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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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II.

Nell’anno 1281 spirava in Milano una donna boema, di avvenenti forme, nominata Guglielmina: dicevasi figlia di regina; visse solitaria, oscura, ma avvolta d’un mistero; fu giudicata modestia e devozione: fu sepolta a san Pietro all’Orto, e proclamata esempio di virtù peregrine. In breve alcuni sparsero grandi maraviglie de’ fatti di costei, e la proclamarono meritevole di distinta tomba, [300] e dopo un anno fu statuito di trasportarne le reliquie a Chiaravalle.

Fu condotta l’inusitata cerimonia con pompa; seguirono quel feretro numerose persone, altre per curiosità, altre atteggiate in modo di singolare divozione. Nel momento che si collocavano le reliquie nella nuova tomba, posta a un fianco della chiesa nella parte esterna, un pio di quel convento encomiò le virtù della Guglielmina, e la proclamò beata.

Dopo fra l’agitarsi delle genti si vide presso quel monumento alzare il capo in atto di inspirazione una donna; era grande nella persona, aveva un viso squallido, severo, macero; vestiva una ampia cappa di penitenza con cappuccio, coi quali però pareva coprire altri abiti sfarzosi e acconciatura inusitata. Costei, poichè stette alquanto fisa in cielo quasi vi cercasse i propri pensieri, parlò della Guglielmina con senso di venerazione e mistiche parole; della sua vita consumata a beneficio de’ mortali, della sua morte, e d’un suo risorgimento, e la chiamò più volte figlia d’Iddio.

Alcuni raggruppati intorno a questa donna la udivano con atto di gran devozione; gli altri o non la curarono, e credettero que’ detti riferirsi alle avvenenze di Guglielmina ed all’esaltazione dell’amicizia: alcuni risero, altri furono scossi dell’aspetto singolare di costei: compiuta la cerimonia si sciolsero e partirono, parlandone una volta e poi dimenticandosi tutto come suole avvenire delle cose umane.

[301] Però dopo pochi giorni correva per Milano una novità, che al sepolcro della Guglielmina mai non essicassero i fiori; e tutti ne offrirono: indi si aggiunse che vi si facevano miracoli, e alcuni ammalati traevano a Chiaravalle, si inginocchiavano su quella terra e ne partivano risanati. Quindi vi si appendevano i voti, vi si accendevano cerei e lampade, e sempre gente a orare, a narrare le ottenute grazie, a chiamare nuovi devoti; era un continuo andare e redire di gente, un recitare incessante di preghiere.

Sovente sull’imbrunire vi giungeva da Milano quella donna misteriosa: sempre avvolta nella cappa che le copriva gli abiti, con un drappello di compagni, fra i quali un Antonio Saramita che le portava il libro delle preci, e le era sempre al fianco, e la serviva silenzioso con ossequio. Se vi erano altre persone a quella tomba, la donna misteriosa s’inginocchiava, pronunciava orazioni enfatiche, e non quali si porgono a’ beati. Se il luogo era deserto, si levava, e parlava a’ genuflessi seguaci, e fu udita sovente pronunziare accenti di più alti misteri e di redenzione: quando giungeva alcuno troncava le parole e si inginocchiava. Però vi avessero altre persone o no, usava sempre coseguaci intorno a quel sarcofago inchini ed atti di devozione in forme inusitate; indi partivano, e ritornati a Milano andavano nella casa di quella donna.

Quivi non era lecito entrare a chi non fosse di quel drappello, e solo talora al ritorno da [302] Chiaravalle, lo si vedeva accresciuto di qualche nuovo compagno. Costoro poi dimoravano a lungo in quella casa di giorno e di notte, e niuno giungeva a scoprire quanto ivi facessero. I curiosi che vi si avvicinavano, udivano sovente alternare di salmodie; e poi fatto silenzio, eccheggiare sola una voce di donna, o che orava o che parlava lungamente: poi quiete, poi nuovi canti. Quando quelle persone uscivano, talora avevano volto acceso, inspirato, talora erano tristi, sparute.

