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Carolina Invernizio
Il bacio d'una morta

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III.

 

La luna era salita a poco a poco sull'orizzonte, ma i suoi raggi erano ancora troppo deboli per rischiarare la cupa ombra dei cipressi e mandava soltanto una luce pallida, velata, misteriosa sulle tombe di pietra e di marmo, alcune abbandonate, altre coperte di ghirlande e di fiori.

Se qualcuna delle mie lettrici ha visitato un cimitero di notte, sa quale triste e funebre impressione se ne riceve. Il solenne silenzio che regna in quel luogo, sacro al riposo dei morti, i grandi alberi, le croci mortuarie, tutto è propizio alle più folli e deliranti visioni.

Là è la morte: davanti, di dietro, al nostro fianco, sotto i nostri passi, sotto l'erba che calpestiamo; è impossibile sottrarsi al suo pensiero. Anche l'uomo più forte, più scettico trema, si sente il cuore stretto da una gelida pressione. I monumenti assumono ai nostri occhi un aspetto strano, fantastico, bizzarro; ombre vaghe, sfumate, sembrano librarsi dinanzi a noi, fra le tombe, nell'aria; un sudor freddo scorre per tutto il corpo, le labbra diventano mute.

Tale impressione non mancò di provare Ines, mentre stretta al braccio del compagno, seguiva il custode sotto i loggiati del cimitero. Ella soffriva molto, la giovine donna, ma i suoi occhi erano privi di lacrime, il suo volto si manteneva calmo.

Alfonso rivolgeva attorno sguardi inquieti, smarriti; sulle sue guance erano due macchie di un rosso ardente, le labbra aveva livide.

Ines sentiva di quando in quando scuotersi convulsivamente il braccio del suo compagno, come se alcuni brividi l'avessero investito. Ella lo guardava atterrita, ed egli, come se avesse compreso quello sguardo supplichevole, pietoso, tentava un sorriso; ma quel sorriso era così straziante, così amaro, che strappava le lacrime.

Il custode solo si mostrava indifferente. Egli camminava senza riguardo per le corsìe in mezzo alle tombe, agitando un mazzo di chiavi che aveva appese alla cintola. Fatto il giro del loggiato, volse a destra e dopo pochi passi si fermò dinanzi ad una porta di legno scuro, che aveva nel mezzo dipinta una gran croce bianca.

Era la porta della cappella, dove era stata posta provvisoriamente in deposito la cassa, che conteneva le spoglie della contessa Rambaldi.

Ines si sentiva il cuore strinto come in una morsa. Alfonso trasse fuori un fazzoletto per asciugarsi il viso, irrigato da grosse gocce di sudore.

Il custode aveva aperta la porta.... ed era entrato per il primo. I due giovani lo seguirono.

La cappella era debolmente illuminata da una lampada ad olio appesa al muro, ed a quel chiarore vacillante potevasi appena discernere una specie di tavola quadrata, su cui era posata una cassa di legno di noce, con maniglie e borchie dorate.

— Eccola là, — disse a bassa voce il custode.

Alfonso fece un balzo come se avesse subìta una scossa elettrica e strinse la mano di Ines con una tal forza, che ci volle tutto il coraggio della giovine donna per non mandare un grido di dolore.

Il custode era ritornato sulla porta.

Ines guardò Alfonso temendo che egli soccombesse alle commozioni che l'agitavano, ma il giovane teneva gli occhi fissi, spalancati sulla cassa.

— Ella…. è là.... là.... vicino a me…. — balbettò — ma quel coperchio mi toglie la vista del suo viso.… Clara.… io…. io voglio vederti….—                  .

Ines si era avvicinata al custode e tirò fuori dalla valigietta, che aveva portato con sè, una borsa con dei denari.

— Quest’è per voi, — disse a bassa voce — se acconsentite al desiderio di mio marito; fategli vedere sua sorella.

— Ma io non posso,... non posso!

— Oh! non siate così crudele…. voi siete padre.... se la morte vi rapisse un figlio diletto.... non desiderereste vederlo più e più volte, prima che la terra ricoprisse per sempre le sue spoglie? —

Il custode s'inteneriva. Ines se ne accòrse e facendogli scorrere destramente la borsa in mano:

— Suvvia, siate buono! — esclamò. — Dio vi ricompenserà più di quello che io possa fare! —

Due grosse lacrime caddero sulle rozze gote del custode.

