Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Carolina Invernizio Il bacio d'una morta IntraText CT - Lettura del testo |
XVIII.
Nara trionfava!
Oramai quella triste creatura si era impossessata intieramente dell'anima di Guido, e l’aveva fatto suo schiavo.
Se ella gli avesse ordinato di commettere un delitto, non avrebbe esitato. E qual delitto sarebbe stato più grande di accusare una donna intemerata, dinanzi alla quale anche un angelo si sarebbe inginocchiato!
Ma Nara voleva regnar sola: senza conoscere Clara l'odiava, ed aveva giurata la perdita di lei.
Ella si era servita di un vile domestico. Da costui aveva saputo come la moglie di Guido era di una bellezza ammirabile, e come tutti l'adoravano.
— Ma io la so più lunga, sul conto di lei.... — aveva aggiunto il domestico.
Queste parole furono per Nara un lampo di luce.
Ella capì che quel servo possedeva un segreto da tutti ignorato, un segreto il cui possesso l'avrebbe vendicata della donna che odiava, e le avrebbe dato in piena balìa Guido.
— Quanto vuoi, — aveva detto al servo — per vendermi il tuo segreto?
— Ma io voglio bene alla mia padrona, — aveva risposto con aria ipocrita l'infame.
Nara impallidì.
— Sei dunque suo complice?
— Oh! questo poi, no!
— Non ti preme l'onore del tuo padrone? —
Il servo ebbe uno strano sorriso, un sorriso quasi insultante per Nara.
Il di lei occhio s'infiammò.
— Ascoltami: — diss'ella — se tu rifiuti di servirmi, appena torna Guido gli dico che tu, abbietto servo, hai avuto il coraggio di violentarmi. —
Il cameriere divenne livido, perchè comprese che quella donna era capace di tutto.
Egli non rispose.
— E ti faccio scacciare, intendi.... scacciare su due piedi, mentre se tu mi aiuti, una parte dell'oro che mi passa fra le mani, sarà tuo.
— Comandatemi, ed io ubbidirò, — disse il tristo, quasi supplichevole.
— Io voglio sbarazzarmi della contessa.
— E sia.
— Dimmi, dunque, quello che Guido ignora. —
Il domestico raccontò l'incontro di Alfonso e Clara, l'emozione dei due giovani, i furtivi baci scambiatisi.
Nara ascoltava col seno fremente, le nari dilatate.
— Ah! quella donna così pura, quella nobile contessa, ha dunque un amante?
— Sì.
— Ed è bello?
— Giovanissimo, biondo, un viso da fanciulla, una timidezza da collegiale.
— Come si chiama?
— Alfonso.
— Si vedono spesso?
— Da quel giorno che li sorpresi, non li ho più visti: egli deve esser fuori d'Italia.
— Ed allora come fare? — esclamò.
Nara batteva i piedi.
Il domestico sorrise.
— Se non si vedono, si scrivono, e le lettere vengono indirizzate alla governante della contessa.
— Come lo sai?
— Ho sorpreso un giorno la vecchia, che faceva passare un foglio alla padrona.
— Sai tu dove nasconde le lettere?
— In un cofanetto che ha in camera sua.
— Ebbene, se tu sei capace di portarmi una di quelle lettere, te la pago mille franchi.
— Mi proverò. —
Il giorno dopo, il domestico si presentava trionfante colla lettera rubata.
Nara l'aprì con mano convulsa, e, quando l'ebbe letta, un infernale sorriso le passò sulle labbra.
La lettera diceva:
« Mia adorata Clara,
«Da lungo tempo non ho tue nuove, e sono inquieto, agitato.
«Lontano da te, la mia vita scorre triste, ed il mio sogno sarebbe quello di volare fra le tue braccia, di ricominciare la vita inebriante, condotta per tanti mesi.
«Ti ricordi, mia Clara adorata, di quei nostri colloquî segreti in cui l'anima si espandeva tutta intiera, di quei convegni furtivi, da innamorati?
«O mia diletta, nei miei studî ho potuto conoscere come la natura umana sia fragile, ingombra di meschine passioni; ma vi sono altresì degli affetti sublimi, incancellabili, che il tempo non fa che aumentare, la lontananza li accresce, li raddoppia.
«Questa fiamma casta, divina, eterea, è quella che io provo per te, mia adorata Clara. Nei miei sogni di fanciullo e poeta, io vedo la tua dolce immagine aleggiare dinanzi a me, io aspiro il profumo inebriante dei tuoi capelli, l'alito delizioso delle tue labbra di rose.
