiero se le facea gigante e la prendea di tanta tristezza che quasi ne era sfinita, e ne le restavano a lungo orme profonde sulla squallida faccia. Quindi quella continuata ambascia le inaridiva le fonti di salute, le fuggivano il cibo e il sonno, e se le radicava un lento malore a’ precordi, che la consumava.

Maravigliavano le monache perchè mentre tutto parea riderle intorno, e le fiorìa l’età più verde ogni più si struggea, appassivano quelle avvenenze ch’erano sì rare, e sfiniva siccome fiore sopra essicato stelo. Non sapeano le affettuose come potesse accordarsi quel continuo e grave deperimento della di lei salute, colla pacata tranquillità che sostenea fra le continue occupazioni e nel conversare. Spesso la chiesero se la molestasse qualche malattia o affanno; ma essa tutta dolcezza rispondea, essere di buona salute, e fra tanto loro amore non dover gioire che di puro contento.

Però fu sovente udita, allorchè era chiusa nella propria cella, dirompere in miserando pianto, e per lunghe ore esseretravagliata da angosciosi sospiri che parea la uccidessero. Che se qualche monaca pur sollecita di recarle aita, battea alla porta e la dimandava facendo vista che d’altro [592] la sollecitasse, ella subitamente ricomponeasi e appariva sedata e quieta. Talora fu osservata passare le intere notti insonni nella sotterranea chiesetta, e inginocchiata sul terreno pregare a lungo e piangere e dimandare perdono. Ma di che ella il chiedesse niuno pur mai il seppe, eppure spesso nell’orazione della sera pregava le suore, perchè recitassero l’ave per Teodote. Molte che sovente in lei versavano i propri affanni, la confessione delle proprie colpe e la chiedeano di consiglio, la interrogavano qual mai cura la molestasse; e benignamente sempre rispondea, non spettare che alla divina misericordia il giudicare de’ mortali.

Fra le monache una ve n’ebbe che più si acquistò la benevolenza della Badessa, perchè sventurata fu condotta alla penitenza per un errore di sconsigliata giovinezza. Tolse Teodote a dirigerla ne’ primi momenti che chiese i veli, la sovvenne di consolazione, la resse nella via a cui si metteva, e quando prese il voto la chiamò col proprio nome. Quindi era la giovanetta nella confidente amistà di Teodote, e potea semprechè il volesse, entrare nella cella di lei, venirle compagna nella chiesa. Sovente essa la colse nell’ambascia, l’udì nel fervore della preghiera, la destra al petto e gli occhi lagrimosi al cielo, asseverare che casti erano stati il cuore ed i pensieri. Era però vano che la interrogasse qual mai caso o ricordanza le desse tanta guerra e tribolazione; [595] ogni volta le rispondeva, i peccati de’ mortali esseregrandi e frequenti, che poco è il pentirsene e farne penitenza ad ogni momento.

 

 

V.

 

Restava alla trambasciata solo refrigerio l’affetto paterno. Veniva sovente Teodoro al parlatorio di santa Maria, chiedea della figlia e lieta ella volava a quel dolce richiamo.

Fino dai primi giorni che si ritrasse dalla corte, aveva Teodoro spogliate le vesti longobarde e le armi del potere; perchè si era accorto come la figlia mentre tutta gioiva nel guardarlo, torceva pur spesso la vista da quelle insegne, e vedendole parea ne sentisse molestia. Aveva ei quindi ripreso l’abito italiano, scorciati in parte i capelli, altri lasciati crescere, nudrita la barba che omai alquanto lunga e bianca gli adombrava il mento; sicchè dalla calva fronte, dal sopracciglio tra rimesso e severo si procacciava compassione e rispetto. La nuova vita poi che menava affatto privata, l’amore e l’ajuto che prestava ai suoi, aveano fatte dimenticare le passate ambiziose follìe che gli impigliarono la mente.

Compiaceasi il buon uomo, in cui anche nei traviamenti non erano mai scemati i paterni affetti, intrattenersi a ragionare colla figlia, ed ella godea contemplare le note sembianze, leggergli negli occhi i reconditi pensieri e ricrearlo di soavi [594] parole. Questi erano i soli momenti in cui l’infelice ritraeva qualche sollievo all’ascoso suo affanno.