Egli si avvicinò, senza far parola, alla cassa, e cercando dolcemente di allontanarne Alfonso:

— Aspetti, — disse — che l'apra, così potrà rivedere la sua povera sorella. —

Oh! quanta passione, quanta ineffabile tenerezza apparve sul viso poc’anzi impietrito del giovane, a quelle parole del custode! Sulle guance livide gli ritornò il sangue, e gli occhi ardenti, asciutti gli s'inondarono di pianto.

— La rivedrò…. la rivedrò.... — disse a voce sommessa, ardente, quasi credesse di sognare.

Il custode aveva con lentezza fatte girare le viti della cassa, e senza alcun sforzo, ne sollevò il coperchio.

Un gran velo bianco copriva il cadavere. Il custode l'alzò con una delicatezza ed un rispetto, strani in un uomo del suo mestiere, e scoperse la pallida e bella figura della contessa.

Alfonso ed Ines congiunsero le mani, e per qualche minuto il loro dolore parve tacere, davanti alla serenità di quella figura, che dormiva del sonno tranquillo, solenne della morte.

La contessa era vestita tutta di bianco: i suoi capelli sparivano sotto una cuffia di trina, che le scendeva fino sulla fronte: al collo aveva una croce di brillanti attaccata ad un nastro celeste.

Ella era bella di una celeste purezza, e sotto quelle trine candide, con quel vestito bianco, pareva una vergine assopita nei pensieri del cielo.

Il viso era pallido, dimagrato, ma non aveva quella lividezza spaventosa, propria dei cadaveri. Nessuno, vedendola, avrebbe creduto alle sofferenze che furono il preludio della di lei morte. Uno sguardo sembrava scivolar fuori dalle pupille semichiuse; dalle labbra aperte ad un principio di sorriso, sembrava uscire ancora una parola di amore, di addio, per i suoi cari.

— Com'era bella! — mormorò Ines portandosi il fazzoletto agli occhi.

— Bella e buona, — disse Alfonso con un brivido.

E scuotendosi dall'estasi che l'aveva per un istante dominato, si gettò piangendo su quell'adorato cadavere.

— Clara…. mia Clara.... — diceva singhiozzando — eccomi a te di ritorno,... ma tu non mi vedi,... non odi il tuo povero fratello che ti è vicino; tu sei morta pensando che io t'avessi dimenticata,… morta scrivendo…. e pronunciando il mio nome…. Clara…. o mia Clara.... —

Le lacrime gli scendevano in copia sulle guance.

— Sei pur bella!... — continuò — ma Dio solo vede ora i tuoi dolci sorrisi.… Oh! Clara.... dimmi chi ti ha resa infelice sulla terra, chi ti ha fatto morire così giovane?… parlami.... parlami.… sono Alfonso, il tuo fratello che amavi tanto….—

S'interruppe con un palpito angoscioso, e le braccia indebolite gli caddero penzoloni lungo il corpo.

Ines cercò di sorreggerlo, di trascinarlo lontano.

Ma egli si svincolò da lei. Pareva non potersi saziare di guardare quel cadavere; egli s'ostinava a credere che colei che aveva tanto amato non poteva essere morta, e che forse stava per risvegliarsi.

Era sì bella ancora quella morta! V’era ancora tanto fàscino in quelle purissime forme, nella delicata posa! Possibile che l'anima di lei, fosse svanita intieramente nello spazio, e non rimanesse ancora in quel corpo reso inerte, un soffio di vitalità!

Le pupille di Clara non avevano il colore vitreo, appannato, oscuro, che sogliono prendere gli occhi degli estinti.

Alfonso le guardava e gli pareva che esse ricambiassero i suoi sguardi. Eppure quelle pupille erano immobili, come la fronte di Clara era ghiacciata.

Ma il giovane non sapeva staccarsene.

— Ah! se Dio volesse.... se Dio volesse, — mormorava come in delirio. — Clara.... Clara.... guardami ancora,... dammi un bacio.... un bacio solo.... per mostrarmi che mi hai perdonato. —

Ed appoggiò le sue labbra ardenti sulle labbra della povera morta.

