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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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LE MARIE DI LEGNO

 

Notizia storica

 

Passeggiavano tre amici lungo la Galleria De-Cristoforis, ora guardavano nelle botteghe l’eleganza delle mercanzie poste in vendita, ora occhiavano le venditrici, o le creature femminine che venivano a far compera, gittavano qualche motto fra loro, e passavano oltre. In quel mentre una ne giungeva piuttosto grande e magra, e l’uno diceva al vicino — Guarda a questa se è bella — e madama passava, e l’altro scuoteva le spalle rispondendo — L’è una Maria di legno. —

[357] Allora il terzo aggiunse — O di legno o di carne, parlate sommesso, perchè non vi oda, che è una savia donna e non vuolsi porla in canzone. — Poi stette un po’ sopra pensiero e aggiunse — Eppure questo motto delle Marie di legno deve avere qualche origine, giacchè notai che di solito i proverbj popolari non sono a caso. — Altro che origine! — rispose il più attempato, e aggiunse una esclamazione che sentiva del veneziano; fece due passi innanzi, sebbene camminasse un po’ dolce, e si volse a guardarli con mal piglio come chi rimbrotta d’una colpa — Diavolo, se leggeste! pigliate le Feste Veneziane della Micheli, libro stampato a Milano, che è tanto ameno ed istruttivo, e ne vedrete la storia. Venite con me, andiamo qua all’ufficio dell’Eco, e ve lo mostrerò subito. —

Intanto il primo che era il più elegante, faceva vista di assettarsi lo sparo della camicia sul petto, ma guatava di traverso a una bottega, innanzi la quale avevano rallentato il passo, sul cui limitare era una signora in buon assetto di carne, con due neri occhi, accesi, che muoveva con grazia. Aveva ella udito quel discorso delle Marie di legno, e guardando al veneziano col quale teneva conoscenza, piacevolmente gli chiese, se voleva darle a leggere il libro della Micheli, perchè era curiosa di sapere quella storia.

Allora parve che un lieto pensiero balenasse sul volto del più giovane, come un lampo che [359] rischiara in una via incerta, e con un bell’inchino voltosi alla signora — Oh che libri! vuole stancare que’ begli occhi? non la badi a costui che è d’accordo costampatori; se desidera sapere quella storiella, gliela racconto io subito, e risparmio a lei la fatica, e a noi procuriamo un bene stando alquanto in sua compagnia. — La signora fece un inchino come chi sa cortesia per gentilezza, si ritrasse nella bottega, e accennò loro di entrare; e tutti si assisero quali sur un’ottomana, quali su eleganti tamburetti, e senza fiatare volgevano il viso al giovane, invitandolo a raccontare. Egli fiutò lungamente una presa di tabacco, poi così leggermente corse coll’indice sul naso, s’accomodò la gola della camicia intorno al mento, aggiustò il ciuffo e la barba; indi riposate le mani sulle coscie, guardò la signora con un certo riso che annunziava dei pensieri ascosi e gentili, e siccome era bel parlatore, narrò quel fatto con grazia, che noi rozzamente ci studiamo ripetere.

Forse madama saprà, che Venezia è città fondata da alcuni fuggitivi, i quali ricovravano nelle isole della laguna; e crebbe a poco a poco, finchè in varj secoli si fece grande e potente. Ora ne’ primi tempi, quando i cittadini erano ancora in piccolo numero, si aveva ivi costume di celebrare una sola volta all’anno, in un giorno stabilito, tutti i matrimonj che si volevano contrarre. È legge bizzarra, ma la era così: que’ poveri sposi, [360] amare o non amare, avere in petto fiamme o ghiaccio, conveniva che aspettassero il due febbrajo. E vede bene, con quanti sospiri spesso avranno sollecitato quel giorno, e forse talora lo avranno mal visto giungere, poichè in tutti i paesi e tempi, in que’ benedetti matrimonj, vi è un po’ di elezione e un po’ di forza. Ora quando sorgeva quella bella mattina, le fanciulle andavano accompagnate da’ parenti alla chiesa di san Pietro di Castello, con una arcella o cassetta, nella quale avevano la loro poca dote, poichè allora non si mercanteggiavano le figlie come adesso a furia di mila lire: ivi la maggior parte, palpitando fra incerti desiderj, aspettavano gli sposi; appena questi giungevano lieti cogli amici e congiunti, il Vescovo in presenza del Doge, li predicava, li benediva, e ne congiungeva le destre inanellate. I mariti si pigliavano la sposa e l’arcella della dote, e finita ogni cerimonia, se n’andavano in buona compagnia, e passavano lietamente la giornata.

Ma le nazioni sono come le donne; sebbene stieno meglio smesse, come ella è in questa mattina, che arredate di sfarzosi abiti, non si danno pace se non si vestano a pompa. Così a Venezia, non andò molto che quel semplice rito, si tramutò in una splendida festa; e quella povera arcella, in un serbatojo di molte ricchezze, e le schiette candide sottane delle spose, in abbigliamenti di valore: alla corona di fiori che [361] imponevano sul velo, succedettero diademi e collane d’oro, e chi non ne aveva di proprie, le pigliava a prestito dalle amiche e conoscenti; infine si convertì in una bella mostra di lusso.

