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Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
IL
PAPPAGALLO
D’UNA BALLERINA
È in vero strano! le persone che per la propria professione sono in continui viaggi, invece d’andare più svelte e senza impacci, traggono seco di consueto un mondo di bagattelle e di seccature. Ih! se foste negli appartamenti teatrali, nel momento che arriva la prima donna, o la prima ballerina! se vi foste il dì che partono, ne vedreste di belle assai! Appena il calesse si ferma ove debbono alloggiare, incominciano a dimandare di mille cose con un cicaleccio che pare un mercato: poi calano le gabbie de’ canarini, poi [48] quella del pappagallo, e finalmente scende madama con un cane che le corre al calcagno, e un altro piccino che tiene in grembo: raccomanda all’impresario che volò a riceverla, ai domestici, al vetturale, di guardare che non si arrovescino quelle gabbie, che non si... ahi! il cane ha guaìto, gli hanno calcato un piede: madama grida, minaccia: — Che paese è questo ove non si ha umanità? maledetto quando ci venni! qua povera bestia, neh! oh che ti hanno fatto? —
Il mariuolo guaisce ed ella pur borbotta, e l’impresario spaventato non la ritorni in vettura e fugga, le fa mille scuse, strapazza il profano che mancò di rispetto al cane.
Finalmente dopo tanta faccenda, la virtuosa giunge nell’appartamento, adagia subito i cani sulla migliore ottomana:
— Qua poveretti: riposate, che sarete stanchi. Oh impresario! sai che buone bestie? non manca loro che la parola. —
Poi alza gli occhi. — Qua, qua un chiodo pe’ miei canarini. — E tosto lo si rappicca, anche se la stanza è addobbata a tappezzerie. Poi il povero pappagallo: gli apre la gabbia, e se lo mette sull’appoggiatojo della seggiola: e quei così per ricrearsi del viaggio, incomincia col becco a rosicarvi gli spigoli, ed a cospargere i cuscini d’una soavissima rugiada.
Viene il maestro, il poeta, il primo violino, il coreografo: sono presentati dall’impresario, e [49] fanno inchini; e la virtuosa finchè non abbia finito di dare ricapito a quelle bestie, risponde loro per monossillabi; corre da una stanza all’altra con una gran faccenda, e finalmente siede stanca, e si compassiona perchè ha buon cuore: — E chi non ama le bestie, non ama i cristiani. — E comincia a narrare loro la storia di tutte le bravure dei cani, del canarino e del pappagallo, e tutti gli stenti che le convenne patire per loro nel viaggio.
Pensai più volte perchè mai le donne da teatro si tengano questi impicci, che spesso ne’ viaggi pericolano e sono loro causa di dispiaceri. — Diamine! io diceva ad una cantante, che piangeva la morte di un canarino; che nelle città dove andate vi manchino uccelli per vezzeggiare, e cani che vi abbaino appresso? — Non seppe chiarirsi subito, ma disse tante parole, dalle quali me ne venne una conclusione, che dovendo esse cambiare sempre luoghi, persone, amici, per avere almeno qualche cosa di stabile, qualche creatura a cui essere fedeli, pongono questi affetti nei cani e nei pappagalli. La mia conclusione mi parve bella e buona; non so se la sentiranno egualmente tutte quelle grandi persone che empiono del loro nome il secolo e si chiamano Virtuosi, perchè appunto nel nostro secolo la virtù si ferma alla gola, e non discende al cuore: la forza d’animo s’arresta alle gambe.
E questo è un esordio che non accomoderà a tutti, e la maggior parte lo sentenzieranno come [50] tara alla derrata; e non avranno torto. Però quali sonomai gli esordj che non siano fatti per tirare un po’ in lungo, cominciando da quelli di Cicerone, e fino a que’ d’una novella?
