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Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
§. VI.
Ora, forse vorrete fare più stretta conoscenza con quest’essere prodigioso, che per varj secoli apparve fra gli uomini, usò le grandi società, e fu sempre eguale a se stesso, cosa rara a questo mondo e ormai fuggita di moda. Una volta per conoscere Arlecchino, bastava andare a teatro, ed ecco che levato il sipario, egli vi appariva innanzi e diveniva vostro amico. Il secolo che pretende migliorare, a poco a poco lo allontana dalle scene classiche, e lo riduce a quelle delle marionette, alle baracche de’ burattini. Quindi non lo vedrete sì facilmente, amabili lettrici, perchè sdegnate confondervi col popolo: ei però o fra le tele dipinte, o sul trivio, è sempre lo stesso.
[686] Arlecchino cammina cantarellando, pensa al presente, nulla al passato ed al futuro: sorride alle ricchezze ma non procaccia d’acquistarle: è faceto senza malizia; allegro senza rumore: celia con tutti que’ che incontra, dimanda con curiosità le altrui notizie, e narra con facilità quanto sa. Guai se alcuno gli affida qualche cosa a secreto! guai se egli pone con se stesso che non gli esca di bocca! cammina a cautela, si volge inquieto intorno, come un geloso che crede tutti gli sguardi rivolti alla sua bella: immagina i detti e motti delle persone intesi a rapirgli il segreto; e come è leale, francamente dichiara loro, che non ne sapranno nulla, che niuno penetrerà la missione commessagli dal padrone per vendicarsi d’un rivale. È curioso de’ fatti altrui, spia, va origliando quanto altri discorre, se gli è affidata una lettera, la apre, la legge, ma giura cogli amici che non sapranno mai la dichiarazione amorosa che vi è scritta: e se alcuno prontamente indovina quanto vi contiene, ei si spaventa perchè sia un mago, e fugge.
Vi è una novità da pubblicare? la si affidi ad Arlecchino, e in breve ne parlerà tutta la contrada; pare un giornalista! Vi è un’impresa a cui porre mano, ei si presenta il primo anima e corpo; ma se è riposta nel pigliarsi una buona corpacciata, certo riesce il più prode; se vi corre rischio la pelle, è primo a darsi alle gambe. Si desidera prendere una vendetta e [687] far bastonare un amico? Arlecchino se ne toglie la cura, corre, cerca il paziente, lo avvisa di volerlo battere; ma il più delle volte ritorna egli stesso con peste le spalle.
Bisogna un servo? ed Arlecchino è ai vostri ordini; egli non sa rifiutare l’opera propria a nessuno che nel richiegga, talchè se è ricercato da due, diviene servo di due padroni. Però è fedele, e non manca mai al debito proprio: se il padrone corre fra i pericoli ei trema, piange, ma gli è vicino; lo chiama sempre addietro, lo sgrida imprudente, ma non lo abbandona mai.
Arlecchino è pieno di superstizioni: crede nelle streghe, ne’ fantasmi, ai morti risuscitati; ma se il padrone lo impone e gli è compagno, va tremante ad incontrarli, e li serve a tavola; col padrone ei discende anche all’inferno.
Arlecchino è brutto, ha mezza la faccia nera ed è sempre in mal arnese; pure ha un cuore facile, appassionato, come quello d’un vagheggino. S’innamora facilmente, ma però invece delle signore, delle donne di spirito, di quelle che sentono di lettere, di giornali e d’almanacchi, gli sanno meglio le cameriere e le fantesche. Non cura lo spirito, ma le vuole bracciatoccie e in buon assetto di carni; egli non usa molte galanterie, ma canta loro spiccio spiccio i sentimenti del proprio animo, e mentre poi i padroni gioiscono in tenerezze sentimentali nelle sale dorate, ei seduce le cameriere in cucina, perchè gli siano larghe di qualche [688] bicchiere di vino, e di qualche buon boccone. Arlecchino vuole maritarsi con tutte, e non ne sposa mai nessuna.
Nè però si creda che Arlecchino sia un discolo; è invece una creatura di tutto sentimento; i suoi affetti tengono del romantico. Egli ha un suo ideale in animo; ama una donna, che non esiste, e che trova realizzata in tutte: costei è Colombina: è l’archetipo delle cameriere e delle fantesche, è il sospiro continuo d’Arlecchino; ei viene e va all’altro mondo con Colombina in cuore.
Arlecchino è commerciante, è impresario, è medico, non però mai avvocato; vi vuole troppa astuzia. Egli ha molti malanni, si scontorce pei dolori, si dispera perchè è presso a morire, e dopo un momento è sano, specialmente se gli offrono un buon piatto di polenta. Ei ride e piange nello stesso tempo, si terge le lagrime col cappello, e si passa allegramente pensando che non ha denari in tasca.
Arlecchino è ballerino, è saltatore, e quel che più monta è filosofo: egli si propone scherzando di castigare i costumi, e questo lo fa in mille modi: ora vuole mordere il vizio altrui, e narra una favola; ora racconta una propria avventura, la storia d’un uomo, d’un animale, d’una pietra; come Fedro e Pimplai, ei dà vita e favella a tutta la natura, e da tutto cava una moralità come Socrate: la morale nacque nei primi secoli delle nazioni colla favola: tale è quella dei sette savii; [689] ne’ secoli che tutto si riduce a sistema, Arlecchino riproduce la morale antica pel popolo; è l’Esopo delle nazioni moderne, come quegli era forse l’Arlecchino degli antichi. Arlecchino muore mille volte ed è sempre risorto; non muore mai, come il Dio Brama. L’orazione funebre d’Arlecchino non può essere fatta, che da chi ha preso da lui cognizioni e dottrina; il popolo che corre sulla piazza alla mattina e sta a bocca aperta ascoltandolo sotto una casuccia di legno e ride, potrebbe solo dire udendo che è morto: — Povero Arlecchino; io ho da lui imparate tante cose! —
Ma e visse tanti secoli questo personaggio? V’ingannate, Arlecchino dopo il primo che diede il proprio nome a un essere con questo carattere, venne svolto e rappresentato da parecchi che lo imitarono. La storia d’Arlecchino, i suoi tratti di spirito, le sue lezioni, risultarono da tanti individui parziali: sono insomma i Rapsodi che cantavano la guerra di Troja, sono i Bardi scandinavi, coi quali Omero e Macpherson crearono l’Iliade e i canti d’Ossian. Verrà tempo che Arlecchino sarà considerato come un essere simbolico, e sloggiati dal cielo gli Dei dell’antica mitologia, chi sa che non prenda il posto di Momo, e fors’anco qualche altro più sublime.
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