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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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VI.

 

Alla dimane il Sanzio, al solito sorto all’alba, s’era tutto azzimato per porre i discepoli al lavoro ed indi andare a vedere la sua bella; rideva in questo pensiero, quando gli giunse un paggio che recava un foglio. — Lo apre, lo legge e cadde dolente sul seggio quasi fuori di senno. Dopo alcun tempo riavutosi lo rilegge, si batte la fronte, non sa darsi pace, appare afflitto da grande disgrazia.

Giungono gli scolari e il trovano mesto, pensoso: non parla, pone il berretto, escono, attraversano le vie di Roma, e il seguono ben cinquanta artisti, che di mano in mano sopraggiungevano e si mettevano al suo seguito; ma ei non volge loro un detto, uno sguardo. Procede innanzi fiancheggiato da Giulio e dal Fattorino, col capo basso, cogli occhi dimessi: il salutano tutti quelli che l’incontrano per via, ed egli che di consueto risponde cortese con quel suo sguardo soave e gentile, appena inchina la testa.

Giunsero al Vaticano, diede un’occhiata rapida ai lavori, e diceva ad alcuni scolari: — Seguite [35] innanzi: quando siete dubbj per le sale, avete le loggie; sono opera vostra. — Agli altri: — Voi andate a Ghigi e lavorate qualche cosa in quella benedetta Psiche! mi fu di mal augurio, e mi tirò addosso le sue tribolazioni. — Alcuni il dimandavano di qualche consiglio nel ridurre la propria parte, ed ei rispondeva — Guarda al bozzetto, ingegnati, non ho capo a nulla — e si batteva colla mano la fronte, guardava al cielo, e sospirava come chi domandasse soccorso.

Li lasciava senza far motto, andava dalla Fornarina ed ivi pure era mesto, pensoso; ai vezzi ch’ella gli faceva, non rispondea che di sospiri: talora la stringeva con fuoco d’amore, come chi temesse di perderla; talora la guardava compassionandola, quasi il mordesse qualche rimorso. Partiva, ritornava, sempre eguale: passavano alcuni giorni e si consumava nella stessa mestizia: tutti se ne avvedevano, non ne sapevano la causa, non osavano interrogarlo, e n’erano dolenti.

Gli scolari erano i più agitati: temevano di qualche grande sciagura, temevano ei non perdesse la mente: si strinsero a consiglio, pensarono come trovare rimedio a questa melanconia del Maestro. Giulio Romano più risoluto ed ardito, propose il proprio braccio se bisognava menare le mani, e diceva che se era qualche giuoco di Michelangelo, aveva petto di pelargli il mento. — Se è per la Fornarina, vado a pigliarla e gliela porto a casa; se l’abbia in buona pace, ma qua bisogna finirla, o noi lo perderemo.

[36] Giovanni d’Udine propose invece che importasse prima strappargli il segreto di questa mestizia; ne convennero tutti e ne diedero cura al Fattorino, siccome il più confidente di Rafaello. Se gli pose ei tosto al fianco, e sì lo pregò, gli fece tante interrogazioni, promesse e scongiuri, che infine quasi arrossendo, rivelò ogni cosa. Il cardinale Bibiena avendo saputo da Michelangelo che amoreggiava la Fornarina, avevagli con una lettera rammemorata la promessa di sposare sua nipote, poichè non poteva più addurre in iscusa di essere restìo dal prendere una compagna. Non negare ei già la promessa, ma non potere allora allontanarsi dalla Fornarina; essere quindi desolato e vedere certo mal fine a’ suoi travagli. —

Allora il Fattorino recintogli amoroso colle braccia il collo e il petto, lo baciò e gli fece altre dimande, e chiaritosi d’ogni cosa, gli disse che lasciasse cura all’amore de’ suoi figli il rimediare a questo guaio.

questi soli erano i triboli di Rafaello; se gli aggiungevano le importunità di Ghigi; la notizia che Michelangelo fosse con lui di malumore in causa di Bramante, e glie ne sapeva dolore, poichè sebbene lo sterminato genio di quell’uomo gli desse ombra, però procurava seguirlo nel nuovo stile che apriva all’arte, e ne desiderava l’amicizia. Si aggiungevano i clamori del Bibiena perchè non avesse risposto alla lettera inviatagli, talchè levava per Roma gran rumore sulla sua poca fede.

