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Carolina Invernizio
Il bacio d'una morta

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PARTE SECONDA

 

Il romanzo di Clara

 

I.

 

Noi sappiamo che Clara sola era stata considerata come figlia da suo padre, il conte Rolando Vergani, e questi aveva riconcentrato su di lei tutto l'affetto esaltato, che aveva un giorno sentito per la moglie colpevole.

Il conte aveva l'aspetto burbero, imperioso, la voce aspra, sibilante, tanto che i servi tremavano dinanzi a lui; non vi era che Clara che potesse ammansire, ridurre, quel carattere inasprito da un violento disinganno. Quando la gentile creatura sedeva al fianco del padre, la modulazione della voce di lui si raddolciva, senza che egli neppure se ne accorgesse. L'amava e la benediva, persuaso di ripeterlo venti volte al giorno; ma, in realtà, di rado parlava, perchè era un uomo di pochissime parole.

La morte della moglie aveva cresciuto la sua misantropia e reso ancora più burbero il suo carattere. Guai a chi gli ricordava la consorte perduta, o che facesse una lontana allusione a lei!

Finché Clara fu fanciulletta, ella non comprese, nè immaginò nulla del triste dramma, che si era compiuto nella sua famiglia. La morte della madre l'aveva un po' colpita ed aveva sparso sul volto della piccina un velo di melanconia, che sempre le rimase; ma quel tenue velo non la rendeva che più affascinante.

Clara era dotata di un temperamento nervoso, impressionabilissimo. Una tale sensibilità, spesso eccessiva, fu quella che doveva più tardi recare una trista influenza nella sua vita.

La sua educazione non fu difficile a compirsi, perchè ella era sveglia, intelligente, vogliosissima d'imparare. La sua governante, che era cattolica fervente, le trasfuse la sua fede, il suo ardore nelle preghiere, e l'idea di tutto ciò che vi è di buono e di nobile nel mondo.

Le ricchezze, da cui era circondata, non avevano il potere d'inorgoglire la sua vergine anima; e nelle preghiere che ogni sera si volgevano al Cielo dai rozzi abituri, che circondavano la grandiosa villa del conte, si sarebbe sempre sentito pronunziare il nome adorato di Clara.

Quante volte la contessina, accompagnata dalla governante, si recava nei meschini tugurî, dove una famigliuola aspettava il suo soccorso per togliersi la fame, o un ammalato povero, domandava per compassione quei servigî, che non si possono comprare col denaro!

Con quanta premura la giovinetta si affrettava in ogni luogo, dove sapeva che v’erano persone che avevano bisogno di lei! Con quanta gentilezza, con quale soave sorriso parlava loro, li consolava, li confortava ad attendere con pazienza la guarigione, oppure disporsi religiosamente alla morte.

Una volta che la contessina Clara dovette stare a letto per una febbre gagliarda che la colpì a causa di uno strapazzo, inquantoché aveva voluto assistere una notte intiera una fanciulla moribonda, che si dava alla disperazione e rifiutava aiuti umani e religiosi, e solo si calmò alle parole, ai conforti di Clara, e spirò benedicendola, col sorriso sulle labbra, il paese rimase profondamente rattristato. Buoni e cattivi, ricchi e poveri, trassero in folla alla villa del conte per avere notizie della salute di Clara: la costernazione fu generale, nè cessarono i singhiozzi ed i pianti finché durò la malattia.

L'infermità dell'angelica creatura era ritenuta come una sventura pubblica, e non vi era rozza immaginetta collocata sul muro o negli alberi in campagna, che non avesse acceso un lume dinanzi, e intorno alla quale non si radunassero a pregare, perchè la nobile fanciulla ricuperasse la salute.

E quando Clara fu riveduta in giardino, appoggiata al braccio della governante, avvolta in un abito bianco con un leggier velo attorno al volto ancora languido e abbattuto, fu uno scoppio di grida entusiastiche di gioia, di riconoscenza, e un segno della gioia generale fu un voto per grazia ottenuta, che venne appeso all'altare di Maria, nella chiesa del villaggio.

