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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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V.
La buona signora

 

Il provinciale corre varie strade, urta in quei che si abbatte, sfugge cocchi, cavalli, svolta a una via, vede ferma una carrozza innanzi a una piccola porta, entra, sale molte scale anguste e giunge al quarto piano; è a un uscio, batte, gira una nottola, apre, innoltra.... un atto di meraviglia in chi lo vede. Era una povera stanza con due letticiuoli; da un lato un cassettone antico, un armadio e un appiccatojo; dall’altro il camino5 sul cui focolare il fuoco semispento, e pendeva dalla nera catena una pentola.

In quella stanza stavano raggruppate e assise tre donne; in mezzo la buona signora, a destra la giovane modista, a manca una povera vecchiarella, i cui abiti cenciosi sebbene puliti, contrastavano [419] mirabilmente cogli eleganti della figlia. Come videro entrare il provinciale, alzarono il capo quasi in atto d’impazienza; ma ei tosto le rassicurava. — Non dubitate, nessuno è meco; nessuno oserà turbare questo asilo sacro all’indigenza ed alla virtù; io venni perchè non so starmi indifferente alle belle azioni — e guardò la signora.

Ella senza accennare d’avere intesa quella lode, gli indicò una sedia: — Bravo, ben venuto: meco compirete una buon’opera; ne siamo ancora in tempo; sedete ed ascoltate quanto narra questa povera donna; è la storia de’ suoi patimenti, e non deve increscervi udirla, perchè anche in questi vi è una dignità sociale. — L’altro annuisce col capo, siede, e la vecchia riprende il racconto interrotto. — Sì, finalmente dopo tanti guai, come le dissi, sposai il mio Andrea: era bravo lavoratore di oreficeria, e guadagnava una buona giornata, sicchè si viveva con qualche comodità. Dopo un anno ebbi una fanciulla: mio marito, sia benedetta la sua memoria, che era tanto savio e religioso, desiderava ch’io allattassi la bambina. — Senti, egli mi dicea, non volere imitare le signore, che per non togliersi ai divertimenti, mandano i loro figli a balia nelle campagne, e sai quanti mali ne nascono? Mentre esse si ricreano ai balli, ai teatri, al passeggio, mentre vengono alle nostre botteghe per ornarsi d’oro e di gemme, i loro figli, le creature delle loro viscere, languono all’inverno nelle stalle ravvolti tutto il giorno in un [420] povero cencio bagnato, e in estate gittati in un solco al sole: mentre esse prendono dilicati cibi, la compra nutrice a quegli innocenti un latte o riarso dalle fatiche, o scarso, sicchè appena nati patiscono la fame. Non ti dirò nulla delle malattie che sovente i bambini succhiano col latte di una balia malaticcia, e ne sia esempio la nostra vicina, il cui figlio nacque bello come un angelo, e le fu riportato da balia tutto attratto o intisichito; non del pericolo che que’ miseri siano soffocati nel letto della non curante contadina; non dell’altro più crudele, d’essere cambiati nelle fascie... oh mia Giovanna! questo dubbio solo mi gela il sangue. — E mi accarezzava pover uomo! ed io mi sarei arresa; ma mia madre, che sì... era una buona donna, ma sentiva un po’ troppo di signoria, me ne sconsigliava, e mi persuase che avendo mezzi a pagare la balia, pareva spilorceria. Carlo che non sapeva scontentarmi, si arrese e la fanciulla fu data ad allattare poco lunge da Milano.