A poco a poco si diffuse in Milano di queste peregrinazioni a Chiaravalle, di questa misteriosa donna e dei segreti della sua casa; si seppe essere una Mayfreda, che usava domesticamente colla Guglielmina quando era in vita. Alcuni credettero una esaltazione di dolore quanto operava; altri una follìa: parecchi però avevano posto mente, quando giungeva a Chiaravalle, a quelle mistiche parole, alle cerimonie che usava a quella tomba, le quali sentivano più d’un rito che d’una preghiera, e ne mormoravano. Altri invece, spargendosi il Saramita essere uomo rotto ne’ vizj, sospettavano quelle unioni fossero orgie amorose; ognuno la discorreva a suo modo, e in breve ne parlava tutta Milano.

Intanto faceva altri pensieri Stefanardo di Vimercate, uno dei capi dell’inquisizione. Pullulavano in quel tempo per ogni parte d’Italia le eresie: erano recenti a Milano la setta di Concorezzo, ed i roghi sui quali que’ miseri avevano espiati i loro delirj: si agitava ancora a Ferrara [303] il processo di Armanno Pungilupo, ed in altre parti quelli de’ Fraticelli, degli Albigesi, de’ Patarini; tutti avvolti fra gli errori de’ Manichei. Stefanardo appena udì quelle pratiche della Mayfreda, la sospettò d’eresia, pensò di scoprirla e darle punizione. Era mosso parte per vendicare la morte di Pietro, che nel venire a Milano a sterminare gli eretici, aveva segnata col suo sangue cadendo nella valle del Seveso sotto il ferro della vendetta, la corona del martirio; parte perchè aspirava all’onore di Oldrado podestà di Milano, cui per avere arsi molti eretici, si era innalzato una statua sulla piazza de’ Tribunali, ora de’ Mercanti: tali erano le condizioni di que’ miseri tempi. L’inquisitore pensò a scoprire questi segreti della Mayfreda: si fece venire da Lodi uno sconosciuto compagno, e ordinò con lui quanto convenisse intraprendere.

Costui trasse a Chiaravalle, e si pose cautamente ad espiare la donna e i suoi seguaci: indi facendo vista d’essere divoto della Guglielmina, s’aggirava l’intero giorno intorno a quella tomba, e gli tributava voti, e procacciava fare quegli atti che vedeva usare dalla Mayfreda; e come ella giungeva, si poneva fra i suoi, e ne seguiva le pratiche. A poco a poco si addimesticò con alcuno di quegli incauti, e tanto parlò della devozione che aveva nella beata, che gli fu detto non bastare quelle preci per rigenerarsi a salute. Allora rassicuratosi del sospetto, tutto si gittò a [304] penitenza, a devozione verso quella sepolta, finchè gli venne proferto di partecipare nella luce novella ch’essa aveva sparsa sulla terra. Accolse con riconoscenza l’invito, ed alla sera ritornando da Chiaravalle, seguì quella turba nella misteriosa casa.

Come pose piede fra quelle pareti, vide mirabili cose. Vi era una stanza accomodata a forma d’una piccola chiesa, con accesi cerei e lampane. Appena tutti gli adepti si spartirono a’ loro posti, Mayfreda spogliò la cappa onde s’avvolgeva in pubblico, e apparve tutta arredata di paramenti sacerdotali: il Saramita, presa una tonicella da diacono, la serviva con ossequio, le recingeva i sandali ai piedi, e le poneva in capo il triregno papale. Quindi essa s’accostava all’altare levato in eminente loco, e con pompa pontificale osava sacrilega celebrare il sacrificio incruento. Indi chiamando intorno a i seguaci, li cibava coll’ostia sulla quale ella aveva pronunziato mistiche parole.

Compiuto il rito e spogliate le vesti solenni, restava la sacerdotessa col solo camice e la stola innanzi all’altare volta verso i devoti. Si spegnevano le faci e solo illuminava la stanza una pallida lampana; e Mayfreda ponevasi a svolgere le nuove dottrine.

