Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
Intanto Rafaello seguiva a consumarsi nel dolore: dopo alcuni giorni sentì battere la porta, si scosse, poichè ogni nuova persona che gli giungeva non gli recava che notizie sinistre: vide entrare Ghigi, arrossì che si conosceva in colpa, e con un fare tutto rimesso lo pregava:
— So quanto vorrete dirmi: pazientate ancora per poco; ho tanti travagli che mi soffocano la fantasia, e voi sapete che l’arte nostra vuole mente pacata e serena... ben vi prometto, che appena io possa porvi mano, se non mi toglie l’avversa fortuna questa vita travagliata, ne sarete contento. —
E l’altro tutto ossequioso e cortese: — Calmatevi Maestro; io qui non venni a fare querele: il mio palazzo ha già tanta parte d’opere vostre che se anche restasse a mezzo la storia di Psiche, [40] n’andrà pur sempre ne’ secoli venturi fra’ primi di Roma. È vero, me ne lagnai, ma ora ne vedo il torto, poichè non si fa violenza al genio. Anzi perchè so esservi chi crede avervi fra di noi qualche sdegno, vorrei che dimani sul vespro foste nel mio giardino con tutti i vostri scolari a prendere una refezione.
A Rafaello increbbe questo invito, perchè non aveva l’animo disposto a ricreamenti; ma l’altro lo pregò con tanta sollecitudine e con sì oneste ragioni, che gli parve scortesia il rifiutare.
Alla mattina seguente il Pittore levatosi, corse al solito dalla Fornarina, la trovò pensosa, dubbia nel rispondere a quanto le dimandava; era un mistero nel guardare de’ suoi parenti, un’incertezza in tutti, e n’ebbe acerbo dolore. Omai sospettava che alcuno pur le togliesse l’affetto dell’amata donna, le parlò dell’amor suo, delle proprie tribolazioni, de’ nemici che il molestavano, la ricercava se l’amasse ancora, e la fanciulla si confondeva nel rispondergli, ed ei più si turbava e rinnovava le dimande. Finalmente partì: incerto corrucciato capitò quasi senza saperlo a casa, si chiuse nella sua stanza, nè più pensava ad uscirne; si gettò supino sur un letto, e stava cogli occhi immobili in cielo. Dopo alcune ore giunsero lieti i suoi scolari per condurlo al luogo dell’invito: si scosse, si turbò, che tutto aveva dimenticato; convenne mantenere la promessa.
Mesto, pensoso, andava il tribolato artista verso [41] il palazzo Ghigi seguito da numerosa schiera di giovani festanti, briosi. Combattevano nell’animo suo mille diversi pensieri, ma tutti tristi ed affannosi, e meglio che rendersi ad un banchetto, sarebbe volontieri ritornato nella propria stanza per abbandonarsi alle sue fantasie. Gli facevano a vicenda varie dimande, ed ei rispondeva in tronche parole: gli gittavano sollazzevoli motti Pierin del Vaga, e Rafaellino, ma invano ei si forzava rispondere d’un sorriso, perchè tosto risospinto gli piombava come un accento di mestizia sul cuore. Pareva talora un lampo di letizia rischiarargli quell’aspetto sì gentile ed avvenente che aveva la simpatia di tutti, e tosto fosca tristezza lo annubilava. Cicalavano que’ giovani di sollazzi e di avventure, e mentre pareva ei porgesse loro orecchio, nulla sentiva, che nella sua mente, quasi fantasmi si agitavano, ora la Fornarina, ora il Bibiena, e Michelangelo corruciato, e Roma che si ridea di lui.
Appena posero piede nel palazzo si levò una flebile melodia di suoni, che gli scese sull’animo perchè pareva assecondare la sua melanconia. Era d’ogni intorno ingiuncato il suolo di fiori, e ornato l’ingresso dell’atrio ove ei pingeva le avventure di Psiche di variopinte ghirlande, che sosteneano un trofeo su cui era scritto: — Al Pittor delle Grazie. —
Vedeva ei queste insegne di cortesia, ma non gli commovevano la gioja, poichè ove l’animo è [42] turbato da tristi cure, è chiuso anche alla voce della gloria.
Appena Rafaello toccava il limitare di quell’atrio, la musica cangiava metro, e diveniva tutta gaja, e tosto fra molta schiera di eletti signori se gli presentava Ghigi e gli diceva: — Sia benvenuto il gran Rafaello: dissipa la tua mestizia che oggi è giorno di festa; innanzi tutto eccoti in questa carta una buona notizia. —
Gli sporgeva una lettera chiusa: Rafaello al carattere, ai suggelli, conobbe che gli veniva dal cardinal Bibiena, e impallidì che temeva nuove importune dimande; l’aprì tremando, lesse rapidamente le poche righe tracciatevi, e tutti gli astanti che stavano fissi in lui, videro diffondersegli sul viso un’improvvisa letizia: diceva quel foglio:
— Poichè tu chiedi ancora quattr’anni a determinarti alle nozze con mia nipote, non so negarti la richiesta, e tel concedo. —
Fu questa novella un lenitivo agli affanni dell’artista, e tosto il Ghigi gli aggiunse, che la stessa Maria desiderava quel ritardo, onde sciogliere un suo voto, talchè già fino dal giorno innanzi era partita per Loreto.
