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Carolina Invernizio Il bacio d'una morta IntraText CT - Lettura del testo |
XV.
Tre mesi dopo, Clara e suo marito avevano preso stabile dimora a Firenze, dove il conte Rambaldi possedeva una graziosa palazzina con tutti i comodi, in una delle strade più ampie e più belle della città.
La gravidanza di Clara era quasi al termine, e a mano a mano che la giovine donna stava per diventar madre, la sua bellezza si faceva sempre più angelica, ideale.
Guido, a Firenze, aveva incontrato gli antichi amici, e riprese, un po’ per volta, le abitudini del passato. Non già che amasse meno Clara, ché anzi lontano da lei non aveva altro desiderio che di tornare a rivederla, a coprirla di baci e di carezze; ma certamente non avrebbe più continuato a passare tutte le ore ai piedi di lei, perchè avrebbe finito collo stancarsene, coll'esserne annoiato, mentre, dopo due o tre ore di lontananza, gli sembrava di ritrovare sua moglie più bella, e le ingenue manifestazioni di lei gli parevano più saporite e gustose.
Clara, sebbene amasse alla follìa il marito, non mancava di saviezza: era la prima ad incitarlo a svagarsi, a frequentare di nuovo la società, dov'ella non si trovava in grado d'andare. E mentre Guido era lontano, ella, sdraiata sulla poltrona, faceva mille sogni deliziosi sulla creatura che sarebbe venuta presto al mondo, pensava già all'avvenire di lei, ed al nome di suo figlio aggiungeva sempre il nome di suo fratello Alfonso.
Si avvicinava intanto l'inverno, ed una sera, per l'apertura della Pergola, Guido manifestò a Clara il desiderio di andare al teatro: la morte recente del suocero a lui non glielo impediva, ma gli rincresceva di lasciar sola la sua diletta compagna.
Questa però, gentilmente, lo spingeva a recarvisi.
— Va' tu.... e divertiti, — disse.
— Sarei capace di rimanere a tenerti compagnia.
— Ma no.... mio caro,... non voglio un sacrifizio da te.
— E ti sembra un sacrifizio seder qui alle tue ginocchia, guardandoti, parlando di nostro figlio, perchè tu presto mi regalerai un figlio, non è vero? —
Clara sorrise.
— E se fosse una bambina,... forse l'ameresti meno?
— No.... oh! no,... ma un figlio, sai, un erede maschio.... a cui lasciare il mio nome,... è cosa attraente e mi fa fantasticare. —
Clara sorrideva sempre.
— Guarderò di contentarti, però se fosse una bambina tu non saresti in collera con me, non è vero?
— No davvero, caro angelo!... — esclamò Guido baciandola con passione — abbiamo tempo di avere altri figliuoli! —
Clara nascose il viso sulla spalla del marito. Per un minuto nessuno dei due parlò; ma l’orologio di sala suonò le ore, e scosse la giovine madre.
— Son già le nove, — disse — è ora ch’io vada a letto e tu al teatro.
— Ma lo vuoi proprio?
— Sicuro che lo voglio, tu hai bisogno, mio caro Guido, di svagarti. —
Il giovine non resistè a quelle istanze, tanto più che aveva desiderio di vedere il nuovo ballo, del quale se ne diceva mirabilia.
Però, baciata di nuovo la moglie, salì in una vettura che lo condusse alla Pergola, nel momento appunto che il primo atto dell'opera Don Sebastiano era finito.
Invece di recarsi nel suo palco, Guido andò in un palco del proscenio, dove gli amici lo accolsero con gioia.
— Sei venuto un po' in ritardo, — dissero.
— Sempre in tempo per il ballo, — rispose Guido ridendo.
— Ah! desideri dunque ammirare questa nuova stella della danza di cui tutti parlano e che nessuno ha potuto ancor vedere? Figurati che il visconte di Barga ha promesso all'impresario una somma considerevole, se gli lasciava mettere piede sulla scena, durante le prove!
— Ebbene?
— Niente, caro mio: mistero completo.
— Zitto! si alza il sipario: siamo al secondo atto dell'opera; fortuna che dopo ci sarà subito il ballo, del resto c'è da morire,... dal desiderio. —
Guido sorrideva ascoltando quei discorsi ed intanto il suo sguardo distratto si portava sul teatro, che quella sera era pieno. Quell'aria calda, molle, voluttuosa, la vista delle belle testoline che primeggiavano nei palchetti, la musica deliziosa, lo gettava suo malgrado in una specie d'ebbrezza. Intorno a lui vedeva una moltitudine di visi femminili, che sorridevano, ondeggiavano, si abbassavano, accendendo ai fuochi della lumiera la scintilla provocatrice dei loro sguardi: tutto brillava in quel quadro: tutto pareva splendere, rifulgere, sorridere.
E Guido, senza sapere il perchè, si sentiva il cuore commosso, mentre la testa gli ardeva: non sentiva i discorsi degli amici, ma provava un fàscino strano, come se fosse la prima volta che assistesse ad uno spettacolo.
