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Defendente Sacchi Novelle e racconti IntraText CT - Lettura del testo |
IV.
La matita
Omai s’avea posto fine al fare rotoli delle merci comperate, erano presti a partire i signori adunati in quella sede delle mode, ove le donne versano tutti i danari raggranellati con tanto studio. E non crediate che sia poca fatica alle poverette spigolare bezzi, perchè i mariti brontolano ogni dì colle mogli pel loro spendere, ed esse sono sempre necessitate a nuove compere: ma non è loro colpa, è la condizione della società, è l’impero della moda alle cui leggi non è lecito mancare a donna che abbia riputazione di buon gusto, anche a scapito della propria fortuna; misere, sarebbero infelici per tutta la vita! Quindi hanno sempre bisogno di nuova pecunia, e santo ingegno ajuto, diventano speculative più di un ragioniere, e ferve un genio di Galileo in quelle loro testoline.
Qualche risparmio giornaliero sull’economia domestica, qualche lira di più sul libro di cucina ad accrescere la tara già appiccatavi dal cuoco; poi quelle benedette spese per vestire i figli, che sono sempre nuove, perchè que’ marmotti sciupano tutto; e le masserizie da racconciare e le porcellane rotte da rimettere, e tutti sono piccoli campetti d’onde si spigolano quattrinelli. Poi [413] vengono le speculazioni commerciali; le vesti sdruscite date alla cenciaja, i merletti un po’ logori, le blonde annerite, i cappellini scaduti di moda, le sciarpe sdruscite, affidate alla rivendola... e vi vanno spesso compagni le marsine, i calzoni del marito che non si credono più decenti. Capita di buon mattino la vecchia rigattiera, è ammessa nel segreto de’ gabinetti ove non siede più tardi che galanteria, e sorge un parlare confidente, uno schiamazzìo, e l’una narra miserie e l’altra vuole danari; si fa il mercato e si prende un terzo del valore; il borsellino cresce, mentre la guardaroba scema.
Poi vi sono i proventi personali; cioè qualche vezzo di più largheggiato allo sposo per iscroccargli il soldo d’una lista; il dono d’un nastro al dì onomastico, di un fiore al natalizio per averne compenso con usura. Quando poi mancano tutte queste risorse, vi sono i vecchi parenti: che buona gente que’ vecchi papà e zii per le giovani donne che hanno bisogno di contanti! un po’ di malinconia, qualche sospiro, una lagrimetta, un lamento alle spalle del marito avaro; e i creduli commossi aprono l’arca antica e fuori i dobloni polverosi: e le figlie intenerite presto vi mettono sopra mani, li ghermiscono, li sfondano nella borsa, ed escono liete donde erano entrate lagrimose.
Così è, donne amabili, studia, affatica dì e notte per mettere assieme un po’ di danaro, e [414] ogni mattina guardate se crescono, e qualche inesperto crederebbe li poneste in serbo per soccorrere ad una povera famiglia che langue nell’indigenza, o per dare un po’ di dote ad un’onesta figlia che deve andare a marito... Oh follìe! cose che non danno grazia alla persona, che non attirano uno sguardo, neppure un sospiro: che idee vecchie! puzzano fino di classicismo. E la mercantessa di mode che li aspetta, è una guarnizione di nuova foggia, è una cuffia di blonda, un cappellino di Firenze che li attendono. Per questi si versano que’ piccoli tesori accumulati con tanto sudore, e non sono sufficienti e resta pur sempre presso l’artefice una coda di debito, che ne attira di nuovi come le ciriege.
Almeno la bella civettina che era nella bottega della cuffiaja, questa volta non aveva tale fitta al cuore, perchè il suo vecchio amico pagava quanto prendea, e la riconoscente gli dava certe occhiattine tutto sentimento, che proprio gli parlavano d’amore. Però fra tanto affetto le rincresceva di allontanarsi, perchè le erano andate a sangue anche le lezioni d’industria del giovane galante, e voleva appiccare seco lui un po’ di conoscenza più stretta, sicchè sul partire volendo pure trovare occasione a fermarsi ancora, quasi smemorata disse: — Oh m’era scordato che mi abbisognavano dei guanti! — Li vuole, aggiunse subito la modista, di seta come ora si usano, oppure di Grenoble? — E tosto il vecchio avaro: — In [415] questo lato sono erudito anch’io di manifatture patrie, e so che si fanno de’ buoni guanti di pelle anche in Milano, e pelli lucide d’ogni sorta che prima si facevano venire dallo straniero.
