Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
II.
La battaglia
Intanto l’esercito imperiale s’accostò al campo francese: il primo febbrajo del 1525 accampossi a Vistarino; il due a Lardirago ed a sant’Alessio; all’indomani schierò nella prateria che confina colla porta santa Giustina di Pavia; e nei dì successivi si distese fino a Trivolzio, alla Motta, e ad una boscaglia vicina a san Lanfranco a mezzo miglio dalla città e dagli avamposti francesi. Il fiumicello Vernavola separava i due eserciti.
[659] Intanto nell’esercito confederato, i lanzi, gli svizzeri e le bande nere altamente parlavano di diserzione, e facevano richiamo al Vicerè con queste parole di funesto augurio per coloro che li comandavano: paga, congedo o battaglia; per che i generali di Carlo V, sprovvisti com’erano di denaro, deliberarono la battaglia; ma per più giorni non s’attaccarono che scaramucce tra gli avamposti senza vantaggio nè scapito da ambe le parti.
Il 24 febbrajo l’armata imperiale s’apparecchiò alla pugna. Era l’anniversario della nascita dell’imperatore, e gli Spagnuoli avevano invocato il patrocinio di san Mattia. Lannoy spartisce in due corpi la sua cavalleria, e forma quattro battaglioni de’ vecchi suoi fanti, colle bande nere che avevano percorsa mezzo l’Europa, dalle Fiandre fino a Napoli. Il marchese del Vasto assume il comando del primo corpo, forte di sei mila, tra tedeschi, spagnuoli ed italiani. L’altro corpo di soli spagnuoli è affidato a Pescara: Borbone comanda a’ suoi lanzi, Lannoy alle sue bande nere. Antonio de Lejva attende coi rinforzi nel castello di Pavia, ed ordina che una fiamma dia il segno dell’assalto: tutti i fucili dei confederati sono rivestiti d’una camiscia bianca, perchè si conoscano fra loro nella mischia anche di notte.
Innanzi giorno gli imperiali fanno un falso attacco su’ due lati del campo. Approfittano del fragore delle artiglierie per demolire le mura del [660] parco che già ne’ dì prima con falsi allarmi avevano guaste alle fondamenta: le gettano per tanto spazio che possano entrare di fronte sessanta cavalli: avanzano nel parco gli uni verso Mirabello, gli altri verso il campo de’ francesi. Del Vasto menando la spada alla testa de’ suoi s’accosta al castello, assale la guarnigione, s’apre il passo, e sarebbe giunto alle porte di Pavia se Brion, spiccatosi dalla retroguardia del duca d’Alençon non gli tagliava la via forzandolo alla ritirata.
Le batterie di Galiot de Gènouillac, collocate in buon posto difendono la breccia, per la quale precipitano nel parco gl’imperiali, ma i quaranta cannoni del gran Mastro seminano tra quelli la morte; essi ondeggiano alquanto, e poi vôlti in fuga ricovrano in un profondo burrone.
Al principiare dell’assalto, il Re che dormiva il sonno leggiero d’un soldato, scosso dal tumulto balzò in piedi prima che il paggio ne lo avvertisse. Al tempo stesso Montheron e Bonnivet giungono di galoppo apportatori della nuova che il campo è attaccato su’ due lati.
— Or bene, signor ammiraglio, disse il Re, pensate che questo è il momento di misurarci con Lannoy; quindi vestiamo l’armi più belle. In giorno di battaglia vogliamo che nessuno fra que’ che cavalcano un buon ginnetto di Spagna, contenda con noi nella magnificenza del vestire; sì, questo giorno è solenne per la nostra graziosa sorella Margherita. —
Indossò un sajo di tela d’argento, fort [661] remarquable et fortaisèe a cognoistre; e coprì il capo con un elmo magnifico ornè de grans panaches penchants sur sa salade et fort bas sur les èpaules: e intanto gridava dalla tenda. — A cavallo miei bravi — Parecchi capitani eransi raunati nel quartiere del Re mentre le milizie balzavano in sella.
