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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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IL PITTOR PER AMORE

Novella

 

 

Amor semente in noi d’ogni virtute.

Dante.

 

 

Viveva a Napoli verso il 1320 Maestro Colantonio, buon dipintore che facea di belle madonne e molte sacre storie sopra tavole, onde ornava le chiese e ne tornava grande giovamento all’arte. Era uomo di modi semplici e schietti, non conversava con alcuno, tranne i frati o le altre persone che traevano a lui per allogargli qualche opera; non prendeva altro ricreamento che da’ suoi pennelli, altra voluttà che dal fiutare lungamente alcune essenze odorose o acque nanfe, colle quali allora, non avendosi il tabacco, usavano molti [234] vellicare le nari, e le serbavano in certe ampolline di cristallo o d’argento ben turate. Colantonio che al nostro tempo sarebbe un grande tabacchista, teneva molti di questi vasellini; ed ora odorava gli uni ora gli altri, ora versava qualche stilla di quelle acque sul palmo delle mani e le sfregava alle nari, e ispirava profondamente: poi si dava taccia di vizioso si stringeva nelle spalle, diceva: pazienza! e poneva mano ai pennelli.

Toccava già ai quarantacinque anni e non aveva più che una fanciulla, nel cui amore riponeva tutta la propria beatitudine. Vezzosa, avvenente anzichè bella, fioriva Agnese appena al terzo lustro, semplice di modi, innocente di costumi, soavissima verso il padre, cui valeva sovente di modello quando gli bisognava effigiare qualche vergine od alcun serafino.

Usava domesticamente la casa di Colantonio un falegname, che lo serviva di tavole per quadri e di altre bisogne dell’arte sua. Era un giovanetto di sedici anni; ingegno molto svegliato, due occhi neri vivaci, naso corto, labbro superiore tumidetto cui infiorava poca lanuggine, capelli ricciuti, volto brunetto, sicchè il chiamavano lo Zingaro sebbene il suo nome fosse Antonio Solario. Traeva costui ogni allo studio del pittore e sì volentieri vi s’intratteneva che il più delle volte gli macinava i colori. Come gli era di grande giovamento ed economia di tempo, Colantonio gli era grato di questo servigio, e conosciutolo giovane [235] accostumato, mansueto, di buon cuore, lo aveva preso in affezione; sicchè essendogli occorso molto lavoro, s’accontava con lui perchè gli valesse come fattorino, di che l’altro faceva gran festa ascrivendolo a speciale fortuna. Perchè lo Zingaro aveva grande amore nella pittura, attendeva di continuo e di molta voglia a macinare i colori, a rimpastarli, e in breve apprese a disporli sulla tavolozza, a ripulire i pennelli, ad ammannire e dare imprimitura alle tavole.

Fra tali cure talora dava mano a’ pennelli, alle matite, e s’ingegnava come potea meglio d’imparare a dipingere, sebbene, non avendone alcun insegnamento, facesse certi sgorbi da spavento, talchè Colantonio se era di buon umore, si stava alquanto a riguardarli mentre fiutava qualche essenza, e ne ridea piacevolmente, indi colla mano percuotendogli leggermente sul capo gli diceva: — oh va ! macina macina, che non sei nato per fare il pittore. Se in vece gli girava qualche fosco pensiero per la testa, sfregava al naso una volta le dita odorose, indi con un motto che aveva in uso, ed era abituale a’ napoletani, toccavasi sotto il mento prestamente due o tre volte colle estreme dita della destra rovesciata, quasi a dargli biasimo; l’altro non rispondeva mai nulla e rimetteasi alla pietra, e dalli, dalli, preparava e rossi e neri e bianchi.

Dimorava di continuo Agnese nella stanza del padre per tenergli compagnia, e assisa presso una finestra, mentre attendeva a cucire e ad altri [236] lavori domestici, ora cantandogli qualche ballata, ora con alcuni ingenui racconti, s’ingegnava di ricrearlo. Prendeva ella gran piacere nell’osservare gli sforzi dello Zingaro quando volea porsi a disegnare o a dipingere; siccome poi per esercizio di veduta aveva qualche pratica di disegno, gli dava alcun suggerimento, in ispecie quando il padre era assente ed ei poneasi a questo studio; ed or gli diceva: aggiusta questo, or, acconcia quello: talora rapita da giovanile vaghezza, dirompeva in clamori, e sghignazzando aggiungeva: — oh! ve’ che occhio da falchetto, guarda che bocca! la par quella del Vesuvio; oh! che gambe a biscia, oh che figuraccia! — E l’altro sempre paziente scancellava, o dava qualche rattoppo, qualche tratto di matita o di pennello, e volontieri faceva quant’ella gli veniva suggerendo.

