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Carolina Invernizio
Il bacio d'una morta

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II.

 

La villa dei conti Rambaldi era in uno stato di decadimento impossibile a descriversi. Al pianterreno, nel centro della facciata, v’era una porta con gli scalini tutti sconnessi; la cornice di quella porta aveva preso un colore grigiastro, ed i battenti di noce tempestati di chiodi d’acciaio, avevano acquistato il medesimo colore della pietra.

Al disopra della porta v’era un balcone sostenuto da due cariatidi, e sopra a quello un enorme blasone, quasi per intiero rovinato.

Ma se la facciata della villa presentava tanti guasti, l'interno era abbastanza fresco e delizioso: i mobili erano moderni, disposti con un gusto squisito; le muraglie coperte di quadri dipinti da mano maestra, i tappeti assai morbidi e ricchi.

Alfonso fu trasportato con molta circospezione in una camera a pianterreno e posto sul letto.

Bisognerebbe fargli respirare dei profumi, — consigliò una contadina.

— Eccoli…. eccoli! — esclamò vivamente Ines aprendo la sua valigietta, da cui trasse una boccia di cristallo, orlata di una borchia d'oro piena di profumi, e la pose sotto le nari del marito.

Quasi tosto il giovine fece un leggiero movimento: i suoi occhi si riaprirono a metà. Ines mandò un'esclamazione di gioia e sollevando la testa adorata del suo Alfonso, la coprì di baci appassionati.

Guardami.… guardami, amor mio..... sono io, la tua Ines. —

Le palpebre del giovine si sollevarono intieramente, ma le pupille rimanevano velate: guardavano senza distinguere. Tuttavia quella nube si dileguò a poco a poco: Alfonso parve che avesse una lieve percezione di ciò che accadeva dintorno a lui; voltò il capo dalla parte di Ines, cercando senza dubbio di raccogliere le proprie idee e di rendersi ragione del luogo e delle persone con cui si trovava.

Bentosto le sue labbra si aprirono, e pronunziarono un nome.

Clara.

— Egli chiama la signora contessa, — disse una contadina.

Silenzio! — esclamò Ines con vivacità — la sua vita ritorna.…

— Sarebbe bene, signora, che ella gli facesse prendere un po' di questo vin vecchio, — disse una contadina offrendo alla bella andalusa una coppa piena di un liquore color d’ambra e un cucchiaio d'argento.

Grazie, mi proverò…. — rispose Ines.

E bagnò dapprima le labbra del giovane, poi con una delicatezza ammirabile introdusse nella bocca di lui alcune gocce di quel ristoro.

Il viso pallidissimo di Alfonso si colorì subito di un rossore fuggitivo, i suoi occhi incerti si fermarono sul volto della moglie, e sorrise.

Ines..... mia Ines..... sei tu? Dove siamo?

— In casa di amici, càlmati, cerca di riposare. —

Ma il giovane scòrse in quel momento fra le tende della finestra la testa del contadino che era apparsa allo sportello del portone, e la sua memoria si ridestò.

— Mi ricordo..... mi ricordo…. — rantolò in preda ad uno spasimo che lo scuoteva dal capo alle piante. — Clara è morta, me l'ha detto quell'uomo, è morta!... —

E ruppe in strazianti singhiozzi.

Ines non osò turbare lo sfogo del suo dolore: piangeva con lui.

Dopo un poco, Alfonso si calmò: la crisi era passata e il giovine cercava di riordinare le proprie idee.

Egli fece cenno al contadino di avvicinarsi.

Raccontami tutto quanto è successo…. di che malattia è morta?... quando?… Dimmi tutto.… ti regalerò dei denari, quanti ne vorrai. —

Il contadino voltava e rivoltava il cappello a cencio che teneva fra le mani.

— Io so poco, signore, perchè vedevo di rado la contessa, ma mia moglie l'ha assistita, e le può dare tutti i ragguagli che vuole.

— Che venga dunque subito tua moglie. —

Una delle contadine che era entrata nella stanza e si teneva nascosta in un angolo, si avanzò.

— L’ho assistita io, signore, — disse rossa e confusa. — La signora contessa da qualche tempo stava poco bene e venne quassù in campagna per rimettersi. Noi non la riconoscevamo più, dagli anni passati: era venuta bianca come la carta da scrivere e i suoi occhi grandi luccicavano come cristalli. Ma aveva conservato sempre quel sorriso così bello, che faceva piacere a vederla.

—                  Suo marito era qui con lei? — chiese Alfonso con voce soffocata.

Nossignore, non è venuto che l'altra sera, quando la signora contessa stava male.... e dopo che il curato le aveva dato l'olio santo. —

Alfonso si morse le labbra fino a sangue e strinse i pugni. Ines piangeva in silenzio.