Dopo aver cinta la spada, Francesco la sguainò, e disse al gran scudiere Saint-Sèverin: — Che vi pare di questa spada? — Il grande scudiere, la maignant par la pointe et le bout, dit qu’il n’en avai jamais vue une meilleure ny plus tranchante. — E il mio cavallo? — soggiunse il Re appressandosi a Real, magnifico animale, bardato di ferro, con ricca gualdrappa; intanto Real tenuto per mano da Religny, salticchiava, nitriva e pareva, sfoggiando ardore e brio, accennare che invano non portava quel pomposo nome: — Io son di modi reali, — gli disse il Re palpandolo, lo prende pel freno damaschinato d’oro, lo bacia sul muso, si pone in arcione ed accosta gli sproni ai fianchi del generoso andaluzzo, che s’impennò, saltellò ed agilmente si ricompose. — Bravo Real! disse il Re, lisciandone colla mano la setosa criniera, che spartita scendeva sui lati del collo in ondeggianti ciocche fino sul largo petto del corsiero; bravo Real! fra breve sarai confuso nella mischia coi cavalli de’ nostri; pazienza! —
La gendarmeria era in sella, le armature dei prodi lucicavano ai fuochi notturni; vedendo il Re, mandarono dai robusti petti un grido che [662] compendiava un pensiero d’amore, d’ammirazione e di devozione. — Miei bravi, diss’egli, ogni mia speranza è posta in voi: Se mi avete pel vostro Re, se mi amate, se vi preme del vostro onore, del vostro avere, delle vostre mogli, dei figli, dei fratelli, date in quest’oggi prova di valore al nemico; non occorre animarvi; avete animi capaci di virtù, e non vorrete smentire la gloria de’ vostri maggiori: però giovi ricordarvi che se giungiamo a trionfare de’ nemici e il confido pel vostro coraggio, potremo giustamente acquistarci nome di difensori e vindici del nostro diritto. Altrimenti, pusillanimi ed inetti, saremo vilipesi come nemici della nostra fama e del nostro onore: tanto basti; andiamo! —
Il grande scudiere, il cui ufficio era quello di parare i colpi vibrati al Re, raccomandò a’ gendarmi di por orecchio alla tromba reale di Cristoforo, che squillerebbe forte ove alcun nemico minacciasse Sua Maestà.
Francesco I impaziente percorreva le file dei suoi; ad ogni istante accoglieva i messaggi della battaglia, ed erano di fausto augurio. Seppe che Brion aveva battuto del Vasto e presigli cinque pezzi d’artiglieria; che l’avanguardia del maresciallo de Chabannes aveva sostenuto uno scontro con la cavalleria di Pescara. Finchè potè si contenne, ma quando vide i cannoni di Genouillac sperperare le file degli imperiali e credette di sbaragliargli incalzandoli, gridò alla sua cavalleria: [663] — Tocca a noi a dar compimento all’impresa del gran Mastro; avanti! —
Gli squadroni irrompono nella pianura, si slanciano, volano sulle orme del Re. Il primo scontro è un trionfo; ma in un tratto tacciono le batterie di Genouillac. — Santa Barbara! questi grida furente; ahi sciagura! Il Re, il Re colle sue guardie è al segno de’ miei cannoni! Per Dio, Monjean, accorrete al Re; se non isgombra, la battaglia è perduta… — Frattanto non si ode che qualche raro colpo.
Gli imperiali approfittano dell’accidente per rannodarsi. Pescara coi suoi spagnuoli, Lannoy cogl’italiani, Borbone coi tedeschi avanzano e acquistano terreno, mentre del Vasto abbandona il parco di Mirabello, e de Lejva, veduto dalla torre innalzata nel campo la fiaccola che dava il segno ordinato, esce da Pavia, s’unisce a lui co’ suoi cavalli.
Intanto il duca d’Alençon che comandava la retroguardia francese, impassibile, non cura di dare soccorso al Re; vede quella non curanza Laroche du Maine, e indispettito, aspramente gli domanda se gli regge l’animo d’abbandonare nel pericolo il proprio fratello, e se le milizie che egli comanda sarebbero state come lui inoperose, ed avrebbero sostenuta l’onta di cadere prigioniere senza combattere. Non potendo rimuovere il principe dal suo strano divisamento, Laroche du Maine e De Trans si distaccano co’ loro reggimenti, e procacciano di raggiungere il Re.
[664] La battaglia s’accende sopra una estesa linea. Le bande nere scortate dal duca di Suffolck, Rosa Bianca, lottano coraggiosamente contro i tedeschi di Borbone, che gli hanno furiosamente assaliti. Suffolck, Vaudemont fanno prodigi di valore, ma sono uccisi dai colonnelli Sith e Frousberg.
Castaldo comandava la cavalleria napoletana: due volte Chabannes, la rompe, e due volte essa si raggruppa protetta da’ lanzi. Clarmont di Amboise è ucciso; Chabannes oppresso dal numero vede i suoi in fuga senza poterli rattenere; fatto prigione da Castaldo, il vecchio maresciallo è tolto crudelmente di vita da una archibugiata del luogotenente Burarto; questi contese poi la preda dell’illustre guerriero al capitano di lui. I tedeschi di Borbone, dopo avere sconfitta la fanteria di Suffolck, affrontano gli svizzeri capitanati da Diespach, i quali paventando la sorte delle bande nere piegano e si danno alla fuga. Invano li rampogna Diespach, invano offre loro doppia paga, invano minaccia, promette e conforta; sono sordi alla voce del loro capo. Fleuranges vede lo scompiglio degli svizzeri, si precipita co’ suoi in mezzo a loro; ma nulla ha possa di arrestarli, e si disperdono. Diespach colla spada in alto grida: — Vili, non riuscirete ad iscansare la morte che fuggite; abbiatela per mia mano: per me non ho più che a morire!... — Così dicendo si slancia in mezzo a’ tedeschi, e riceve il colpo che desiderava. Flearanges attraversa il campo di battaglia, tende [665] l’orecchio e ode da lontano la tromba che squillava vicino al Re, dove la lotta fervea, lotta sanguinosa, disperata; ivi erano uomini che non avevano mai vôlte le spalle come le bande mercenarie, ed era pertinace la resistenza.