In questa consuetudine nasceva fra que’ due giovanetti una singolare dimestichezza, nasceva una scambievole simpatìa, talchè il desiderio, il pensiero dell’uno tosto si conveniva pure in quello dell’altro; e questa simpatia creava ne’ loro cuori uno scambievole affetto sicchè sentivano continuo bisogno d’essere insieme, e di guardarsi, e di favellarsi e non sapevano il perchè. Però il Solario mai si dilungava dallo studio, e se il Maestro lo mandava fuori per alcuna bisogna, quasi avesse le ali ai piedi andava di volo e ritornava ansante; Agnese mai se ne scostava, se non forse pochi momenti. Essi talora annojati, inquieti, [237] perchè l’uno o l’altro fosse assente, ben sel diceano, e si consolavano aggiungendo che si amavano come fratelli.

Ora avvenne che una mattina, mentre il Maestro era fuori per Napoli, e Agnese dava ricapito alle faccende domestiche, lo Zingaro presa una tavoletta si pose a dipingere con tanta attenzione, che pareva nessun altro pensiero il toccasse: abbozzò una testa di donna, e ad ogni poco la considerava, prendeva nuovi colori, vi dava qualche tocco, guardava ancora, pensava, mutava; e col capo ora s’applaudiva quasi avesse côlto nel segno, ora disapprovava, ora si commovea pensoso, e ritornava alla prova. Mentre si agitava per tal modo, venne Agnese nella stanza, ed ei non la sentì, sicchè ella lieve lieve movendo sulla punta de’ piedi, gli si fece vicina, e, postasegli dietro, stette a lungo a spiare quanto ei facesse. Dopo molto tempo, specialmente mossa da quelle continue contorsioni, ruppe in un gran ridere; si scosse il Solarlo e voltosi, la guardò tutto lieto, ma vedendo che pur rideva, le ne dimandò la causa, e se non le pareva che avesse fatto qualche cosa di buono. — Oh sì, riprese la fanciulla, poco meglio che il diavolo. Bada quell’orecchio ritto come quello d’un capro; oh! e que’ capelli irti come le spine d’un istrice? — E sì gli prendeva di mano il pennello, quasi al solito gli volesse raggiustare qualche cosa. Solario trasse un gran sospiro, indi affisandola, ed agitando il capo: [238] — Cattiva Agnese, tu mi sconci tutto; io credeva di farti una grata sorpresa, d’averne lode... non ti par egli che questo ritratto t’assomigli? — Ma che! rispose ella, avresti mai creduto?... — Sì, di fare il tuo ritratto. — Ne fu la giovinetta alquanto indispettita, indi con un gesto animato accennando alla tavoletta colla mano in cui teneva il pennello: — Io assomigliare a quella sconcia lazzara? oh va’ a dipingere la pescivendola di Posilippo — e così dicendo col pennello imbrattò il viso al povero Zingaro tutto inteso a riguardarla.

Si turbò egli alquanto non già a quell’atto, ma a vedere fallite le proprie speranze, e, guardando il dipinto, indi Agnese, increscioso: — Sono pur misero! ch’io non riesca mai a far qualche cosa che ti piaccia? vorompermi questa zucca buona a nulla, — e si battea con un pugno il capo, e riprendeva: — Eppure il tuo ritratto io l’ho bene io qui in mente, se ti veggo dappertutto; l’ho qui in cuore, e mi par sempre di portarlo meco e mi tiene compagnia di giorno e di notte... così ti ricordassi tu di me, tu che mi trovi tutto male, cattiva Agnese. —

Intanto con una mano si ripuliva con un pannolino il volto, e coll’altra stringeva la destra della fanciulla, che incerta il riguardava presa di compassione a quel suo lamentare. Indi ripigliava angoscioso e quasi colle lagrime agli occhi: — Ebbene, giacchè vedo che non so piacerti in alcun modo, me n’andrò di Napoli, ritornerò al [239] mio mestiere, vivrò con istento, nella fatica, ma non ti sarò molesto, non mi vedrai più. —

Commosse Agnese questo suo proponimento, più dei lamenti che aveva presi a giuoco, poichè semplice ed inesperta non intendeva il linguaggio d’amore, ma ne sentiva le fiere leggi; sparve subitamente del suo volto quel riso ond’eralieta, e fra mesta e sdegnosa: — E che? vuoi tu dunque andarne? e lunge da questa casa? e mi narri che ti ricordi di me? e mi lascierai qui sola con mio padre che tanto abbisogna del tuo sussidio? e tu hai buon cuore?... va’ pure, va’... ma credi tu di reggere al lavoro?... oh! non vi durerai a lungo; troverai qualche altro pittore, che abbia qualche altra figlia, e ti dimenticherai sì,... ti dimenticherai anche di me...

Mentre diceva queste interrotte parole, girava fra le mani il lembo inferiore del suo grembialetto, e lo stendeva e lo piegava e vi faceva dei nodi sui capi, e le veniva una ascosa lagrima sugli occhi che poi cadeva e le rigava la guancia. Sebbene per non essere osservata si rivolgesse tosto e prestamente la rasciugasse col dosso della mano, la vide il Solario, già tutto agitato da quelle parole; sentì un nuovo fuoco corrersi all’animo, le prese con dolcezza la mano, e guardandola fisamente, tutto tremante le diceva: — Agnese, tu piangi; ah! dimmi, piangi per me? dimmi, mi vuoi tu bene?... s’io mi allontanassi saresti tu misera quanto sarei misero io?... sì?… [240] oh Dio! tu mi consoli: non temere no... io resterò qui pur sempre,… ma almeno tu fossi mia...!

