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Carolina Invernizio Il bacio d'una morta IntraText CT - Lettura del testo |
La contessa Rambaldi, seguendo il consiglio del notaro, aveva trasformata la sua figura, e aveva assunta un'aria di mistero, che doveva colpire la fantasia di quanti l'avvicinavano.
Un'ammirabile capigliatura d'ebano aggiungeva una malìa nuova, un nuovo incanto ai suoi lineamenti delicati, alla sua carnagione da bionda. Si era tinta di nero le ciglia e le sopracciglia, ma non aveva potuto trasformare la dolcezza dello sguardo, il mesto sorriso.
La prima volta che Clara si guardò nello specchio, non si riconobbe, ma capì che doveva produrre una grande impressione in chiunque la vedeva.
Essa era bellissima, ma di una bellezza strana, che dava da pensare.
Il notaro le aveva detto che bisognava tentare col conte la via della seduzione. Clara ne avrebbe avuta la forza? Avrebbe saputo sostener bene la sua parte? Sì, perchè pensava a sua figlia, che voleva ricuperare, salvare.
E nello stesso tempo, vi era un intimo desiderio di ricondurre a lei, che pure doveva ricordargli la morta, quell'uomo che l'aveva negletta e disprezzata, per una femmina ignobile come Nara.
Ma ci vollero due buoni mesi, prima che la messa in scena fosse completa.
Alfonso ed Ines non erano conosciuti dal conte Rambaldi, e quindi nulla cambiarono della loro fisonomia; ma il vecchio notaro, si era truccato in modo, da sfidare chiunque a riconoscerlo, da far invidia al più abile trasformista.
Certi che Guido fosse a Parigi, erano partiti a quella volta, e ivi giunti, presero a pigione un villino ai Campi Elisi e ammobiliarono la casa in modo splendido.
La servitù era tutta francese, per evitare qualunque probabilità di far trapelare il loro segreto.
Il vecchio notaro aveva assunto il nome di marchese Tomba: Alfonso passava per suo figlio, ammogliato con la bella Ines. Clara era creduta sorella di questa e vedova di un lord. Siccome ella vestiva sempre di nero, portava delle perle nere al collo ed agli orecchi, l'avevano soprannominata la Dama Nera.
La prima volta che Clara si trovò dinanzi il marito, sentì come una nebbia calarle sugli occhi, credette di morire. Il cuore aveva quasi cessato i bàttiti, e fu un miracolo, se essa non mostrò chiaro l'emozione che provava.
Ma, tornata a casa, si gettò fra le braccia del vecchio notaro e scoppiò in un dirotto pianto.
— L'ho veduto, — balbettò — ma non so.... altro, non ho avuto il coraggio di guardarlo.... Non so se potrò resistere alla prova.
— Lo potrete, figliuola mia, pensando a Lilia.... —
Clara si asciugò subito le lacrime.
— Avete ragione; grazie d'avermi ricordata mia figlia! — esclamò. — Per lei sarò forte....
— Vi voglio così!
— Credete che Guido mi abbia riconosciuta?
— No, è impossibile; ma, certo, la vostra strana somiglianza con la defunta, deve averlo colpito.
— E se invece, innamorato come deve essere di quella Nara, gli riuscissi indifferente?
— Allora procureremo di cercare un altro mezzo per riavere vostra figlia. —
Al secondo incontro, Clara, fatta certa che Guido la seguiva, ne fu turbata e commossa; il cuore le batteva forte, ed il suo orgoglio era eccitato.
— Sì.... voglio vincere, — disse a sè stessa.
Eppure, in fondo, aveva paura.
Guido, intanto, dopo un'altra corsa sfrenata lungo i viali, tornò al palazzo; ma il giorno stesso, passava a piedi dinanzi al villino dell'incognita, poiché desiderava vivamente sapere chi fosse.
Il cancello del villino era aperto, ed un giardiniere stava trasportando alcuni vasi di geranî.
— Chi cerca il signore? — chiese il giardiniere, guardando sorpreso quello sconosciuto.
— Nessuno, amico mio, — rispose Guido con dolcezza — sono stato attirato da questo bel giardino. Lo coltivate voi?
— Sissignore, — esclamò il giardiniere ringalluzzito, togliendosi il cappello.
