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Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
LE ACQUE DI SANTA CATERINA DI BORMIO
Lungo l’ampia valle Tellina aperta fra le alpi che spartiscono Italia dall’Elvezia e dalla Germania, si schiudono molte valli minori, le quali danno bella varietà a quel recondito seno della natura. Verso il mezzodì scorre il Frodolfo che irriga con tortuoso giro la valle Furva, vi sparge la frescura, vi educa le erbe e le piante, e passato presso Bormio mette nell’Adda; entro questa valle parecchie miglia, sorge un casale ed una chiesa dedicata a santa Caterina.
Al principiare del secolo passato viveva in Val [732] Furva una buona vedova che aveva non più che un figlio; era la sua consolazione, il suo sostegno: d’ottima natura, destro, industrioso, aveva con continuata fatica ridotte a miglior cultura le poche terre lasciate dal padre, e prosperate le cose della piccola famiglia.
Toccava ai venti anni, e la madre pensò che convenisse trovargli una compagna, ne gittò alcune parole ad una vicina che teneva una figlia da marito, ed avendo i giovani scambievole simpatia, fu stabilito di farne un bel par di nozze.
Lo sposo alla domenica mattina portava un mazzolino di fiori alla sua fidanzata, perchè se ne adornasse quando si rendeva alla messa a santa Caterina, ed al vespero andava a trovarla al suo casolare colla madre, e la tratteneva di lieti discorsi, spesso trimpellando l’amandolino che toccava con molta destrezza.
Era la primavera e si attendeva l’autunno perchè dato ricapito alle faccende di campagna, si potesse con maggior agio fare le nozze; ma in questo mezzo il giovane robusto, fra il caldo e le durate fatiche dell’estate, ammalò gravemente con febbri ardenti e atroci dolori a’ precordi: il medico di Bormio gli trasse più volte sangue, lo cavò di pericolo, ma passati parecchi giorni e mesi non potè mai racquistare la salute: sentiva pur sempre alcuni dolori al fegato, ogni giorno diveniva più macilente, sparuto, e si consumava. Correvano diverse voci nella valle per la costui [733] sciagura: alcuni, come consigliavano i pregiudizj di que’ tempi, dicevano che un giorno mentre egli andava al mercato di Bormio, s’abbattè in una vecchia che gli offrì un fiore, ed appena esso lo ebbe fiutato, gittò uno starnuto e sentì quel dolore; essere colei una strega e averlo ammaliato.
Altri invece ragionavano delle sue grandi fatiche nel coltivare il podere, altri perchè fosse troppo innamorato. Fra queste parole venne l’autunno e l’inverno, venne la primavera e il povero giovane non guariva; gli erano sfuggiti il sonno e l’appetito, ed era sì macilente e livido, che a vederlo metteva compassione, sicchè fu necessità differire a miglior tempo le nozze.
La povera madre ne era desolata, e già fra le incertezze di tanti consigli, fra il dubbio potesse riescirgli fatale l’ammogliarsi, incominciava a pensare che convenisse rompere quella pratica del matrimonio.
La fanciulla invece vedendo lo sposo sì mal arrivato più prendeva passione per lui, e ne sentiva un gravissimo affanno; quando il suo fidanzato era costretto restarsi per molti giorni in letto, essa andava a trovarlo, e gli portava o qualche frutto o la verdura del proprio orto, e lo inanimava a confortarsi che in breve sarebbero stati contenti. Però la madre un giorno gittò alla fanciulla qualche motto de’ proprj sospetti, e la consigliava a rassegnarsi. Sentì la misera una fitta al cuore, e fu per morirne di dolore; pure non sapendo qual consiglio prendersi, piangeva.
[734] Alla prossima mattina andò alla prima messa a santa Caterina, e dopo usciti tutti gli altri valligiani, restò prostrata nella disperazione innanzi all’immagine della Santa e se le raccomandava. Si accorse il parroco di quella trambasciata, ed accostatosele la sollevò e volle che le aprisse la causa di quell’affanno. Ne fu commosso il buon prete: esso aveva avuto qualche sospetto sull’indole della malattia del contadino; e interrogata meglio la giovanetta di quanto patisse, gli corse un pensiero come d’inspirazione: la conforta a sperare, esce e torna con una bottiglia piena di limpidissima acqua.
— Prendi, portala al tuo sposo, fa’ che la beva in varie volte; torna ogni mattina, confida nel cielo: prega e forse sarai esaudita. —
Volò la fidente fanciulla all’ammalato e gli sporse l’acqua; la madre gliela diede a bere in varie volte: ogni mattina quella tornava col nuovo recipiente, e il giovane dopo tre o quattro giorni incominciò a sentire appetito: il parroco gli mandava vasi più capaci, e l’ammalato a poco a poco riprendeva forza, si levava dal letto, racquistava colore, e dopo dodici dì potè trascinarsi, sostenuto dalla madre e dalla sposa, a santa Caterina per rendere grazie al cielo. Allora il buon prete gli accennò una fonte vicina alla chiesa, e gli disse che quella era stata la sua medicina, e lo consigliò ogni mattina di rendersi a bere parecchie tazze di quell’acqua per ristabilirsi interamente. Non era passato un mese e il contadino era risanato: [735] aveva riacquistata la robustezza, la sua fiorente gioventù: tutti maravigliavano. — È l’acqua della fontana di santa Caterina. — Non lo credevano e rispondevano: — È il signor curato che lo ha esorcizzato e cacciatogli di corpo il malifizio della strega. —
Si sparse quella novità e tosto dalle vicine valli traevano al parroco di santa Caterina altri che si credevano stregati od erano mal sani, e dimandavano la benedizione. Il savio li visitava, e li mandava in pace se erano fantastici, se malati cui esso non valesse a dar sussidio li consigliava a sentire un medico, se di quelli cui avvisasse potere giovare l’acqua della fontana, la dava loro a bere, e con meraviglia prestamente guarivano.