Clara era giunta ai diciotto anni, senza ancora conoscer nulla del libro della vita. La sua esistenza solitaria, casta, e quasi claustrale, non era animata che da due nobili passioni: l'amore per il padre, e l'amore per il prossimo. Ah! se suo padre fosse stato meno stravagante, ella si sarebbe sentita felice in quel recondito angolo di terra, che non avea quasi mai abbandonato, e dove la vita scorreva in mezzo a sentimenti delicati, teneri, deliziosi!

Una sera Clara stava nella sua camera verginale, la cui finestra si apriva sul giardino, quando un lieve bussare all'uscio della stanza, la fece trasalire. La governante non poteva essere, perchè era andata a letto da un pezzo. Che il padre, il quale nel giorno ella avea visto più turbato del solito, venisse da lei, a cercare un istante di sollievo o di conforto?

Con le guance lievemente colorate, gli occhi animati, ella corse ad aprire e si trovò dinanzi un vecchio servo, il solo che il conte non avesse rimandato dopo la morte della moglie.

Nemmo, così chiamavano il vecchio, avea visto nascere Clara, l'avea portata fra le braccia ed avea pianto con lei la morte della contessa. Anzi si era notato che dopo questa morte, Nemmo era divenuto triste, nessun sorriso era più ricomparso sulle sue labbra e spesso si assentava dalla villa senza alcuna ragione, restando lontano fin due o tre giorni, e quando tornava era più conturbato che mai.

Clara voleva molto bene al vecchio Nemmo, e lo trattava con familiarità, come se fosse stato suo padre; dinanzi a lui, essa si sentiva più franca, più espansiva.

— Tu, Nemmo, a quest'ora? — esclamò con sorpresa la giovinetta, quando vide il vecchio servo. — Hai qualche cosa di grave da dirmi? Il babbo sta male?

— No, il signor conte sta benissimo e riposa, ma voi avete indovinato: ho qualche cosa di grave da confidarvi. —

Clara, turbata, introdusse il vecchio in camera.

Nemmo chiuse l'uscio con circospezione, anzi vi mise anche il paletto, e rivolgendosi alla fanciulla, che lo guardava stupita, disse:

— Nel caso che alcuno venisse per qualsiasi ragione a disturbarci, nel tempo che voi metterete ad aprire, io me ne uscirò dalla finestra: nessuno deve sapere che sono venuto da voi, perchè se il signor conte lo risapesse, io sarei allontanato e non potrei più servirvi. —

Questo preambolo sconcertò Clara. Ella porse una seggiola al vecchio servitore e con voce leggermente tremula:

— Siedi, — gli disse — se devi parlarmi a lungo. —

Nemmo obbedì.

— Ora dimmi presto tutto, perchè non puoi immaginarti come mi batte il cuore, senti. —

E la candida fanciulla, che si era seduta presso il vecchio, prese con ingenuità la mano di lui, e la tenne per un istante sopra il cuore, che batteva a colpi precipitosi.

— Oh! non tremate così, signorina, — le disse allora il servitore — non vi è nulla che debba spaventarvi. —

Indi con voce che si fece commossa, continuò:

— Voi sapete, Clara, se io ho voluto bene a vostra madre, che ho conosciuto anche lei bambina come voi.

— Oh! sì, — rispose la fanciulla congiungendo le manine — e mio padre apprezzava assai la tua venerazione per la mamma, perchè volle che tu rimanessi qui, anche dopo la morte di lei.

— Vostro padre, — rispose il vecchio gravemente — mi aveva congedato.

— Davvero?…

— Non ho nessuna ragione di mentire, signorina. Sì, il conte voleva allontanarmi come gli altri, ma vostra madre mi aveva affidata una santa missione, ed io giurai a me stesso, che non vi avrei abbandonata. Perciò risposi al conte che egli era padrone di scacciarmi, ma io non mi sarei mai mosso da questi dintorni, perchè la contessa al letto di morte mi aveva così ordinato; epperò sono rimasto. —

Clara ascoltava con sorpresa sempre crescente.

— Mia madre ti aveva affidata una missione, hai detto, e tu l'hai compiuta?