Solo co’ suoi cavalli, Francesco I fa fronte al nemico. Investe la cavalleria italiana, ne uccide il capitano Fernando Castriotto, ultimo rampollo degli Scander Beg, re d’Albania: il sangue di questo Macedone fu versato per mano di un Re. Francesco I viene a singolar tenzone con Andelot, gentiluomo di Franca Contea, e gli taglia il capo.
La invincibile gendarmeria francese aveva miglior fortuna, ed avrebbe accentrati intorno a sè i fuggiaschi, se il marchese di Pescara non le si fosse fatto incontro co’ suoi spagnuoli gridando a tutto potere; Salgan salgan, los mosqueteros! afeura! afeura! adelante los mosqueteros. (Fuori, fuori i moschettieri! avanti avanti i moschettieri!) Mille voci di gioja ripetute da tutta l’armata, come un canto di trionfo fanno eco a questo comando. — A qui est ael Marques con sus arquebuzeros espanoles. — (Ecco il marchese co’ suoi archibugieri spagnuoli). — Mille cinquecento archibugieri, tiratori esperti, si avvicinano alla gendarmeria francese, scaricano ed arretrano un tratto di corsa per ricaricare l’armi. I cavalieri s’avventano contro essi; ma come battere un nemico che in un lampo viene all’assalto, e scompare?
[666] Il Re ordina a’ suoi d’aprire le file per offrire minor presa; ma non ripara il danno perchè gli archibugieri si cacciano tra quelle fila, e mietono i più valorosi capitani. Luigi d’Ars, Tournon, Tonnerre cadono estinti; e la gendarmeria si struggeva sotto i colpi degli spagnuoli. Il poco che ne rimane s’aduna intorno al Re, e lo circonda per proteggerlo. I generali di Carlo V investono questa mano di coraggiosi. Pescara e Lannoy sono rovesciati dall’arcione, calpestati; la zuffa è sì stretta alle mani che i moschetti spagnuoli sono resi inutili. La lancia e la spada è la sola arma in una lotta disperata, poichè i francesi non ebbero mai tanto a combattere come a Pavia per difendere un Re che tutti superava nel valore.
Francesco I mena colpi da ogni lato furiosamente; è ferito nella mano destra, ferito nel braccio sinistro. — Guardatevi, o Sire! — gli disse Saint-Severin. — Real sbalza scosso dal Re, e il regio brando s’immerge nella gola dell’alfiere del conte di Salmes, il quale comandava una compagnia di Alemanni. Ugo di Cordova colpisce il grande scudiere il quale muore gridando: — al Re, al Re, du Bellay — e il Re uccide Cordova e con esso due archibugieri; ma Real è ferito al petto da un colpo mortale, vacilla, salta un fosso, perde terreno e cade, e il Re vi resta avviluppato sotto colla gamba sinistra11. [667]
Però non si spaventa, e si difende con disperato ardire; colla destra fa puntello contro la groppa di Real, si libera e combatte ancora. Ferito al sinistro sopracciglio gli gronda sugli occhi il sangue e gli toglie per un momento la vista del nemico. Gira furente con ambe le mani la spada insanguinata, e fere di punta e di taglio, quando Diego d’Avilla e Giovanni d’Urbieta accostandosegli ginocchioni lo afferrano per la tunica, lo atterrano e con la spada alla gola, gli intimano di arrendersi.
Pomperant, gentiluomo di Borbone, che combatteva contro i francesi, avea ravvisato il Re, ed accorreva per soccorrerlo; piomba un colpo sopra d’Avilla che già gli levava la manopola, risospinge i soldati che gli strappavano le armi e facevano in brani il pennacchio, les uns pour en faire monstre et parade en signe de gloire et de triomphe, les autres pour en demander rècompense et loyer. Pumperant, si getta alle ginocchia del Re, lo supplica ad arrendersi: — Basta è troppo per l’onore della Francia; arrendetevi o Sire! — A chi? disse il Re — Al duca di Borbone — Piuttosto morire che darmi vinto a lui, piuttosto morire; chiamatemi il Vicerè — e colla spada batteva in un immane pioppo sotto il quale seguiva questo avvenimento.
Pomperant ha ubbidito, e Carlo de Lennoy china il capo d’innanzi al Re. — Signore de Lennoy, gli disse Francesco I in atto di rimettergli la spada fumante di sangue — eccovi una spada che ha costato la vita a più d’uno de’ vostri; confido che ne farete [668] qualche stima; non è viltà ma un rovescio di fortuna che la fa cadere nelle vostre mani. —
Carlo di Lannoy riceve con riverenza la spada del Re, gli presenta la propria e gli dice: — Supplico la Maestà Vostra ad accogliere l’offerta che io le fo della mia; essa ha più d’una volta risparmiato il sangue francese: non si addice ad un ufficiale dell’Imperatore il vedere un sì gran Re disarmato quantunque prigioniere. —