— Ma insomma, sento interrompere, e questo pappagallo della ballerina viene o no? — Oh non lo sentite squittire? No ’l vedete sul dito di giovanetta avvenente e che ha un’aria modesta, fare mille giuocherelli e capolini, e dire parole e rispondere? e quella gentile ridere d’un compiacente e ingenuo sorriso? e vezzeggiarlo e dimenticare gli affanni? —
Serafina era figlia d’un commerciante, che per infortunj occorsi perdè ogni suo avere e ne morì di dolore. Serafina, mentre il padre aveva prospera fortuna, era stata educata con ogni cura nelle arti, e come snella della persona e destra, era riescita mirabilmente abile nel ballo: rimasta colla sola madre e senza sussidio, gli amici le consigliarono il teatro: la necessità ve la spinse, e fu ballerina: preluse in provincia, e piacque. Quindi a poco a poco levatasi in riputazione, salì a maggiori scene ed aveva buona fortuna, e tutti le preconizzavano che in breve sarebbe di cartello.
Fra quelle prosperità e gli applausi era umile: accostumata, d’indole dolcissima, stava sempre colla madre; ed erano già passati due anni, che per un vero miracolo, faceva la professione senza che la polvere del palco le avesse mosso il solletico alla laringe ed appiccatovi il contagio teatrale.
[51] Finalmente il mediatore dei teatri, che come un capitano tiene a suo ordine tutto il battaglione de’ virtuosi, un’armata qual non ebbero duci antichi e moderni, e li spaccia per ogni parte; pensò di promuovere la Serafina a un teatro di primo ordine: la mandò a Genova con una scritta di molto valsente. È vero che la fanciulla non toccava tutti i danari statuiti, perchè i patti del trattato secreto erano meno splendidi del pubblico; però potè un po’ allargare le proprie comodità, vestire meglio sè e la madre, e procacciarsi qualche ricreamento.
Fra i suoi nuovi desiderj, il primo fu di avere un pappagallo, in ispecie essendosene invogliata, vedendone uno bellissimo della prima donna dell’opera. La madre non seppe disdirle l’onesto desiderio, e pensò a procacciarle uno di quegli uccelli. Appena si seppe in Genova che la ballerina desiderava un pappagallo, tosto alcuni signori galanti per acquistarsi merito presso l’austera, si affrettarono di esibirgliene in dono; ma la buona fanciulla seppe loro grado con bella grazia e rifiutò. Una mattina di buon’ora uscì colla madre, andò al porto, e fu da un mercante che veniva dalle Indie, e che aveva alcuni pappagalli, ne mercanteggiò uno giovanetto, e se lo fece portare a casa.
L’innocente ballerina fu la più lieta donna del mondo: essa vivea colla madre e col suo pappagallo. Alla mattina appena aggiornava, il [52] pappagallo cominciava a squittire, ed ella il chiamava e quei le volava sul letto, e ne aveva per refezione il grano e le noci; ella gli parlava come a un fratello, lo teneva sempre presso di sè, lo addomesticava, lo educava. Varie volte lo metteva all’oscuro, lo copriva con un arnese di cartone a foggia d’imbuto rovesciato, e dal pertugio superiore gli diceva alcune parole; e il pappagallo bravo come uno scolaro, in pochi mesi, chiamava a nome la figlia e la madre, sapeva nominare tutti i passi dei balli, gridava — brava la ballerina; brutto, cattivo l’impresario — chiamava i varj cibi, insomma era un dottore. In questo modo Serafina correva varie città e teatri, e sempre vivea riserbata, e avea solo a ricreamento il proprio pappagallo, solo affetto l’amore della propria madre.
Il pappagallo poi cresceva sempre in bravura, e ogni dì apprendeva nuove cose. Il mirabile fu che sovente essendo d’alloggio la ballerina presso ai cantanti, il pappagallo imparava alcuni versetti dei drammi, e qualche volta li cantarellava, sicchè talora lo si udiva ripetere parte di qualche aria, di qualche recitativo dei drammi, ed era ascoltato con maravigliosa festa dai cantanti e dagli altri della compagnia; quindi il pappagallo della ballerina, appena giunto in un paese, diventava celebre nella compagnia dei virtuosi, e certo in suo pensiero si sarà tenuto virtuoso anch’esso. Furono soli i giornalisti da teatro che non lo encomiarono; [53] forse per rivalità, o perchè non aveva pensato di associarsi al loro giornale.