— Sto per adempirla, — disse il vecchio, traendo da una tasca interna del vestito una lettera con dei suggelli neri, ancora intatti, e colla sopraccarta alquanto sbiadita dal tempo. — «Quando mia figlia avrà diciotto anni, se ella si sarà conservata l'angelo che è ora,» — mi disse vostra madre — «tu le consegnerai questa lettera, e le dirai che sua madre morente, la supplica ad adempire quanto le chiede.» —

Un tremito nervoso agitava le mani di Clara, mentre prendeva la lettera.

— Mia madre mi supplica? — disse con le lacrime agli occhi — vi è dunque qualche cosa di così grave in questa lettera? —

Ruppe i suggelli febbrilmente, e aperse il foglio con un palpito di cuore. La lettera era così concepita:

 

«Mia adorata figlia,

 

« Nell'ora in cui ti scrivo, tu sei ancora una bambina e non potresti comprendere ciò che sta per svelarti tua madre morente.

« Ma il giorno in cui questa lettera ti sarà consegnata e l'aprirai, tu conoscerai già tanto della vita, da capire, senza troppe spiegazioni, i martirî della tua povera madre, e adempirai al sacro dovere che ella t'impone.

«V’è nel mondo un fanciullo al quale tu sei legata con vincoli di sangue, un fanciullo che ha otto anni meno di te.... ed è tuo fratello.»

 

Clara, a questo punto, s'interruppe e guardò in volto Nemmo.

— Io ho un fratello! — esclamò — un fratello? E perchè non è con me? Parla, Nemmo, parla, perchè tu non mi hai mai detto nulla?

— Non potevo, signorina,... vostra madre mi aveva imposto di non parlarvi di vostro fratello, fino a che non aveste compiuto diciott’anni....

— Però tu sai dov'egli si trova?

— Sì.... lo so, signorina, ma finite di leggere la lettera. —

Clara si asciugò le lacrime, che le facevano velo agli occhi e proseguì:

 

«Tuo fratello è un povero innocente, che tuo padre ha voluto punire. Ed io sola fui la colpevole della sua nascita.

«Se tuo padre sospettasse che tu sai la storia di tuo fratello, sarebbe capace d'uccidere quella povera creatura, come si è macchiato le mani di un altro orribile delitto.»

 

Clara si fermò di nuovo con un gesto di terrore.

— Dio mio.... è vero?... Un padre così buono, così affettuoso con me;… ma no.... non è possibile.

— Pensate, signorina, che vostra madre vi ha scritto poche ore prima di spirare, e non aveva ragione di mentire. —

Clara abbassò il capo.

— Ma perchè, tutto l'affetto di mio padre per me e tanto odio contro mio fratello?… — disse dopo alcuni minuti di silenzio, rialzando il pallido volto.

Nemmo la guardò fisso negli occhi.

— Egli sospettava che il fanciullo non fosse suo, — disse lentamente.

Clara era troppo candida per capire.

— Non era figlio di mia madre? — balbettò.

— Sì.... signorina,... ma vi prego, continuate a leggere. —

Clara ubbidì. La lettera diceva:

 

«Tuo padre ha allontanato il tuo povero fratello, l'ha fatto passar per morto, e così gli ha tolto il nome e le ricchezze; ma tuo fratello vive: e lo stesso sangue corre nelle vostre vene. Vorrai tu abbandonarlo ad una sorte crudele? Vorrai tu che egli viva diseredato dalla famiglia, in balìa di un carnefice?

«Clara, tua madre morente ti prega a mani giunte, per l'amore che ella ti ha portato, di aver pietà di suo figlio. Va', ricercalo, proteggilo, io pregherò in Cielo per te. Clara, non respingere il desiderio della tua povera madre, che non ha più speranza che in te sola.

«Tuo fratello si chiama Alfonso. Nemmo, quel generoso ed affezionato servitore, saprà dirti dove si trova. Sii per il povero diseredato una madre: difendilo da ogni persecuzione, e soprattutto cerca di sottrarlo all'odio di suo padre. Io ti benedirò dal Cielo, come ti benedico in questo supremo momento, in cui sto per lasciare il mondo, dove ho tanto sofferto ed ho espiato tanto.

 

«La tua sventurata madre.»