«Non dimentico quanto io ti costai, quanto facesti per me; se io sono qualcosa, se ho diritto di parlare della mia felicità, è perchè a te la debbo, mia Clara.
«Essere amato da te, potere un giorno vivere a te vicino, è questa la mia aspirazione più grande; nella mia solitudine, nel mio lavoro, è sempre la tua immagine che mi sorride e mi dà coraggio.
«Fra pochi giorni, Clara, io sarò a Madrid, raccomandato ad una famiglia di negozianti, che dicono persone assai buone ed oneste. La carriera che ho scelta, mi piace assai; era proprio questa la mia vocazione, e tu l'indovinasti, Clara mia.
«Scrivimi, scrivimi a lungo, parlami di te, della tua creatura che desideri mi somigli, alla quale metterai il mio nome.
«Spero di venir presto a passare qualche tempo con te: ti avvertirò, ma che nessuno lo sappia, perchè il tuo Guido non debba mai sospettare della mia esistenza.
«Non pronunziare mai in faccia agli altri il mio nome. Basta che tu l'abbia scritto nel tuo cuore, come il tuo è scritto nel mio.
«Ti bacio mille volte e ti prego di nuovo, mia Clara adorata, a rispondere subito al tuo, in eterno affezionato
«Alfonso.»
Questa era la lettera che il cameriere aveva rubata e che noi vedemmo in mano a Guido.
E quella lettera, per chi non conosceva il mistero della nascita di Alfonso, era una vera condanna per Clara. Chi non l'avrebbe creduta colpevole?
Povera ingenua creatura, che credeva bastasse una sola parola per togliere ogni sospetto! Ella non conosceva ancora il mondo, non sapeva quanto fosse maligno nei suoi giudizî, non sapeva che la menzogna è creduta più della verità! Tutti gli uomini hanno dunque una maschera d'ipocrisia sul volto?
Quando Guido entrò nel suo gabinetto, dove il domestico aveva introdotta Nara, era vivamente contrariato e una sorda collera gli bolliva in petto.
— Voi qui? — diss'egli — voi, Nara? —
La ballerina aveva un'aria triste, e i suoi occhi rossi parevano aver versate molte lacrime.
— Io, sì.... — rispose — che temevo per te, Guido.... Ah! sono ben colpevole!
— Perchè?
— Per averti consegnata quella lettera fatale, che tu mi sorprendesti a leggere, e che mi rapisti. Ah! la tua collera mi fece spavento, e quando ti vidi correr via furibondo, credetti di divenir pazza! Feci allora attaccar subito la carrozza, ed eccomi qui. —
Ella finse di barcollare: Guido la sostenne, e l'ammaliatrice creatura rovesciò il suo capo sulla spalla di lui, fissandolo coi suoi occhi umidi, velati, morenti, mentre la sua bocca, esalando un infocato sospiro, scopriva lo smalto dei suoi denti, piccoli, bianchi, profumati, come quelli di un fanciullo.
Guido ne fu affascinato.
— Sei bella, Nara, sei bella, ed io ti amo!... — mormorò.
La giovane si sciolse dalla stretta di lui, e come se si fosse rimproverata di aver ceduto ad un impeto involontario, gli disse:
— Lasciami, lasciami, tu dimentichi che tua moglie potrebbe venir qui? —
Guido lasciò sfuggire un riso maligno, sardonico.
— Ebbene, venga; — gridò — non ha ella ricevuto l'amante in casa mia? Mentr’ero a letto, sofferente per la ferita, non si consolava fra le braccia di un altro? Che m'importa dunque di lei? —
Nara abbassò gli occhi con ipocrisia.
— E se la contessa fosse innocente?
— Non hai tu stessa letta la lettera di quell'Alfonso? E tu la difendi? No, ella non lo merita, io la scaccerò da questa casa, che contamina colla sua presenza. —
Nara aveva presa un'affettata serietà. Seduta su di una ottomana, invitò Guido a sederle vicino, e con voce che si sforzava di sembrar commossa, disse:
— Ascoltami, Guido, non precipitiamo le cose, e soprattutto cerca di evitare lo scandalo. Infine tu non hai altra prova della colpa di tua moglie che questa lettera; ora l'amante è lontano e forse non tornerà tanto presto. Se dunque tu eseguisci le tue minacce, il mondo darebbe la colpa a te, perchè il mondo conosce la nostra relazione, ritiene tua moglie per una santa, e scaglierebbe anche su di me il suo anatema. —
Guido la strinse fra le braccia.