Una serena letizia si diffondeva sul volto d’Agnese e la rendea più bella, un incerto sorriso annunziava ch’ella sentiva svolgersi in cuore ignoti affetti, sentiva che cosa fosse amore.

In questo mezzo giungeva Colantonio: ricomponevansi i giovani al lavoro, ma non fu sì destro il Solario da nascondere la testa che avea dipinta; la vide il maestro e dispettoso rampognò il fattorino: — Sempre qui con quel tuo sciuparmi i colori: vuoi esser pittore per forza, e la natura t’ha fatto falegname: che non ti colga mai più copennelli. —

Intanto poneva involontariamente gli occhi su quella testa, e ben vi scoprì alcune tracce d’Agnese: girò la vista sulla figlia e sullo Zingaro, e s’accorse che sul loro volto non era la solita ingenua e quieta innocenza, ch’essi fuggivano la vista di lui, e si sogguardavano. Cavò di tasca un’ampolla odorosa, e sturata la fiutò lungamente, indi la ripose, e colla destra si andò cercando la testa scompigliandosi i capelli: stretto poi fra l’indice ed il pollice il labbro inferiore, stette alquanto sopra pensiero; indi voltosi improvvisamente e spiati i due giovani, s’avvide che s’interrogavano a vicenda cogli occhi, ma avevano ad un tempo sparsa la faccia d’insolito squallore.

Colantonio era uomo di mite natura, amava sua figlia, ma ne amava più che tutto l’onore: [241] viveva per lei sola, studiava ogni modo per darle buona educazione ed inspirarle delle virtù; procacciava metterle assieme un po’ di ben di Dio per maritarla onorevolmente. Quella scena gli aveva rivelato nei due giovani nascenti affetti, e vide che non conveniva lasciarli più oltre insieme.

Si assise, e si fece sedere vicina l’Agnese, che sollecita e silenziosa ubbidiva, lo guardava e chinava il capo: indi ei, presale dolcemente una mano, e vezzeggiandola fra le proprie e stringendola, la chiamava: — Agnese, di’, mia cara, perchè sei sì turbata? Alza la testa: di’, che avvenne, che cosa dicevate mentre io era assente? —

E l’altra, prendendo animo alquanto alla dolcezza di quell’accento: — Nulla, caro pappà; stava guardando a quella figuraccia che ha abbozzato il Solario. — Sì, neh! ma egli ha inteso di fare il tuo ritratto: te lo ha detto? sei stata tu presente per modello? ti par che stia bene? — No, caro padre, io venni che l’era già compiuto, ei nol fece che a memoria. — Dunque colui ha molto a mente la tua fisonomia? — Sì, me lo disse esso pure. — Bah! è qui che ti voleva, e questo non va bene, — e si grattava il capo, e tratto un alberello d’essenza ne versava una stilla sulla palma, e se ne sfregava le nari.

Intanto il povero Zingaro stava ritto ritto sui due piedi col berretto in mano, colla testa inchinata, e mutava colore e soffocava qualche sospiro.

[241] Colantonio, come ebbe posto termine a quella sua faccenda di fiutare e di sfregarsi il capo, lo chiamò, ed egli lento e raccolto gli si avvicinava, e volgeva un’occhiata furtiva ad Agnese. Il pittore con un fare tutto pacato, posandogli la destra sulla spalla: — Senti, figlio mio, sa il cielo se ti voglio bene; sei buono e mi prestasti sempre molti servigi: ma non convien più che tu resti nella mia casa, vicino a questa creatura. Voi siete tutti e due giovani inesperti, ma due giovani vicini non istanno bene, bisogna rimediarvi in tempo; se il Vesuvio va in eruzione, non v’è più riparo. Io ti darò un soprappiù di quanto ti debbo, e vatti con Dio. — Agnese impallidiva, Solario nulla rispondeva, ma gli piovevano dagli occhi certe lagrime grosse grosse che gli lavavano la faccia. Il padre vide quel silenzio eloquente, stette alquanto sopra pensiero mentre girava la sinistra sul capo, indi toccatosi col dosso della destra due volte sotto il mento, ripigliava risoluto: — Tant’è, conviene finirla. —

Allora lo Zingaro fisava dolente Agnese, e vide sfolgorarle negli occhi una favilla d’amore, riprese coraggio, stese le braccia aperte a Colantonio, e versato il volto sul petto di lui, stringendolo e baciandolo gli diceva fra i singhiozzi: — Ah no, mio buon maestro, non mi scacciate: siatemi padre, lasciate ch’io resti sempre con voi, siate padre a me come il siete ad Agnese. —

Il pittore era commosso a quell’atto, ed al [243] vedere la fanciulla che silenziosa il guardava in attitudine di tal pietà, che pareva ripetergli quella preghiera; ma ei non poteva indursi a dare sua figlia in isposa a un povero fabbro, a un fattorino. — E che! riprese alquanto turbato, vorresti tu far misera questa buona creatura? Quand’io più non vi sia, con che soccorrerai a’ suoi bisogni, come alimenterai, educherai i fanciulli che Dio vi darà? — Padre, rispose il Solario, ammaestratemi, e diverrò pittore. — E nello stesso tempo Agnese, che non aveva mai pronunciato accento, tosto disse: — Farà il pittore.

