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Carolina Invernizio
Il bacio d'una morta

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IX.

 

I primi mesi del matrimonio di Clara passarono rapidi come un sogno.

La fanciulla non credeva che ci potesse essere tanta felicità nella terra, ed accarezzava con ebbrezza i più splendidi sogni dell'avvenire.

Dopo aver trascorsa la luna di miele nella villa del conte Rambaldi, Guido pensò di condurre la giovane sposa a Parigi.

Clara non avea potuto scrivere che una sola volta al fratello, ma non mancava di occuparsi di lui, e siccome Nemmo le avea fatto sapere che il giovinetto aveva molta passione per il commercio e per i viaggi, la fanciulla lo raccomandò ad un negoziante, il quale a sua volta le fece promessa di risguardare il fanciullo come suo figlio.

Ella era tranquilla sull'avvenire di Alfonso; e sebbene si sentisse in fondo al cuore molto dispiacente per dover vivere separata da lui, ella non perdeva la speranza di presto rivederlo e stringerlo fra le sue braccia.

A Parigi, i due giovani sposi vissero una vita, come Clara avrebbe desiderato di condurre eternamente. Non cercarono di far amicizie, ed avevano preso in affitto un elegante appartamento nel sobborgo più aristocratico.

I due sposi si alzavano assai presto al mattino, per visitare quanto di bello, di grandioso in fatto di arte, racchiude la capitale della Francia.

Dopo la colazione, si facevano condurre, con una carrozza di rimessa, al Bosco di Boulogne. essi scendevano, passeggiavano nei viali meno frequentati, parlandosi piuttosto per intendersi, che per discorrere, ed accarezzandosi quando credevano di non essere osservati.

Alcuni, vedendo passare quella giovane coppia, ammirabile per bellezza, si fermavano commossi e la seguivano con lo sguardo. Tutti i movimenti dei due giovani palesavano due cuori trasportati dalla più viva passione.

Dopo aver passeggiato alcune ore, risalivano in carrozza col sorriso sulle labbra e la felicità negli occhi, e questa felicità li accompagnava nella loro ricca dimora, in mezzo alle più care soavità dell'amore, dimentichi del mondo intero.

A pranzo faceano onore alle squisite vivande apprestate loro da un abilissimo cuoco: dopo pranzo scendevano in un gabinetto ridotto a serra.

Clara colle sue piccole dita rotolava ella stessa le sigarette per il suo Guido, gliele accendeva, e il conte la ricompensava con lunghi baci, con parole così soavi, che Clara sentiva battere a colpi precipitosi il suo cuore, tanto espansivo e tanto amante.

La sera, chiusi in un palchetto dell'Opéra, i due sposi godevano lo spettacolo, e rientrando alla loro abitazione, parlavano delle gioie presenti, delle allegre rimembranze del passato, e dell'ebbrezza che li aspettava nell'avvenire.

In quei giorni, i parigini perdevano il capo dietro una ballerina dell'Opéra, una giavanese dagli occhi nerissimi, dal volto abbronzato, dalle labbra frementi di passione, la cui potenza di attrazione si diceva irresistibile, tanto che persino il conte C***, uno dei più noti puritani, si era fatto saltare le cervella per quell'ammaliatrice, non essendo giunto, malgrado tutte le sue ricchezze, a commoverne il cuore e farsi aprire la porta di casa.

Guido e Clara avevano pur essi ammirata l'affascinante ballerina; ma erano tanto assorti nel loro amore, che la maliarda non poteva produrre alcun effetto sopra i due giovani sposi.

Un giorno, dopo colazione, mentre la carrozza era già preparata per condurre gli sposi al Bosco, Clara fu colta da una specie di svenimento. Ritornò quasi subito in , ma a Guido parve imprudenza condurla alla passeggiata e diè ordine che si staccassero i cavalli.

— Ma perchè tu vuoi rinunziare a recarti al Bosco? — gli disse Clara con il suo angelico sorriso.

— Che cosa ci farei senza di te,... angiolo mio.... no,... no, non voglio lasciarti.

— Ed io desidero invece che tu ci vada, tu non hai più nulla da temere per me. Indovino forse la causa di questi svenimenti, — aggiunse arrossendo e nascondendo il suo leggiadro viso sulla spalla di Guido.

Questi comprese, e mandò un grido di gioia.

— Sarebbe vero?

— M'inganno forse....

— No.... non t'inganni,... questi sintomi mi provano che hai indovinato. Tu sarai madre.... io avrò un figlio,... tuo.... tuo.... oh! quanto lo ameremo.

— Io stessa l'allatterò.

— Sì.... non lo lasceremo nelle mani di estranei, io sono certo che ti somiglierà.

— Io vorrei che avesse invece il tuo volto.

— No,... perchè allora non sarebbe bello.... ed io voglio che il nostro bambino sia bellissimo.... —

E nell'ebbrezza della sua gioia, Guido si stringeva al seno la giovane sposa, la copriva di baci ardenti, dimenticando in quel momento e la sua passeggiata e il mondo intiero.