Parve che la natura volesse castigarmi d’esserle ingrata: mi diede copiosissimo latte, sicchè dovendo disperderlo per vie contrarie a quelle onde dovea fluire, fui presa da crudeli dolori, da febbri ostinate che per lunghi mesi mi consumarono. qui terminarono i miei guai: a quella povera innocente mancava il nutrimento, e crescevastentata che l’era una compassione a vederla; raccoltala appena faceva un anno in casa, m’accorsi che la mia ostinazione l’aveva perduta; dopo [421] pochi mesi fui la più dolorosa madre che vivesse. Io vergognava di alzare gli occhi e accorre gli amplessi del mio sposo, perchè mi rimordeva il pensiero che per mia causa fosse orbato della cara sua figlia. Ah signora quante lagrime ho versate e tutti i giorni! quante volte mi sono pentita della mia ostinazione! e quando vedeva qualche vicina a dare il proprio latte ai figli, sentiva un affanno, un affanno che mi disperava. Il povero Andrea sovente mi colse in quel dolore, e indovinandone la causa procurava con ogni affetto di calmarlo, ma era invano; io non sapeva darmi pace.

In fine il Cielo ebbe compassione della mia miseria e un’altra volta sperai d’essere madre ed ebbi questa fanciulla, e le diedi il latte delle mie vene. Io mi deliziava guardandola succhiare colla sua boccuccia la vita della mia vita, e sentiva tutta cercarmi l’anima d’una indicibile dolcezza: io raccoglieva i suoi vagiti, io i suoi primi motti, il primo snodarsi della lingua alle parole. Era il ricreamento di mio marito dopo le fatiche, era il compenso de’ nostri affetti, era il legame dell’amor nostro; e se talora egli aveva qualche mal umore per que’ domestici dissapori che sorgono spesso anche fra la maggiore concordia, se si ostinava ad usare amici o luoghi che mi doleano, e d’onde sovente invano tentai distoglierlo col pianto, tutto svaniva, acconsentiva a tutto, se colla mia Teresina al seno io gli volgeva un’occhiata di preghiera. Così ella crebbe nostra delizia e nostro amore, e [422] come la vede, crebbe prospera e bella come un fiore. Io ebbi poi altri figli che allattai come questa, e la prosperità fu nella mia famiglia, finchè piacque al Signore di togliervi il padre...

Allora ho raggruppati intorno a me i miei figli, ho pianto con loro la mia disgrazia, mi sono ridotta con loro in queste due povere camerette, ho ordinato in modo che tutti procurino per propria parte di concorrere al mantenimento di tutti. La buona Teresina, già fatta esperta nel ricamo e nel cucire, posi a lavorare dalla modista, ove di sua mano può fare cuffie, cappelli e vesti d’ogni fatta, ed è si lesta che si guadagna una buona giornata che tutto a profitto della famiglia; per soprappiù poi nelle ore che è a casa, racconcia alcune cuffie alle donne del vicinato, e si guadagna il bisogno per gli spilli e per le vesti; giacchè nella sua professione, se non avesse questa decenza quasi elegante, non troverebbe modista che l’accettasse in bottega. Però fra questa eleganza, spero che ella avrà notata molta modestia; perchè la mia Teresina tiene sempre le vesti alte intorno al collo, le maniche lunghe fino alla mano, e per istrada il suo velo che le ricopre tutto il viso. Essa ha in cuore que’ sensi che suo padre sempre le inspirava bambina, ed io le ripeteva e svolsi come si faceva adulta; che la povertà non è vergognosa quando va associata alla virtù; che una fanciulla la quale ha levato il velo del pudore è perduta: avrà per pochi anni una vituperevole fortuna nel capriccio [423] degli uomini, e poi misera, derelitta da tutti, abbominata dai parenti, dai conoscenti, senza sussidio, senza pane, senza tetto, invecchia nei luoghi della prostituzione e muore all’ospedale. Sì, io non feci mai mistero a mia figlia dei pericoli che la circondano: se ne meravigli signora, creda che questo le ministrasse prematura malizia: essa invece conobbe il mondo, e perciò non si fece famigliare coi vizj; e glielo accerti questo rossore che sorge in lei ogni volta ch’io gli indico i traviamenti delle proprie compagne: sovente l’ho anche meco condotta avvolta nel velo nelle vie a certe ore inusitate, perchè vedesse le misere ove si perdono, perchè udisse il giuoco che si fanno di loro quelli che le seducono.