Passò il secondo atto del Don Sebastiano: negli intervalli, gli amici si misero a ridere e a scherzare sul contegno e la posa seria di Guido; poi tutto ad un tratto il cicaleggio s'interruppe, tutti i binoccoli si puntarono agli accordi dell'orchestra, all'alzarsi della tela per il ballo. Nel primo quadro, la ballerina non apparve; ma dopo un rapido cambiamento di scena, che mostrò una reggia di fate, si vide la regina del soggiorno, scendere dal suo piedistallo, per disporsi a ballare.
Ed allora una lieve esclamazione uscì dal petto di Guido, perchè nella ballerina misteriosa che aveva fatto accorrere tanta folla al teatro, egli aveva riconosciuta Nara; Nara, più bella che mai, nella sua maglia color carnicino, che faceva spiccare il contorno delle sue gambe statuarie, del suo busto perfetto, affascinante, con quelle nere trecce a metà disciolte, con quel viso bruno, su cui spiccavano le labbra di un rosso vivace ed i grand'occhi, quegli occhi così carezzevoli e così diabolici al tempo stesso, quegli occhi che suscitavano mille fremiti, mille immaginazioni, che producevano un effetto pronto, fulminante.
L'apparizione di Nara cagionò nel pubblico una profonda sensazione, che subito trascese in entusiasmo. Nara non era soltanto bella da inebriare; ma ballava come poche celebrità sapevano ballare: il suo corpo si piegava mollemente, i suoi piedini parevano sollevarsi dal suolo, e nelle sue mosse, nei suoi abbandoni v’era tanta grazia, nel suo sorriso tanta malìa, che gli applausi scoppiarono frenetici, insistenti, tanto che fino dal primo giro ch’ella fece sopra sè stessa, si volle la replica.
Anche nel palco dov’era Guido, Nara avea suscitato in tutti un vero delirio.
—.... è sorprendente,... è sublime.
— Io sarei capace di dannarmi, per lei!
— Tutti i miei tesori per un bacio da quelle labbra!
— Il mio cavallo favorito per un suo sguardo! —
Ed applaudivano con furore.
Guido solo rimaneva, all'apparenza, freddo, insensibile. Ma la vista di Nara aveva prodotto nella sua anima una potente impressione, che i discorsi degli amici finirono d’aumentare. Qual gloria per lui, se in faccia a tutti coloro che si sarebbero dannati per quella creatura, avesse mostrato che gli sarebbe bastato un gesto, uno sguardo,... perchè quella donna così bella, così indifferente a tanti omaggi, sarebbe a lui appartenuta!
Proprio in quel punto, lo sguardo di Nara s'incrociò col suo. Allora avvenne come un colpo di scena. La ballerina vacillò, diè un grido, stese la braccia verso la direzione del palco di Guido, e cadde svenuta.
Tutto questo avvenne in così breve tempo, che il pubblico se ne accòrse solo quando vide venire dalle quinte una quantità di gente per sollevare la bella svenuta.
Allora si fece un vivo movimento nel pubblico affollato. Dai palchi, la gente si sporgeva fuori, in platea si erano alzati tutti in piedi. Nel palco di proscenio si rideva, s’interpretava in mille guise l'improvviso svenimento della leggiadra creatura.
Guido si era eclissato.
Il ballo, interrotto per un istante, fu ripreso, perchè il direttore di scena venne ad annunziare che la ballerina sarebbe in breve ricomparsa; aveva avuto una lieve mancanza. Difatti di lì a poco riapparve più bella che mai, e allora dalle file compatte degli spettatori, uscì un applauso fragoroso, che rintronò per tutto il teatro.
Nara ringraziò commossa, ma i suoi sguardi si riportarono tosto al palco di proscenio. Ella impallidì vedendo che il conte Rambaldi non vi era più, ma nessuno si accòrse del pallore di lei, dei suoi brividi. Ella danzò con una specie di febbre, ed il suo trionfo di ballerina e di donna fu completo.
Appena finito il ballo, Nara, senza spogliarsi, si avvolse in un ampio mantello di pelliccia, e seguìta da una fida cameriera, uscì dal teatro dalla porta degli attori.
Molti giovani erano ad aspettarla per vederla da vicino, prima che montasse in carrozza.
Ella si tirò il cappuccio sugli occhi e mentre metteva il piede sul predellino della vettura, mancò poco non mandasse un grido soffocato e non cadesse sul selciato della strada. Nell'interno della carrozza v’era il conte Guido.
Nara fece violenza su sè stessa, salì, sedette presso di lui, e poi fece salire la cameriera, stringendole la mano per avvertirla e raccomandarle il silenzio.
Ma appena la carrozza si slanciò di corsa, Nara prese vivamente una mano di Guido.
— Voi.... voi qui.... signore?
— Io, Nara,... che non sapevo come parlarvi, come mostrarvi il dispiacere, che mi ha procurato il vostro improvviso svenimento. Perdonate il mio ardire....
