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Defendente Sacchi
Novelle e racconti

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IV.

 

Però in breve ei s’accorse che mal si misurano dai proprj gli affetti altrui; Rafaello era sì cieco nella novella sua passione, che poneva tutto in dimenticanza. Alla mattina conduceva gli scolari al lavoro, assegnava loro prestamente un breve compito, partiva, nè si vedeva che assai tardi: volava al Tevere, volava alla sua bella, ed ivi passava le lunghe ore in amorose follie. Nè la fanciulla era meno delirante d’amore, ed entrambi beveano da scambievole affetto, l’uno l’obblìo della gloria che doveano preparargli l’opere sue, l’altra di quelle virtù onde è sì ossequiata una fanciulla. I vecchi parenti di lei presi essi pure da entusiasmo pel giovane artista, nulla curavano se [26] mal convenisse quella sua intimità colla figlia; nè in secolo corrotto, ed in città corrottissima, aveva culto una straniera virtù.

Quindi andavano a rilento le opere allogate al Sanzio: si erano scoperti alcuni dipinti nel Vaticano, ma gli altri non progredivano: lo stesso avveniva delle avventure di Psiche nell’atrio di casa Ghigi, poichè Rafaello non dava a’ scolari che alcuni schizzi, non tracciava loro che poche linee di disegno, e lasciava che essi si colorissero e conducessero ogni cosa. Mancava la sua presenza e tutto languiva: nella stanza della Galatea sorgevano i ponti per nuove opere e non cominciavano. Ghigi traeva più volte a vedere se quei benedetti freschi andassero avanti e partiva sdegnoso bestemmiando: soleva dire che aveva anch’egli la sua parte nelle fatiche di Psiche, per la pazienza che gli faceva sopportare Rafaello.

Il Pittore sapeva tutti questi clamori e non se ne curava: solo lavorava talora sul deschetto della Fornarina, in una povera stanza, ove erano intorno il buratto, la madia e poco lunge il forno: una casuccia s’era tramutata nello studio dell’Urbinate. La fanciulla gli stava assisa accanto, gli faceva con assicelle connesse un po’ di leggìo, ed egli prestamente fra le follie amorose, allestiva la tavolozza e faceva alcuni abbozzi delle opere più grandi, onde poi ebbe tanto merito Italia. Erano rapidi lavori, ma v’era il fuoco d’amore e le grazie della più dolce passione, v’erano i fiori [27] onde la bella gli spargeva la tavolozza, v’era quel soffio immortale di voluttà celeste ch’ei raccoglieva dagli amorosi suoi occhi.

Si diffondeva anche per Roma la novella di questi amori e di questa inoperosità di Rafaello, e diversamente ne mormoravano i conoscenti ed i rivali. Quando si abbattevano con lui, alcuni gli gittavano qualche rampogna, altri il ridevano come effeminato: Ghigi gliene faceva querele, il Pontefice gli mandava ricordare le stanze e le loggie; ma tutto era nulla per l’innamorato Pittore; ogni dì si proponeva di porsi al lavoro, e ogni dì consumava le ore più belle sulle rive del Tevere, fra i delirj della sua passione.

Il Buonarotti sapeva quelle follìe del Sanzio e gliene dava biasimo in privato ed in pubblico; egli aveva un po’ di ruggine con lui, perchè dallo stile grandioso che aveva preso negli ultimi freschi scoperti, conobbe che aveva vedute le sue Sibille e gli altri lavori della Sistina. Michelangelo non avea nè rancore, nè invidia del rivale, poichè sentiasi sì potente artista che invano lo avrebbe seguìto umano ingegno; gli increbbe della giunteria: però fulminava l’atra sua bile più contro Bramante perchè come architetto teneva le chiavi della cappella, che contro Rafaello col quale aveva amicizia: ad ogni modo cadutagli l’occasione, volle punire quella sua curiosità e farne una leggiadra vendetta.

Il Ghigi dispettoso per quelle lentezze del Sanzio fece motto al Buonarotti se voleva terminare [28] i dipinti del proprio palazzo, ma ei gli rispose che non si sarebbe mai condotto a questa viltà; pazientasse che per poco gli facesse l’Urbinate, gli resterebbero pur sempre orme divine: però volentieri vedrebbe que’ lavori in ora che non vi fosse alcuno. In fatti al giorno appresso, mentre gli scolari di Rafaello erano a pranzo, Michelangelo avvolto nel cappuccio, per una porta nascosta entrò nel palazzo, e prestamente saliti i ponti, vide nell’atrio alcuni compartimenti, ne’ quali a piccole figure, era gran parte delle avventure d’Amore e Psiche; le guardò e gli parvero belle, se non che scrollava il capo per quelle figure sì piccine. Poscia n’andò nella stanza della Galatea, ed ivi pure salito il ponte, trovò che nella parte più alta della parete presso la volta, si aveva apparecchiata la calce di fresco, ed erano disegnate altre piccole figure. Allora perchè voleva che Rafaello sapesse e la sua visita e la sua opinione, dato di mano ad un pennello ch’era in una scodella con tinta nera, dipinse prestamente di chiaro-scuro sur una parte della calce ove non stavano disegni, la testa d’un guerriero grande quanta era la calce disposta, talchè riescì colossale: indi partì, nè il vide che un fanciulletto, il quale stava nel cortile macinando colori.

