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Carolina Invernizio
Il bacio d'una morta

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IV.

 

Il conte Guido Rambaldi era da due mesi a Parigi. Se non aveva potuto ritirare l'intiero capitale della moglie defunta, era tuttavia riuscito a contrarre un prestito di trecentomila lire per mezzo di alcuni banchieri, i quali sapevano che Lilia era l'unica erede delle immense sostanze della contessa Rambaldi, ed il conte il solo amministratore del patrimonio della figliuola.

Così ben fornito, Guido prese in affitto un elegante appartamento ammobiliato al primo piano di un gran palazzo sul boulevard degli Italiani, comprò carrozza e cavalli, prese due servitori, un abile cuoco, una cameriera per Nara ed una governante inglese per Lilia.

Guido però, nella sua nuova vita, si sentiva profondamente infelice. Quando le rimembranze del passato sono piene di amarezze e di rimorsi, il presente sembra pesante ed odioso.

Pochi giorni dopo il suo arrivo a Parigi, Guido si era incontrato col marchese di Chârtre. Ma questi, appena l'ebbe veduto, voltò la testa da un altra parte per non salutarlo.

Il viso del conte Rambaldi si fece di fuoco, ma non ebbe il coraggio di affrontare l'amico e di chiedergli ragione di quel contegno. Sentiva di meritarlo.

Mercè la freddezza d'animo che il conte Rambaldi possedeva, egli fece tacere il suo cuore che batteva con celerità, padroneggiò l'emozione che lo soffocava, lasciò ignorare a Nara cotesto incontro; ma quanto ne soffrì il suo orgoglio, così palesemente offeso!

Quando Guido si recava al Bosco di Boulogne nella sua carrozza, con Nara al fianco, tutti si domandavano se quella bella creatura, che molti si ricordavano di aver veduta sulla scena dell'Opéra, fosse divenuta moglie del gentiluomo italiano, e la curiosità si faceva tanto più ansiosa, inquantochè non avevano modo di soddisfarla.

La bellezza di Nara sembrava essersi fatta ancora più abbagliante. Non mai i suoi occhi erano stati più splendidi, le sue labbra più colorite, il sorriso più incantevole.

Guido, invece, era invecchiato: alcuni fili d'argento gli apparivano alle tempie; l'espressione del volto era ad un tempo annoiata, ironica, triste; le spalle un poco curve, compivano quell'apparenza di languore, di noncuranza.

Egli non amava più Nara, la subiva; aveva paura di lei, non poteva decidersi a legalizzare la sua unione con quella pessima creatura. La morte di Clara, pareva aver aperti gli occhi a Guido.

Come suole accadere, ora che la povera morta era perduta per sempre per lui, egli l'invocava, sentiva di amarla come non l'aveva mai amata quando la possedeva, era sua, e poteva essere felice con lei!

Guido si fermava con una certa qual gioia crudele su tutto ciò che aveva sacrificato così indegnamente, per una specie di monomania malvagia, per una stupida passione.

E ricordando l'ultimo delitto, compiuto in un momento di disperazione, sotto l'influenza di quella donna fatale, soffriva tremendamente. Ma che importava? Forse poteva egli riparare il male fatto? E se Nara avesse conosciuta la sua debolezza, come si sarebbe presa giuoco di lui! Guido sentiva il male, ma non avrebbe avuto il coraggio di cercarne la guarigione in un atto nobile e generoso, e non si sarebbe separato da Nara. Debole ed ostinato, preferiva di patire in silenzio, piuttosto che mostrare le piaghe sanguinose del suo cuore. Guido, inoltre non poteva veder Lilia, perchè quella bambina era un continuo rimorso per lui.

Non volendo frequentare la società, il conte Rambaldi, cercava di sopire il pensiero in esercizî violenti, che finivano per fiaccargli il corpo, e non gli permettevano di riposare neppure un’ora tranquillo. Faceva lunghe corse a cavallo, tirava di scherma, giuocava al biliardo.

Se Nara qualche volta lo rimproverava, accusandolo di trascurarla, egli si chiudeva furiosamente nella sua stanza e non ne usciva più per tutto il giorno.

Una mattina, mentre Nara era tuttora a letto, Guido, salito a cavallo, si recò ai Campi Elisi. Egli si sentiva felice di galoppare sotto quei grandi viali, sopra tutto quando il tempo era burrascoso. Il conte aveva acquistato un ammirabile cavallo baio, dal pelo fine e brillante, dai muscoli d'acciaio, e, nell'insieme, di una rara perfezione.