— Tu, mio angelo?... tu che mi ami tanto.... Ah! guai chi osasse sparlare di te. —
E coll'occhio e le guance in fiamme, Guido baciava e ribaciava l'infernale creatura, che fingeva di sottrarsi a quegli amplessi.
— Lasciami finire, Guido.... lasciami dire quello che io voglio da te.
— Comanda!
— Tu non dirai più una sola parola a tua moglie, ma fino da stasera dividerete il vostro appartamento.
— Questo l'ho fatto da un pezzo.
— Oh! se tu non avessi moglie, Guido, — sospirò Nara.
— Ebbene?
— Come saremmo felici, amico mio, non ci lasceremmo mai, mai più! Io sono stanca della vita d’artista che conduco, e vorrei passare tutta la mia esistenza ai tuoi piedi.
— Oh, Nara!
— Ma non ne parliamo, è un sogno.
— E perchè? Forse che non possiamo vivere insieme, anche vivendo mia moglie?
— Oh! non è la stessa cosa: volere o no, difaccia al mondo sei il marito di lei, ed io sono sempre la donna.... la tua amante.
— Ah! non una parola di più, o mi farai impazzire;... tu che meriteresti di essere adorata, come una santa, mentre colei....
— Via, Guido, calmati, tu hai promesso d'ubbidirmi.
— E ti obbedirò!
— Devi essere il mio schiavo!
— Le tue catene mi saranno sempre dolci.
— Ebbene, io comando e voglio che tu non faccia più alcuna allusione di quella lettera a tua moglie. Tua moglie è ricca molto?
— Ha di suo una sostanza di tre milioni. —
Nara trasalì.
— E questa sostanza andrà tutta a tua figlia?
— Mia figlia? Nara, te ne prego, non parlarmi di mia figlia, perchè il sangue mi va di nuovo alla testa. Non capisci che mia moglie ha messo a quella creatura il nome del suo amante? —
Nara fece un gesto di ribrezzo; poi, dopo un minuto di riflessione:
— Ascoltami: — disse — ora tu verrai con me; ho diverse cose da dirti, e qui non mi sembra di esser sicura. —
Nara non poté continuare.
In quel momento il cameriere aveva alzata la portiera. Guido si mosse con impeto.
— Chi ti ha detto di venire? Che vuoi?
— Domando perdono al signor conte, ma credo bene avvisarla che la signora sta molto male. —
Un tremito impercettibile scosse le membra di Guido.
— Che cos'ha? Che gli è accaduto? Avete chiamato il dottore?
— Sì, signor conte. La cameriera, entrata in camera della signora contessa, l’ha trovata stesa sul tappeto, svenuta. Ha chiesto subito soccorso: la signora contessa fu messa a letto, ma, nonostante le abbian fatto respirare delle essenze e che le abbiano bagnate le tempie con dell'aceto, non è stato possibile di farla rinvenire. Se il cuore della signora non battesse, la si direbbe morta. —
Guido si drizzò in piedi come galvanizzato. Il sangue gli corse alla faccia ed al cervello.
— Vengo, — disse brevemente — uscite! —
Il domestico ubbidì.
Guido si volse per guardare la ballerina, ma questa era già caduta in ginocchio e singhiozzava, balbettando:
— Perdono, perdono! —
Guido fece l'atto di rialzarla.
— Perdono? — esclamò — ma che cosa ho da perdonarti?
— Sono io che ti ho dato quella lettera.
— Hai fatto il tuo dovere.
— Ma tua moglie....
— Non parlarmi di lei.
— No, povera donna, no, io voglio anzi che tu vada subito al suo letto, anch'io.... —
A queste parole, Guido si scosse, e restò un momento pensoso.
Per quanto la passione per Nara lo rendesse cieco, pazzo, per quanto credesse colpevole Clara, capiva però istintivamente che la presenza della ballerina, sarebbe stato il massimo degli oltraggi. Pure non osava darle un rifiuto.
Nara si era alzata, e fissava sul giovane uno sguardo penetrante.
Guido risentiva una specie di angoscia.
— Resta qui, — balbettò — torno subito, te lo prometto.