 

Clara avea finito di leggere, e colla testa chinata sul petto, piangeva a calde lacrime e copriva di baci quel foglio adorato.

— Madre mia, che mi vedi dal Cielo, — esclamò congiungendo le mani — ti giuro che adempirò fino all'ultimo il sacro dovere che tu m'imponi! Sorridi e prega per me: tuo figlio sarà il mio, io sarò una madre per mio fratello.... te lo giuro!

— Signorina, — esclamò Nemmo vivamente commosso — la vostra santa madre avea ragione di non dubitare della vostra bell'anima! —

La fanciulla cercò di asciugarsi le lacrime, che continuavano a scorrerle sul viso.

— Tu sai, dunque, dove si trova mio fratello?

— Sì, signorina, — rispose Nemmo asciugandosi egli pure una lacrima.

— Egli è molto lontano di qui?

— No, signorina, cinque leghe al più; ma bisogna recarvisi per una strada impraticabile.

— E con chi vive mio fratello?

— Con un misero capraio, un uomo della peggior specie; il fanciullo passa per suo figlio;... è mal nutrito, e gli tocca di condurre al pascolo le capre sulla montagna.

— Ed è mio fratello? — esclamò Clara con esplosione — oh! mio Dio, mio Dio!… — Poi cercando di rinfrancarsi: — Domattina andremo subito da lui, e tu mi accompagnerai.

— Sentite, signorina, sarà meglio rimettere la gita al dopopranzo, perchè allora il signor conte si ritira nelle sue stanze, e non si vede più fino a sera.

— Hai ragione.... del resto troveremo un pretesto per la nostra scappata.... un ammalato lontano.... Oh! come         aspetto domani:… caro, caro fratello.... quanto l'amerò.... Somiglia mia madre?

— Sì; è tutto il suo ritratto.

— Come sono impaziente di vederlo, di abbracciarlo!... E poi fra me e te concerteremo un piano di fuga: mio fratello non deve viver su’ monti, ma deve avere il suo posto in società; se mio padre lo respinge, io ne farò le veci. Madre mia, aiutami tu dal Cielo dove sei, dammi coraggio, perchè io possa adempire come si deve la tua sacra missione! —

Così parlando, Clara aveva drizzata la sua persona flessibile e snella come una giovine palma, il suo sguardo dolce e profondo pareva perdersi nello spazio; come se la sua anima si fosse unita in colloquio con un'altra anima, sulle sue labbra irraggiava un dolce sorriso.

Nemmo non poteva staccare gli occhi da quell'angelica testa.

— Ah! voi siete buona, — mormorò — buona come gli angioli del cielo. Come vostra madre deve sorridere, come deve essere felice in questo momento!

— Lo credi? — esclamò Clara stringendo la mano del vecchio; e ritornando un po' triste: — Dimmi, — balbettò — la mia povera mamma ha perdonato al babbo?

— Oh! sì; ma lui fu inesorabile.

— Eppure non è cattivo il babbo, no....

— Che volete dire?

— Egli ha molto, troppo affetto per me....

— Dite il vero.

— E se io approfittando di questa sua adorazione, intercedessi per mio fratello?

Nemmo trasalì.

— Guardatevene bene: sarebbe una sventura per quell'innocente; so quello che dico! —

Clara non insistè. Pochi minuti dopo il vecchio servitore usciva da quella camera. La fanciulla non pensò più a coricarsi. Rilesse cinque o sei volte la preziosa lettera di sua madre, poi si abbandonò alle penose meditazioni che le suscitava il racconto di Nemmo.

Suo padre era colpevole di un delitto? Suo padre cacciava senza alcun rimorso un figliuolo dalla casa paterna, gli toglieva il nome, lo diseredava?

— Ah! io non devo erigermi a giudice di mio padre, — mormorò — ma soffro, oh! soffro tanto, nel veder distruggere le più sante illusioni della mia vita; e per calmare quest'atroce tortura, non mi resta che di adempire il legato della mia povera e santa mamma. —

Tutta intera la notte trascorse per la fanciulla in desolanti pensieri. All'alba aprì la finestra, per esporre la sua fronte pallida e ardente alle fresche aure del mattino.