— Ve ne faccio i miei complimenti, e ne riceverete spesso, credo, anche dai vostri padroni. —
Il giardiniere sorrise.
— Dai padroni no, ma dalle padroncine sì, perchè son molto appassionate per i fiori, e ne vogliono avere in tutte le stanze.
— Ah! vi sono delle signorine?
— No,... una delle mie padroncine è maritata a un bel giovane, il figlio del marchese Tomba; l'altra è vedova da parecchi mesi.... —
Guido finse una perfetta indifferenza.
— La vedova, — disse — è forse quella bella signora, alta, coi capelli neri, bianca di viso, vestita a bruno?
— Sissignore.... ella non porta altri colori, ed ha giurato di non smettere mai il lutto; perciò viene chiamata la Dama Nera.
— E, dite,... è francese?... —
Il giardiniere cominciava a diffidare di quello sconosciuto, che gli faceva tante interrogazioni; e rimettendosi il cappello e sollevando un vaso di fiori, disse ruvidamente:
— Non lo so; ma ecco il figlio del mio padrone. —
Alfonso colla moglie, la sorella ed il notaro, avevano udito, di dietro le persiane, i discorsi che si facevano in giardino.
— Ora è il momento d'intervenire.... — disse Alfonso.
E stringendo una mano della sorella per infonderle coraggio, aprì la vetrata che dava sulla terrazza dalla quale si scendeva in giardino.
Guido maledì in cuor suo di essersi fermato; voleva ritirarsi, ma invece rimase inchiodato al suo posto.
— Il signore cerca forse di me? — disse con corretto accento francese.
Guido arrossì fino alle orecchie.
— No, — rispose inchinandosi colla compitezza di un gentiluomo — e perdoni se mi sono inoltrato qui senza permesso, attratto da questo incantevole giardino. —
Un lievissimo sorriso sfiorò le labbra di Alfonso.
— In verità, — disse — non ci trovo nulla di particolare; ma se al signore piace, può visitarlo a tutto suo agio.
— Troppo gentile.... — mormorò Guido. — Permetta allora che mi presenti da me stesso; sappia che io sono il conte Guido Rambaldi, italiano.
— Un compatriota dunque! — esclamò in tono quasi allegro Alfonso — perchè io pure sono nato in Italia. Sono figlio del marchese Tomba....
— Romano?...
— Precisamente! — esclamò Alfonso, con un lieve sorriso. — Davvero sono lieto di conoscervi: stringiamoci la mano, e permettetemi di farvi gli onori di casa. —
— Non vorrei disturbarvi.... — balbettò.
Alfonso finse di non avvedersi di quell'imbarazzo.
— Non disturberete affatto. Per quanto mia moglie e mia cognata vivano assai ritirate, saranno lietissime di conoscere un compatriota.
— No.... sono nate in Ispagna, ma venute spose in Italia, l’amano con passione, e ne parlano volentieri la lingua.... —
Così dicendo, Alfonso precedette il conte sulla gradinata che conduceva alla terrazza e da questa si entrava nel salotto principale della villetta.
Nel salotto v’erano riuniti gli altri personaggi.
Il notaro, imbacuccato in un'ampia veste da camera che gli scendeva fino ai piedi, col viso a metà nascosto sotto le folte basette di un grigio cupo, con due enormi occhiali azzurri a cavalcioni sul naso, una zazzera lunga e brizzolata, un berretto di velluto nero, stava sdraiato su di un seggiolone e pareva occupato a leggere un giornale. Ines sedeva al pianoforte. Clara era vicina a una tavola, sulla quale erano diversi album di disegni.
La contessa era abbigliata con una graziosa semplicità. Una specie di peplo nero, chiuso al collo, disegnava le forme della sua delicata persona: un giro di perle nere fermava i capelli, sollevati in trecce alla sommità del capo. Pareva una statua greca.
Tutti finsero di essere confusi all'entrare di Alfonso in compagnia del conte.
Il pianoforte si tacque: Clara richiuse l'album che aveva aperto: il notaro lasciò cadere il giornale.
— Permettete, — disse Alfonso — che vi presenti un nostro compatriota che il caso ha condotto nel vostro giardino, dal quale è stato attirato. Il conte Guido Rambaldi. —
Le tre teste s'inchinarono in silenzio.