Ma allora gettò un grido, che risuonò lungamente in tutta la cappella e si alzò barcollando come un ubriaco, coi capelli scomposti, gli occhi sbarrati.

— Le sue labbra si sono mosse! — esclamò. — Ella mi ha baciato.... ella è viva.... sì, è viva! —

Ines e il custode credettero che Alfonso divenisse pazzo, e si avvicinarono; ma appena ebbero gettato uno sguardo sul cadavere, essi pure divennero pallidi quasi come quello.

Le labbra della morta si erano aperte ed avevano acquistato un leggerissimo color di rosa; la luce che scivolava dalle ciglia socchiuse di lei, si era fatta più brillante.

— Che sia viva davvero? — pensò il custode sbalordito. — Fededdina, sarei in un bell'imbroglio!

— Sì.... è viva.... è viva, — rispose Alfonso.

E con atto subitaneo aprì l'abito della morta e le pose una mano sul cuore. Il cuore non batteva.

Egli appoggiò allora la testa sul petto di lei, e gli parve di sentire come una impercettibile pulsazione.

Appoggiò di nuovo le sue labbra alla bocca di Clara, e quelle labbra ebbero un leggiero brivido.

— Bisogna levarla subito di qui! — esclamò Alfonso cercando di dominare la sua estrema agitazione — ella non è morta.... vi ripeto, mi ha baciato ancora! —

Un brivido di ghiaccio percorse le vene del custode.

— Ma se v'ingannaste!? — balbettò — se qualcuno venisse a scoprire....

— Nessuno saprà nulla....

— Ma io non posso trasportare la morta in casa mia — disse il custode esitante — ho moglie e figliuoli, ed una sola camera. —

Alfonso aveva ripreso il suo sangue freddo.

— Ascoltatemi, — disse brevemente — non ha detto vostro nipote che abita qui vicino, in una casetta isolata?

— Sissignore.... abita una casetta solo con la madre, ma non tanto vicino; è di là dal ponte a Ema.

— Bene, questo non importerebbe; la sua carrozza ci trasporterà.

— Ma questa cassa, che domani debbo mettere nella fossa.....

— E vorreste seppellire una donna viva?! —

Il custode chinò il capo confuso.

— Verrà qui il conte Rambaldi? — chiese Alfonso vivamente.

— Nossignore, ha dato a me l'incarico di tutto, e mi ha pagato anticipatamente. —

Alfonso mandò un'esclamazione di gioia, mentre ricambiava un rapido sguardo con Ines.

— Tutto va per il meglio adunque.... nessuno saprà quanto qui succede,... voi terrete il segreto con tutti: ve lo pagherò a prezzo d'oro; metterete nella tomba la cassa vuota.

— Ma non vedete che la signora contessa non si muove.... essa è proprio morta, e voi siete vittima di un'allucinazione!? —

Le parole del custode erano ferme, ma la voce tremava.

— No.... non è morta.... non è morta, vi ripeto! — esclamò Alfonso prendendo una gelida mano di Clara e inondandola di lacrime.

— E vorreste seppellirla con questo dubbio? — disse a sua volta Ines con un singhiozzo che straziava il cuore.

Il custode commosso dalla terribile insistenza di quel dolore, e forse forse temendo della verità di quelle supposizioni, disse:

— Ebbene, ammettiamo che non sia morta…. dove vorreste condurla?

— A casa di vostro nipote, ve l'ho detto.... egli è un bravo giovinotto.... manterrà il segreto con tutti. —

Il custode era in una terribile alternativa.

— Oh! non mi dite di no, — aggiunse il giovane supplichevole — voi non correte alcun pericolo, ve lo giuro, e poi se avete timore, io vi darò tanto denaro da assicurare il vostro avvenire, quello della vostra famiglia....

— Basta.... basta, signore.... non è già l'interesse che mi spinge a giovarvi: ma si è perchè mi viene il dubbio che la povera signora non sia morta.... Farò quanto vorrete.... ma segretezza.... per segretezza.

— Sul mio onore, nessuno saprà quanto è successo, — disse Alfonso portandosi una mano sul cuore.

— Ma se fosse morta davvero?

— Sul mio onore vi giuro che vi riporterei.... con lo stesso mistero, il cadavere.

Il custode era vinto.

— Aspettatemi qui un momento, — disse — vado ad avvisare mio nipote. —

Ed uscì in fretta dalla cappella.