Pure fra tante cure, fra tanta modestia... — La fanciulla si fe’ tutta rossa in volto e chinò il capo; la signora la guardò con affetto di madre, e le stese la destra che Teresina le prese con ambe le mani, e gliela baciò: la dama ne fu commossa, le aprì le braccia e la confortò d’un amplesso, indi si ricompose e senza fare parola perchè era agitata, accennò alla madre di seguitare. Questa trepidando aveva osservato quella scena, e per dolcezza se l’erano inondati gli occhi d’un segreto pianto: prese un capo del grembiale e giratolo come per giuoco fra le mani, ne svolse un angolo sul dorso della destra, e recatola alla bocca quasi per incuria, corse colle estreme dita agli occhi e li terse prestamente, si rasserenò e riprese.

[424] — Fra l’austerità e il rigore della mia Teresina, pure vi ebbero degli sguardi che osarono levarsi fino a lei, e s’incontrarono ne’ suoi; era un giovane, e le parve avvenente e sospirando tosto mel disse. Tremai, la strinsi a questo petto, e baciandola come quando era bambina, le raccomandai l’onor suo, l’onore di sua madre; e mel promise, mai mi celò nulla di quanto costui le usava per innamorarla. Ella nol vedeva che in istrada, nella chiesa, nella bottega, ove penetrava facendo vista di comperare qualche cosa; ma nol vedeva che quando era sola; se era accompagnata da me o da’ suoi fratelli, non appariva. Sovente ei si provò per accostarsele e parlarle, ma ella austera negò di ascoltarlo. S’accese in lui contrastato desiderio e trovò modo di avvicinarsele, e con mio consenso.

Un penetrò in queste stanze un signore tutto onesto e gentile, e mi chiese se uno de’ miei figli che attendeva a legare libri in pelle, volesse legargliene alcuni nelle ore che era assente dalla bottega; gli risposi, che il farebbe volontieri come usava con altri, e mandai il fanciullo a sua casa e gliene diede varj; ei poi veniva qui sovente, sempre però nell’ora che Teresina era dalla modista, per portare o per prendere libri, e si tratteneva in discreti ragionamenti, sicchè s’era alquanto addimesticato meco.

Un giorno capitò mentre la figlia era in casa: essa vedendolo entrare con un fare confidente, [425] restò meravigliata, mutò subitamente di colore e le morirono sulla bocca le parole. M’accorgo di questo turbamento, gliene chiedo la ragione; ella sommessamente tremante mi risponde: — È lui, è lui. — Comprendo ogni cosa, e il fine onde colui s’era insinuato in casa e preso un modo severo gli dissi, che non era luogo questo ov’ei potesse credere di trovare qualche trastullo; e più non osasse porre piede in questa povera stanza. Il giovane con bei modi ed onesti mi rispose essere pronto ad andarsene, ma dolersi ch’io avessi sinistra opinione di lui; ammirare Teresina e le sue virtù che ben conosceva, ma tanto rispettarla, che mai non era apparso quando la sapeva in casa, e ciò pur farebbe sempre: avere cercato di dare lavoro a mio figlio, perchè gli accomodava il suo modo di legatura, e perchè sapeva di sovvenire ad una famiglia onesta; che però non avrebbe mai molestata la Teresina neppure d’una parola.