— Qual dramma è mai successo! — esclamò — qual mistero si cela nella morte di mia sorella? Ed ella non ha lasciato nulla.... nulla che possa fornirmi un indizio!

Domando scusa, signore, — interruppe la contadina — la signora contessa prima di morire, ebbe la forza di scrivere tre lettere.... e forse una di queste era diretta a vostra signoria.

— Dove sono queste lettere?

— La signora contessa mi fece giurare che io le avrei impostate appena ella avesse chiusi gli occhi..... ed io ho adempito al giuramento.

Maledizione! — mormorò Alfonso fra i denti.

Ed a voce più alta:

Dimmi, come avvenne la morte di lei?

— Ecco: Giovedì la signora contessa stava più male del solito, nonostante volle alzarsi e fece attaccare la carrozza, dicendo che voleva portare la sua bambina a fare una passeggiata. Salì difatti in carrozza con la signorina e la governante, ma questa ci disse poi che la contessa aveva dato l'ordine al cocchiere di condurle in città, al suo palazzo, ed era smontata sola.… Un'ora dopo, quando uscì dal palazzo per risalire in vettura, la governante fu spaventata vedendo la signora contessa pallida come un cadavere, con gli occhi gonfi e rossi come se avesse pianto. Invece di tornar subito alla villa, ella si fece condurre dal notaro; anche smontò sola, salì nello studio di lui e vi si fermò una mezz'ora. Il notaro l'accompagnò egli stesso fino alla carrozza dicendo che si avesse riguardo. La sera medesima la signora contessa andò a letto con la febbre, ma non volle che nessuno vegliasse accanto a lei. La governante della bambina ci disse che dopo la mezzanotte svegliandosi, le parve di vedere la signora contessa presso il letticciuolo della signorina; ma credette d'aver sognato. La mattina io andai in camera della signora contessa, come mi aveva detto il giorno prima e la vidi stesa nel letto come una morta. La chiamai: non mi rispose. Allora corsi a chiedere aiuto. «La signora muoregridai «si direbbe anzi che è morta: correte a chiamare il medico, il curato, ed avvisate il signor conte!» Poi tornai dalla contessa e cercai di recarle qualche soccorso, le strofinai le tempie con l'aceto.... ed ella aperse gli occhi, mi guardò, sorrise, ma non poteva parlare, fare alcun movimento. Venne il medico, poi il prete, ma non c'era da farle nulla: la signora contessa pareva divenuta di marmo: aveva ancora gli occhi aperti e quando le portai la bambina da baciare, vidi una lacrima grossa grossa scorrere sul viso della signora. Più tardi venne il signor conte: la signora aveva chiuse le palpebre, ma respirava ancora: il signor conte la chiamò per nome e le baciò la mano, che aveva stesa sulla coperta. Allora vedemmo la signora scuotersi tutta..... aprire di nuovo gli occhi e fissarli sul conte con un'espressione che non dimenticherò mai più.... la udii mandare un grido angoscioso, e tutto fu finito. La povera signora era morta! —

La contadina terminando il suo racconto, aveva il viso inondato di lacrime. Ines pure piangeva.

Alfonso era in uno stato da far pietà: un singhiozzo convulso gli straziava il petto; fra le dita increspate teneva un fazzoletto di tela che aveva a metà lacerato.

Morta! — esclamòmorta senza che io potessi vederla,... senza avere avuto il suo ultimo sguardo, il suo ultimo bacio; morta lontana da me, forse chiamandomi, forse pensando che io fossi un fratello ingrato,... che mi fossi dimenticato di lei!... Ed è proprio finito tutto, non è vero? Non vi è più speranza? —

Nessuno osò rispondere a quella triste e folle domanda.

Ines cercava calmarlo colle sue carezze, ma il giovane si svincolò ad un tratto da lei, e balzando dal letto su cui era stato deposto intieramente vestito:

— Voglio vederla!... — esclamò — sì, vederla.... almeno una volta ancora. Dove è stata seppellita?

— Non è stata ancora seppellita, signore, — rispose la contadinaperchè la tomba acquistata dal signor conte per la signora non è ancora ultimata: la cassa dove hanno rinchiusa la signora è in deposito nella cappella mortuaria dell'Antella. —

L'occhio di Alfonso scintillò.

— Potrò dunque vederla? — disse tentando di fare alcuni passi; ma barcollò e sostenuto da Ines fu costretto a sedere sul sofà.

— Sì, tu la vedrai…. — disse la giovine accarezzandolo come un bambino — la vedremo.… ma prima mettiti in calma..... prendi qualche cosa che ti dia forza. —

Alfonso si passò una mano sugli occhi.

— Hai ragione...., lo voglio pur io.… perchè ho bisogno di riprender coraggio.