Ella insegnava che Guglielmina era lo Spirito Santo che aveva presa nuovamente umana carne in una donna, e annunziato dall’arcangelo Raffaello, il delle Pentecoste, alla regina Costanza [305] di Boemia, era nata dopo un anno intero: quindi essere Guglielmina e uomo e Dio in sesso femminino, e venire in terra per salvare i Giudei, i Saraceni e i falsi Cristiani. Però dopo la missione, essere morta secondo la natura umana, ma dovere risorgere e mostrarsi a riconfermare i seguaci: concedere indulgenza e premj a coloro che visiterebbero il suo sepolcro a Chiaravalle. Doversi finalmente per inspirazione della Guglielmina, formare quattro nuovi evangeli per legge della nuova religione.

Quivi Mayfreda taceva e si poneva ad orare a’ piè dell’altare; e cupa, grave la voce del Saramita, rivelava nuove strane dottrine. Annunziava costui che Guglielmina aveva lasciato per suo vicario in terra Mayfreda a reggere i suoi fedeli. — Ad alte cose la sortì il cielo; come cada il gran momento che si scuota il velo di questo silenzio. Essa celebrerà il divin sacrificio sul sepolcro del nuovo spirito increato a Chiaravalle; indi nella basilica maggiore di Milano, e poi in san Pietro a Roma: e sederà sulla cattedra del pescatore, e nuovo pontefice avrà nuovi Apostoli, e voi sarete fra quelli; assolverà e legherà sulla terra la fede degli uomini, e rigenererà coll’acqua battesimale i Giudei, i Saraceni, tutti i popoli, e li accorrà sotto il manto della nuova fede. Questa credenza vi riconfermi, e lo spirito di Guglielmina scenderà sopra di voi. —

Allora la Mayfreda si levava dalla preghiera, e [306] preso un aspetto d’inspirata, sicchè pareva parlare non da , profettava:

— Sono aperte le porte di nuova salute e di grandi mali ai seguaci di Guglielmina: v’avrà chi tradirà me pure, nuovo Giuda, gettandomi nelle mani dell’inquisizione; si apparecchieranno a’ miei discepoli le catene e i roghi, ma sia ne’ vostri petti lo spirito di Chiaravalle, e vi farà terribili in guerra, indomati nelle avversità: splenderà sul vostro capo la divina luce che rifulse su’ miei occhi e mi rivelò gli eterni misteri. —

Quivi il diacono solveva una breve prece, e la papessa benediva i suoi adepti, e si ritraeva.

Il messo dell’inquisizione era più volte rabbrividito a quelle bestemmie, a quei riti esecrandi: appena si aprirono le porte della casa, uscì a precipizio guardandosi ad ogni momento addietro, sempre temendo d’avere il demonio alle spalle. Come fu da Stefanardo si gittò a’ suoi piedi, perchè lo purgasse di tutte le profanazioni cui aveva assistito; ed ei lo assolse, e glielo pose a merito perchè scopriva nuovi empj.

Allora ei tutto narrò quanto vide ed udì innanzi all’unito concilio degli inquisitori, che tremarono sui proprj seggi a quelle parole: come tacque il congedarono, ma il fecero sostenere in palazzo perchè non gli uscisse il segreto; ed essi ad una voce ebbero deliberato.

Stava la Mayfreda nella sua casa celebrando i nuovi riti, quando improvvisi vi giunsero armi [307] ed armati; ne gittarono le porte, penetrarono nel sacrilego tempio, e trassero lei e il Saramita coi paramenti ond’erano rivestiti nelle carceri.

Si diffuse tosto la notizia di questo fatto in Milano, e tutti ne parlarono in diverso modo: chi le antiche opinioni associando alle nuove, intesseva un misto di storie nefande della Guglielmina, della Mayfreda e del Ministro, che vincevano ogni ragione: altri credevano avere in fatti spacciate di quelle favole la Guglielmina, altri averle aggrandite la Mayfreda per vanità femminile; la maggior parte faceva le meraviglie di tanta empietà; molti ridevano di que’ pazzi delirj e li compassionavano, ma in segreto.

Non occorse molta fatica per trarre ai due rei i loro delitti. Il Saramita guatava i giudici con un beffardo sogghigno, e sdegnava risposte e discolpe: la Mayfreda esagitata da un demone, o persuasa, o delirante, annunziava le sue dottrine innanzi ai giudici, e parlava della propria missione, e vedevasi innanzi la sedia pontificale che la attendeva.