— Oh! signore.... non parlate così: non avete voi arrischiato un giorno la vostra vita per me? Ah! se io mi sono svenuta, voi solo sapete il perchè: era l'emozione di vedervi dopo tanto tempo che non ho saputo nulla di voi, per quante ricerche io abbia fatte. —
Il cuore di Guido palpitò.
— Voi avete ricercato di me, Nara?
— Oh! sì.... — rispose ella con voce debole e tremante — ero presente quando vi batteste col duca, vi vidi cadere a terra ferito.
— Voi.... voi.... eravate là!?
— Sì, io.... vedete, se voi foste morto, io sarei morta con voi! — esclamò con ingenuità — ma il chirurgo assicurò che la vostra ferita era leggiera.
— Infatti il giorno stesso, potei partire per Firenze.
— Fu per questo che io vi ho cercato inutilmente per tutta Parigi,... e che il marchese di Chârtre si rideva di me. —
Un lampo brillò negli occhi della ballerina, lampo sinistro, che Guido non poté osservare.
Il giovane conte capiva che la sua condotta non era delle più lodevoli, capiva che aveva fatto male a seguire quella donna, si ricordava le parole del marchese, ma ormai l'orgoglio di vincerla su tutti gli altri, il fàscino che emanava da quella leggiadra creatura, tutto si era riunito per sconvolgergli il cervello, per fargli dimenticare che a casa, in quell'istante stesso, una donna pura, una donna casta, tutta sua, sognava di lui, faceva mille disegni sull'avvenire.
La carrozza si fermò dinanzi alla casa dove Nara abitava. Ella salì con Guido, e appena entrata nel suo gabinetto, congedò la cameriera, e gettando il mantello e il cappuccio da un lato, si mostrò a Guido nel provocante costume che aveva in teatro, all'ultima scena del ballo.
Ma in quel gabinetto, illuminato da una luce blanda, misteriosa, la giovine acquistava mille seduzioni che sulla scena non aveva. La maglia color carnicino faceva spiccare il contorno delle sue gambe modellate stupendamente: le sue braccia, il suo petto nudo, sembravano ancor più sorprendenti sotto il contrasto del suo corsetto di seta rossa e argento. Nella splendida capigliatura nera, era intrecciato un semplice ramo di mughetti: i suoi occhi brillavano più dei brillanti ch’ella portava agli orecchi.
Guido sentiva il sangue salire a fiotti al cervello.
— Voi cenerete con me, — disse Nara con un sorriso inebriante.
Guido, incapace di proferire parola, accennò di sì col capo.
Nara suonò con violenza il campanello.
— Stanotte ceno in questo gabinetto, — disse alla cameriera accorsa — cinque minuti di tempo per preparare ogni cosa! —
E mentre la cameriera usciva:
— Io intanto,... se permettete andrò a vestirmi.
— No, rimanete così,... siete tanto bella! — esclamò Guido.
Nelle pupille languide di Nara. brillò un raggio di contento: i palpiti del suo cuore, le sollevavano a sbalzi il petto.
Ella si sdraiò sulla pelle di tigre che v’era presso l'ottomana, dove Guido si era seduto, e rivolse su di lui le pupille languide, umide, tendendogli le mani, che egli strinse fra le sue.
— Chi me l'avrebbe detto, — esclamò Nara — che avrei avuto a Firenze tanta felicità! Vi ho ricercato tanto, Guido! —
Bisognava essere stupidi per non comprendere la passione ardente, che si covava nell'animo di quell'ammaliante creatura; bisognava esser folli per respingerla.
Guido non era nè l'uno, nè l'altro: quella donna gli dava le vertigini, quella donna l'ammaliava. Egli subiva l'impero di tante attrattive, e tutto il suo essere si slanciava verso l'incantatrice ballerina, che gli poneva nel cuore de’ fremiti ignoti.
L'immagine di Clara impallidiva al confronto di quell'ardente creatura.
L'amore timido, pudico, della giovane contessa, si ritraeva dinanzi alla passione fulminante di Nara.
Presto la cena fu pronta; i due giovani vi fecero onore. Tuffarono insieme le labbra nello stesso bicchiere, ed i vini e i liquori, di cui entrambi abusarono, finirono per dar loro l'ebbrezza, per far dimenticare a Guido ogni altra creatura che non fosse quella che gli stava dinanzi.
— Tu mi ami, Nara.... mi ami....? — mormorò.
— Se ti amo?... Ma dal primo momento che ti vidi, la mia anima fu tua.... Malgrado la vita agitata che ho finora condotto, il mio corpo è puro come quello della fanciulla, che non si stacca mai dal fianco della madre, che è protetta da un'affezione santa e leale. Si è che io giurai a me stessa di non cedere che all'uomo che avessi amato, di non appartenere che a colui a cui avrei dato tutto il mio cuore. E quest'uomo sei tu! Io sono tua, Guido, tua.... perchè ti amo, ti amerò sempre!... —