In fatti ne’ venti giorni che succedettero a questa scena, mandò ancora libri, ma ei venne poche volte e quasi sempre in ore che mia figlia era assente, e quando l’incontrava in casa non si tratteneva che poco, osò mai dirle una parola, farle un motto che potesse offendere la sua onestà. Però proseguì a tenerle presso, ogni in istrada, ogni festa in chiesa, a guardarla, a mostrare d’esserle innamorato. Me ne dolse, perchè temei che Teresina venisse presa a questo [426] laccio, giacchè è difficile restare indifferente a chi dimostra amore; e perchè vedeva turbati certi miei pensieri ch’io aveva posto sur un bravo giovane tessitore di bendelli di seta, figlio d’un amico di mio marito, che crebbe con Teresina: esso da poco tempo, deposta la fratellevole confidenza, che aveva con lei, le usava timido rispetto, indizio che l’amicizia s’era convertita in amore; me ne accertai, e pensava ove gli fosse stata favorevole la fortuna, di dare a mia figlia, un compagno suo pari. Vidi quindi che convenisse finirla con questo signore, e sono pochi che dissi la mia determinazione a Teresina, ed ella come io le aveva ordinato, più nol guardava, non gli rispondeva al saluto. Colui allora le scrisse un biglietto, ove erano parole d’amore, di disperazione, e promesse ch’io derisi; della mia incredulità ella ebbe rincrescimento perchè, capisce bene? dalli dalli, colui era riescito a risvegliarle in cuore un po’ d’amore...; ma oggi vide che sua madre non parla a caso. È vero ch’ella il credeva leale, come poco fa le disse, e perciò non resse a quella tristizia onde si mostrò facile a nuove conquiste... Forse la povera Teresina era prossima a un grande pericolo, forse in quel momento, fra quell’imprudenza, se non era, o signora, la sua pietà, mia figlia era perduta... —

A queste parole la fanciulla che mutava ad ogni momento di colore, e più volte facendo vista di aggiustarsi i capelli sulla fronte si era coperta [427] colla destra il rossore del viso, che soffocava a stento l’ansia del petto ed i sospiri, cadde in dirotto pianto: congiunse le mani e fissando la dama cogli occhi pieni di dolore e di disperazione, pregava: — Ah signora! le raccomando l’onor mio, le raccomando la mia famiglia. Dopo quanto avvenne come posso porre piede ancora in quella bottega?... me misera che sarà di me? ove troverò ancora un onesto lavoro? Ah signora! me le raccomando... — Nell’agitarsi le corse lo sguardo al provinciale, che silenzioso e commosso la osservava, e tosto voltosi a lui, pure piangendo: — Ah signore chi mi salva dalla tristizia di quel seduttore? Se osò deridermi in mia presenza, chi sa quai calunnie!... — E l’altro la interruppe: — Non dubitate giovane virtuosa: esso non è cattivo quale vi parve; io lo conosco: fu giovanile leggerezza che il mosse, e forse a quest’ora ne è pentito: io non intendo scusarlo, ma non temete di nulla, io rispondo di lui: certo ei saprà emendare il proprio fallo. —

Intanto la signora stava a capo chino, tutta assorta in profondo pensiero; s’avrebbe giudicata una statua, se non era il continuo movimento dei bandoli della sua borsa che molinava fra pollice e pollice delle mani congiunte. Dopo che a lungo tutti stavano silenziosi a riguardarla, essa come chi ha preso un partito, sollevò la testa e riprese: — No certo, figlia mia, più non devi perigliarti d’uscire sola, di andare a quella bottega, [428] di vedere quel giovane: se ei pure ti amasse, se pure, come questo signore dice, fosse stato spinto da momentanea leggierezza, e se ne pentisse, ei più non ti conviene. È ricco, potrebbe, essendo libero, anche sposarti, ma il signore discenderebbe fino a te per farti una splendida carità della sua mano, e tu saresti sempre, non la sua compagna, ma la sua beneficata; felicità breve, e amarezze molte: m’intendi? decidi. —

Teresina guardò quella donna che sfolgorava di mirabile dignità, la fissò, strinse le mani al petto come per fare forza a se stessa, levò gli occhi al cielo, soffocò un sospiro, e rispose: — Ho deciso. — Trasse dal seno un anello e una carta e li porse al provinciale: — Questo anello e questa lettera mi furono inviati oggi dal suo amico in un libro; e ancora non le aveva mostrate a mia madre: almeno essa non legga parole che furono smentite poche ore dopo mandate..., e fu il mio angelo tutelare che mi tolse la benda dagli occhi... grazii di restituirli a quel... signore, e più non pensi alla povera Teresina... — e le cadeva una lagrima — io l’ho dimenticato. — La madre la baciò, la dama la strinse al seno, e l’altro raccoglieva quelle tessere infauste senza fare parola.