Un carnevale la Serafina si rese in una grande città a ballare sul primo teatro; vi si cantava la Parisina e i Normanni. Il pappagallo, essendo la padrona alloggiata presso la prima donna, nella cui stanza si facevano le prove, aveva imparati quei versi di Parisina — Fa che innocente io torni — E t’amo allor dirò. — E la protesta di Odone — No, la voce non è questa — D’un cor finto e mentitore. — Ripeteva sovente que’ versi, e talora li tagliava e poi aggiungeva le altre cose che sapeva — brava, brutto, evviva la ballerina — ed era il ricreamento di tutta la compagnia; se gli facevano intorno e lo provocavano per farlo parlare, e ridevano; e la Serafina ne aveva indicibile diletto.
Intanto la giovinetta confidente di sè, perchè da tre anni correva i teatri senza temere insidie, s’era fatta meno selvatica del consueto; si tratteneva a parlare cogli altri della compagnia, e se venivano a visitarla, li accoglieva con buon viso; ed anche la madre, persuasa della saviezza della figlia, la vegliava di continuo, ma le era meno importuna. Non la abbandonava però mai, tranne in alcune ore di buon mattino, che usciva per le proprie faccende; ma erano ore nelle quali nessuno osava andare dalla figlia.
In questo mezzo il primo ballerino che per l’arte sua avea continua causa di avvicinare la [54] bella compagna, ne era preso, e per que’ modi semplici e schietti di lei, e per quell’ingenua libertà onde gli parlava, e più per le sue avvenenze. Ei cominciò dall’usarle le maggiori grazie alle prove; indi le insegnava alcuni bei passi che aveva appresi a Parigi, alcune gentili movenze che aveva notato usarsi dalla Brugnoli, ed ella ne faceva buon profitto, e migliorava nell’arte e gliene era riconoscente. Quando poi allo spettacolo facevano il passo a due, egli aveva cura, prima che ella danzasse il proprio a-solo, di tenersi rimesso, sicchè spiccassero più i fioretti di lei, e ne avesse maggiori applausi: e quando intrecciavano la danza di compagnia, era sì destro nel sussidiarla d’una mano in certe difficoltà, che ne usciva con universali evviva. Ben ella li riconosceva da lui, e lo riguardava con gratitudine, come quegli che rinunziava la propria lode per esserle utile.
Fra questi scambj di cortesie, gli occhi dei due ballerini s’incontravano più sovente, e si riguardavano più solleciti, e pareva che sul volto loro si diffondesse in quel momento una letizia. Il ballerino ne era lieto, che era di lunga mano esperto in queste venture, e per quanto il rigore della sua compagna lo rendesse guardingo, incominciò nel ballo, quando le prendeva la mano, a stringergliela un po’ più del consueto.
Poi andò più innanzi nell’ardire; amore assottiglia l’ingegno. La Serafina dovea volgere fra le [55] braccia di lui un giro tondo, indi presa al fianco e sollevata, spiccare un salto e battere l’ottava: in questo momento, ei le pose una mano al cuore e la strinse; come ella poi si svolse con un tal vezzo per indi intrecciare un ballo, la fisò con due occhi sì accesi di fuoco amoroso, che Serafina avvampò in tanto rossore da smarrirne fino il rossetto. Un’altra sera, mentre la donna colla punta d’un piede stava sul ginocchio del compagno e le pendeva sul volto, questi fece un sospiro, ed ella involontaria ne rispose un altro. Brevemente con questi giocarelli a poco a poco ei se le insinuò nell’animo in modo, che la fanciulla sentiva per lui un’ignota premura, della quale non sapeva dare ragione a se stessa, ma quasi le parea maggiore di quella che aveva pel pappagallo.
Il ballerino non assonna, e si fa un po’ più domestico con quelle donne, e nel giorno va talora a visitarle nella stanza sotto colore d’insegnare a Serafina nuovi passi; ed ella li apprende facilmente, perchè il maestro già le era assai simpatico. Quando il ballerino era nella stanza, ella scordava il pappagallo, sicchè il miserello, parte per gelosia, come è costume di quegli uccelli, parte perchè li udiva cicalare, ponevasi a sua posta a cianciare tutto quanto sapeva, lodi e ingiurie; tutti dicevano che li riferisse al ballerino, e ne rideano di cuore.