Ma quel canuto s’incurvava dagli anni e già sentivasi prossimo al suo finire, e il diceva a Teodote che con dolore gliene vedea pinto sull’aspetto il duro presagio. Pure ei s’accoglieva un gran desiderio e un voto di restarsi ancora una volta con lei in libera stanza e nei trattenimenti domestici; e perchè ella non glielo contraddicesse, ottenne dal Vescovo permissione di entrare a un divisato giorno nel cenobio.

Fu quello per Teodote a cui si preparava come a gaudio di caro sollievo. Ne parlava ripetutamente alle monache, disponeva, ordinava ogni cosa come a prossima festività, ne annoverava gli istanti e ne rivolgea nella fantasia i dolci colloqui.

Quando le fu annunziato che giungea il padre, corse ad incontrarlo sulla soglia del convento, e allargando le braccia si precipitò fra le braccia di lui, versando dolcissimo pianto di commozione. Indi il fissava per considerarne e fruirne le care forme, gli stringea colle palme il capo e gli baciava i bianchi capegli. quei la scambiava di minore passione, e trepidante di gioja ora la recingeva, la premeva al petto, ora la pigliava per le mani e la riguardava, ora le dava amplessi e baci, e godea chiamarla più volte per la sua cara figlia, la sua Teodote.

Come ebbero iterate quelle affettuose accoglienze, [595] ella lo adduceva pel cenobio, e gli mostrava la propria stanza, e i chiostri e le aule. Numeravagli le cure consuete a cui attendea in quei luoghi colle sorelle, lo presentava a loro, e le interrogava se da molto non avessero provata la consolazione di abbracciare il padre.

 

 

VI.

 

Poichè volarono alcune ore fra sì dolci cure e in alterni ragionamenti nella solitaria cella, condusse ella Teodoro nella cripta della consueta chiesetta delle preci, si pose con lui tacita ad orare innanzi al Crocifisso che indicavagli qual vessillo della propria salute; indi cavato da una custodia il dittico ch’ei le avea donato, volle recitargli le lamentazioni e que’ salmi, come solea quando ancora era fanciulla. Dopo baciato e chiuso il libro, diceagli in attitudine di preghiera: — Ah padre! contenta la travagliata anima mia: dimmi se mi hai perdonato perchè ti abbandonassi senza tuo consiglio, e per gli affanni che ti vennero nel restare solo nella vedova casa? —

Destavano queste parole la compassione nel vecchio, ma poichè ella richiamavagli un momento di dolore, si avvisò cadesse l’opportunità di sapere quanto gli pungeva da gran tempo curiosa brama. — Ah Teodote! che pensi tu mai? Ti vedo, ti stringo qui al mio seno, sei contenta, e benedico al tuo desiderio. Ma pur dimmi; fu [596] forse la violenza ch’io t’usai strappandoti al tetto paterno, che ti trasse al disperato passo?.... Questo è il solo affanno che mi strazia, e almeno me lo assicura, o me lo allevia? — No padre, calma il tuo sospetto: mi dolse lasciare le consuetudini della mia innocente infanzia è vero, ma il tuo desiderio fu legge a’ miei pensieri, e rassegnata il seguii. —

Maravigliava Teodoro a quell’asserto, e pure spronato dall’eguale intenzione ancora chiedeva: — Ma qual causa adunque?.... e Siro?.... —

A questa dimanda si diffuse sulle gote alla donna un subito pallore, e sentì quasi da gelida mano stringersi il cuore; indi suscitarvisi diversi turbolenti moti, come manifestavano il ruotare inquieto degli occhi, e un incerto atteggiarsi; ma fu tutto un istante, e si vide rapidamente succedere in lei un sentimento ascoso che abbonacciava gli altri, si ripigliò e dignitosa aggiunse: — Deh lascia per pietà, lascia che un velo ci divida dal passato: quegli, — e accennava il Crocifisso e soffocava un sospiro — quegli ha giudicato di noi: esso accolse i voti di tua figlia, ei elesse nel mio cuore... povero Siro! è martire in cielo... povera Teodote!... ah! consola, o padre, consola la misera tua figlia coll’amor tuo... —  più valendo a soffocare l’ansia che le gonfiava il petto, diruppe in improvviso pianto, che versò nascondendo colle mani la faccia nel seno paterno.