Sorrise Colantonio e ripetè più volte: — pittore eh, pittore! — e intanto fregava fra palmo e palmo una goccia d’essenza, e si accostava al naso ora una mano, ora l’altra, e fiutava lungamente con profonde inspirazioni, mentre i due giovani ansiosi, palpitanti pendevano dal suo labbro: infine posta una mano nell’altra, girando il viso ora allo Zingaro, ora alla figlia ripetea: — pittore eh? — e i due giovani chinarono la testa, ed ei riprese: — ebbene quando tu sarai pittore come Colantonio, Agnese sarà tua sposa.

Fu quella proposta diversamente accolta dai due amanti: poichè l’Agnese, cui pareva patto impossibile a soddisfarsi, ne restò oltremodo dolente, mentre lo Zingaro, fattosi tutto animoso, sollevò il capo e disse al maestro: — Ricordatevi di tenermi la parola, che io accetto il patto, purchè la bella Agnese sia tanto buona da serbarmi [244] l’amor suo, e voi d’istruirmi. — Agnese lo stava riguardando, e pareva volesse rispondergli che ben gli piaceva, ma che non ne presagiva buon fine; Colantonio faceva un tal sogghigno col collo torto, e, strofinata al naso la destra per odorare le ultime reliquie dell’essenza ond’era molle, la poneva sul capo al Solario, lo riguardava in atto di compassione e di scherno: — Oh va , povera zucca!... tu diventerai pittore quando quel mio leggìo diventerà un cavallo bello e vivo, buono per andare a Baja od a Pozzuoli. — E l’altro senza mostrare d’inquietarsene: — ma mi terrete voi la parola? — Il pittore lo fisò come chi si meraviglia di un’ostinazione, indi riprese: — Auf, mannaggio, sì te la terrò, e te lo giuro pel sangue di s. Gennaro. Però ti dico a un tempo, che non conviene tu resti in mia casa, imparare o non imparare, giacchè voglio dormire tranquillo, temere sempre qualche burrasca: non vi affliggete, ma non mi rimovo; dimani, caro Antonio, prenditi la strada e vatti ad apprendere a fare quadri o ruote di carri ove ti piace, — indi accarezzava un po’ il mesto giovane; — Me ne incresce, ma la è pur così; questa sera ci divideremo. —

Troncava quel colloquio mettendosi al lavoro. I due giovani tristi, muti, pensosi si ponevano alle loro cure. Agnese nell’animo suo disperava d’avere il Solario, ed ora che era presso a perderlo sentiva la potenza d’amore e il desiderio. [245] Passarono alcune ore, vi ebbe fra loro che il mutare di alcuni sguardi e di certi sospiri affannosi. Antonio metteva ordine ai colori del maestro, levava dal sasso alcuni che aveva macinati, ad altri dava l’ultima mano, e operava con un fuoco come chi sa certo il modo di acquistare una fortuna. Puliva alcuni pennelli, li guardava, e sollevandoli colla destra innanzi agli occhi vi sorrideva e li baciava, volgendo gli occhi ad Agnese; ma essa era mesta, e nulla risentiva la gioja della speranza, onde egli era animato, e talora aveva dispetto perchè parevale non lo affliggesse dolore di doverla lasciare.

Così si vôlse il resto della mattina, e venuto il mezzodì e il momento del pranzo, Colantonio volle che Solario sedesse con e colla figlia allo stesso desco, gli parlava amorevolmente e gli usava cortesie, perchè lo amava assai; sovente gli batteva leggiermente il capo e gli diceva: — Povero Zingaro, già sei buono; sì, ti voglio bene; — ma accorgendosi che tosto e lui e l’Agnese prendevano ardire, e parevano volergli chiedere qualche favore, si ricomponeva, atteggiava il volto a rigore e davasi ad annasare i suoi vasetti.

Non uscì mai un momento dalla stanza, e si ripose di nuovo al lavoro, talchè i poveri amanti erano desolati di non potersi neppur dire una parola. Capitarono alfine sul vespro due frati agostiniani che avevano allogato al maestro l’effigie d’una Nostra Donna, intorno alla quale ei stava [246] lavorando, e, postisi con lui innanzi al quadro, s’accesero molto nel ragionare.