Alfonso, conservando sempre un umore gioviale e scherzoso, presentò al nuovo amico suo padre, sua moglie, e da ultimo Clara, la quale arrossì sotto lo sguardo del conte.
— Prego, — disse questi — che nessuno si disturbi per me....
— Ma è un piacere che ci fate, — disse il notaro con voce leggermente nasale, additando a Guido una poltrona poco distante da lui.
Dapprima la conversazione apparve un po' fredda, imbarazzata, ma a poco a poco si fece animatissima.
Solo Clara non parlava, ma di quando in quando i suoi occhi si volgevano alla sfuggita sul conte, che sorprendendo quegli sguardi, ne provava un'emozione stranissima di gioia e timore ad un tempo.
Passò un'ora come un lampo. Guido stava per prendere congedo, per non mostrarsi indiscreto, quando Alfonso chiese gaiamente al conte se avesse moglie.
Guido impallidì. Clara sentì sospendere i bàttiti del suo cuore.
— Sono vedovo da tre mesi, — rispose il conte.
— Scusatemi d'aver suscitata una memoria dolorosa per voi, — disse Alfonso che appariva commosso.
Guido chinò il capo sul petto senza rispondere.
Clara era immobile come una statua.
— Siete rimasto dunque solo? — disse Ines, con un accento d'ineffabile tristezza.
— Sì, solo.... — ripeté Guido come un'eco.
Clara sentì squarciarsi il cuore. Che cos'era dunque avvenuto di sua figlia? Non ebbe tempo di chiederselo, che mandò un gemito angoscioso e si svenne.
Successe un vivo movimento nella sala. Alfonso fu il primo a correre a sostenere Clara, e sollevandola fra le braccia come una bambina, la trasportò in un'altra stanza.
Guido non osava di chiedere la causa di quell'improvviso svenimento; ma si capiva benissimo che soffriva.
— Rassicuratevi, signore, — disse — è cosa che le succede spesso, dopo la morte di suo marito: ha sofferto tanto!
— Forse se ella avesse avuta una bambina sulla quale rivolgere la piena dei suoi affetti, avrebbe trovato un sollievo, un conforto, ma la fortuna le ha tolto la felicità di essere madre....
Alfonso ricomparve in sala.
— Ebbene? — chiese il conte con ansia.
— La crisi è passata, — disse — ora tornerà. —
Ma Guido era sulle spine: non voleva andar via senza aver riveduta la bella ed interessante vedova.
Ella rientrò finalmente. Era ancora più pallida, ed i suoi occhi, leggermente cerchiati di nero, scintillavano come brillanti.
Il conte Rambaldi provò un turbamento inesplicabile nel guardarla; ma per timore di essere notato, dopo qualche parola di complimento, manifestò il desiderio di andarsene.
— Voi tornerete presto a trovarci, non è vero? — esclamò Alfonso.
Guido esitava a rispondere, quando vide lo sguardo di Clara, fissarsi sopra di lui.
Egli rimase magnetizzato.
— Sì, tornerò presto, — balbettò — e vi ringrazio di un'offerta che mi rende tanto felice. —
Appena egli fu uscito, Clara si alzò.
— Bisogna seguirlo, — disse agitata — voglio sapere dove egli abita e con chi è.
— Ci avevo già pensato! — esclamò Alfonso prendendo il cappello per uscire. — Io non torno a casa, finché non lo avrò saputo. —
Fuori dalla palazzina, vide Guido che attraversava il viale.
Lo pedinò a una certa distanza.
Il conte Rambaldi pareva fuori di sè, agitava le braccia come se parlasse con qualcuno, urtava i passanti, e poco mancò non rimanesse investito da una carrozza che veniva di carriera.
Poi si fermò dinanzi ad una trattoria, e dopo un momento di esitazione, vi entrò.
— Che sia proprio solo a Parigi? — esclamò Alfonso, contrariato. — Perchè non va a casa a pranzo? —
Passeggiò un poco dinanzi alla trattoria, senza decidersi ad entrare.
— Egli non deve vedermi! — pensava.
E non volendo al tempo stesso attirare l'altrui curiosità, andò in un caffè dirimpetto, sedette ad un tavolino vicino alla vetrata, dalla quale poteva vedere la porta della trattoria.