[597]

 

VII.

 

Alzava l’impietosito Teodoro gli occhi al cielo quasi cercasse leggervi un gran mistero, ma nulla comprese. Poichè restò alquanto in quella positura, scrollava la testa come chi rinunzia ad un antico desiderio; e amoroso vezzeggiava, premea il capo della sua diletta. Dato ella sfogo a quella violenta angoscia, solleva il viso, e rasciuga le ciglia col velo; si ricompone, e incresciosa temendo avesse di troppo parlato, cerca l’aspetto del padre a spiare quai pensieri avessero creati in lui quei detti e quell’afflizione.

Ma Teodoro più non vi pensa, che non vuole penarla maggiormente, leva di sotto alle vesti una aurea collana a cui sta appeso un reliquiere d’argento e gliela sporge: — Prendi Teodote; questo è il dono che ebbi sul letto di morte dalla tua buona madre, e stette sempre sul mio cuore fra le vicende della mia vita. Ora che sento avvicinarsi il mio fine, a te lo rimetto. Essa raccomandavami di serbarlo a te, e se non in tutto seguii i suoi consigli, adempio almeno questo: lo accogli e perdona ove venni meno ai voleri di quella benedetta a cui tanto tu assomigli... — Due grosse lagrime gli caddero dagli occhi, e baciò quella reliquia con un profondo sospiro.

Prende Teodote con entusiasmo il sacrosanto arredo, e il trasporta con dolce violenza dalle [598] labbra al cuore, ne letizia, ed esultando procaccia tosto adattarselo al collo. Teodoro l’ajuta a cingervelo, ed ella per assecondarlo si china, sicchè spacciatasi di quella cura, rimane genuflessa innanzi a lui. Quindi congiunge le mani sul petto, il fissa con un aspetto tutto di preghiera e gli chiede la paterna benedizione. Questa movenza e questa richiesta destano a nuova tenerezza il buon vecchio; e quasi inspirato alza la destra, e le dice con interrotti singhiozzi: — Ti benedica il cielo, — piega sopra di lei, la bacia più volte, e confondono nella comune trepidazione il comune pianto.

Dato alquanto tregua a quelle commozioni, egli la sollevava e le raccomandava la propria memoria, poichè aggiungea di sentire che in breve la vecchiezza gli avrebbe tolta la vita. A sì triste presentimento, Teodote che parea raggiante di celeste contentezza, ancora si annubilò, recinse il melanconioso, lo accarezzò amorevole e il supplicava singhiozzando: — Ah padre! non desolarmi con sì tristi pensieri: no, la bontà del Signore non mi torrà la sola consolazione che mi rimanga... o se pure questo castigo mi scaglia nel suo sdegno, certo ti sarei presto compagna, per riposarmi di una misera vita... misera pur sempre... —

Qui ricominciava in lei una nuova dolorosa vicenda di tristi immagini, e di ricordanze amare e di timori, se non la scuoteva il suono della campana che raunava le monache a ripetere le [599] laudi nell’oratorio. Il dovere, a cui mai non avea mancato, di assistere a quel devoto ufficio, le diede forza a reprimere le proprie passioni nel momento che parea più bisognare di darvi libero sfogo. Si strinse con amorevolezza al padre, e rinnovati gli amplessi si divise da lui, e tosto apparve desiderata fra le sorelle a dirigerle nella preghiera.

 

 

VIII.

 

Rediva però sovente Teodoro ai consueti colloquj nel parlatorio, e ricordavano sempre quelle ore che sì care versarono fra l’amore, ed ella parea tuttavia sentirne la dolcezza. Ma fu breve sollievo, poichè il cadente fra gli affanni che ognora gli suscitavano i rimorsi di avere tolta alla figlia la pace, e fra un’immatura vecchiezza, chiuse indi a non molto i suoi giorni.

Ne pianse amaramente Teodote, diede suffragio colle sue consorelle all’anima del trapassato, e convertì a beneficio del cenobio i nuovi tesori che ne eredò per testamento ch’ei le inviò innanzi di passare, raccomandandole ancora la propria memoria.

 

 

IX.