La natura riposava ancora: il tempo era sereno: un lieve venticello chinava la cima degli alberi; il parco, il giardino erano immersi nel silenzio e nel mistero.

Gli sguardi della fanciulla si spinsero lontan lontano, dove erano le montagne.

 — Forse è là mio fratello, — mormorò con emozione — oggi lo vedrò.... povero fanciullo, ma che dirà vedendomi...? Non avrà paura di me...? No, io gli dirò che sono sua sorella, lo abbraccerò, lo bacerò.... gli parlerò di nostra madre. —

Ella si ritrasse dalla finestra e per il timore che la governante si accorgesse di quella notte passata in piedi, disfece il letto, si arruffò alquanto le trecce ed indossò l'abito da mattina.

Ma era pallida in volto e i suoi occhi rimanevano un po' tristi.

Quando scese a far colazione, ella si era già rimessa ed il conte non si accòrse della emozione che l'aveva agitata durante tutta la notte.

Clara baciò il padre col solito affetto, e sedette accanto a lui.

— Hai dormito bene, mia cara? — le chiese il conte.

Clara trasalì.

— Benissimo, babbo.... ed ho fatti tanti bei sogni!

— Soliti sogni di paradiso,... sono fatti per te.

— Oh! no.... babbo, non ho sognato degli angeli, — disse Clara dopo una lunga pausa — ho sognato d'avere un fratellino, un bel fratellino, che facevo ballare sulle mie ginocchia. —

Il ciglio del conte si aggrottò. Egli divenne livido in volto e fissò due occhi terribili, sanguigni sulla figlia, come se dal sembiante volesse leggerle nell'anima.

Ma Clara rimaneva calma e serena; i suoi occhi celesti si rivolsero affettuosi al padre, mentre le sue labbra mormoravano:

— Che hai, babbo? Ti senti male? —

La voce della figlia lo calmò come per incanto.

— Sono pazzo, — disse fra sè — Clara non ha proprio che sognato! —

E cercando di sorridere, servì egli stesso a Clara un piatto di fragole.

— Non ho nulla, — disse — non ricordo di che parlavi.

— Ti raccontavo un sogno.

— Lascia stare i sogni, che sono tutti menzogneri.... Come potresti tu avere un fratellino, se la mamma è morta? —

La giovinetta, malgrado l'impero che aveva su sè stessa, arrossì e impallidì a vicenda.

— Eppure, — disse con ingenuità — vedi, mi sarebbe parso così bello avere un fratellino o una sorellina che dividesse i miei studî, i miei svaghi. Tu sei buono, caro babbo,... ma stai così poco con me....

— Non c’è la governante? Ella ti ama con tutto il cuore ed è un'amica savia che sa guidare la tua ragione, insegnarti tutto ciò che è bello e buono. Non ti basta? —

Clara taceva, ed un sospiro le gonfiava il petto. Ella capiva che era inutile continuare su quell’argomento: il conte non voleva comprenderla, ed al lampo che era scaturito negli occhi di lui, comprese che Nemmo aveva ragione, che se il padre avesse saputo ciò che ella aveva scoperto del fratello, il povero fanciullo sarebbe stato perduto.

Il conte e Clara continuarono a far colazione in silenzio, ma il sospetto non si era dileguato dall'anima di Rolando, e quand'ebbe finito:

— Oggi non sei del tuo solito umore, Clara mia! — esclamò egli ad un tratto. — Guardami, mia cara.... —

La giovinetta alzò la testa per obbedire: in questo moto, il di lei sguardo incontrò di nuovo quello di suo padre. Ella trasalì senza volerlo, perchè ricordò le parole di Nemmo; ma rimettendosi tosto, schiuse le labbra ad un delizioso sorriso.

— Sono sempre la stessa, babbo, — disse quasi lietamente la fanciulla.

— Mi ami tu molto?

— E me lo chiedi? Se sono così felice, non lo debbo forse a te?

— Grazie delle tue parole.... ora lasciami; ho bisogno di esser solo. —

Clara uscì dal salotto dopo aver dato al padre un altro bacio. La sua anima così nobile, così pura, non avrebbe mai potuto odiarlo.

 

 

 




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