[37] Costui aveva poi malignamente, per mezzo d’un suo domestico, fatto sapere alla Fornarina, che Rafaello era fidanzato alla nipote d’un Cardinale, e che s’ella lo avesse ancora tenuto in lusinghe e accolto nella sua casa, mal sarebbe stato per lei. Il padre ne era spaventato, che sapeva quanto valesse l’ira d’un cappello rosso: non se ne sbigottiva però la fanciulla, chè amore non teme pericoli, ma ne era corrucciata fra la gelosia e il timore di perdere l’amante. Perciò al giungere di Rafaello gliene faceva pianti e querele, talchè quelle oredolci che ei prima passava nell’amore, si erano convertite in momenti di tristezza e di guai. Quindi ei diveniva ognora più melanconico e pensoso; gli fuggiva il sonno, gli smarriva la guancia già sì fiorente; stava sempre a capo chino, poneva più mano alla matita od a’ pennelli.

Però non restava inoperoso l’amore de’ suoi scolari; il Fattorino volava da Giulio Romano, e questi chiamava gli altri più provetti e facevano fra loro consiglio, come porre riparo a tanto male. Giulio sulle prime fece le meraviglie perchè il Maestro s’intristisse per donne: — Bisogna pigliarle come la tavolozza, terminato di dipingere, diceva, una buona lavatura e tutto è finito — ma gli amici gli rispondevano che qui non bisognavano teorie, tutti sentivano a suo modo. Allora ei voleva appiccare baruffa ora con Michelangelo, ora col Cardinale, diceva che sarebbe andato anche ai piedi del Santo Padre per [38] sciogliere la promessa del Sanzio — Sebbene non essendo che una promessa, aggiungeva, non vi deve essere scrupolo a pentirsi: sono quattro tocchi di pennello sulla tela; se vi fosse in mezzo l’anello, allora buona notte; è uno sproposito sulla calce fresca ove non si possono fare pentimenti. —

Ma il Fattorino rispondeva che Rafaello non intendeva ritirarsi dalla promessa, richiederne solo quattro anni di tempo a compierla, e che ove pur questo si accordasse, convenia provvedere perchè non gli venisse tolta la Fornarina.

— Dunque, interruppe Giulio, le vuole tutte e due: io poi i miracoli non so che dipingerli, finora non so farli — e si stringeva nelle spalle e tutti gli scolari stavano dubbj e non sapevano che partito pigliare, quando Pierin del Vaga spiccava un salto, come se avesse fatta una grande scoperta:

— Oh sapete che noi siamo la gente più inesperta del mondo! tolti ai colori noi non vagliamo a nulla: prendete un mio parere: Giulio e il Penni vadano da Ghigi che fa tanto rumore per Roma perchè i suoi lavori dormono: narrategli ogni cosa, ditegli che la sua Psiche non esce più dalle fatiche e dai viaggi per venire alle nozze, se non vi trova rimedio. Oh! vedrete bene che colui, banchiere, saprà porre riparo a questi malanni. —

Piacque il partito, i due giovani si spiccarono tosto, e appena Ghigi li vide, cominciò dolersi della poca fede di Rafaello; però come ebbe udito [39] le angoscie in cui si trovava e specialmente la conclusione a cui venne risolutamente Giulio, che se ei non trovava riparo, poteva ben starsi dai lamenti che la sua sala non andava più innanzi; prese sopra di raccomodare ogni cosa: solo li pregò del segreto e di assecondarlo. Uscì tosto, e per alcuni giorni corse ogni parte di Roma, volò dal Papa, dal Cardinale, e fino dalla Fornarina.

 

 




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