La Serafina fra quelle cure, e la crescente simpatia pel giovane, era sempre severa con sè; e il [56] pensiero continuo di sfuggire l’amore, le temperava il nascente affetto; ma il povero ballerino s’era acceso sì di lei che non aveva riposo; e quantunque non le paresse avversa, pure que’ suoi modi austeri sovente il poneano in dubbio di non essere inteso. Desiderava almeno una volta di parlarle, ma non le era mai riescito, perchè sul palco, alle prove, allo spettacolo, appena cessasse dal ballo, volava al fianco della madre.
Il carnevale è già sul declinare, e il ballerino si dispera nell’idea di doversi dividere dalla Serafina, senza almeno averle aperto il proprio cuore. Pensa di farlo ad ogni modo, si pone in agguato quando alla mattina la madre esce per la provvigione, e come la vede dilungata, pianamente va alla porta della Serafina, picchia e trovatala aperta, innoltra. Appena ella il vede, resta alquanto interdetta, e tosto gli dice non esservi la madre.
— Ah non temete, bella Serafina! io non sono il diavolo; vengo a insegnarvi un nuovo passo per la vostra sera beneficiata; sono più sollecito del solito, perchè forse oggi avrò poco tempo, essendo qua un impresario che intende farmi la scritta per Palermo. —
La ballerina è un po’ turbata a quella notizia. — Volete andare sì lontano? —
Intanto innoltrano nella stanza e si assidono; e il pappagallo tosto a dire sue storie; ed essi stanno muti, confusi. Finalmente il ballerino ruppe il silenzio.
[57] — E voi, signorina, non avete ancora scrittura?
— No: Mamma vuole che la primavera riposi; e voi ballate solo a Palermo?
E l’altro con un sorriso maligno — Oh! viene madama Rosalìa. —
Ella il guardò e non ne parve lieta.
— Ah! ballerina di gran cartello... dicono poi tutti che è tanto bella!
— Sì, me ne ha avvertito anche l’impresario; e vuole per questo merito levarmi alcuni talleri dal contratto.
— Ad ogni modo sarete contento... più fortunato che nel carnevale...
Il giovane la guardò con molta passione: — Eh, bella Serafina!... conviene vedere come s’intende questa fortuna... forse Madama sarà meno severa... si avrà almeno un po’ di compagnia. —
Si annubilò alquanto la fronte di Serafina; poi passandovi sopra colla destra, come per dissipare quel turbamento:
— Bravo... divertitevi. —
Il pappagallo che mai non rifiniva di borbogliare, in quel momento diceva — Mamma... cattivo ballerino. — E Serafina prestamente levatasi verso lui:
— Hai ragione, povera bestia — e facendo vista di accarezzarlo, procacciava nascondere il proprio turbamento.
Il ballerino si alza, se le accosta lievemente, e presala per la destra che pendeva, con dolce [58] forza chiamandola a nome, la riconduce all’ottomana, e la fa sedere, e pure stringendole la mano:
— Serafina, vi duole dunque? Sarei io tanto fortunato? alzate gli occhi, un solo sguardo, e più non penso a Palermo: verrò dove andrete voi.
La fanciulla è commossa, lo guarda con un misto di pietà e di affetto; non risponde, ma acconsente che l’amante se le avvicini; ei la recinge con un braccio, e la chiama con voce tremante:
— Serafina... Serafina... mi amate voi? —
Ella pur tace, china confusa gli occhi, ma l’ansia del petto ha risposto abbastanza: l’amante ne tripudia, e le dice parole d’amore, e tanto se le avvicina che respirano la stess’aura; non erano che parole interrotte e sospiri.
Il pappagallo a quegli accenti appassionati, aveva riprese le sue canzoni, e mentre il ballerino pur sollecitava la fanciulla, perchè gli aprisse il suo cuore, ei ripeteva quelle parole dell’opera, mezzo rotte: — Fa’ che innocente io torni. —
Serafina si scosse. L’amante seguiva a farle promesse, e il pappagallo riprese — La voce è questa... d’un cor finto e mentitor... mamma, mamma. —
Queste parole parvero alla fanciulla un avviso ed un rimprovero; vide il proprio pericolo, si svincolò dall’amante, si levò e corse a precipizio presso al pappagallo:
[59] Il ballerino maraviglia a quel subito mutamento; pure credendo la Serafina non più savia delle altre donne, avvisa essere quella, arte per meglio coglierlo nei lacci: si leva, e fra baldanzoso e scherzevole se le avvicina; ma ella, posta la destra al seno, lo guarda con sì severo aspetto che colui sente tremarsi le vene e i polsi, e ammutolisce: pure dopo alquanto silenzio riprende animo e procaccia di ritentarla:
— Ah, bella Serafina! perchè sì fiera? mi parve che non foste indifferente...