Dopo alquanto silenzio, sicchè tutti ebbero calmate le emozioni onde furono esagitati, la signora si volse alla vecchia: — Buona donna, mi pare che nel vostro racconto abbiate toccato d’un giovane manifattore di seta, figlio di un amico di [429] vostro marito... Dimmi, Teresina, ti è egli forse antipatico? ti è indifferente? lo stimi? — E la fanciulla che si era ricomposta dopo l’ultima determinazione che le era costata uno sforzo: — Oh! Carlo merita non la mia, ma la stima d’ognuno: è veramente savio, è buono; l’ho sempre considerato come uno de’ miei fratelli... — E la donna l’interruppe: — E Carlo, ti pare che pensi a te?...

— Ah signora! rispose tosto la madre, è già qualche tempo che egli ama Teresina, e non glielo ha mai detto, perchè non era abilitato con un’espressione d’affetto a offrirle un compagno: sì certo, sono due creature nate per accordarsi; io lo pensai più volte, come le dissi, ma col desiderio di accasare mia figlia, pensai pure che non bisogna moltiplicare i pitocchi: tutti e due sono abili a guadagnarsi per vivere, ma e se vengono i figli? — Non vi pensate, rispose la dama, il Cielo provvede a tutti — e alzò la mano — esso mitiga il vento per l’agnello tosato. Per ora vi lascio; tornerò domani mattina: mandate Carlo da me al più presto: tu, Teresina resta in casa; voi signore provvedete che quel vostro amico più non molesti questa famiglia. —

S’ode un fragor sulle scale, poi all’uscio un disputare di due uomini, de’ quali l’uno contende all’altro l’ingresso: la dama conosce fra questi la voce del proprio cameriere che custodiva la porta; si alza, apre, e vede che questi contrasta col giovane galante, il quale voleva entrare, malgrado l’ordine apposito ch’ei teneva dalla sua padrona.

[430] Fu diverso moto negli animi di que’ che ivi erano adunati al vedere quell’impudente; Teresina impallidì, ma non si mosse e chinò gli occhi. — Signore, disse la dama con dignità, venite forse ad aggiungere nuovi insulti? — E l’altro sollevando il capo: — Non mi si contenda l’ingresso, la parola come un malfattore: Signora, è gran tempo che mi conosce, le sono apparso mai tale?

— No: oggi solo mi avete mutata d’opinione. — E si ritrasse, e appena quegli pose piede nella stanza, ella con aspetto grave riprese: — Ebbene perchè veniste ancora in questa casa, dopo che cimentaste in pubblico l’onore di una sgraziata fanciulla?... Benchè giungete a tempo: l’amico vostro ha qualche cosa da restituirvi... — Il provinciale se gli accosta, gli getta in mano la carta e l’anello: — Prendi, imprudente. —

Il giovane strinse que’ ricordi in pugno, alzò il braccio, guardò Teresina, ed i circostanti con fermo aspetto: — Sì, imprudente! posso esserlo, lo fui, tristo non mai: questa giovanetta m’accese appena la vidi, e l’amo... sono pronto a risarcire le offese che le ho fatte; uscii da quell’infausto luogo del mio fallo, lasciando abbaruffati quella civetta e quel vecchio stolto; pensai al mio errore, mi consigliai con uno zio, unico parente ch’io m’abbia: io sono solo, nessuno contrasta alla mia volontà, ed ho deciso: ritorno l’anello e la promessa a Teresina; essa sarà mia sposa. —