Passarono quasi due ore. Alfonso incominciava a perdere la pazienza, quando il conte apparve sull’uscio col viso acceso, come se avesse bevuto molto, con gli occhi lustri, e un sigaro d’avana in bocca.
Stette alcuni minuti fermo sul marciapiede, poi prese a destra. Alfonso uscì dal caffè e si rimise a pedinarlo.
Il conte Rambaldi non si fermò che sul boulevard degli Italiani, dinanzi al suo palazzo, dov’era un carrozza, che pareva aspettasse qualcuno.
Alfonso vide il conte scambiare qualche parola col cocchiere, poi sparire nel vestibolo del palazzo.
Dopo aver aspettato cinque buoni minuti, entrò egli pure e andò difilato allo stanzino del portinaio. Il suo aspetto da gentiluomo impose subito.
— Abita qui il duca di Maddaloni? — chiese Alfonso con aria altera.
— Nossignore, — rispose umilmente il portinaio — in questo palazzo non abbiamo che un conte e due marchesi.
— Eppure la carrozza che è ferma sulla porta, mi pare quella del duca.
— Vi siete ingannato! Appartiene al conte: un italiano che abita qui da poco tempo. Ecco, vedete, quella signora che passa adesso sotto il vestibolo, è la contessa. —
Alfonso trasalì e guardò vivamente dal finestrino.
Egli non conosceva Nara che al ritratto che gliene avevano fatto, ma l'indovinò tosto in quella donna vestita di un'eleganza eccezionale, ma un po' eccentrica, dal color bruno della pelle, dalle labbra sporgenti, dagli occhi che brillavano come carbonchi.
— Che superba creatura! — pensò Alfonso — ora comprendo il potere di una tal donna su di un uomo debole, com’è il conte. —
Egli si rimproverò tosto quell'idea.
— E pensare che colei ha avvelenato la mia povera sorella e ha tentato di farla seppellir viva! —
Allora un brivido gli corse fra pelle e pelle, ed il suo sguardo divenne pregno d'odio profondo.
La carrozza se n’era andata, ed Alfonso, traendo un napoleone d'oro dal taschino del panciotto, lo diè al portinaio, dicendogli:
— Questo è per voi.
— Non sono nè principe nè titolato, ma un cittadino come voi. Dite, amico, quella bella signora che è uscita adesso, non ha figli?
— Sì, ha una bambina, che pare un angioletto, ma non la conduce mai con sè.
— La governante dice che la contessa non vuol bene alla bambina e anche il conte non può vederla. —
Alfonso ratteneva a stento la sua commozione.
— E la governante, almeno, è una buona donna?
— Signore, è un angelo, una perla.... la bimba vuol più bene a lei, che a sua madre. —
Alfonso lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, e più riconfortato, lasciò il palazzo di Guido, prese una vettura di piazza, e si fece condurre al villino, dove lo attendevano con ansietà. Non tacque nulla di quanto aveva fatto e aveva saputo.
Clara pareva pazza dalla gioia; piangeva, abbracciava il fratello, esclamando fra i singhiozzi:
— La mia Lilia è dunque salva, è salva.... io la vedrò, la vedrò ancora, la stringerò fra le mie braccia, sentirò ancora chiamarmi mamma. —
Tutti erano commossi; ma il notaro, calmatosi per il primo, disse:
— Sì, la rivedrete, contessa, ma bisogna agire colla massima prudenza; vostro marito non ha alcun sospetto su di voi, eppure l'avete colpito profondamente. —
Clara divenne accesa in volto.
— Ora tocca a voi sostenere abilmente la commedia, se volete davvero salvare vostra figlia, — aggiunse il notaro.
Clara stette un istante pensosa, con la fronte china, e il petto anelante.
— Ora tocca a me.... — disse a voce bassa — bisogna farsi coraggio. —
Ines si avvicinò a lei, e cingendole con un braccio la vita:
— Ami sempre tuo marito? — chiese.
— No, — diss'ella, posando una mano sul petto — il mio cuore è morto.
— Allora la vittoria è tua. —
Un lampo brillò negli occhi di Clara.
— Sì, — disse con voce ferma — forse hai ragione, Dio mi aiuterà! —
Ines la strinse fra le sue braccia.
— Ti aiuteremo tutti, — esclamò — per vincere e dimenticare! —