 

Omai la derelitta era vedovata di ogni persona più caramente diletta, senza che più non le fosse concesso vedere alcuno di coloro che con tanta [600] dolcezza ravvivano le grate memorie dell’infanzia, udire una nota voce d’amore. Pure tutto comportava rassegnata e senza lamentarne, e seguiva a porre ogni suo pensiero al bene delle affettuose che la consolavano chiamandola col nome di madre.

Non solo le reggea in tutte le occupazioni che prescriveva la regola, ma dividea i lavori dell’ultima iniziata fino a quelli delle provette che le erano più vicine in dignità. Allorchè nel sabbato, come era di legge, davasi assetto ad ogni cosa del monastero perchè fosse più splendido il riposo della domenica, ella non pur contenta di vegliare le sorelle, ne sussidiava le operose mani nella chiesa, ne’ luoghi di comune adunata, e fino nelle celle: perchè queste vedendola affaticata la pregassero a stare in riposo, ella vi assentiva; rispondeva loro che certo non l’aveano elevata a quel grado per giacersi nella colpa dell’ozio, ma per essere la prima nell’operosità.

Nei della penitenza e del digiuno, ella era a tutte di esempio; nella quaresima in cui si dava quotidiano alimento ad alcuni poverelli a carico del cenobio, era fra quelle che distribuivano il sussidio; e nel giorno in cui si commemora dalla chiesa la cena degli apostoli, era contenta oltre il consueto, perchè avea debito dal suo grado, servire tutte le monache a mensa, e il facea con un angelico sorriso sulle labbre che annunziava la purezza delle sue intenzioni e pareva uno spiro di paradiso. Avea pure premura colle [601] lamentazioni e gli evangeli della passione, che si cantavano nella settimana santa fra il digiuno e la penitenza, di fare recitare per la liberazione degli oppressi fratelli, alcune preghiere che ella stessa avea composte, ed adattatevi le note di salmodia che erano sur alcuni libri corali, e che spiravano melanconia e dolore.

Cadevano pur entro l’anno alcuni giorni nei quali era ordinato nella sacra comunanza universale silenzio, sicchè a niuna era lecito proferire una sola parola, tutto doveano intendere a segni. Tenevasi pure Teodote rigorosamente a quel divieto, sebbene la sua condizione di Badessa e la necessità di comando le facessero libertà di parlare: a tutto ella provvedeva cogesti, e perchè in quei non mancassero utili insegnamenti alle cenobite, porgea loro con segni, raffigurazioni e simboli i dettati e i misteri della religione. Era poi seco sì rigorosa, che anche nella cella chiudea sulle labbra fino i sospiri.

 

 

X.

 

Però fra sì incessanti occupazioni, non tacea mai in lei quel duro7 affanno che le sapeva in cuore, non scemava mai quel secreto corruccio che la struggea; e per quanto procacciasse reggere con forza nella dura lotta, gliene usciva ognora più grave il danno. Pareva che la consumasse un interno fuoco; sicchè infine a tanto ebbe il male [602] che invano desiderò attendere agli ufficj usati. Trascinava il grave fianco affidata al braccio della giovinetta Teodote, almeno per rendersi alla chiesa nelle ufficiature della mattina, ma sovente il fervido desiderio le era interdetto dalla debolezza estrema.

collo scemare delle forze si alleniva l’interna sua ambascia, che anzi spesso colla febbre le prorompeva dall’affannato petto. Talora le prendeanoviolenti concitazioni, un convulso delirio, una pressa di fuga e un dimandare soccorso, che mettea compassione alle istanti intese a sorreggerla. Però appena rinveniva, tutta arrossendo interrogava che avesse detto, ricomponeasi, chiedea loro perdono, e le pregava non badassero ai commovimenti provocati da imprevedute trafitture che la martoriavano nelle viscere.

Tutte ad ogni modo si persuadevano sempre maggiormente, ch’essere dovesse un grave segreto chiuso nel cuore della donna, e avvisavano di potere giungere a ridurla in salute se il manifestava, poichè si proponeano di darle refrigerio con ogni loro potere e sagrificio. Di ciò la scongiuravano e diceanle che qual pur fosse la celata causa che l’adogliava, esse erano pronte a dividerne l’affanno e l’amarezza; e se era colpa, a dividerne la penitenza con lunghi digiuni, con portare il cilicio, con incessanti orazioni. Erano queste parole un’aura dolce di ricreamento alla misera, ma erano come la rugiada su inaridite foglie che ne [603] rinverdisce un istante il colore per consumarle più presto; sentiva sollevarsi un momento per gratitudine a tanto affetto, e ricadeva in maggior dolore. Però non otteneano risposta a quanto le premurose le chiedevano; proferia loro la propria riconoscenza e le affidava che Iddio avrebbe provveduto alla sua salute, che pregassero per lei, ma non la turbassero con dimande indiscrete.