Mentre il Sanzio sollevava il capo quasi fosse allora riscosso da gravi cure, e girando gli occhi pareva fruire la speranza di giorni più lieti, ruppe improvvisamente la folla ond’era cinto, un uomo che gli stendeva la mano in atto d’amistà. Era [43] Michelangelo: spogliata la natia fierezza, appariva ridente e diceagli; — Rafaello, sia pace fra di noi: se tu entrasti mio malgrado nella Sistina, anch’io venni di celato nel gabinetto della tua Galatea. Omai non sia fra noi che gara di migliorare l’arte, ed amistà. —
Rafaello si scosse, sentì nuova gioja, sorrise, stese volonteroso le braccia e strinse Michelangelo al petto, e volto a’ suoi discepoli disse: — Date ossequio al Dante delle Arti. —
Si baciavano i due grandi e si levò nell’assemblea un vivo applauso che alternava i loro nomi. A quell’amplesso ne esultavano gli amici, ne esultarono poi Roma e le Arti, perchè acquistarono di splendore, mentre l’uno studiando ove l’altro era grande, miglioravano entrambi.
Intanto Ghigi era scomparso, e fattosi innanzi Giulio Romano diceva al Maestro:
— Or bene, poichè si comincia a dissipare la tristezza che vi offese, venite a trovare Galatea; Ghigi fe’ levare i ponti perchè si veda liberamente, e fece non in giardino, ma ivi disporre il banchetto per onorarla: ella vi attende con sì grazioso sguardo che ne sarete contento. —
Parve soverchia la lode data dal suo scolare a quell’opera e poco modesta, e tosto raggiando d’un sorriso il Buonarotti:
— Quella stanza sarà asilo d’amistà, poichè fra le gentili traccie ch’io segnai, stanno impresse le orme sublimi di Michelangelo. —
[44] Il Buonarotti intrecciava il suo braccio a quello del Sanzio e lo adduceva a quella parte. Però fra tanta letizia sentì l’innamorato artista sorgersi in animo un altro affetto; alzò gli occhi quasi il cercasse un desiderio che muoveva dal cuore, e creava in lui tutti i sentimenti; camminava ma il suo pensiere era altrove. Però appena pone piede nella stanza, un’apparizione lo rapisce; si ferma, crede sognare, guarda: Ghigi gli presenta la Fornarina. Precinta di candide vesti, con una ciarpa celeste che se le avvolge alle spalle e le ricade sul petto, ella tutta piacente gli muove incontro e gli offre un serto di fiori:
— Eccoti, o gran Rafaello, la corona che ti intrecciarono le Grazie. —
Appena egli ode quella voce soave pare rinvenire in se stesso, sorride, prende alla bella la mano, e con un atto gentile chinandosi vi imprime un doppio bacio:
— Oh qual angiolo qui ti condusse? — E tosto Ghigi pigliandolo per un braccio in atto amichevole; — Maestro, credevi forse ch’io potessi apprestarti una festa senza togliere dall’animo tuo ogni tristezza? Amore creò queste meraviglie che tu mi pingi, e voglio che a darvi termine ti sia compagno Amore: la bella Fornarina ti infiori la vita e ti renda beato: essa avrà co’ suoi parenti in questo palagio ospitale stanza, nè sdegnerà mutare con essa l’umile tugurio, poichè sarà lo spiro creatore delle Belle Arti. —
[45] Non sapea Rafaello formare un accento fra il misto di confusi affetti che lo cercavano: strinse la mano a Ghigi, e tutto gli disse in quell’atto.
Si riprendevano i lieti suoni; già sulla mensa fumavano le vivande, e la Fornarina accennava la sedia all’amante, e gli offriva ancora la ghirlanda: Rafaello la prese e fatta sedere la giovanetta, gliela pose in capo.
— Io non accetterò mai tanto distintivo d’onore, ove è presente Michelangelo: a te spetta, graziosa fanciulla, questo serto, tu che sei il fiore più leggiadro della terra, e noi a te vicini apprenderemo dalle tue sembianze, come si dipingono quaggiù gli esseri che sono del cielo. —
Indi collocava Michelangelo alla destra di lei, ed egli appostavasi all’altro lato.
D’un cenno tutte le persone che erano intorno prendevano il loro posto, e la Fornarina che inghirlandata di fiori appariva un genio apportatore di celeste pace, con un gentile sorriso guardò i due sommi artisti, prese le loro mani, e unitele, con quella grazia che in lei era sì cara, diceva: — Sia l’amistà fra le Arti e le unisca Amore — e i due artisti stringevano le destre e rispondevano scambiandosi uno sguardo d’affetto.
Allora tutti i commensali, empiuti capaci bicchieri di spumante liquore, lieti facevano evviva ai grandi Maestri ed alla bella, e ripetevano giulivi:
— Sia l’amistà fra le Arti, e le unisca Amore. —
[46 bianca]
[47]