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CHIARAVALLE
E I MISTERI DELLA GUGLIELMINA
I.
Era l’alba d’un giorno d’aprile nel 1134, e la campana della basilica maggiore milanese chiamava i devoti alla preghiera del mattino.
Sorgeva santa Maria Vergine regina degli Angioli, nel luogo ove si leva il presente tempio gotico: era a tre navi, sorretto da colonne i cui capitelli rappresentavano scolpiti gruppi di serpi, draghi o caccie. Intorno le facevano corona sei chiese minori, tre per lato; a mezzodì san Giovanni, santo Uriele, san Michele, e vicino il palazzo dell’Arcivescovo e degli Ordinarii; a [294] settentrione san Gabriele, san Raffaello e santo Stefano, ed in mezzo a queste due la canonica dei Decumani. In san Giovanni vi era il battisterio pei maschi, in santo Stefano quello per le donne; in questo con un sottile ingegno schizzava l’acqua battesimale dalla sommità delle colonne, sicchè cadeva come una minuta pioggia, quasi dal cielo, e ne irrorava quella che rigenerava a seconda vita. Per assistere poi alle fanciulle cui veniva ministrato il sacramento, vi erano nella chiesa alcune monache, le quali, distrutto il tempio, ripararono più tardi in santa Radegonda. Nella parte posteriore poi della maggiore chiesa si estolleva un’alta torre per campanile, che venne rovesciata sopra il tempio nella devastazione che fece di Milano Federico Barbarossa: innanzi era una piazza con molte casuccie di legno. Per tal modo in mezzo alla metropoli si raggruppava quasi una città santa, ove erano e l’ara e i sacerdoti d’Iddio, e dove convenivano i fedeli alla preghiera ed alla rigenerazione.
Però quella mattina accorreva verso la basilica, maggiore gente del consueto: erano cittadini d’ogni età, d’ogni condizione; s’aggiravano intorno alle chiese, guardavano la casa episcopia vedova del pastore, perchè da alcun tempo era passato di questa vita, e si scambiavano parole e cenni di approvazione; in poco tempo le turbe crebbero a segno che ne erano ingombre la piazza e le contrade.
[295] Finalmente un Confaloniere esce da santa Maria, collo stendardo del Comune nel quale è dipinta la Croce; le turbe si dividono riverenti, passa la bandiera, e volge verso la strada che mette a Porta Ticinese, e tutti gli corrono di seguito: in breve sono alle mura della città, e alla porta ove ora è il Carobbio: passano, e si fermano fra lo spazio che sta fra queste e la fossa che forma la seconda cerchia, sulla quale si esce per una seconda porta ed un ponte levatojo. Quivi lo stendardo volge a sinistra verso la basilica di san Lorenzo, ed il popolo si affolla intorno alle antiche colonne, alle case, alla chiesa, e tutti ad una voce chiamano — Bernardo, Bernardo. —
Allora appare fra le turbe un frate, e dimanda che si voglia da lui; la voce del popolo risponde pe’ suoi consoli, che lo elegge vescovo, lo colloca nel vacuo seggio di sant’Ambrogio; di seguirlo o alla cattedrale, od alla basilica Ambrosiana per invocare lo Spirito increato. L’Eremita a quell’invito si turba ed alza supplici gli occhi al cielo.
Era questi Bernardo di Chiaravalle, che peregrinava dalla Francia in Italia per ispargere le dottrine sante, e diffondere l’ordine nuovo de’ Solitarj che aveva instituito. Alto era l’onore onde solevano insignirlo i Milanesi, ma Bernardo, più della porpora e delle dignità, amava la semplice sua veste d’eremita, più dei tumulti la sua valle solitaria.
[296] Ei pensava, e intorno sorgeva un bisbiglio delle turbe, un commuoversi inquieto, impaziente: e sovente rompeva quel bisbiglio confuso qualche voce che chiamava l’eremita, o pronunciava una preghiera.
Bernardo fra quelle commozioni si era a poco a poco ritratto nel tempio, e salita la tribuna, eccheggiò sotto la vasta cupola la sua voce.
— Figli di sant’Ambrogio! grande è il seggio ove collocar volete me povero eremita, e sì alto cui non arriva il mio sguardo: io sono nato per la solitudine...
E le voci della moltitudine interrompevano:
— No: sei nato per la fede dei popoli: tu sarai nostro vescovo.