 

 

XI.

 

Ma affranta, spossata fra sì continuato combattere omai cedea la natura, e già la infortunata stretta da molti giorni a giacersi nel letto, sentiva avvicinarsi l’ora estrema. Lo disse alla sua fidata e le raccomandava di non abbandonarla negli ultimi momenti del patire, e chiese del vescovo, a’ cui piedi soltanto avea sempre deposte le proprie confessioni. Ei giunge nel convento, e si ode il suono della mesta campana che in simile frangente d’infermità aduna tutte le monache a salmeggiare in chiesa. Mentre esse a voce sommessa recitano i salmi del coronato Profeta, Teodote affida ancora al pastore le colpe della intera sua vita.

Si propaga poscia lungo i chiostri un fragore stridulo e cupo; è il battere lento e ripetuto d’alcuni ferri a martello raffermi da un capo e pendenti sur una tabella di legno che si porta in giro da una conversa, e agitandola ne trae quel suono in triste metro. Scende quel fragore come voce di [604] sventura in animo alle monache, perchè è il consueto che le invita alla preghiera per una moriente sorella. Tosto dimesse, lamentevoli si raggruppano, si danno e chiedono novelle, si radunano nella maggior chiesa, prendono dalla cattedra abbaziale il bastone pastorale, la mitrella e le danno a portare alle novizie... Odono per la terza volta il battere della raganella e tosto a due a due a capo chino, fatte delle braccia croce sul petto, traggono alla cella della moribonda.

Ivi reverenti alcune dispongono presso la Badessa le insegne della sua dignità, altre le stendono sul letto la veste di penitenza, sopra a questa con molta cenere segnano un’ampia croce. Attendono a tali cure mute, quiete, riservate, muovono lievemente il piede, e incedono con tutto riserbo per non destare rumore. Rompe solo quel silenzio la voce della giovane alunna che inginocchiata a piè del mesto letto, legge l’evangelio della passione: sta raccolta e serena ad ascoltare Teodote come chi solo pensa a riconciliarsi coll’Eterno.

 

 

XII.

 

S’ode lontano squillo di campana, si apre la porta della cella ed ecco apparire un nuovo sacro corteggio. Precedono alcuni laici, l’uno innanzi all’altro; porta il primo l’aspersorio e l’acqua benedetta, il secondo una croce, quindi altri quali col turibolo, con una piscina piena di vino, [605] coll’olio santo e finalmente due con ardenti candelabri, accompagnano il Vescovo, che precinto di candido piviale, reca nel calice e sulla mistica patena il cibo eucaristico nelle due specie.

All’entrare il sacerdote tutte le monache recitavano ad una voce le prime parole del simbolo degli apostoli, e poichè tacquero, le ripetea pure Teodote e aggiungeva: — Abbi, Signore, pietà di me perchè sono inferma, la mia anima è turbata: volgi da’ miei peccati il santo tuo volto, salvami per la tua misericordia; mi aspergi coll’isopo e sarò monda, tergimi e sarò più candida della neve. —

Come poi il pastore deposto su portatile altare la pisside santa, la benedisse coll’aspersorio, ella gli chiese se poteva sperare dalla divina carità perdono del proprio fallo. — Non fu mia la perversità, ma ne fui causa sebbene innocente: ne ho fatta continua penitenza, mi sono consumata ne’ gemiti, ho bagnato ogni notte il mio letto di lagrime, e finalmente l’affanno mi toglie la vita; posso confidare di ottenerne una migliore? —