— Dio mi ha ispirato! — esclamò Alfonso, sollevando il corpo di Clara fra le sue braccia, e stringendolo come forsennato al seno.

Ines, rabbrividiva.

— Io temo, povero Alfonso, che tu t'illuda; le sue mani sono di ghiaccio.

— Ma ella non è morta!

— La sua fronte è di marmo.

— Ma ella vive, ti ripeto; lo sento…. e mi pare che m'intenda, mi pare che il cuore suo palpiti sul mio. —

Mentre così parlava, il custode ritornò insieme col fiaccheraio. Questi era pallido in volto come un lenzuolo, ed aveva gli occhi pieni di lacrime.

— Mio zio mi ha detto tutto.... davvero, signore, la povera morta vive?

— Sì.... io lo spero.... lo spero, perchè Dio è buono;... ma affrettiamoci; ella potrebbe tornare in sè e sarebbe terribile, per lei, che si trovasse qui. —

Con molta attenzione, la povera contessa che continuava a rimanere immobile, rigida come un cadavere, fu trasportata nella vettura. A quell'ora la strada era deserta, e nessuno avrebbe immaginato la scena compiuta nel cimitero.

Quando la carrozza fu partita, portando seco la giovane coppia e la povera morta, il custode riprese la via della cappella col capo chino e le mani incrociate dietro le reni. Egli chiedeva a sè stesso se non aveva sognato.

— Che la morta sia viva davvero?... — mormorava — oh! sarebbe strana,... ma sarebbe anche più orribile a pensare che se non era quel signore, suo fratello, la povera contessa domani sarebbe stata sepolta viva. Brr.... mi vengono i sudori freddi nel pensarci. Del resto nessuno saprà mai questo segreto.... Al conte poco importa di sua moglie, tanto è vero che ha lasciato a me la cura di tutto.... quel conte mi sembra un poco di buono, e mi ha fatto una brutta impressione la prima volta che l’ho visto.... Gridò, perchè la tomba non era ancora preparata: che volesse proprio seppellir viva la moglie?... uhm! non sarebbe difficile.... ed io sarei stato il complice di un assassinio? Ah! il fratello della signora contessa, quello ha davvero il viso di galantuomo, e ci si può fidare di lui.... Ma che cosa sono tutte quelle ombre che vedo stanotte?... Non so perchè mi tremano le gambe, ed ho degli scrupoli. Che qualche volta senza volerlo, io abbia seppellite delle persone ancora vive? —

Egli diceva tutto ciò fra sè, mentre si guardava attorno molto sconsolato. Tonino era sempre stato un uomo forte e positivo, non aveva mai creduto agli spettri, ma in quella notte si sentiva agitato da brividi strani. Gli pareva di veder proiettarsi delle ombre sulle bianche pietre, gli pareva veder aprirsi delle tombe ed uscirne dei fantasmi avvolti nel lenzuolo funebre e che tendevano verso di lui le braccia, dicendo con una voce che non aveva nulla di umano: .

— Anche noi ci seppellisti vivi. —

E qui mi si permetta una breve digressione.

Non è raro il caso che una persona venga seppellita come morta, mentre di morta non ha che l'apparenza. Avrei molti e molti esempî da citare, ma ne basti uno solo a dimostrare che non bisogna aver troppa furia nel seppellire i cadaveri, specialmente quando la loro morte è avvenuta improvvisamente, non bastando talvolta la constatazione del medico. Quanti medici, ed anche celebri, si sono ingannati ed hanno fatto seppellire dei morti ancora vivi! Oh! se tutte le tombe potessero dischiudersi,... se potessero parlare! Ma le tombe sono mute, e la terra ricopre i più orribili misteri.

In una città d'Italia era morta improvvisamente per sincope una giovane bellissima, sposa da un anno ad un ricchissimo industriale, che l'amava perdutamente.

Egli stesso volle comporre la cara spoglia nella cassa mortuaria, e nel vedere quelle sembianze così serene, così pure, che la morte non aveva alterate, pareva non sapesse staccarsene e diceva che era impossibile che quella bella, splendida creatura, la quale due giorni prima era tuttora piena di vita e di salute, fosse ridotta in poche ore cadavere.