Dopo un'ora di corsa sfrenata, Guido aveva messo il cavallo al passo e stava per fargli prendere un viale di traverso, quando vide arrivare una bellissima carrozza, al trotto di due cavalli neri: nere erano pure le bardature ed i domestici abbrunati.

Guido gettò uno sguardo distratto nella vettura, mentre gli passava dinanzi, ma poco mancò non mandasse un grido e non cadesse di sella. In quella carrozza era seduta una giovane signora, vestita completamente a lutto, e senza i capelli nerissimi di lei, Guido avrebbe creduto di trovarsi dinanzi sua moglie.

Era lo stesso viso di una bianchezza marmorea, di un ovale fino e regolare: erano gli stessi occhi dallo sguardo dolce, melanconico, pensoso; la stessa bocca rosea, soave.

La visione era passata come un lampo. Quando Guido si riscosse, si ritrovò solo nel viale: la carrozza era sparita.

— Chi può mai essere quella divina creatura che tanto somiglia a Clara; a Clara quando era ancora nel fiore della sua salute?... Cotesta è davvero una rassomiglianza sorprendente.... e senza i capelli d'ebano di quell'incognita, avrei creduto di veder risorgermi dinanzi mia moglie. Ho fatto molto male a non seguirla. Ah! ma la ritroverò.... la voglio ritrovare. —

Guido tornò a casa stranamente agitato: i suoi occhi brillavano, e si sarebbe detto che le sue labbra sorridevano.

Nara si accòrse subito del cambiamento del conte, e ne provò inquietudine e gelosia.

 — Credevo che stamani non saresti tornato a far colazione, — disse fra l'ironico e il rabbioso.

Guido alzò le spalle.

— Avresti mangiato lo stesso, — rispose.

Nara si sentì una scossa violenta al cuore, e mettendo le mani sulle spalle di Guido, costringendolo a guardarla in viso:

— Sei proprio tu, che mi parli così? — disse con accento soffocato.

Guido impallidì sotto lo sguardo profondo e scrutatore di lei.

Scusami, — mormorò con voce quasi commossa — non avevo intenzione d'offenderti....

— Tu hai qualche cosa che ti agita....

— No, ti assicuro di no....

— Tu mentisci Guido....

Nara!...

— Ah! valeva proprio la pena di amarti, di sacrificar tutto, per averne una ricompensa simile....

— Hai da dolerti di me?...

Ricordati di quello che mi avevi promesso.

— Ancora è troppo presto....

Perchè tu non mi ami più, del resto saresti orgoglioso di chiamarmi tua moglie. —

Guido era irritato, ma non volle darlo a divedere.

Pensa, — disse esitando — che sono appena due mesi che Clara è morta....

— Ah! non parlavi così, quando chiedevi il mio amore supplichevole ai miei piedi. Allora le convenienze erano da te calpestate, erano poste in oblìo, allora.... —

Non continuò: dette in uno scoppio di pianto, lasciandosi cadere riversa sul divano.

Guido fece un atto per inginocchiarsi dinanzi a lei, ma poi si trattenne e cominciò a passeggiare irritato per la camera.

Nara, che pur fingendo di singhiozzare seguiva ogni movimento di lui, capì che qualche cosa di anormale si passava in quell'anima.

Ella si alzò rossa di collera, d'indignazione.

— Ah, non ti commove più nulla! — esclamò. — Bada, Guido, guai, guai a te; tu sai di che cosa io sono capace, non m’irritare: oramai il tuo destino è troppo legato al mio; se tu credessi di tradirmi, se tu credessi di abbandonarmi, io dirò ad alta voce, che tu hai avvelenata tua moglie!

Taci, sciagurata! — balbettò Guido spaventato.

Nara proseguì:

— Ed io mi accuserò come tua complice; e se non mi crederanno, dirò che facciano l'autopsia del cadavere. —

Guido di un balzo fu vicino a Nara e le chiuse brutalmente con una mano la bocca.