Trepidavano intorno le monache cui il mistero di lunghi anni aggrandiva nella fantasia queste parole. Lesse Teodote nei loro volti quella dubbiezza, e ben vide che o troppo avea detto, o non avea parlato assai. Piangeva la giovane sua amica a fianco del letto; e la pregava di togliere un velo omai increscioso, e raffermare la credenza delle figlie per le sue virtù. Volle allora che tutte se le stringessero intorno e pregato perchè col santo crisma si [606] tergessero i suoi sensi dai mondani peccati, stretta nelle mani la materna reliquia che avea al collo disse con voce ferma sebbene fioca: — Ah! mie figlie, mie sorelle imparate che pericolose sono le pompe del mondo: che fatale fu la mia gita nella casa de’ grandi, che dono miserando è l’avvenenza, è castigo del cielo… ed io il seppi misera! e ancora ne porto l’animo disperato... Infelici le fanciulle che cadono nelle mani de’ barbari! e a me il re... Dio misericorde gli perdona... furono casti i miei sensi ed il mio cuore... e se vinse la forza... ah! Signore l’anima non è contaminata... —

Impallidiano le meste donne, ed ella era presa da un singhiozzo mortale. Purgava il sacerdote coll’unzione sagramentale i sensi di lei e pregava fossero mondi d’ogni macchia, e intanto le monache in mesto coro oravano per la moribonda. Poscia come la penitente vi fu apparecchiata con parole di contrizione, il Vescovo le porgea la cena eucaristica, e purificate le mani nella piscina del vino, di nuovo la benediceva e profetava: — Ecco il tuo spirito si scioglie dalle mortali catene, la terra ritorna alla terra, e tu nel gran giorno rivedrai il tuo Creatore. —

 

 

XIII.

 

Partirono i sacerdoti ma restarono le monache, siccome desiderò Teodote. Le fisava co’ suoi grandi [607] occhi celesti, ne’ quali tanta era ancora eloquenza di vita e d’affetto, e in que’ sguardi pareva tenere con loro lunghi colloqui d’amore. Però avea spogliato l’aspetto di quella forza misteriosa onde erasi suffusa fino al momento che dichiarò il suo segreto, chiamò intorno al letto le compagne e tutta disciolta in pianto, tutta abbandonata siccome la più misera creatura, dimandava a ciascuna perdono delle recate molestie, delle proprie mancanze.

Dava poscia a tutte salutevoli ricordi perchè seguitassero ad accrescere la santità della devota congregazione; dicea a qual uso desiderava convenissero alcuni suoi arredi che in ispecie destinava a soccorso de’ poverelli. In quanto a le pregava, non le usassero a’ funerali le pompe che si soleano retribuire alla propria dignità, e il suo corpo non già si ponesse nella chiesa come si era costumato con quelle che l’aveano preceduta, ma fosse interrato in luogo abietto siccome la più misera peccatrice:

— Io offro il mio spirito contribulato in sacrificio a Dio; forse esso non disprezzerà un cuore contrito ed umiliato, e allora avrà ancora gaudio e letizia l’anima mia, e ne esulteranno le mie ossa umiliate. Solo vi supplico, perchè non dimentichiate nelle orazioni i vostri fratelli, che gemono per le città piene di pianto. Io trovai fra queste mura se non la pace, almeno la sicurezza e la via della penitenza; abbiano essi pure dalla vostra pietà sussidio ne’ mali, e per vostra intercessione [608] ottengano dal cielo finalmente salute... ch’io muoia con questa speranza, colla certezza che non mi credete macchiata... che mi perdonate... — Ripetè le parole di Ezechiello: — Ah Signore Iddio! l’anima mia non è contaminata, — ed emise un profondo sospiro, e levò gli occhi nuotanti nelle lagrime.

 

 

XIV.

 

Seguiva in tutte un silenzio triste, cupo, sublime; ne’ volti era dolore e pianto, nei cuori soffocata ambascia. Il ruppe Teodote girando le affettuose pupille sulle sorelle, e raggiandole col lume soavissimo d’un sorriso, le chiamava a nome ad una ad una, le pregava perchè se le accostassero, dava e riceveva da tutte il bacio dell’estremo comiato.