Vado subito a preparargli un cordiale, signore!… — esclamò la contadina — ed anche lei signora ha bisogno di sostenersi. —

Due grosse lacrime scorsero sulle gote di Ines.

— Oh! per me non ci pensate; — dichiaròditemi piuttosto se il fiaccheraio aspetta ancora.

Sissignora, è fuori; debbo licenziarlo?

— No..... oh! no..... — disse Alfonsoperchè dovrà condurci al cimitero; ditegli che aspetti, fate entrare il legno nella rimessa, date da mangiare al fiaccheraio, pagherò tutto, tenete. —

E trasse dalla tasca interna del soprabito una borsa di seta, che porse alla contadina.

Questa voleva rifiutarla, ma Ines le rivolse uno sguardo così commosso, così pieno di preghiera, che la contadina, arrossendo, l'accettò.

Ella uscì dalla stanza, seguìta dagli altri che avevano assistito in silenzio a tutta la scena. Alfonso ed Ines rimasero soli. Senza dire una parola, comprendendosi con lo sguardo, i due giovani si gettarono l'uno nelle braccia dell'altra, e per qualche minuto mischiarono i loro singhiozzi, le loro lacrime.

— Ah! lo prevedevo! — esclamò per il primo Alfonsosai che ne avevo il presentimento....

Povera Clara! — mormorò Ines con un sospiro debole come un soffio.

Ella strinse le mani del marito che ardevano.

— Ma tu hai la febbre? — disse spaventata.

— Non è nulla… sarà la fatica del viaggio precipitoso…. e con tutto, non siamo giunti in tempo.

— Ma il tuo stato peggiorerà, se rivedrai la povera morta.

— No.... vedi, questo è il solo rimedio che mi possa guarire: bisogna che io la veda, mi pare che ella mi chiami ancora, benché morta: se io non dovessi baciarla, chiederle perdono di non essere giunto in tempo, non dormirei più, impazzirei. Tu mi dici che ho la febbre..... no; la mia mente è lucida,... pure vedo dinanzi a me la figura di Clara.... mi sembra che ella mi chiami, che ella mi dica: «No, non sono morta, fratello vieni, ti aspetto.» Bisogna che mi assicuri coi miei occhi della verità, bisogna che io tocchi la sua fronte di marmo, che io veda quei suoi dolci occhi chiusi, perchè creda che la sua anima non sia proprio più su questa terra. Mi sembra che anche da morta abbia qualche cosa da dirmi, da raccomandarmi. —

Ines era spaventata di quelle parole, che attribuiva al delirio della febbre.

— Non puoi rimettere a domani questo tuo divisamento? — mormorò timidamente — una notte di riposo ti calmerà, ti darà più forza. —

Gli occhi di Alfonso lanciavano scintille.

— Che io aspetti a domani? E sei tu che me lo dici, Ines? Ma non sai che se io non la rivedessi stasera, diventerei pazzo? Forse sarà l'effetto della febbre che mi arde, del dolore che mi tormenta; ma, ti ripeto, dovessi morire sopra la cassa che racchiude quel corpo adorato, io la vedrò, la voglio vedere! —

Si capiva che la risoluzione del giovine era irrevocabile. Ines non insistè.

— Ebbene.... — disse con voce soffocata — fai quanto credi, amico mio: io non ti abbandonerò.

— Ah! tu sei il mio buon angelo,... grazie, Ines, grazie della tua abnegazione; ma io non voglio che tu soffra, anderò solo.…

— E tu lo pensi? — disse la giovine con esplosione. — No..... io sono forte..... non ti lascerò.... un momento; voglio veder anch'io tua sorella.... —

Alfonso era così commosso, che non seppe rispondere.

In quel mentre tornò la contadina per avvisarli che la tavola era pronta.

Alfonso ed Ines, preceduti dalla buona donna, passarono nella stanza vicina; ma i due giovani non poterono inghiottire che alcuni bocconi, perchè il dolore chiudeva loro la gola, tanto che in alcuni momenti si sentivano soffocare. Bevvero però entrambi un bicchiere di vino generoso, che già aveva prodotto tanto effetto sul giovane, e che infatti fece scorrere liberamente il sangue nelle loro vene, e infuse loro un po' di forza.

Quando Alfonso si alzò da tavola era sempre orribilmente pallido, ma sembrava calmo.

Sorrise ad Ines, e le strinse una mano.

Dobbiamo andare? — chiese debolmente.

— Io sono pronta, amico mio, — disse la giovane sposa.

Il fiaccheraio li aspettava. Il cavallo si era riposato ed aveva mangiato della buona avena: lui stesso era stato servito a dovere dai contadini, ma era rimasto così commosso dalla scena accaduta sotto ai suoi occhi, che gli era passato l’appetito, e mangiò per semplice compiacenza.