In breve tutti parlavano dell’acqua di quella fonte, e tutti ne volevano perchè la dicevano benedetta dal prete. Alcuni gli portavano donativi, ma esso gli rifiutava e raccomandava loro che offrissero al cielo negli anni avvenire una vita castigata e pura.
Però quel prodigio muoveva la curiosità: tutti tenevano d’occhio al prete. Sovente fu veduto prendere di quell’acqua, porla in pentole e mescerla con altri liquidi; sovente partire con parecchie bottiglie piene d’acqua, andare a Sondrio e a Milano, ed entrare da alcuni speziali; tutti ne parlavano, tutti ne facevano i commenti, ogni suo passo, ogni sua azione era misurata; chi diceva egli facesse medicamenti per porre nella fontana, chi lo proclamava un Santo, chi un mago, e non mancarono [736] que’ scettici della città, che udendo narrar quei prodigi, ridendo lo dicessero un impostore. Il parroco sapea tutte quelle dicerie e soffriva in pace, seguitava le sue osservazioni, ad amministrare l’acqua agli infermi, a confortare quegli cui non giovava, viaggiava e lasciava che ognuno dicesse di lui quanto gli veniva in capo. Finalmente, dopo essere stato assente per varj dì della settimana, diede voce che alla domenica avrebbe manifestata la virtù della fontana, sicchè accorsero persone d’ogni parte e fin da Bormio e da Sondrio. Celebrò la messa, indi uscito dalla chiesa mosse alla fontana colle turbe che stavano impazienti ad attenderlo: tutti se gli affollavano attorno, chi procacciava baciargli gli abiti e le mani, chi gli faceva riverenza e il chiamava salvatore, padre ed operatore di miracoli. Quando fu alla fonte alzò la destra, fece cenno di parlare e tutti si acquietarono.
— No, miei cari figli, miei amici, miei fratelli, io non sono nè un santo, nè faccio miracoli; non merita questa poca creta tanto privilegio dal cielo; non sono nè un mago, nè un impostore, perchè arrossirei venirvi d’innanzi e portare questa veste sacerdotale. —
E tosto alcune voci: — Ma io sono guarito ed era moribondo; l’acqua è sempre acqua, e il miracolo è del signor curato. —
E il parroco riprendeva: — Eccovi dove siede l’error vostro: non tutte le acque sono come quella della fontana di santa Caterina; io altro merito [737] non ebbi che di osservare questa differenza. Non sentite bevendola un piacevole acidolo? non produce essa dopo alcuni giorni varj mutamenti nel vostro corpo? Vi avviene lo stesso quando bevete l’acqua delle altre fonti? No certamente: eccovene la causa; quest’acqua si filtra per un monte ove sono del ferro e delle sostanze purgative, e per un prodigio della natura, come vuole la Provvidenza, diventa medicinale come altre che sono nelle provincie venete e nella Svizzera. È già più d’un anno che mi venne questo sospetto; la provai per la malattia di quello sposo sgraziato, ho ripetute le esperienze, e vidi che non aveva presa un’illusione, ma tardai finora a manifestarvi il segreto perchè voleva accertarmene: ora intendo che sia pubblico a beneficio di tutti. —
Trasse un libro stampato da lui intorno a quelle acque e aggiunse: — Io morirò, e non avrò a lasciarvi per mia eredità nè beni di fortuna da distribuire ai poveri, nè la ricordanza di opere che meritino di essere imitate: vi lascio la scoperta di quest’acqua: essa può divenire sorgente di ricchezza alla vostra valle se saprete farne buon uso. Edificate su questo monte case, accogliete con ospitalità gli ammalati forestieri, e molti verranno a voi da ogni parte; essi accorreranno a bere la vostra acqua, e voi venderete per il loro mantenimento quanto vi resta nella capanna; essi ricupereranno su questi monti la perduta salute, vi lasceranno in ricambio il proprio oro. Io non vi sarò più, ma forse [738] un giorno questa fontana che avete creduta inutile, sarà il migliore prodotto di questa valle. —
Tutti maravigliavano: egli diede loro alcune copie del nuovo libro, e visse sempre benedetto da tutti.
Un buon parroco in un paese è un dono del cielo, e tale fu a Val Furva Baldassare Bellotto, il quale nel 1703 scoprì la potenza salubre della fonte di santa Caterina, che la pareggia alla doccia di Recoaro, e ne stampò un libro coll’analisi. Resta che la solerzia di que’ valligiani sappia rendere profittevole il beneficio.
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