Ma i medici avevano constatata la morte, ne avevano autorizzata la sepoltura. Il marito aveva vegliato per le intere quarant’otto ore regolamentari vicino al corpo della defunta, illudendosi sempre, persuaso che ella dovesse da un momento all'altro svegliarsi. Ma quando giunsero gli amici, i parenti che erano venuti per accompagnare il feretro ed egli fu tratto fuori dalla stanza mortuaria, comprese pur troppo che tutto era finito, e per sempre.

La madre della giovine defunta si trovava allora in viaggio: al suo ritorno seppe della morte improvvisa della figlia, e per poco non perdette la ragione.

Calmata alquanto, non ebbe più che un pensiero: rivedere una volta ancora il cadavere della figlia adorata, che non aveva potuto abbracciar viva. Il desiderio della povera madre fu condiviso dal marito della defunta. Ma per ottenere il consenso di rivedere la povera morta, bisognava un cambiamento di sepoltura. L'industriale acquistò una cappella apposita onde far esumare il corpo della moglie.

Prima di trasportare un morto da una tomba all'altra, bisogna farne la ricognizione in presenza dei membri della famiglia e di un funzionario, destinato a tal uopo dal Comune. Giunse il giorno stabilito per l'esumazione, e nel cimitero si trovarono raccolti la povera madre, lo sventurato genero ed alcuni parenti, che avevano voluto seguirli.

Appena giunsero alla tomba della giovane sposa, il custode ne aveva già levati i vasi di rose, di giacinti e di viole, di cui il marito l'aveva fatta circondare. Amava tanto i fiori la povera morta! Anche la lastra di marmo era stata sollevata, ma la terra non era ancora scavata.

Quando i becchini si misero all'opera, la povera madre si strinse involontariamente al braccio dell'industriale che non era meno pallido e tremante di lei.

D'improvviso una zappa battè contro il legno della cassa. A quel sordo rumore, la madre stette per svenire: gli amici la sostennero e vollero trarla di là.

— No.... no, lasciatemi…. — diss'ella — lasciatemi.... voglio vederla. —

L'industriale, benché commosso profondamente, cercava di mostrarsi calmo: un leggiero tremito nelle guance e nelle labbra erano i soli segni visibili della sua commozione.

Finalmente la cassa fu scoperta e sollevata dalla fossa; il funzionario si era avvicinato.

— Aprite, — disse ai becchini.

L'umidità della terra aveva arrugginite alquanto le viti e non senza sforzi essi poterono sollevare il coperchio della cassa.

Ma allora un grido di orrore uscì da tutte le bocche.

La giovine sposa era stata sepolta viva!

Si vedevano ancora le tracce della lotta della sventurata, che svegliatasi nella cassa e sentendosi soffocare, aveva tentato con sforzi orribili di sollevarsi ed uscire.

Lo spettacolo era orrendo a vedersi: terribile a narrarsi. Figuratevi quale doveva essere stata la disperazione, il terrore della povera donna a trovarsi sepolta viva: ella avrà sofferto mille morti per una sola. Quante grida, quanti gemiti non avrà mandato, ma che la terra, che pesava inesorabile su di lei, non trasmetteva ai viventi!

Il volto del cadavere portava le tracce di tutte le torture, di tutte le sofferenze provate dalla disgraziata; in una mano aveva ancora stretta una ciocca di capelli, strappata in un dolore supremo; l'altra mano vicino alle labbra, era per metà morsicata.

La madre della morta a quell'orribile spettacolo cadde fulminata. Le vennero prestati pronti soccorsi, ma furono inutili, perchè essa avea cessato di vivere!

L'industriale divenne pazzo, e nella sua pazzia si vedeva sempre davanti agli occhi il cadavere della moglie che sembrava minacciarlo, che sembrava dirgli:

— Perchè mi hai lasciata seppellir viva? —

E chiudeva gli occhi, si turava le orecchie, ma quel fantasma lo perseguitava anche nelle tenebre; egli lo vedeva sempre dinanzi a sè, lo sentiva, ed allora mandava grida furiose, suoni rauchi, inarticolati; si dibatteva, si contorceva, tanto che erano costretti a mettergli la camicia di forza.

E questo caso di sepolti vivi non è il solo conosciuto, il solo venuto alla luce; chi sa quanti la terra ne ricopre!

Ma ripigliamo il filo del nostro racconto.

 

 




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