Nanni, così si chiamava il fiaccheraio, aveva una trentina d'anni, era piuttosto piccolo di statura, ma nell’insieme, si poteva dire un bel giovinotto. Ciò che lo distingueva fra gli altri, erano le sue maniere gentili, educate.

Nanni sentì subito una viva simpatia per i due giovani viaggiatori che aveva caricati alla stazione, e gli vennero quasi le lacrime agli occhi quando Alfonso cadde svenuto, e quando la contadina l'avvisò che il viaggiatore voleva recarsi all'Antella per rivedere la povera contessa.

Guarda che combinazione! — esclamò Nanni — io sto appunto da quelle parti, e mio zio è il custode del cimitero. —

Ripeté questo anche ad Alfonso e ad Ines, mentre i due giovani salivano in vettura.

— Di qui è un po' lontano, — aggiunse — e arriveremo laggiù che sarà quasi notte; ma m'incarico io di far passare le loro signorie, e poi se non si sentono di ritornar qui, posso offrir loro alloggio a casa mia. Vivo con mia madre, sono povero,... ma la casetta è pulita e non mancheranno di tutti i riguardi. —

Ines ed Alfonso furono commossi da siffatte parole dette con tanta semplicità e schiettezza.

— Ah! come sono buoni gl'italiani! — esclamò la giovine spagnuola con sincero entusiasmo — qual gentilezza anche nelle persone del popolo! Grazie, amico mio, delle vostre offerte; grazie, non mancheremo di accettarle, se farà bisogno. —

Il fiaccheraio risalì contento a cassetta, e, prese le redini, eccitò il cavallo alla corsa.

Alfonso ed Ines erano ricaduti nei loro dolorosi pensieri.

Di tanto in tanto la giovine tentava di rivolgere qualche parola al suo compagno, ma egli non rispondeva; si contentava di stringerle nervosamente le mani, e di quando in quando il suo petto si gonfiava, il sangue gli montava agli occhi, ma le lacrime non comparivano.

E gli sarebbe stato così di sollievo il piangere!

Il viaggio parve assai lungo per i nostri due giovani; ed a mano a mano che s’avvicinavano al cimitero, il tremito di Alfonso aumentava, e un brivido ghiacciato gli scuoteva tutta la persona.

Le ombre della sera scendevano a poco a poco sulla terra, e nel cielo terso e purissimo, cominciava a diffondersi il pallido e debole chiarore della luna; al rumore della vettura, qualche porta di casolare si schiudeva, e gli abitanti comparivano sulla soglia per ritrarsi quasi subito.

Finalmente il cavallo cominciò a perdere della sua lesta andatura, e dopo una mezz'ora si fermò dinanzi alla porta chiusa del cimitero.

— Ci siamo, — disse Alfonso, facendosi livido in volto.

Coraggio, amico mio.... coraggio…. — proruppe Ines, divenuta pallida essa pure.

— Ne avrò, non dubitare.… —

Nanni era sceso da cassetta ed aveva tirato il campanello del custode.

Aspettino un momento a scendere, — disse intanto ad Alfonso che stava per aprire lo sportello — prima parlerò io con mio zio. —

Passarono cinque buoni minuti innanzi che fosse risposto.

Il fiaccheraio stava per suonare di nuovo, quando il portone si aprì, ed un uomo in maniche di camicia si affacciò.

— Chi viene a quest’ora nel ritiro dei morti, a disturbare i vivi? — chiese con tono brusco e malevolo.

— Sono io, zio, — rispose Nanni — vi ho condotto dei signori, che vogliono vedere il cimitero.…

— A quest'ora è proibito,... e non posso fare eccezioni.

— Ma le farete per me:... non vi ricordate più di quello che mi diceste, quando vi salvai il figliuolo, buscandomi una coltellata in vece sua? —

La voce del custode prese un accento quasi commosso.

— Non lo dimentico, — rispose — ti ho detto che in qualunque occasione tu potevi far capitale di me,... che ti avrei data anche la vita....

— Non ti chiedo tanto,... mi basta che tu acconsenta a fare entrare questi forestieri che ti ho portati.

— Ma che vogliono fare a quest'ora? Hanno forse qualche tomba da visitare?

— Non una tomba, ma una morta, — disse in tono più sommesso il fiaccheraio.

Il custode trasalì.

— Una morta?… Non ti comprendo.

— Mi comprenderai, quando ti dirò che il forestiero che ti conduco è il fratello della contessa Rambaldi che hanno portata qui ieri sera…. Ma via…. meno ciance.... possono entrare?

Sai che non posso ricusarti nulla. —

Nanni si affrettò a spalancare lo sportello della vettura ed aiutò i due giovani a scendere.

— Io aspetto qui fuori, — disse intanto — se hanno bisogno di me, sono ai loro ordini. —

 

 

 




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