— Ah! capisco: io sono indegna di varcare la soglia di quella stanza; io, la tua amante, non posso subire il contatto di una creatura come la contessa Rambaldi.
— Taci! — ripeté Guido con voce convulsa, mentre le pupille di Nara brillavano di un fuoco crudele — tu capisci che quello che faccio non è per riguardo a mia moglie, ma per gli altri.
— Ah! ti vergogni dei tuoi servitori? temi di perdere la tua dignità in faccia a loro?
— Nara, — strillò Guido con stupore ed amarezza — sei tu che mi parli così? Che m'importa dei servi, di tutti, quando io ti stimo, ti adoro!
— Ebbene, perchè mi rifiuti l'ingresso nella camera di tua moglie? Non temere, io non mi farò veder da lei; appena aprirà gli occhi, io sarò sparita.
— Allora vieni, vieni, Nara! — esclamò il giovane alzando vivamente la portiera per far passare l'amante.
Quando entrarono in camera della contessa, questa non era ancora rinvenuta. Al suo capezzale stava la cameriera, passandole lievemente sulla fronte un fazzoletto bagnato.
A pochi passi del letto, si vedeva la culla di Lilia, un nido di colomba, imbottito di raso bianco, coperto di trine, dove la bambina continuava a dormire il sonno tranquillo dell'innocenza.
Il viso di Clara ispirava una profonda sensazione. Il pallore marmoreo delle sue guance si confondeva colla bianchezza nivea dei merletti, che le guarnivano la veste da camera, che non le era stata tolta.
Aveva gli occhi chiusi, la bocca stretta convulsamente, i capelli sparsi in disordine sull'origliere. Il servitore aveva ragione; senza i lievi bàttiti del cuore, quella donna si sarebbe creduta morta.
Guido, suo malgrado, si sentiva il cuore stretto. Un sordo terrore turbava la sua coscienza, la memoria dei giorni felici, passati accanto alla moglie, gli tornavano alla memoria. E ricordava il racconto del marchese di Chârtre sulla ballerina.
— Nara è il dèmone; — gli sussurrava la voce dell'amico — tua moglie è sempre l'angelo puro che conoscesti! —
Guido scosse bruscamente la testa per scacciare un pensiero importuno, e voltosi alla governante, che all'entrata di lui e di Nara aveva indietreggiato dal letto quasi indignata, esclamò:
— Non viene dunque questo medico?
— Non sembra, signor conte, — rispose seriamente la governante. — Eppure il caso è urgente, e la contessa potrebbe morire. —
Guido si strinse nelle spalle.
— Meno osservazioni, — gridò — andate là ad aspettare il dottore, qui non vi è più bisogno di voi. —
La governante gettò uno sguardo di freddo disprezzo al conte ed a Nara, ed uscì a testa alta, senza dire una parola.
Ma quel silenzio valeva più di un eloquente discorso.
Guido capì l'insulto, ma non poté parlare, perchè la voce gli soffocava in gola, e quello sguardo di disprezzo gli mise i brividi nelle vene.
Nara non si accòrse di quella scena muta, perchè nascosta fra le cortine dell'alcova, divorava, cogli occhi ardenti, la dolce ed angelica figura di Clara, e si mordeva le labbra fino a sangue.
— Più bella di me; — pensava — sì, più bella.... Ah! io l'odio, costei, l'odio e non mi basta la mia vendetta, la voglio morta! —
Guido non osava guardare la svenuta; si avvicinò invece alla culla, e sollevò il velo che copriva la bambina.
Lilia aveva gli occhioni aperti, e agitava le dita.
Quando vide il babbo sorrise, ed un grido di gioia le uscì dalle labbra; ed i suoi piccoli braccini si agitarono, come se avesse voluto che egli la prendesse.
Guido, pallido come le trine che guarnivano la culla della fanciullina, osservava avidamente quei piccoli tratti innocenti.
— Ella assomiglia a sua madre; — pensava — ma sarà mia figlia?... —
La bambina pareva comprenderlo, perchè continuava a sorridere, a smuovere le manine, e con quel muto linguaggio, pareva che gli dicesse:
— Sì, babbo, io sono la tua piccola Lilia. Perchè non mi prendi fra le braccia?... perchè non mi baci? —
Il giovane conte non poté resistere a quei vezzi infantili. Egli sollevò la bambina, che pareva infatti conoscere il babbo, perchè gli si avvinse tosto sul petto e cacciò le manine sul viso di lui.