Dopo poco giunse Rafaello per visitare i lavori della mattina: come salì sul ponte e vide quella testa, ne fu meravigliato, e chiesti gli scolari che tosto gli corsero intorno, nessuno sapeva dare notizia di chi l’avesse fatta; ma ei disse tosto:

[29] — Non può essere che Michelangelo. — E infatti dimandato quel Fattorino, dagli indizj che ne raccolsero, se ne persuasero.

Sorrise il Sanzio — Eh! avrà veduto che noi non usiamo chiudere le stanze ove dipingiamo, come fa egli colla Sistina. Ei poi volle dare un po’ di satira alle piccole figure delle nostre storie: fategli sapere ch’io gli mostrerò a tempo, che so fare anche il grande, e che non mi sdegno del suo avviso. Nessuno tocchi quella testa poichè è stupenda, e compenserà Ghigi dei nostri errori.

Questa fu una celia del Buonarotti, l’altra che prese sopra il rivale fu una vendetta, perchè lo ferì ove specialmente battevano le sue premure, in occasione che s’incontrò col cardinale Bibiena. Erano fra questi e Michelangelo un po’ di dissapore, perchè il Cardinale consigliava si donasse al re di Francia il Laocoonte; e a chi il tacciava di volere disertare Roma di un’opera a cui non si sarebbe riparato, aveva risposto che Michelangelo e Rafaello potevano ben fare quanto e meglio de’ Greci. Michelangelo invece gli aveva mandato dire, essere quello peccato, da cui non lo avrebbe potuto assolvere neppure il Papa. Ora il Buonarotti era nell’anticamera del Pontefice perchè Giulio lo aveva chiamato; però siccome il Camerlengo voleva farlo aspettare, ei stava per andarsene, rispondendo che non usava fare la guardia.

Il Bibiena in quel momento entrava ei pure in anticamera, e udendo quelle parole dell’artista, con un fare di rampogna gli disse:

[30] — Già sempre lo stesso, maestro Michele! nè potete fermarvi un momento ove stiamo pur noi ad attendere molte ore. — Cui l’artista dispettosamente:

— Vostra Signoria si farà anche dare dal Santo Padre qualche beneficio per le ore che perde; io non gli chiedo nulla, e sto egualmente bene a Roma ed a Firenze. Quando Giulio espugnava la Mirandola, non stava oziando, ma cavalcava colla spada nuda alla testa de’ suoi; io sto coi miei scarpelli e co’ miei pennelli.

— Eh via pace! sappiate che del Laocoonte non si manderà in Francia che una copia.

— Tanto meglio: meno vergogna per le loro signorie, perchè certo non riparerebbe a quella meraviglia antica, quanto potrei mai lavorare io, e neppur Rafaello, sebbene ora che si è fatta un’amante di bellezza immortale, potrà infonderla anche ne’ suoi dipinti. —

Maravigliò il Cardinale a queste parole, che da lungo tempo sollecitava il Sanzio a sposare sua nipote, ed ei si mostrava restìo da amore, e lo interrogava:

— Oh che dici mai? Rafaello non bada a queste commedie, a meno che tu non accenni alla Galatea.

— Altro che Galatea! ha però un po’ di parentela colle acque, perchè sta in riva del Tevere; e le dico che è bella, e certo un boccone anche per qualche cosa di meglio d’un pittore. —

[31] Sospettò il Bibiena accennasse a sua nipote, e Rafaello si fosse determinato a sposarla.

— Ah capisco! apparterrà a qualche grande famiglia romana, talchè il Pittore nobiliterà il suo sangue pari al suo ingegno.

— Oh che sangue mi va ella distillando! Sa Vostra Signoria chi fu il primo artista del mondo? Lui — e accennava al cielo e levava il berretto. — Lui primo architetto e statuario e pittore, e noi siamo tutti suoi figli. Eh Rafaello ebbe buon senno! scelse la figlia d’un fornajo; ma le dico che è bianca e rossa, sicchè mostra d’aver buon sangue, ed esser un’eletta creatura del Signore. —

In quel momento s’aprì la porta e un Monsignore diceva — Entri il gran Michelangelo da Sua Santità. — Il Bibiena voleva parlare, ma l’artista gli voltò le spalle e n’andò senza neppur salutarlo.

Il Cardinale ne ebbe dispetto e dimandò al cameriere se non avevano annunziato al Papa la sua venuta, e come mai si mandasse innanzi quel mascalzone di scarpellino: fece quegli un grande inchino e rispose:

— Perdoni illustrissimo, eminentissimo; sappia che la Santità di Giulio II nostro Signore, non fa mai fare anticamera a Michelangelo, altrimenti costui non ha pazienza d’aspettare, e se occorre si fa mandare corrieri a cercarlo sino a Firenze. —

Un Monsignore allora riprese — Sono due esseri singolari, si strapazzano a vicenda e poi si [32] domandano scusa; anche l’altro dì, il Papa diede la mazza sulle spalle al Buonarotti, e poi mi fece correre in lettiga per chiamarlo a palazzo: si vede che sono due uomini grandi. —

Ma il Cardinale agitava nell’animo altri pensieri, che le parole di Michelangelo gli avevano fatti sorgere, e senza rispondere uscì.

 

 




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