Alcune voci tumultuose intuonavano le Litanie, altre l’Inno ambrosiano per ringraziare il cielo della nuova elezione; ma Bernardo stendeva le mani e calmava quelle voci:
— Figli, non usate forza al servo d’Iddio: decida di me la fortuna e il cielo. Oggi si passi in preghiere: dimani salirò il mio cavallo, se esso mi guiderà fuori della vostra città, io non sarò vostro vescovo: intanto ricovrate nelle vostre case, e sia con voi lo spirito del Signore. —
Li benedisse e tutti si ritrassero.
Al nuovo giorno il terraggio, la piazza, le vie intorno a san Lorenzo erano affollate: gente sulle mura, sulle due porte della città: dubitavano, speravano, ma erano presti a usare violenza, a [297] condurne il frate a forza alla cattedrale o a sant’Ambrogio.
Intanto il pio orava nel tempio; poco dopo uscì, e salito il cavallo, benedì le turbe che non fiatavano e stavano intese a’ suoi movimenti: spronò il cavallo, si mosse, fece varj giri, e tutti s’allargavano al suo passaggio, incerti se sarebbe entrato in città per avviarsi a santa Maria o uscito valicando la fossa onde rendersi a sant’Ambrogio per la via più breve. Il cavallo girò verso la fossa, e come fu sotto l’arco che protegge il ponte, Bernardo alzò la destra e si volse:
— Milanesi; resterà grande una memoria fra di voi, che oggi io vi consacro.
I Milanesi intesero che egli accogliesse il loro desiderio e movesse alla basilica Ambrosiana: alzano un applauso e s’ordinano per seguirlo a pompa; ma il cavallo precipita il corso, prende le campagne, e s’avvolge fra i boschi che ricingono Milano. Bernardo non si teneva meritevole di sostenere lo splendore di tanto grado e sparve.
Il popolo resta maravigliato, sbalordito; si fecero varii consigli: passano alcune ore di tumulti, di pensieri diversi, allorchè giunse uno dei seguaci di Bernardo che lo avea precorso coll’alba: annunziò che l’Eremita aveva presa la strada di Pavia, e raccomandava a’ Milanesi di scegliere un nuovo pastore.
— Dunque, esclamano questi, l’Apostolo del cielo ne ha ingannati; ei disse di lasciarne una sua memoria. — [298] E l’altro — Udite: ei passò alle cascine di Rovagiano, e fra que’ luoghi solitarj, destinò che sorgere debba una nuova Chiaravalle pari alla sua diletta; un tempio, un cenobio, ove i suoi seguaci preghino pei Milanesi nella penitenza. Egli partì, benedicendo i contadini che accorsero mentre segnava il loco, e una luce eterea parve irradiare quella terra. Date l’obolo sulla mensa del Signore, e sorgerà il ricordo che oggi vi consacrò Bernardo di Chiaravalle. —
I Milanesi si arresero, crearono nuovo vescovo: dopo pochi mesi riapparve Bernardo fra loro, e annunziò una pace ferma colla vicina Pavia, e pose la pietra della nuova Chiaravalle, che nel 1035 si levò colle obblazioni dei devoti.
L’edificio risente del tipo dell’architettura rituale creata nei primi secoli del Cristianesimo: è a tre navi, soffolte da pilastri di forma diversa. Sul fondo della nave di mezzo sorge la tribuna volta all’oriente; quivi non immagini, non dipinti; si alzava sull’altare la sola croce, cui salutava il primo raggio di sole da tre anguste e lunghe finestre aperte intorno all’apside. Sopra l’altare sorge magnifica cupola che termina a torre rotonda a vari piani, con in giro nella parte esterna loggie ed ornati, e in tutto alta dal suolo quarantacinque braccia milanesi, e forse suggerì all’Amedeo la forma di quella della cattedrale milanese; sulla parte più alta poi sono le campane che chiamano da lungi i devoti alla preghiera.
[299] Vicino si levò un cenobio ove ricovrarono gli Umiliati colla regola di s. Bernardo. Questi pietosi solitarj non solo intesero a giovare a’ loro concittadini colle preghiere, ma a migliorare la loro condizione economica promovendo l’industria agricola e manifattrice. Quindi volsero le prime cure a migliorare la terra ove abitavano; ridussero a coltura le lande, estirparono gran parte degli infruttuosi boschi, e resero più fecondi i nuovi campi col derivare dalla Vecchiabbia rivi artificiali di acqua, e condurli ad irrigare il seminato e la crescente messe; quindi essi primi introdussero l’irrigazione che è di tanta ricchezza alla Lombardia. Essi accolsero i devoti nel tempio, i peregrini nella propria casa, e diedero agli illustri Milanesi sepoltura fra i loro chiostri per suffragarli con pie salmodie. Ivi sorsero infatti mausolei ai Torriani nel 1213; e dopo poco un altro ne sorse che profanò con riti sacrileghi la santità del loco.