Poi trascinandola sul divano:

Taci! — ripetétaci, od io non rispondo più della mia collera. Ah! fosti tu, tu sola, che mi spingesti al delitto, ed ora mi accusi e mi rimproveri! Non ti ho io amato fino a credere un’infame la mia moglie legittima, fino a sbarazzarmi di lei, per farti ricca, per darti un avvenire? Che vuoi di più? —

Negli occhi di Nara v’era un'espressione di ribellione e di odio, pure cercò di contenersi, e gettando le braccia al collo di Guido con una stretta violenta, convulsa:

— Hai ragione, perdonami, sono pazza! — esclamò — ma ti amo tanto!... —

In quel giorno, Guido non uscì di casa, ma la mattina seguente, appena fu l'alba, inforcato il cavallo, si avviò di nuovo verso i Campi Elisi con l'idea di trovare l'incognita, che ormai egli voleva conoscere a qualunque costo.

E non si accòrse, che dietro lui, in una vettura chiusa, v’era Nara, la diabolica Nara, che sospettando dal contegno di Guido, e dal vederlo uscire così per tempo, l'aveva seguìto.

Ma la gita per quella mattina fu inutile. L'incognita non si lasciò trovare.

Nara fu un po' più tranquilla, vedendo che Guido, dopo quattro o cinque corse fatte lungo i viali, se ne tornava a casa.

Egli dunque era uscito per passeggiare, e si era ingannata, sospettando di lui.

Il giorno dipoi, Nara non lo seguì, e Guido fu più fortunato.

Egli vide da lungi una carrozza cocavalli neri, che le parve quella dov’era l’altra mattina l’incognita.

Spronò il cavallo, e quando fu vicino, riconobbe infatti la bella signora, tutta sola, così immobile che pareva una statua.

Gli sguardi di Guido si fissarono avidamente su lei, e gli sembrò che un fugace rossore colorisse quelle guance bianche al pari del marmo.

Eppure gli occhi dell'incognita non si erano rivolti dalla sua parte.

Guido lasciò passare la carrozza, poi le tenne dietro a breve distanza, ed intanto egli seguiva il corso delle sue fantasticherie.

Perchè quella bella incognita vestiva completamente a lutto? Perchè appariva così pallida e pensosa? Qualche sventura l'aveva forse colpita? Si era accorta di lui che la seguiva, che si sentiva attratto come da una forza magnetica verso di lei?

— Sarebbe strano.... — mormorava Guido. — Io che ho avvelenato mia moglie per sbarazzarmene, sarei sul punto d'innamorarmi di quest'incognita, solo perchè le rassomiglia?... Oh! se lo sapesse Nara.... —

Pensando a costei la sua fronte si offuscò. Gli parve di sentire alle sue orecchie il riso beffardo, sardonico della ballerina!

Ma era possibile che egli, possessore di un essere delicato, etereo come era Clara, si fosse gettato in balìa di un ignominioso capriccio, avesse distrutto per sempre l'avvenire del suo cuore, ogni sua felicità?

E Nara l'amava veramente? Erano sinceri quegli slanci di passione, quelle ansie, quei delirî, quelle estasi, che avevano finito per sconvolgere il cervello di Guido e l'avevano reso lo schiavo devoto e sommesso di quella maliarda?

Mentre così pensava, Guido vide la carrozza dell'incognita fermarsi dinanzi al cancello di un elegante villino. Spronò il cavallo e fu in tempo di vedere scendere la bella signora, mentre il cancello si spalancava ed appariva sulla soglia un'altra giovine donna di ammirabile bellezza, bruna, vivace, e che si vedeva prossima ad essere madre.

Abita qui la mia incognita, — pensò Guido — o viene soltanto a fare una visita? —

Accorgendosi di essere osservato dalla brunetta, alla quale l'incognita aveva parlato a bassa voce, il conte arrossì come un fanciullo còlto in fallo, e dato di sprone al cavallo, disparve subito dalla loro vista.

— Quanta paura ho avuto che egli mi riconoscesse! — sussurrò l'incognita alla compagna, mentre si avviavano a braccetto sul sentiero fiorito, che conduceva all'ingresso della villetta.

— Non è possibile, — rispose la brunetta con serietà e dolcezza ad un tempo — ed io credo che il notaro abbia avuto ragione.

Taci, Ines, ti ripeto che ho paura....

— Ed io spero, invece.... Ora bisogna rivelar tutto ad Alfonso, che come te, temeva che la cosa non riuscisse.... —

Era dunque proprio Clara quella bella creatura, che faceva fantasticar il conte, e toccava una segreta ferita del cuore di lui?

 

 




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