[431] Maravigliarono tutti a quelle parole, nessuno parlò; la dama fisò la fanciulla con quel fermo sguardo che ricorda e determina. Teresina era posta a dura prova, ma aveva natura non mutabile, desiderio di buona fama; grave e serena gli rispose: — Signore le sono grata della sua proposta; mi risarcisce d’un’offesa; ma la mia mano non può essere stretta che da quella d’un mio pari: ho restituito l’anello, feliciti qualche più fortunata fanciulla. —

L’altro voleva parlare, ma ella ferma e irremovibile: — Signore, è deciso, è vana ogni parola: la prego poi di lasciarmi; poichè già da alcune ore sono sì conturbata, che ho bisogno di quiete... — E si gittò fra le braccia della madre. Il giovane, senza proferire accento, baciò la destra alla dama, e affidato al braccio dell’amico, agitato, confuso, partì. Poco appresso si ritrasse anche la buona signora, e la Teresina restò colla madre, e versò nel seno di lei tutta l’angoscia che aveva stretta intorno al cuore.

Sull’imbrunire giunse Carlo: la dama lo aveva fatto chiamare, gli aveva parlato; ei sapeva ogni cosa, volava ansioso alla casa di Teresina, come il poveretto che non avendo a pagare la pigione teme di perdere le poche masserizie, se vince al lotto corre a riscuotere i danari col biglietto in mano; così egli stese la destra alla fanciulla, pronunciando il nome della dama: — So tutto, sono beato. — Teresina s’accorse che s’aveva fatto di [432] più ch’ella non pensava: la letizia di Carlo la commosse, ma tosto le corsero in mente altri pensieri, e invece di rallegrarsene, si fece tutta rossa, e chinò vergognando il capo. La madre non la comprese e inquieta la osservava, e il giovane fra l’incertezza e l’amore: — Ah perchè, buona Teresina, perchè questo silenzio?... vi duole dunque ch’io sia vostro sposo?... —

Sollevò ella la fronte, lo guardò con un fare di chi ha un timore e una speranza: — Lo merito, Carlo? io che non curai le vostre premure?

— Però non le avete mai disprezzate.

— E il poteva? sì male vi conoscete?... ma pur troppo una fallace illusione...

— Teresina! io non vi aveva mai detto una parola... ed il vostro cuore era libero alla prima impressione... e non fu che un’illusione di pochi giorni: io seguiva i vostri sguardi, enumerava i vostri affetti... un sol momento temei di perderli, e fu quello che me li ha ridonati; io vi ho riacquistata, io sarò beato. — E per la prima volta osò tremante prenderle la destra, colla quale fanciullo aveva sovente alternati scherzi innocenti, e la baciò. Si diffuse sul viso leggiadro della fanciulla un soave rossore irradiato da un lampo di gioja, strinse lievemente la mano che premeva la propria, guardò Carlo e chinò gli occhi, su cui spuntava una lagrima: ei la vide, e ne gioì, baciò ancora quella mano e la pose sul cuore: — Noi saremo felici. — La madre gli accolse al seno e li benedisse.

[433] Alla dimane i due giovani e la madre si resero dalla dama, e la sua modestia non valse a reprimere quanto la gratitudine inspirava ne’ loro animi: fu poi lieta di udire, che i due giovani già componessero i cuori ad una futura felicità, e annunziò loro che fra un mese sarebbero sposi. Accolsero con riconoscenza il voto, ed essa aggiunse:

— Dunque si apparecchi ogni cosa. — E tutti ammutolirono, e chinarono il capo.

— Intendo, ella riprese, sono vuote le mani; fu già provveduto; mi ricordo che la buona Giovanna narrandomi i suoi pensieri per maritare la figlia, disse che aspettava per non moltiplicare una famiglia di pitocchi... in Milano vi è tanta carità che valga a ritrarre una fanciulla virtuosa da un pericolo, e a soccorrere un buon manifattore, perchè abbia un capitale da porre a guadagno. — Trasse una borsa, la diede a Teresina:

— Con questa provvedi intanto le biancherie, qualche abito modesto e il letto: tornerete fra otto giorni, spero darvi buone nuove. Intanto, tu Teresina, allestirai in casa la tua poca dote, e non uscirai che con tua madre. — La fanciulla era commossa, alzava le mani, voleva parlare, dirle i sensi dell’animo; fu invano: la signora si era già involata per una vicina porta, era scomparsa. Partirono tutti muti ed a capo chino, come avviene nelle grandi emozioni.