La fanciulla più si raccoglie in sè, e tanto piglia dignità che pare ingrandire della persona; non si rimuove, e il guarda con fermezza:
— Non cercate di leggere ne’ miei segreti; solo vi ricordi che innanzi tutto io pongo il mio buon nome e l’onor mio; non vi perdonerò mai che colle vostre insidie quasi mi gettaste nell’obblio di me stessa... d’ora innanzi sieno più scarse le vostre visite... ricordatevi che al ritornare di mia madre io le dirò quanto avvenne. —
Il ballerino voleva parlare, e il pappagallo ripeteva il suo solito intercalare — cattivo, cattivo — e Serafina accarezzava la povera bestia e le cadeva una lagrima.
In quel momento s’apre la porta, entra la madre. Serafina pare riprendere coraggio, ed alza gli occhi al cielo come per ringraziarlo: il giovine confuso abbassa il capo. La madre prende sospetto di quella scena muta, e subitamente con atto d’impero, dimanda che sia avvenuto.
[60] La figlia le stese le braccia al collo, la baciò, volea parlare; ma il ballerino, che forse se la fanciulla era meno austera si passava d’un capriccio, preso a tante virtù, la interruppe:
— Dirò io, per essere più breve: amo vostra figlia; volea sapere s’ella mi corrisponde per chiederla in isposa: forse non è indifferente, ma il suo rigore si sdegna se le si rapisce il proprio segreto. Io amo Serafina; se ella il consente, saremo sposi: pari è l’arte nostra, e uniti ci gioveremo a vicenda: io la farò contenta. —
Serafina abbassò il capo, e se le diffuse sul viso un amabile rossore.
La madre vide subitamente che la profferta conveniva alla figlia: ella desiderava d’alcun tempo di darle un compagno, perchè la franchigiasse nella difficile sua professione; però rispose non essere cosa che convenisse decidere su’ due piedi.
Il giovane aveva intanto cercato di spiare sul volto delle due donne i loro ascosi pensieri, e sentì rinascere la speranza:
— Avete ragione: ma almeno ch’io sappia se Serafina... io l’amo, io non ho pace senza di lei... e se ella mi odiasse?...
Ei parlava molto appassionato, e faceva varj gesti, e sempre vicino al pappagallo, sicchè questi ricominciò dal gridargli — cattivo, cattivo — La giovine per ispontaneo moto gli diede d’un moto sul becco, per farlo tacere; indi si volse, e i suoi occhi s’incontrarono in quelli del ballerino, e parve [61] che proferissero una scusa per quella bestia innocente. Egli allora si fece animo:
— Dunque non sono cattivo, o Serafina? Dunque mi avete perdonato...?
Ella arrossì.
— Udiste quanto proposi a vostra madre? acconsentite? — ella chinava il capo.
— Nè mi rispondete, nè mi date una speranza? — Serafina confusa, tremante, alzava una mano al pappagallo per accarezzarlo, il ballerino gliela prese:
— Ora tace: lo avete già castigato, me... me, questa mano or me consoli. — Gliela strinse.
— Mi volete per vostro sposo, Serafina? — La fanciulla lo guardò commossa.
— I vostri occhi hanno parlato, bella Serafina — e le baciò la mano; ella divenne tutta rossa, e una voce tremante, confusa escì dal labbro:
— Decida mia madre. — Il ballerino esultò, guardò le due donne:
— Noi saremo felici —
Terminato il carnovale, si ordinò il matrimonio, e alla Pasqua si fecero le nozze. Serafina portò in dote allo sposo un cuor puro, la perizia nella propria arte, e il proprio pappagallo: essa riconosceva da lui un richiamo alla virtù, che le procacciò lo sposo. Quindi è forza convenire, che non sono sempre inutili i pappagalli dei cantanti e dei ballerini.
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