Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
III.
La prigionia
Tanto seguiva, dopo due ore di battaglia, lunge mezzo miglio dalla rocca di Mirabello, in luogo solcato da vari fossati, sotto l’alto pioppo che stette per tre secoli a testimoniare di quel fatto, e fu solo per ignoranza gittato nel 1833. Resta ancora a quel campo, a quella sponda su cui sorgeva la pianta, al casolare che vi si innalza quasi di fronte, la denominazione di Repentito che accenna il pentimento (repentir) che mostrò Francesco di quella impresa, quando percosse quella pianta colla spada prossima a passare nelle mani del vincitore; è viva ancora fra’ contadini la tradizione di quella giornata.
Perirono intorno al Re molti prodi. L’imprudente Bonnivet, come vide perduta la fortuna, alzò la visiera e scoprì la gola per essere [669] ucciso: Opposa la garganta alla spadas y fue muerto, e nessuno il compianse perchè causa di quella guerra imprudente; con lui caddero la Tremouille ed altri prodi. Il conte di san Paolo creduto morto, veniva da un soldato mutilato a un dito per togliergli l’anello, ma dati segni di vita, fu da lui raccolto, nascosto e condotto salvo in Francia. Galeazzo Sanseverino fu trasportato ferito alla Certosa: Enrico re di Navarra fu fatto prigioniere dai soldati; lo comperò il marchese di Pescara, lo condusse nel castello di Pavia per trarne molto riscatto; ma i fratelli di Lonate pavesi il rapirono alla prigione e all’ingordigia del vincitore, e il condussero in Francia ove ebbero nuova patria. Più sgraziato fu il re di Scozia Giacomo Hamilton, come narra il Ballada, e ripete la tradizione: stette per due dì celato in una boscaglia, indi uscito per fame, si diede a conoscere a un mugnajo, che raccoltolo in casa per derubarlo lo uccise: per tanta nequizia il tristo fu in Milano squartato.
Più di venti principi e grandi di Francia restarono prigionieri, e le truppe si diedero a così dirotta fuga che molti soldati perirono nel Ticino; le loro salme raccolte, ebbero poi dalla pietà dei pavesi sepoltura nel tempio di santa Maria alle pertiche. Vi si serbavano ancora nel nostro secolo le loro ossa ordinate in sacro cimelio, ed ogni anno si porgeano loro suffragi nel giorno della commemorazione de’ morti: gli altri soldati in meno di due giorni quasi per prodigio sgombrarono di [670] Lombardia. Solo il duca d’Alençon non prese parte alla pugna; la sua spada stette inoperosa nella guaina; esso fuggì precipitosamente dai campi di Pavia, attraversò il Piemonte e rientrò in Francia: Margherita duchessa d’Alençon, s’incontrò a Lione nel principe suo sposo, e gli rinfacciò amaramente lo strano suo procedere: esso svergognato mendicò qualche scusa: — Ho domandato a’ miei se volevano battersi e tutti si tacquero — Signore, chi vuol essere seguito va innanzi — riprese con indignazione la coraggiosa sorella di Francesco I. Il Duca d’Alençon non resse a tanta vergogna, e morì di corruccio due mesi appresso.
Però Francesco I spogliato nella lotta dagli ingordi soldati, rimessa al vincitore la spada, prigioniero, non era nè scoraggiato nè avvilito: attraversava il campo, nel quale era una vergognosa fuga, con aspetto sereno, e s’avviava verso Pavia: chiese di non essere condotto in città, per non essere presente al tripudio de’ cittadini che uscivano da lungo assedio e gli venne acconsentito. Fu scortato al monastero di san Paolo ove tenea l’alloggiamento prima di ridursi nel parco, poscia quartiere del Vicerè di Napoli. Saliva sereno quell’eminenza d’onde vide pochi dì prima le sue schiere vittoriose, entrava nella chiesa mentre i frati cantavano il salmo 118. — Beati i puri che camminano nella legge del Signore. — Finivano il versetto 70, e Francesco ad alta voce li precorse dicendo quello che seguiva — È un bene o Signore [671] che tu mi abbia umiliato, perchè conosca gli effetti della tua giustizia. —
Entrò nel cenobio; vi fu trattato da Re; si medicarono le sue ferite, e se gli offrirono magnifiche vesti. Apprestate le mense, trassero innanzi a lui per dargli l’acqua alle mani tre illustri guerrieri; il Vicerè teneva il catino, il marchese del Vasto versava l’acqua, il duca di Borbone gli offriva l’asciugatoio; questi aveva le lagrime agli occhi, forse in quel momento sentiva rimorso di aver rinegato il suo Re, nè sapea che l’attendeva sotto le mura di Roma a punirlo l’archibugio di Benvenuto Cellini. Francesco volle seco a mensa Lennoy e Vasto. Allora i soldati che lo aveano spogliato nel campo, vennero a rendergli le vesti e le insegne, e la croce d’oro che il papa gli aveva posta al collo in Bologna; gli furono fino concessi a servirlo i suoi paggi.
Intanto in Pavia facevasi festa della vittoria e il poeta popolare, narrata la battaglia, scioglieva un canto lirico, ove il Re diceva la sua sconfitta —
Ebbi incontro il ciel e terra,
Son di forza.
[672] Non si fondi alcun sul vetro
Son di forza.
Però altri erano i sentimenti del Re: prigioniero ma intrepido, sventurato ma forte, prima di partire per Pizzighettone, da quel colle innanzi alla vincitrice città che tripudiava, ei scriveva alla madre — Tutto è perduto fuorchè l’onore. —
[673]