Allora Antonio datosi attorno per assestare alcuni arnesi dell’arte, a poco a poco s’accostò all’amata fanciulla; lasciò cadere un pennello al suo piede, ed abbassandosi per raccorlo, le prese prestamente una mano e gliela baciò; ed ella involontariamente gliela premeva al labbro e sospirava. Indi alzatosi sommessamente le diceva: — Bella Agnese, state di buon animo, noi saremo sposi, noi saremo beati. — Cui la giovanetta scuotendo mestamente il capo: — Oh sì! sono belle speranze queste, ma tu non sai come sia irremovibile mio padre, e quanto difficile la condizione che richiede: tu intanto te ne andrai di qui, e in breve più non ti ricorderai d’Agnese. —

No, non dite così, non dite così, o mi fate bollire come la Solfatara; io scordarmi di voi, di voi, bella Agnese? perderò prima la memoria. Vi pare poi sì difficile quella condizione? oh, come apprese pittura Colantonio? Non ho io le mani e il capo per fare quanto lui, non ho io l’amor vostro per fare più di lui? Promettimi, Agnese, di serbarmi i tuoi affetti, di non isposarti a nessuno finchè o io ritorni a fartene libera con ispalla una sega ed una pialla ancora falegname; o non t’abbia posta con una Madonna in cielo. Prometti, non tentennare il capo, prometti: — e le stendeva la mano, ed ella tremante gli sporgeva la propria, e alzava il viso e diceva: — Così ne [247] sia propizia la Madonna di Piedigrotta. Io ti prometto sì, e desidero quanto tu speri. —

Colantonio, per quanto fosse acceso nel ragionare con que’ frati, pur non si perdeva di vegliare la figlia, e or colla coda dell’occhio la sogguardava, ora spiava i moti de’ due giovani in uno specchio che pendeva da un’opposta parete, ora tendeva l’orecchio alle loro parole, e ben sentì quel colloquio e que’ giuramenti, perchè gli amanti accesi imprudenti avevano alzata la voce. Ei non potea persuadersi che quel ragazzo, come il chiamava, divenisse pittore, ed aveva rabbia di quelle ostentazioni, e voleva ad un tempo sapessero che li aveva uditi; quindi voltosi fece loro con un riso di disprezzo quel suo toccar sotto il mento colla mano rovesciata, e riprese il suo ragionare cofrati. Chinò Agnese mesta il capo, e lo Zingaro fra dolente e corrucciato si scostò da lei.

Tra que’ frati, uno che era Priore e chiamavasi Padre Andrea, conosceva per avventura il Solario, perchè gli aveva più volte prestati alcuni servigi come falegname; innanzi di partire gli fece molte carezze e gli chiese dell’esser suo, e si rallegrò seco lui di vederlo a miglior mestiere: e perchè il giovanetto invece di rispondergli chinò il capo cogli occhi rossi, il frate gli aggiunse; — Che cosa hai poveraccio? Sta’ lieto che sei con un buon maestro, e ricordati se ti occorre nulla, di venire dal Priore, lassù al convento: sai che ti voglio bene. —

Omai cadeva la sera e giungeva il momento che [248] gli amanti dovevano separarsi: Colantonio lo disse al Solario, e datogli quanto gli andava debitore, e un dono, aggiunse ridendo: — Dunque a rivederci colla sega. — Cui l’altro punto, ma senza perdersi d’animo: — O con qualche angelo che adorerete.

Muto esagitato prese la mano ad Agnese, la strinse, diede un amplesso ed un bacio al commosso maestro, e uscì frettoloso brancolando quasi cieco per la via.

Fu per lui notte torbida, inquieta, affannosa, ma pensava pur al modo di farsi pittore. In Napoli non v’aveva altro maestro che Angiolo Franco, e certo ei non sapeva come accostarsi a lui, se l’avrebbe preso, udendo che usciva di casa dell’emulo suo: pensò che convenisse rendersi in lontane contrade, andare ove sovente dal maestro aveva udito che dipingevano Giotto, Masaccio, e gli altri grandi; ma povero, giovane, senza fortune, senza consiglio, non sapeva che farsi. Fra tanti pensieri si ricordò del padre Andrea: ei lo aveva sovente soccorso quando era semplice frate, ei lo aveva posto ad apprendere l’arte sua primitiva ed anche accomodato di denari quando aveva alcuni lavori ne’ quali gli bisognò provvedere legname; ed ora fatto Priore confidava di maggiori cose. Fu questo un pensiero che gli rinverdì le speranze, e appena spuntò l’alba ne corse a lui, e dolente, affannato, gli narrò il caso suo e lo pregò perchè lo ajutasse.

[249] Il buon frate lo accolse benignamente, lo confortò a fidar nella Provvidenza, e accortosi che il giovanetto aveva svegliato ingegno e fermo proponimento, non dubitò che sarebbe riuscito pittore. Quindi gli disse che s’apprestasse a durare ogni fatica, a vincere ogni difficoltà, e che solo colla perseveranza poteva conseguire quanto desiderava; pensò di mandarlo a Bologna perchè si mettesse ad apprendere l’arte con Lippo Dalmassio, col quale aveva alcuna conoscenza e da non molto gli aveva mandata una Madonna, delle quali ei faceva tante e sì belle che ne fu chiamato Lippo dalle Madonne. Perchè poi la povertà del giovanetto lo avrebbe impossibilitato e ad intraprendere il viaggio e a dimorare in lontane città, gli diede lettere per tutti i conventi degli Agostiniani, affinchè lo ricovrassero e il fornissero di quanto conveniva ad un ospite costumato.

Solario volò: correva le strade, passava i monti, lieto come chi n’andasse ad acquistare fortuna; e pensava all’arte, pensava ad Agnese.