Dopo le vide tutte inginocchiate intorno al letto che la riguardavano colla pietà di figlie; le quali attendono qualche favore dalla cara parente; conobbe essa quell’onesto desiderio, levò la mente e giunte le mani fece alquanto orazione, indi preso un aspetto d’inspirazione, alzando la debole destra, impartiva loro l’ultimo dono d’amore. — Benedizione e carità e sapienza e gratitudine e onore e virtù e fortezza sono da Dio: esso vi benedica come vi ha parlato. —

Devote accoglievano esse il tesoro di quelle parole che accennavano come l’angelica donna avesse [609] sempre presente la sapienza largita nelle sacre scritture, e con un gemito interrotto, colla fronte quasi a terra, rispondeano tutte: — Benedetta l’anima tua, perchè non avrà macchia innanzi al Signore: —

Ma omai sentendo Teodote venirsi meno e vedendo il suo fine, baciava la sacra reliquia che le sporgea la fida compagna, e raccomandava il proprio spirito nelle mani d’Iddio.

Alitava dall’inaridita bocca un anelito corto affaticato, e sulla squallida faccia parve se le diffondesse novello pallore; era la nube di morte. Girò la misera le fosche umide pupille a fruire l’estrema luce, e affisatele in cielo, si appannarono, e fu tronco, chiuso sulle labbra quello spiro affannato... Un improvviso pianto e un lamentare doloroso e lungo che sorse da quella cella, i tocchi lenti e flebili della campana, e il fragore continuato delle tabelle, annunziarono che Teodote avea compiuto di patire nella travagliata vita.

 

 

XV.

 

Fecero le mestissime donne continuata veglia e preghiere intorno al letto dell’estinta, e ne piansero la perdita acerba. Al nuovo giorno udiasi battere sotto le volte del convento più celere e forte dell’usato il lugubre crepitacolo, e tosto le inconsolate suore, prima fra le quali era sempre la fida amica e alunna di Teodote, fecero i mistici lavacri alla salma della loro madre. Indi [610] l’avvolsero in candido sudario, la rivestirono di cocolla, calze e sandali nuovi, e le acconciarono in capo il salterio de’ veli e la mitrella, l’adagiarono a viso scoperto sul feretro che fiorirono di rose e di giacinti, le accomodarono reverentemente le mani sul petto con in dito l’anello, e le posero al fianco il bastone pastorale. Così composta la lasciavano nell’oratorio per tre giorni a veduta de’ devoti e di que’ che le erano grati di tante beneficenze.

Nella terza aurora, al suono alternato delle campane e delle tabelle, la portarono nel tempio coll’assistenza di una badessa fatta venire all’uopo da un altro monastero, e davano suffragio all’anima benedetta. Intanto, come ordinavano i canoni, dodici poveri sedeano nel refettorio alla mensa abbaziale e cibavano quanto loro apponea la carità delle cenobite.

Compiuti i sacri uffici, e fatto lungo corrotto dalle monache intorno all’estinta, sebbene ella lo avesse disdetto, ne collocarono le venerabili reliquie in distinto deposito. Le poneano sul petto e sotto il capo alcune ostie non consacrate, le cingeano al collo la collana ed il reliquiere donatole dal padre; le metteano al fianco ed a’ piedi il bastone del comando, una copia della regola di san Benedetto, il dittico ch’ella tanto pregiava e sul quale avea scritte di propria mano le orazioni e gli inni che aveva composti: a tutto ciò aggiungevano un vaso di terra cotta pieno di carboni. Chiusa con molto pianto la tomba la coprirono d’un largo velo nero.

[611] Raunate poi tosto in capitolo elevarono la giovane Teodote nel seggio abbaziale, e misero preci al Vescovo perchè la loro defunta madre fosse ascritta al numero de’ beati.

 

 

XVI.

 

La chiesa ed il cenobio vennero dedicate a Teodote: ivi per molti secoli si tenne in venerazione il Crocifisso ch’ella vi avea recato, finchè chiuso il convento venne trasportato nella basilica di s. Michele ov’è tuttavia sur apposito altare. La giovane Teodote innalzò alla benedetta nel tempio un monumento di pietra con simboli e fregi, sculti come assentiva lo scadimento delle arti a que’ tempi; monumento di cui fino al nostro tempo si serbarono molte parti nello stesso convento della Posterla in Pavia.

Appajono da un lato i due pavoni che vanno a dissetarsi nel vaso, su cui sorge la croce a dinotare l’amore de’ fratelli credenti ad attingere nel vaso dell’elezione e della vita; dall’altro fra i leoni dell’Apocalisse, sono le mistiche foglie del loto e i pesci. Dalla parte ove posava il capo l’estinta, a rappresentare il Verbo umanato, è intagliato un agnello che reca la croce. Fregiano gli ultimi lembi del monumento gli intrecciati pampini della pianta che ricorda, come la chiesa tutti accoglie nel suo grembo i fedeli.