Dopo otto giorni la virtuosa donna aveva raccolti dai pii Milanesi e daglIstituti elemosinieri, [434] tante obblazioni che bastassero a formare quattro mila lire di contanti, perchè la Teresina potesse aprirsi un piccolo negozio per vendere stoffe, fettuccie, e lavorare cuffie e cappelli per le signore che avressero a desiderare l’opera sua. — Carlo, aggiungeva la dama, seguiterà ancora a lavorare nella fabbrica ove frequenta, finchè io giunga col continuato chiedere la pietà de’ buoni, ad unirgli un’eguale somma, sicchè abbia con che comperarsi un telajo per fabbricare per proprio conto bendelli di raso e di seta. — Niuno sapeva rispondere che col pianto a tanta beneficenza.

Già si approssimava il tempo degli sponsali, e Carlo aveva ricevuto in dono da molti negozianti milanesi tanto che gli bastasse per arredare la sua piccola casa e fare un presente alla sposa. Il giovane galante non era mai apparso in questo tempo ai passeggi, alle conversazioni: però l’amico suo sovente andava dalla buona signora, e aveva udito del matrimonio, ma non era mai giunto a scoprire quanto la dama avesse operato per gli sposi; la sua modestia ne faceva un segreto. Però avendo ei saputo il giorno che in casa di lei si faceva la scritta, le chiese di essere presente e l’ottenne; fu maravigliato a tanta pietà della dama, e fu anzi l’interprete presso di lei della gratitudine di quella gente. La signora volle che tutti restassero in quel con a pranzo, e ne invitò pure il provinciale: se ne scusò, sotto colore d’avere un affare premuroso [435] altrove, ma promise di tornare a bere il caffè: uscì prese un cavallo e un piccolo calesse; volò dieci miglia lunge da Milano, si fermò un’ora coll’amico che lo attendeva, ritornò, e quando si allestiva il caffè, poneva piede in quella casa, ove era convenuta molta comitiva d’amici; tutti gli diedero il ben venuto, ed egli rispose: — Accetto l’augurio e forse non sarò inutile. —

Si fece promettere dalla dama di non chiedergli nulla oltre quanto ei direbbe, levò di tasca una borsa piena d’oro, gliela diede: — Qui entro sono quattro mila lire, per comperare il telajo a Carlo; non sono mie, lo giuro. — Tutti il guardarono in attitudine di curiosità; ei riprese: — Carlo è conosciuto per giovane che co’ suoi lavori potrà giovare alle manifatture lombarde; persone che apprezzano il suo ingegno gli offrono il mezzo perchè possa da piccolo guadagno, formarsi un onesto stato. —

La signora interruppe: — Ma chi mai? — e l’altro fermo: — Sono mani lombarde che offrono questa borsa; Signora, accetti e mi serbi la promessa. — Tutti maravigliarono: Teresina fisò la borsa e la conobbe: l’aveva tessuta di propria mano, e l’era stata involata in casa pochi giorni prima; s’avvide che era restituita. Tutti serbarono la promessa e nulla dimandarono; tutti però fermarono in loro pensiero chi fosse il donatore, e fecero un sorriso compiacente, come chi ritrova una cosa che credeva perduta.

[436] In breve si ordinò il piccolo nuovo opificio, e i due giovani si sposarono: mentre scendeva la benedizione ad unirli, essi benedivano alla terra ove è la santa virtù, che protegge il pudore pericolante, soccorre all’indigenza, incoraggia l’industria e la prospera coi sussidj.

[436]

 

 




5 Nell'originale "cammino". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]






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