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Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
III.
Lo staffiere
Mentre re Carlo si ricreava nel parco il suo capitano Graville prese alla sprovvista i soldati ducali, che facevano le scolte alle vedette del castello, ai ponti levatoj, e fino alle porte della città, li cacciò e vi pose invece i suoi francesi. Quando il corteggio tornò in palazzo, Beatrice accorse [642] pallida per annunziare quella violenza a Lodovico: ma egli sapea ogni cosa; mentre correva a diporto il parco ora al fianco del Re, ora precedendolo nella caccia, avea continue notizie di quanto avveniva in città ed in castello, ma lo scaltrito non ne mostrò turbamento.
La donna inquieta, gelosa d’impero, vedeva in quell’atto una trama ordita a favore del Duca per togliere al marito il comando e fors’anco la libertà, e incitava Lodovico a riprendere le armi, a vendicare l’insulto; ma questi imperturbato: — Non temere: Carlo ha troppo fitto in cuore il desiderio di regnare a Napoli, perchè voglia spendere tempo a sollevare un altro senza alcun profitto: io l’ho preso alla gola, gli ho mandate belle donne, buoni danari, e non dubitare che sarà nostro: lo consiglio a questo passo solo un momento di paura e d’imprudenza; Graville al lamento di Calco rispose che il Re si tiene mal sicuro finchè è nelle mie mani; forse teme non mi venga il capriccio di Cabrino Fondulo, il quale, poichè ebbe condotto Sigismondo sul torrazzo di Cremona, si dolse di non avernelo fatto gittare abbasso per acquistarsi celebrità; qualunque sia questo timore mi giova, perchè vedendolo vano, crederà alla mia fede. Fa piuttosto vegliare gli appartamenti del Duca, perchè fu veduto un suo scudiero parlare in secreto a Graville, e non vorrei che Isabella uscisse per andare da Carlo: è giovane e bella, e su quell’animo molle...
[643] Beatrice morse le labbra, e ripetè con sarcasmo: — Giovane e bella! — Sorrise il Moro:
— Ormai non è tempo ch’io misuri le parole colle tue gelosie; presto non avremo più a fare con costoro, e Milano ti saluterà... manca un corriere che giunga d’Alemagna... Ma non perdiamo tempo, ognuno di noi vegli questa notte: sia brillante la festa che ho preparata nella gran sala al Re: lascia ch’ei galanteggi con quelle due dame che mi dicesti adocchi volentieri: chiudi un occhio, posso fidarmi di loro. —
La notte si volse lieta in danze ed in banchetti; Carlo si ricreò, e non apparve sul volto a Lodovico ed alla moglie il più piccolo risentimento della fatta violenza; solo alla prossima mattina quando egli fu alla levata del Re, gli chiese con un sorriso se avesse dormito tranquillo: questi gli strinse la mano piacevolmente; e lodata la magnificenza delle sue feste, gli disse che in quel giorno intendeva partire, ma prima desiderava visitare il castello che sapea splendido di preziosi arredi.
Increbbe a Lodovico quella richiesta; egli aveva studiato di stancarlo il dì prima nel parco, perchè non desiderasse correre il palazzo; temeva sempre che cercasse del Duca; però non seppe opporsi, e solo gli rispose dolergli la sua partenza perchè gli aveva apparecchiata in quel giorno una giostra. Uscì, e in un tratto era adunato nella gran sala ad attendere il Re tutto il corteggio, per seguirlo nella visita del palagio, affinchè le molte persone [644] gli suscitassero diversi e vaghi pensieri; il Moro gli si pose al fianco colla moglie, e tosto lo condusse verso la torre destra che guardava al parco ove erano raccolte le più belle armature che si fabbricassero a Milano, e gliene presentò alcune.
Girato indi sotto i portici, giunsero all’altra torre, che sporgeva sulla sinistra verso città; ivi era collocato il maraviglioso orologio fatto costruire da Giovan Galeazzo Visconti, che ad un tempo indicava e suonava le ore, il giro di tutti i pianeti e i segni celesti, e parve vero miracolo di arte. Ma i Visconti aveano pur in quella rocca adunato quanto valeva allo splendore delle lettere, e attraversando magnifiche sale e la chiesetta, posero piede nell’opposta torre, stanza il cui pavimento era a diversi colori, splendido come il vetro, con un cielo di bellissimo azzurro; ivi era raccolta la peregrina libreria, ove un secolo prima il Petrarca aveva meditato sugli antichi scrittori: erano libri d’ogni dottrina, codici in pergamena, tutti rilegati di velluto, di damasco, e fino di broccato d’oro, e fermi agli scaffali con catenelle d’argento. Lodovico trattenne a lungo il Re svolgendogli que’ volumi, indicandogliene alcuni postillati dal Petrarca, ed in ispecie un Virgilio ove questi avea notata la morte di Laura: poi gli narrava le vicende dei Visconti, la loro splendidezza e le loro superstizioni.
Dopo lunghi discorsi Carlo fe’ cenno di uscire, ed all’invito del Moro di ritornare in giardino, [645] rispose che desiderava vedere il piano superiore. Fu forza acconsentire, e tosto si misero sopra un’ampia ed agile scalea a cordonata, sulla quale potevasi salire e scendere a cavallo; e visitarono parecchie stanze ornate di pregiati dipinti.
Il corteggio omai volgeva per discendere, allorchè un giovane scudiere precipitandosi tra la folla si appresentò al Re e fece cenno di volergli parlare. Lodovico lo conobbe e ordinò che fosse allontanato, ma tosto Graville disse al suo signore che era un messo del Duca. Carlo accennò che si accostasse, e lo scudiere, posto sul berretto un biglietto e chinato un ginocchio, glielo sporse; il Re lo raccolse e lo lesse: era Isabella che il pregava a visitare l’ammalato cugino Giovan Galeazzo. Allora guardò il Moro in atto di rampogna, e questi con un fare tutto rimesso:
— Sire, diverse cause mi consigliarono a non importunarvi, e innanzi tutto la vista d’Isabella d’Aragona moglie del Duca, contro il cui padre ora si muove tanta guerra. —
Sorrise il Re: — Eh non temete che mi possa rimuovere da una grande impresa il pianto di una donna; ne abbiamo lasciate molte che sospiravano in Francia e per noi: per questo non debbo tralasciare di vedere il Duca; è scortesia albergare in sua casa e non visitarlo. —
E l’altro sempre ossequioso: — Certo sarebbe un alto onore per lo sgraziato mio nipote, ma è sì malato! e in verità temo che la commozione [646] per una visita sì augusta non gli nuoca: poveretto! la sua vita si sostiene solo con grandi cure e colla quiete. —
Carlo stava dubbioso, ma s’accorse che Graville lo guardava quasi a ricordargli una promessa, e lo scudiere lo fissava con tanta pietà, che nel silenzio gli faceva una preghiera; si riscosse e disse risolutamente: — Voglio vederlo. — A quelle parole l’animoso scudiere senza aver ordine si levò; si spiccò da loro, e volò agli appartamenti del Duca: era lieto d’avere raggiunto quanto aveva con tanta cura ordito per alleviare i mali del suo sgraziato signore: sentì che quell’audacia poteva riescirgli fatale, ma non vi pensava.