Giunto a Bologna e postosi nei primi per fattorino con Lippo, ne gli piacque assai, perchè niuno era meglio esperto di lui nell’apparecchiare colori, e più che all’opera manuale se ne valeva affinchè insegnasse quella pratica a certi fanciulletti che teneva a bottega. Per che lo Zingaro aveva molte ore in cui gli era libertà di darsi al disegno ed al dipinto; tutto il disegnava e disegnava, e quando il maestro mutava la tavolozza, [250] ei la prendeva e con que’ colori confusi frammisti, faceva teste, mani, braccia, e sì vi poneva ingegno che ne cavava buone tinte. In breve migliorò nell’arte, e dipinse qualche vergine, qualche santo che presentava ai padri Agostiniani suoi benefattori; ne aveva in compenso alcuni fiorini d’oro, e comperava colori, pennelli e tavole; pingeva, pingeva, e pensava ad Agnese.

Omai facevasi meglio esperto e sentiva bisogno di vedere altre opere, avere insegnamenti d’altri maestri; n’andò a Roma e si pose con Pisanello e Gentile da Fabriano qual garzone fattorino che solo valesse loro d’ajuto, ma era già sì perito, che potè nel Laterano unire delle buone teste ai loro lavori. Più volte fra quegli studii e fra que’ quadri, ei tentava le forme d’Agnese, ma ancora non gli apparivano quali ei se le era create in mente in quel suo primo pensiero, e presto col pennello v’aggiungeva o barba o cappuccio, e ne faceva teste di Santi, e sì diceva: — Pittura, pittura Zingarello se vuoi tornare a Napoli: Agnese ti aspetta. —

Confortavasi di questa fiducia, poichè gliene venivano di alcune buone novelle; lieto attendeva a migliorare perchè non gli pareva ancora di vincere Colantonio, ed ove sapeva vi fossero de’ suoi dipinti affrettavasi di vederli. Siccome aveva qualche profitto dall’arte, intraprese alcuni viaggi: trasse a Venezia, e considerò quanto già avevano gli artisti operato in quella scuola, e si mise col [251] Vivarini a dipingere, e studiava la natura. Accorrevano in quella grande città tutte le nazioni: quivi il commercio si volgeva d’Asia e d’Oriente, quivi rifluivano tutte le ricchezze dell’India e della Persia, quivi tutte convenivano le genti d’ogni lingua e d’ogni paese, e proclamavano Venezia regina dei mari. Ivi meravigliato vedeva il Solario sorgere in mezzo alle acque una città quasi galleggiante, e vicino a un tempio che ricorda quello di Costantinopoli, una regia pei dogi che nulla invidia a quelle di Roma antica; e con ogni studio faceva tesoro di cognizioni, e legavasi in amistà coi maggiori maestri d’arte di quel tempo.

Volgevano intanto gli anni ed Agnese nulla sapeva del Solario, poichè il rapido partire di lui e la custodia del padre le tolsero maniera ad ordinarne alcuna corrispondenza. Viveva solitaria, mesta, non usciva mai a prendere ricreamento, non mai alzava uno sguardo, un pensiere ad altr’uomo; solo viveva nel suo cuore il lontano amante. Attendeva sollecita a quanto occorresse al padre e sovente fino il soccorreva nel macinargli i colori, ma non osava mai parlargli di Solario. Ben ei lo ricordava talvolta quando aveva inopia d’alcune cose che il giovanetto soleva apparecchiargli, e diceva sfregando il capo — Povero Zingaro! — ma erapersuaso che mai non sarebbe divenuto pittore, che neppure vi pensava: solo dopo un anno, come ei lo ricordò, osò Agnese rispondergli — Forse ora studia e dipinge — ma [252] Colantonio per risposta le fece quel moto consueto di toccarsi col dorso della mano sotto il mento, sicchè ella chinò il capo; e per non vederlo tenuto in dispregio, nol nominò più mai.

Così la misera tutto chiudeva nell’animo e non aveva cui affidare la sua passione, alimentare le sue speranze. Andava sovente da Colantonio il padre Priore, ed era a lei pure cortese di molte parole, e vedendola mesta, le dava animo, e gliene chiedeva la causa; ma essa nulla gli rispondeva, quegli mai le accennò di sapere i suoi segreti.

Correvano già tre anni da che lo Zingaro era lontano e nulla sapendone, era caduta la derelitta in tanta melanconia che pose il padre in dubbio ne ammalasse, ma pure non ne sospettava la causa. Dopo un mese di quella sua tristezza, una mattina mentre rendevasi velata e in raccolta alla consueta chiesa, ove soleva nella preghiera dare sfogo al suo dolore, e raccomandarsi alla Vergine, se le fece innanzi un pellegrino. Aveva ispido il volto per lunga barba, folti i capelli che gli cadevano sulla fronte e sugli occhi, copriva il capo d’un largo cappuccio; si fermò, la guardò, e alzata una mano, con rauca voce le disse: — Pregate, Agnese, e perseverate; il Cielo destina un premio alla virtù ed alla costanza. Quella voce la scosse, alzò il viso e vide in mezzo alle chiome che quasi gli velavano il volto, il dardeggiare di due occhi, come fiamme fra il fumo del Vesuvio, che le cercarono le vie del cuore; voleva fisarli ancora, ma il pellegrino scomparve.