Misera! Fra que’ suoi delirj s’aprivano le porte della carcere, e le era annunziato l’estremo supplizio col fuoco: allora frate Stefanardo spogliata l’austerità di giudice e presa la pietà della sua missione, procacciava di persuaderla a ritrattarsi da’ suoi errori e ritornare in grembo della vera fede.

Ma la donna tutta si ricomponeva in , sicchè appariva più grande del consueto, e con un aspetto sicuro:[308] — Oh che osi, misero mortale, innanzi al vicario dello Spirito increato, che rifulge sul sepolcro di Chiaravalle! china la testa e bacia il mio piede; e finchè ne sei in tempo, invoca la misericordia di Guglielmina, se vuoi salute.

Furono vane le parole, ella più si estolleva, quanto si voleva calcarla: il Saramita non degnò rispondere; e l’inquisizione li commise al potere secolare.

L’alba rischiarava in Milano un giorno di lutto, un giorno di festa per que’ tempi superstiziosi. La campana della basilica maggiore suonava un’agonia, e vi rispondeva con cupo metro quella posta sulla torre di recente levata da Napo Torriani nella piazza de’ Tribunali: accorrevano i cittadini per le strade e chiedevano una notizia, e si udivano rispondere — gli eretici — il rogo — la Guglielmina — e quali volgevano ove erano le carceri, quali al luogo infausto del supplizio.

Suonava l’ultimo segno, s’aprirono le porte del palazzo dell’inquisizione, e si vide uscire lunga processione di frati, di persone coperte con cilicio di penitenza, e in fine Mayfreda e il Saramita vestiti colle insegne del loro delitto. Girò il funereo corteggio varie contrade, accompagnato da una mesta salmodia, e dalle grida del popolo ora crudele, ora pietoso, sempre instabile e fanatico.

Giunsero finalmente a un luogo ampio, erboso, che valeva di pascolo e di piazza, e dicevasi Braida: vi era elevata nel mezzo una catasta di legna: erano [309] pronti i manigoldi e le fiaccole. Allora il frate di nuovo accostatosi a que’ miseri, tornò a persuaderli di dimandare perdono delle loro colpe e di rivolgersi al cielo; ma la Mayfreda levando il capo e fissando il rogo, rispondeva con solenne aspetto e forte voce.

— Mi accenda la mente lo spirito di Guglielmina, la luce di Chiaravalle: eccomi pronta a salire la pietra che fonderà la credenza della nuova chiesa; il trono su cui sederanno i pontefici vicari di Guglielmina in terra... Ella è risorta e mi manda dal paradiso un suo raggio che mi segna la via per salire al suo bacio eterno...

A quelle empie parole si alza un ululato di dispetto nella moltitudine; è dato un segno, i manigoldi siedono la donna sulla catasta, vi appiccano il fuoco, e sorge e divampa; vi gittano appresso l’imperterrito e muto Saramita... Fra lo stridere di quel rogo, in mezzo alle fiamme che salivano al cielo, sorgeva un cupo lamento: era la voce di due sgraziati deliranti che spiravano, la voce che fece a lungo miseranda Italia alle altre nazioni.

Poichè i feroci che avevano consumato un delitto per punire un errore della mente, videro assopito quel rogo, trassero a Chiaravalle, dissotterrarono le spoglie della Guglielmina, le arsero, le dispersero al vento. Cessò il nuovo rito e il nuovo deliro.

I monaci di Chiaravalle si tennero [310] incontaminati in quella punizione troppo severa. Seguirono invece a sboscare le terre, a diffondere l’agricoltura, a fondare setificj, e furono utili alla Lombardia.

Resta ancora il tempio e il cenobio a ricordanza di quanto valesse l’età che innalzò tanta mole; resti una memoria della Mayfreda, perchè testimonj del delirio degli uomini e della fierezza a punirli, sicchè si alimentavano a vicenda: quando questa scemò il primo scomparve. Il nostro secolo più ragionevole ha serbato a queste follìe l’asilo pietoso della carità.

[311]

 

 




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