Sul marmo che copriva il sarcofago si scolpirono [612] alcuni versi, il cui senso si riferisce perchè attestino la devozione de’ contemporanei per le virtù della sfortunata donna.

«Finalmente Teodote è cittadina del cielo: visse forse troppi anni: madre di vergini, pasceva nel gregge del Signore le pecorelle di Cristo; proteggendo le istruì, riprese, diresse, amò; e perchè qualche invido non ne perdesse alcuna, tenea corrugata la fronte con chi era lieta di carattere. Le sue placide mani che si asteneano dai flagelli, erano generose nel porgere il vitto ai bisognosi. Adorna di magnanimi costumi, si mostrò benevola ed onorata, paziente di cuore e di opere, degna della nobile stirpe onde venìa, crescendo come fiume da fonte, e fu cara a’ genitori, da cui traeva splendida nazione. —

Molto possiamo pur dire di Te se si riguardi al corso delle cose e agli studi del secolo. Per Te sfolgora il bel tempio della Vergine, cui togliesti l’antico, rinnovasti ogni parte scaduta: per Te le abitazioni del cenobio ridono allo sguardo di chi le osserva più belle delle antiche mura, vi hanno di simili al mondo che i palazzi dei re, e le chiese de’ santi che vantano illustre origine e sono venerate da tutti. Io Teodote, tua alunna, o Teodote, cui lasciasti il nome e la cattedra, innalzai il Sarcofago di bei marmi, con molte lagrime e con afflitto il cuore».

[613]

 

 

 

NOTE

al libro VI, § XVI.

 

1. Giovi aggiungere un cenno intorno a questo Crocifisso d’argento, che dal modo onde è lavorato si vede opera dei tempi bassi, sebbene il Romualdo favolasse venisse fatto fare da certo Abagaro re d’Edessa, precisamente nell’anno 34 dell’era nostra. Pare che questo prezioso arredo, nascosto dalle monache in qualche assedio o saccheggio della città, restasse poi in secoli posteriori a lungo perduto: fu trovato che mercè una ventura singolare, come raccolsi dalla tradizione nel monastero. Rendevasi una monaca di notte ad orare nella confessione della chiesetta interna, ponea la sua lampada sul davanzale del pozzo, si inginocchiava a terra e appoggiata a questo pregava. Dopo alcune sere guardando essa nel pozzo, vide apparire a fior d’acqua un Crocifisso risplendente: non è a dirsi quanto ne andasse lieta, perchè facilmente credette fosse quell’apparizione indotta dalle sue orazioni, e ogni sera la vedea rinnovarsele mentre di giorno tutto scompariva. Però, forse punta da un po’ di vanità, non potè a lungo tenersi dal narrare l’occorsole ad alcune consorelle, che videro la [614] stessa meraviglia, e a loro posta il dissero ad altre, sicchè in breve la confidenza fu generale. Allora saputosi l’avvenimento per la città, fu fatto cercare nel pozzo e vi si trovò nel fondo il Crocifisso smarrito, che pel naturale giuoco de’ raggi di luce, illuminandosi le acque, parea venirne alla superficie. Fu collocato nella maggior chiesa su apposito altare, ove stette fino al calare del secolo passato.

2. Mentre si stampa questo libro, il marchese Malaspina di Sannazzaro fece raccorre i frammenti di questo monumento dispersi e adoperati a vari usi nella Pusterla, e li fe’ collocare nell’atrio del proprio palazzo in Pavia, ove sono unite le migliori lapidi pavesi, romane, de’ tempi di mezzo e moderne. Questi frammenti del monumento di Teodote, che la fortuna mi fe’ scoprire, hanno soli quattro anni, constano di quattro marmi, oltre il sasso epigrafico, de’ quali due lunghi oltre a sei piedi parigini, ed ornati di belle sculture simboliche. Se ne può vedere il disegno ed un’illustrazione che ho pubblicata in una lettera diretta al marchese Malaspina stampata a Milano dai Classici Italiani.

[615]

 




7 Nell'originale "diro". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]






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