[253] Non sapea Agnese dar ragione di quella apparizione, ma pure si persuase che quelle parole si riferivano al suo Solario, e più s’accese nella speranza che pur venisse a ripetere la sua mano. Ma vôlsero molti giorni, vôlsero molti mesi, ed ella pensava a lui e nulla ne sapeva: ogni mattina lo attendeva, e invano.

Passarono altri tre anni, e già ella aveva valicato il quarto lustro, sola fra inutili speranze, e senza una parola di conforto, un segno che le aggiungesse forza nel tristo abbandono. Colantonio considerava la figlia prospera e bella, e pensava che omai convenisse trovarle uno sposo, perchè s’ei moriva avesse un sussidio. Lo disse ad Agnese sorridendo e vezzeggiandola: ella lo guardò e nulla rispose. In quel momento parve che un pensiero gli corresse alla mente, odorò le sue essenze, si scompose al solito i capelli: — Ti intendo: dopo sei anni mi ricordo una promessa... ma dopo sei anni, mia cara, ritorna, manda ambasciata! forse quel poveraccio non vive più; anche arrossendo sarebbe venuto; non se ne parli più — E fece il suo moto toccandosi sotto il mento.

Agnese inchinava la testa e imbiancava di passione; il padre prendendola per le mani: — Vedi bene, cominciano già a pesarmi gli anni, e potrei andarmene con Dio: voglio trovarti un compagno che divida teco i momenti più cari della vita, un altro figlio che con te mi chiuda gli occhi; col prezzo de’ quadri che feci agli Agostiniani, e che [254] lasciai nelle mani del Padre Andrea, ti ho radunata un po’ di dote, e forse ti ho trovato un buon marito; attendo da quel buon frate, che prende tanta parte al nostro stato e ti vuol bene, certi schiarimenti che gli chiesi già da un mese, e poi vedrai lo sposo che ti destino, e se ti piacerà... spero che mi darai quest’ultima consolazione. — Agnese nulla rispose, alzò gli occhi al cielo quasi dicesse che s’ei non la assisteva, non poteva reggere contro i voleri del padre.

Alla dimane recavasi la tapina nella solita ora al tempio, ed ecco apparirle il pellegrino che già aveva veduto tre anni innanzi, e nella stessa attitudine le disse: — Agnese, ringrazia il Cielo; ei coronerà la tua costanza e le tue virtù. —

Quella vista, quella voce la commossero, sentì subitamente suscitarsi tutti i pensieri che per tre anni le giravano in animo, e si rimproverava di non averli detti al pellegrino quando il vide per la prima volta; si vôlse a lui, voleva parlargli, interrogarlo, ma egli era scomparso: guardò intorno, inoltrò nella via, e più nol vide. Quelle parole le suonavano in cuore, ma non sapeva a cui riferirle, e se accennassero alla proposta del padre, o al suo lungo desiderio. Nella chiesa a lungo pianse e pregò, e ritornata alla solitaria casa, era di continuo fra mille immagini e fantasie; sperava la misera, e non appariva nessuno; pensava mille cose, e non poteva cavare nessun consiglio, nessuna consolazione: correvano i giorni, e si accresceva la sua tristezza.

[255] In questo mezzo si levava per Napoli un ripetuto ragionare di un quadro giunto da Venezia e posto nella chiesa degli Agostiniani, che rappresentava l’Assunzione di Nostra Donna, e si teneva opera mirabile, e quale prima non era uscita da pennello contemporaneo: traevano molti amici a Colantonio per narrargli questa meraviglia, e come giungevano, stavano riguardando la figlia e lui come indagando un mistero. Sentì ei subito desiderio di vedere il nuovo dipinto, e seco addusse l’Agnese.

Era la tavola divisa in due compartimenti: nella parte più alta fra un’effusione di vivissima luce e un coro d’Angioli, vedevasi effigiata la Vergine che si alzava e pareva farsi divina: nella parte inferiore sulla destra, stava un santo apostolo di venerabile aspetto, che riguardava quel miracolo, e venerava la potenza dell’Eterno; dall’altra un pellegrino inginocchiato, che a mani giunte rendeva come grazie di un favore ottenuto. Considerò il pittore quel quadro dipinto con tanta novità di movenze e bell’arieggiare di teste, che accennava come l’arte procedesse verso quella grazia e quel sapere onde fu grande ai tempi del Perugino. Affissò il volto della Vergine, e sentì che da quell’aspetto sparso di tanta divinità piovea una dolcezza sul suo cuore, vôlse involontaria la vista sulla sua figlia, e sentì che Agnese aveva molta parte di quella bellezza di cielo ivi effigiata: anche la testa di quell’apostolo lo rapiva d’un [256] incognito senso, ma non sapeva svolgerne il mistero: affisava e taceva.