Infatti, come le ricche vetrine della Galleria muovono la gola alle signore, quello sfoggio veneziano mise voglia di farne preda nel 944 ai pirati triestini, che correvano i mari e vivevano di bottino. Raggrupparono una flotta di navi sottili, e s’appostarono il giorno prima della festa dietro l’isola di Olivolo. Quando parve loro il momento che si celebrava il rito, uscirono d’agguato, attraversarono in un fiato la laguna, e furono alla riva. Scendono deliberati, furenti, armati di spade e di stili, precipitano nella chiesa, e sono fra gli sposi; gittano lo scompiglio fra la divozione, si pigliano sulle spalle le donne, e rubano a man salva le loro doti, senza che gli uomini, disarmati e che non s’attendevano a tanta violenza, possano opporre alcuna difesa. Si fa tumulto, si grida, si chiama: le fanciulle piangono, stendono le mani, dimandano ajuto, ma invano; i rapitori le portarono sulle navi, e dato de’ remi in acqua, scomparvero. Sorse tosto in Venezia un grido di disperazione, un ululato d’ira, e i poveri mariti che sul più bello si trovavano a denti asciutti, gridavano vendetta. Il Doge Pietro Candiano risente l’onta, lo sdegno de’ Veneziani; li chiama all’armi, e molti corrono, e specialmente i falegnami popolani di santa Maria Formosa che offrono molte barche: [362] escono dall’estuario, si gittano speranzosi sulla via dei pirati, e tanto è in loro il desiderio, che fatti de’ remi vele, sguizzano come saette sul mare, e li raggiungono al Porto di Caorle, ove stavano sul lido spartendo il bottino e le donne. Fu un grido disperato ne’ Veneziani: scendono e li assalgono: sono accesi d’ira e d’amore: hanno braccio di vendetta, ferri di distruzione: i pirati sono vinti, sconfitti, uccisi, e ne sono gittate le salme al tempestoso mare. I vincitori abbracciano le palpitanti spose, raccolgono i loro tesori, chiamano quella spiaggia Porto delle Zitelle, e ritornano festanti a Venezia: si rinnova il rito, si raddoppia la gioja, e l’amore è più bello dopo il pericolo.

Indi si ordinò una festa a ricordare quella vittoria, e lo Stato avendo lasciato libero a’ falegnami di santa Maria Formosa, chiedere mercede del loro valore; questi si accontentarono della modesta dimanda, che il Doge visitasse la loro parrocchia il della festa: parve a Pietro Candiano lieve richiesta ed oppose — E se minacciasse di piovere? — Noi vi daremo cappelli per coprirvi. — E se avessimo sete? — Noi vi daremo da bere. — Convenne accondiscendere a sì modesta dimanda, e ogni anno il doge nel della Purificazione, andava a santa Maria Formosa colla moglie, e i Priori offrivano loro due cappelli di paglia fregiati in oro, e alcuni fiaschi di malvagìa.

[363] In quanto alle spose, perchè ormai crescevano i matrimonj, e ridurli tutti a una volta sola all’anno l’era fare troppi scontenti, si lasciò libero sposarsi quando piacesse; e solo si maritarono in quel a spese della città dodici fanciulle che chiamarono Marie. Si univano i cittadini de’ sei sestieri di Venezia, ciascuno nella propria parrocchia, e sceglievano le due figlie più belle e savie del sestiere, e le dotavano. Quindi si associarono in una, le due feste delle nozze e della vittoria; le Marie, fatti gli sponsali, accompagnavano il Principe alla visita della parrocchia de’ liberatori.

Ma in breve a un di festa, se ne rappiccò un secondo e un terzo, finchè se ne fecero sette, e quelle spose che prima modeste, stavano liete d’un voto, d’un inchino, traevano pei canali di Venezia in trionfo, e si compiacevano, come civette sul gruccio, chiamarsi intorno i giovani galanti: adescavano adoratori, mentre davano la mano ad uno sposo. Varj signori poi dopo quella pompa, si spartivano le Marie ed il loro seguito, e le banchettavano ne’ proprj palagi; e ne uscirono, capisce bene, mille guai. Le altre donne avevano invidia alle spose di quella fortuna, e si mettevano di seguito a que’ trionfi, e facevano gozzoviglie; insomma quella cerimonia, pel lusso e pei disordini, l’era diventata una cuccagna.

Allora il Senato pensò di porvi riparo, e [364] nel 1272 mandò un ordine, che di dodici, ridusse le Marie a quattro, indi a tre. Ma le Marie erano la minore parte, e la festa seguiva ad essere un baccanale, e l’andata del Doge era accompagnata da tutte le donne galanti di Venezia che volevano vedere ed essere vedute, per fare conquiste: tanto crebbe lo scandalo che nel 1349 il Senato fu costretto proibire le Marie, e quindi fu tolto alle donne il pretesto di fare seguito alla pompa. Però perchè restasse memoria dell’antica usanza, si ordinò che si portassero dietro la processione alcuni fantocci di legno, che rappresentassero le antiche spose veneziane. Il popolo che vide togliersi quel sollazzo, da cui traeva guadagno, cominciò dal fare gridori contro quelle bambole, e le mise a mela cotte, a navoni, ad altre frutta. Però a poco a poco s’accostumarono a vederle con indifferenza, e solo a porle in ridicolo, le chiamarono Marie di legno. Allora nacque leggermente in Venezia il motto, a ridere qualche donna di niun conto, e le magre, di soprannominarle Marie di legno. —

Qui il narratore si accomodò la cravatta, compose la bocca ad un risolino gentile, e voltosi alla signora — Questo certo non potrà mai dirsi di lei, che ha fiorente, come il viso anche la persona; e certo può invece chiamarsi Maria Formosa; ed io tengo suo marito più beato del Doge di Venezia, perchè non ha da aspettare una volta all’anno per venirla a salutare. La signora [365] sorrise e rispose — bella storia: le sono grata. — L’altro aggiunse tosto, che se volea, ne aveva una per ogni ; ma i due amici si levarono, e gli ricordarono che era tardi; sicchè scambiati de’ bei saluti, uscirono, ed andarono al caffè a prendere un rinfresco.

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