Ma Clara, che avea divisato di scrivere in quel giorno a suo fratello, del quale non avea notizie da lungo tempo, ed a suo padre, che aspettava con ansia il ritorno della figlia adorata, si rivolse a Guido e con voce carezzevole:

Vedi dunque, mio caro, — gli disse — che ho bisogno di riposo.... e di solitudine; è forse un capriccio che devo al mio stato interessante, perchè tu sai quanto mi dispiaccia separarmi da te, sia pure per un minuto solo.

— Io non voglio lasciarti.

— Sì, mio caro.... tu anderai alla solita passeggiata, farai a piedi i viali che percorriamo ogni giorno, ed io stesa qui, sulla poltrona, ti seguirò col pensiero, sorriderò alle tue dolci parole, ti vedrò come se ti fossi vicina, e al tuo ritorno mi racconterai tutte le impressioni.... tutte, sai.... ed io sarò tanto felice, pensando soltanto a te. —

Guido la baciò di nuovo.

— Vuoi dunque proprio che io vada?

— Ma sì....

— Mi permetti però di tornare più presto del solito?

— Oh! in quanto a ciò, non ho osservazioni da fare! — esclamò la giovine sposa con grazia incantevole e con un sorriso divino sulle labbra.

— A rivederci dunque a presto.... mia cara.

— Verrò alla finestra per vederti andar via. —

Difatti, quando la vettura uscì dal vestibolo, Guido, alzando il capo, vide la bionda testa di Clara, apparire in mezzo alle persiane. Egli le inviò un bacio sulla punta delle dita, e tenne gli occhi fissi su quella divina apparizione, finché la svolta della strada gliela tolse.

Allora si sdraiò sui morbidi cuscini della vettura e con accento d'uomo soddisfatto, felice, mormorò:

— Quant'è cara,... quant’è bella! nessuno al certo può starle al pari. Candida, intelligente, amante, è la più divina delle creature, ed è mia,... tutta mia.... —

Così assorto in questi dolci pensieri, Guido era giunto al Bosco. Fece fermare la vettura al solito luogo, e s’inoltrò tutto solo nei viali dove era solito di passeggiare con Clara.

Camminando e fantasticando, egli si era internato nel folto del Bosco, quando d'improvviso un grido lontano, sordo, soffocato, arrivò fino a lui. Pareva la voce di una donna che implorasse soccorso. Allora Guido si slanciò dalla parte donde gli parve che venisse la voce, e vide una giovine donna, vestita con un elegante abito da passeggio, che si dibatteva, trattenuta da un signore di mezza età, che parea volesse forzarla a seguirlo.

Alla vista del giovane che si avanzava, la signora riprese coraggio, ma l'uomo continuava a trascinarla.

Lasciatela, — disse Guido con voce sdegnata, cercando di separare quello strano gruppo.

— Chi siete voi che venite a mischiarvi nei fatti miei, senza essere chiamato? — esclamò il signore, rosso fino alle orecchie. — Non sapete con chi avete a fare? —

Così dicendo, abbandonò il braccio della giovane donna, che parve rassicurata, perchè il suo volto prese un'espressione sorridente, quasi sardonica, mentre le pupille scintillanti andavano dall'uno all'altro dei due uomini.

Guido avea rialzata la testa con una mossa piena d'alterezza.

Vedo bene che ho da fare con un uomo poco educato, — dichiaròperchè vuole obbligare una signora a seguirlo con la forza! —

Lo strano individuo, invece di mostrarsi offeso, diede in uno scoppio di risa impertinenti.

— Una signora? Siete dunque forestiero, per non conoscere la bella Nara.... e mi pare che non occorra tante cerimonie per lei, e se volevo condurla meco, ne avevo il diritto. —

La giovane donna che avea chiamata Nara e che era la ballerina che facea perdere la testa a tutti i frequentatori dell’Opéra, a quelle parole insultanti, divenne pallidissima ed i suoi occhi brillarono come carboni ardenti. Ella aprì la bocca per parlare, ma Guido la prevenne.

— Niuno ha il diritto d'insultare una donna qualunque essa sia, ed io difenderò costei dalle vostre violenze! — E volgendosi alla ballerina: — Voi non volete seguire il signore? — chiese con l'aria grave e compìta di gentiluomo.

— No.... oh! no, — proruppe Nara, con esaltazione — Io l'odio, costui, benché sia un duca. Il suo titolo, il suo oro, gli devono dare il diritto d'insultarmi, di possedermi, ditelo voi! No, io non lo seguirò; gli ho fatto chiudere due volte la porta di casa mia, ed è sempre tornato; ha scommesso con i suoi amici che io sarei sua. Sua.... io?... Ah! preferirei di gettarmi nella Senna, con una pietra al collo. —

Il duca fremeva: Guido rimaneva in silenzio: tutto il corpo di Nara pareva fremere, gli occhi di lei mandavano fiamme, le narici sussultavano.