— Dunque, riprese il vago fissando la signorina, quelle scarpine lucide che stringono il bel piede di Madama, e non so se siano fatte dal Bianchi o del Beltrami, ma vanno certo a pennello, saranno di pelli milanesi? certo piedi sì eleganti che potrebbero ballare sui fiori, non dovevano vestirsi che di pelli elette e patrie... — E sul fondo la giovane cuffiaja mordendosi il labbro: — Oh sì! è tutta pelle nostrale quella di Madama. — Fu motto udito ma che non si volle comprendere, e tosto il vago pertinace trasse un bel portafoglio di pelle tutto arabescato e cesellato: — Anche questo è manifattura nuova lombarda, come sarà la bella borsa che le pende dal braccio, gli stipetti e le custodie delle carte sue preziose; cose delle quali una volta non se ne sapevano lavorare fra di noi, e tutte si traevano dall’Inghilterra.
— Bel portafoglio, disse tosto la civettina; lo prese, lo svolse, e vi lesse per entro, girando qualche occhiata, e intanto il giovane pigliavasi il fazzoletto che ella gli aveva dato per liberarsi le mani, e facendo vista d’essere sopra pensiero, lo ravvolgeva col proprio nella cappellina. — E questa matita è milanese? disse l’astuta cavando il lapis dall’occhiello del portafoglio. — Oh questa poi è mirabile, rispose il galante, la provi. — [416] Ella si pose a scrivere sul portafoglio e ridendo diceva: — Noterò i numeri del lotto. — Ma il provinciale colla coda dell’occhio vide che ai numeri aggiunse il nome di una contrada, e involontario torse il capo in aria di disprezzo, e voltosi verso il fondo della bottega, s’incontrò cogli occhi della povera cuffiaja che erano rossi come bragia, ed ansava come un mantice. Rese la trista il portafoglio e volta alla mercantessa: — Omai un pajo di guanti di fabbrica milanese, e poi me ne vado. —
I guanti sono sul banco, e il galante si mette a svolgerli: prende prima la destra di Madama per misurarla coll’occhio, indi sceglie un guanto, lo apre insinuandovi l’indice delle due mani, vi soffia entro, e ne inguanta la signora; in quella faccenda succede un incontrarsi di dita che pare scorrano sur un cembalo, e colle dita si fanno de’ segni o de’ numeri; e un socchiudere d’un occhio che accenna d'essersi intesi.
— Hoè, hai capito? l’ora è data — disse una delle vestali alla palpitante compagna; ed essa più non valendo a reggere fece un grido disperato — Ah traditore! — e svenne.
Fu una confusione nella bottega, e chi portò acqua fresca, chi aceto, e tutti intorno alla misera; vi era il vago un po’ commosso, vi era la bella che punta da curiosità e da malizia stava vicina all’esamine per ispiarne meglio i segreti, e faceva vista di darle ad odorare un alberello [417] d’essenza di rose. La fanciulla a quelle cure riprende alquanto i sensi, manda un sospiro, e le spunta sul labbro un lamento — Ah traditore! e il nome del vago. — Tutti si guardano in volto; il galante imbianca, e la civetta non si rimuove; la fanciulla rinviene, e vedutala dà un nuovo grido di dispetto, e la respinge con ambe le mani.
Indi commossa quasi sospinta da una speranza volse gli occhi all’amante, e vide balenargli nello sguardo e sul labbro un motto di disprezzo. Non ebbe più dubbio, s’accorse ch’ei si faceva giuoco di lei, raccolse le proprie forze, e preso un grave contegno: — Signore lo ho conosciuto, e a tempo: le sue premure siano per questa signorina... io sono una povera cuffiaja, ma onorata: badi bene a non comparirmi più innanzi, a non venire mai più alla mia casa: ivi sta una misera vecchia e un’orfanella, ma con loro sta l’onestà. —
Nacque un nuovo scompiglio a quelle parole, la giovane donna sdegnata, il galante offeso, e la mercantessa stizzosa, temendo di perdere i compratori; e tutti si scagliavano contro la fanciulla con motti e parole d’ira. Allora severa trasse in mezzo a loro la signora di mezza età che tutto aveva osservato, e accostatasi alla giovinetta, con ferma voce: — Signori non s’insulta alla virtù oltraggiata, questa fanciulla io la difendo: noi non solo portiamo la carità agli infermi ed ai bisognosi, ma offriamo un velo al pudore che si tenta di offendere. — Prese per mano la misera che [418] riconoscente gliela baciò e aggiunse: — Vieni — e passò in mezzo a loro e li lasciò ammutoliti, uscì con lei dalla bottega, entrò nel cocchio e scomparve.
Il provinciale fu commosso alla virtù della Dama, rapidamente susurrò all’orecchio di una di quelle lavoratrici, notò un numero sul portafoglio e partì, mentre tutti gli altri muti, svergognati facevano fardello.