Agnese invece a quella vista era agitata da mille affetti, e guardando quel pellegrino genuflesso, se le rinnovava nella fantasia quell’apparizione misteriosa che ebbe due volte innanzi al tempio: ora era presa da sacro terrore parendole un miracolo e adorava, ora il dubitava un delirio della calda sua fantasia, e se ne faceva rampogna. Ondeggiò combattuta fra questi dubbj, osò alzare il desiderio a quanto le moveva un incognito sentimento dell’animo.

Le persone che a folla erano intorno, e desideravano udire il parere del primo pittore Napoletano, non sapevano interpretare quel silenzio, e molti malignando, tacciavano d’invidia Colantonio e la figlia. Ma quegli era uomo d’animo generoso e amava l’arte, amava la patria; già da alcune opere venute da Firenze e da Roma, s’era accorto che procedeva la pittura a migliore restaurazione, e procacciava darvi opera, ei pure col proprio studio ed ingegno: da quel dipinto poi ei scoprì che già s’apriva una nuova maniera alla propria arte, ne sentì subita letizia, e dopo quel lungo silenzio, vôltosi agli astanti e ad alcuni che seguivano la sua scuola, accennando al quadro disse:

— Questo è un nuovo miracolo; così non fu dipinto in Napoli mai. Perchè non se ne conosce il pittore? noi lo ossequieremmo come maestro. — Agnese sentì a quelle parole corrersi in cuore una ignota [257] gioja, e mentre tutti applaudivano alla generosità del maestro, ella soavemente si strinse a lui.

S’avviarono indi verso la propria casa, e transitarono silenziosi, pensosi per le vie di Napoli. Agnese camminava e guardava intorno, e ad ogni passo s’avvisava incontrare il pellegrino; Colantonio sovente affisava la figlia, pensava all’Assunta che aveva veduta, ed annasava le sue acque odorose. Giunsero a casa, e appena posto piede nello studio, videro che li attendeva un pellegrino: Agnese lo riconobbe, era quegli che già le era apparso, diè’ un grido ed alzò gli occhi al cielo, quasi implorando una grazia. Colantonio allora fisando la figlia in quell’atto d’inspirazione, e il pellegrino che stava atteggiato di modestia e di timore, e ad un tempo correndogli l’occhio allo specchio che aveva nello studio e scorgendovi la propria immagine, vide ripetersi il quadro che aveva ammirato nel tempio: restò meravigliato e girò incerte le pupille quasi temendo che lo traesse a delirio la propria fantasia. Guardava e più s’avvolgeva nel dubbio, ma non gli sorgeva neppure un lume del vero, e cercavasi colla mano il capo quasi per ajutare i suoi pensieri.

Ruppe in fine il pellegrino quel silenzio, e spartiti sulla fronte i capelli, levatasi la barba, scosso il cappuccio e gittato il bordone e la veste, ripresa la sua voce, disse al Maestro: — Promisi ad Agnese che l’avrei posta in cielo, e sì lo feci; a voi che sarei tornato pittore per meritarla, e [258] parmi da quanto diceste nella chiesa che me lo assentiate: ora attendo dalla vostra grazia mi serbiate la fede che mi avete data. —

Riconobbero nel pellegrino il povero Zingaro, e Agnese tutta si allegrò vedendo avverati i suoi presentimenti, e sarebbe volonterosa corsa ad abbracciarlo, tanto in lei s’accendeva il represso amore, se non la ratteneva il pudore de’ suoi costumi, e rispetto del padre. Colantonio restò maravigliato all’inaspettato avvenimento, poichè non ebbe mai neppur dubbio che quel fanciullo potesse apprendere pittura. Pose gli occhi addosso al Solario, lo squadrò da capo a piedi, e gli chiedeva: — Dunque tu, o giovanetto, potesti pingere quella maraviglia? — E l’altro modesto sempre e timoroso gli faceva risposta del capo, e colla coda dell’occhio cercava d’Agnese.

Allora il buon vecchio trasse di tasca la sua acqua, l’annasò due volte, la ripose, si sfregò colla destra il capo, girò gli occhi al cielo; indi aperte le braccia verso il Solario che palpitante pendeva da’ suoi motti, si precipitò al suo seno, lo strinse, e lo baciò con amorevolezza: prese poscia per una mano la timida fanciulla: — Figlio mio, ecco la tua sposa: l’hai meritata; essa ti ha fatto pittore. —

Confondevano dolcemente gli amplessi e gli accarezzamenti quelle tre anime pure e virtuose, e poichè gli ebbero a lungo iterati, narravano a vicenda l’uno gli studi e le durate fatiche, l’altra le lunghe speranze e gli incerti timori. Venne [259] tosto quarto tra loro frate Andrea, e furono grati al propiziatore della loro presente fortuna.

Trassero poscia tutti alla chiesa degli Agostiniani, e a quell’altare novello, innanzi a quel quadro ove era effusa la meraviglia d’un puro affetto, a’ piedi d’una croce, genuflessi i due giovani resero grazie al Cielo, e frate Andrea e il vecchio Colantonio, benedirono al loro nodo. Vissero prospera e lunga vita alla scambievole felicità ed alla gloria delle arti; e potè un amor puro formare un grande pittore, ed una casta sposa.

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