Oggi mi ha seguìta, — aggiunse — mi ha spiato: io ho lasciata la carrozza per passeggiare in questi viali deserti, amo la solitudine, amo il verde.... non sapevo che costui aspettasse un'occasione per sorprendermi.... lo credevo un gentiluomo, e non è che un mascalzone.... e se voi non foste giunto, mi avrebbe usata violenza. Perciò, chiunque voi siate, signore, abbiatevi la mia gratitudine, la mia riconoscenza. —

Il duca non aveva interrotta una sol volta la ballerina: si era contentato di sogghignare; ma quando vide Nara attaccarsi al braccio di Guido, divenne violetto, ed i suoi occhi s'iniettarono di sangue.

— Ah! l'intendete così, e sta bene;... ma il vostro protettore la pagherà per voi. Con me non si scherza. —

Forse Guido in fondo al cuore già si pentiva di essersi intromesso fra quei due, perchè pensava alle conseguenze che potevano avvenire; ma era troppo gentiluomo per ritirarsi, e le insolenze del duca non fecero che irritarlo.

Credete forse di farmi paura? — esclamò.

— Lo vedrete domani, quando ritornerete qui con due testimonî. —

Guido trasalì, perchè pensò alla sua sposa adorata.

— Con due testimonî! — ripetè macchinalmente.

— Sì,... ricusereste forse di battervi? Eppure all'abito mi sembrate un gentiluomo!

— E lo sono, signore! — esclamò Guido viepiù irritato, togliendo dalla tasca interna del soprabito un portafoglio, da cui levò un biglietto di visita, sormontato da una corona da conte. Egli lo porse con un movimento di freddo disprezzo al duca.

Questi vi gettò un'occhiata e sorrise di nuovo.

— Ah! il signore è italiano? — disse con accento beffardo.

— E me ne vanto! — rispose alteramente Guido.

— Gl'italiani si fanno spesso paladini delle donne.

Insegnano così l'educazione ai francesi. —

Il duca divenne livido, e porgendo il suo biglietto a Guido:

— A domani, signore, — disse facendo l'atto di allontanarsi.

— Un momento, duca! — esclamò Guido, cercando di frenare la sua interna irritazione. — Sul mio biglietto non vi è indirizzo: vi darò quello del marchese di Chârtre, mio amico e mio padrino, poiché io sono a Parigi di passaggio, e non vi ho domicilio. —

Il conte Rambaldi mentiva, ma egli pensava alla sua giovine sposa.

Invierete dunque i vostri padrini a casa del marchese....

— Lo conosco, — disse con un inchino il duca.

Meglio così: da lui avrete maggiori informazioni sul mio conto. —

I due gentiluomini, dopo un nuovo freddo saluto, si divisero.

Nara che avea assistito a quella scena, impassibile all'aspetto, appena il duca si fu allontanato, con voce commossa, congiungendo le mani:

— Ed è per me, per me, signore, — esclamò — che arrischiate la vostra vita?

— Quell'uomo ha insultata la mia patria!...

— Mio Dio,... signore, risparmiatemi un rimorso!...

— Non crediate già che io voglia ritirarmi dinanzi ad una partita d'onore; — rispose seccamente Guido — ma adesso, che non avete più nulla a temere da quell'uomo, permettete che io vi lasci. —

Nara lo fissava coi suoi occhi umidi, divenuti languidi, velati, morenti, mentre le sue labbra vermiglie esalavano un sospiro infocato, lasciando vedere il bianco smalto dei suoi denti.

— Non vi rivedrò dunque più, o signore? —

Guido suo malgrado si sentiva turbato.

— Sono qui di passaggio.... ve l'ho detto.

— Ma se domani doveste restar ferito per cagion mia, io diventerei pazza.

Calmatevi, non avete nulla da temere per me; e poi dite a voi stessa, che io mi batto per difendere l'onore della mia patria. Così sarete tranquilla....

— Ah! no.... non potrò esserlo, no! Dio mio, come fare a impedire questo duello!

Spero che non lo farete, signora, del resto mi rimprovererei molto d'avervi salvata, — disse Guido con un sangue freddo ammirabile.

— Ah! ditemi almeno che non mi disprezzate, che non sono indegna di stringere la vostra mano. —

Guido era agitatissimo.

Eccovela, signora, — mormorò facendosi alternativamente rosso e pallido, mentre Nara, dopo aver stretto con effusione quella mano che il conte le tendeva, fece l'atto di portarla alle labbra.

Egli si svincolò quasi bruscamente da quella stretta.

— A rivederci, signora, — disse.

Senza alzare gli occhi sulla giovane, si allontanò in fretta, e pochi minuti dopo raggiungeva la sua carrozza. Il cocchiere aveva rivolti i cavalli verso la strada che conduceva direttamente a casa.

Ma il conte diede un nuovo ordine.

— Al palazzo del marchese di Chârtre, — disse.

 

 

 




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