Guido la baciò con trasporto.
Nara vide l'atto, divenne livida. Si sarebbe slanciata su di lui, avrebbe presa quella bambina, e l’avrebbe schiacciata sotto i suoi piedi, ma si contentò di avvicinarsi.
Lilia vide quella bruna testa di donna, così diversa dal viso della sua mamma, capì per istinto che era un’estranea, una intrusa, e appena la mano di Nara si allungò per toccarla, Lilia diè uno strillo acuto e parve aggrapparsi al collo del padre, per cercare una difesa.
Nara rimase immobile, livida di collera.
In quel momento entrava il dottore colla governante.
La bambina continuava a piangere.
— Prendetela, portatela via, — disse Guido alla governante, che eseguì l'ordine senza proferir parola.
Intanto il medico si era avvicinato al letto, ed esaminava attentamente la svenuta.
— La signora contessa deve aver provata una forte emozione, — disse un momento dopo, rialzandosi, e guardando fissamente Guido.
Il giovane trasalì.
— Non lo so, ma non credo, — rispose.
Il dottore parve volesse coi suoi sguardi penetrare fino in fondo al cuore di Guido.
— Scusate la mia domanda, — riprese — ma siccome lo stato della signora contessa mi sembra molto grave, così desidero avere un indizio qualunque, per accertarmi se questa sincope, che temo mortale, sia l’effetto di un'emozione fortissima, oppure sia accaduta naturalmente. —
Un gelido sudore inondava le tempie di Guido.
— Vi è pericolo? — mormorò con voce sorda.
— Non ve lo nascondo.
— Salvatela, dottore, salvatela.
— State certo che, per quanto sta in me, non lascerò nulla di intentato. —
Così dicendo, aveva posato la mano sulla fronte gelida di Clara, ed il suo viso si oscurava.
— Ve ne prego, signor conte, mandatemi qui la governante, ho bisogno di una donna. —
Nara si avanzò.
— Posso servirvi io, signore, — disse.
Il dottore si rivolse, guardò la ballerina e la riconobbe. Allora le sue labbra s'incresparono con un movimento di disprezzo, e i suoi occhi, posandosi sul conte, gli fecero comprendere che aveva tutto indovinato.
— Vi ringrazio, — rispose con voce ferma — ma desidero la governante, e pregherei il conte, e voi, signora, di lasciarmi solo con lei. —
A Nara passò un lampo feroce negli occhi; Guido alzò alteramente la testa.
— Io non mi muoverò di qui, — disse.
— Vi preme dunque che la contessa muoia, — disse lentamente il dottore, con un sorriso sardonico.
Guido volse su di lui uno sguardo furibondo, che il medico sostenne, senza scomporsi.
— Vi ripeto, signor conte, mandatemi la governante. —
Guido capì che non era il caso d'insistere, e uscì con vergogna dalla stanza, facendo cenno a Nara di seguirlo.
La ballerina uscì, ma i suoi occhi, iniettati di sangue, pareva volessero annientare il dottore.
— Me la pagherà anche lui! — mormorò.
Appena la portiera cadde dietro di loro, il viso del dottore si fece commosso; una lacrima gli brillò negli occhi.
— Povera e santa creatura, — pensò, guardando la giovane svenuta — ora capisco tutto: il conte è un vile, e quella donna è un'infame: ma io ti salverò. —
E, senz'altro, trasse di tasca una scatoletta piena di ampolline, ne tolse una che aveva il tappo smerigliato, la sturò, e bagnato il lembo di un fazzoletto con alcune gocce del rosso liquido contenuto nella boccetta, lo pose sotto le narici di Clara.
Dopo alcuni minuti, la giovane contessa, che sembrava morta, provò un fremito per tutto il corpo, ed esalò un sospiro.
Un raggio di gioia passò sulla fronte del medico.
In quel mentre entrava la governante colla bambina fra le braccia.
— Ebbene, dottore?
— Ella è salva.
— Grazie, mio Dio, grazie! —
E volgendosi verso l'uscio col pugno chiuso:
— Sono loro che volevano ucciderla! — esclamò.
— Che è stato dunque?
— Non so, il conte ebbe a dire qualche cosa con la signora contessa, io sentivo le loro voci dalla mia stanza, quando il cameriere entrò per annunziare la visita di quella donna, m'intende....
— Sì, v'intendo, poveretta.
— Il conte ordinò d'introdurla nel salotto, ed era appena uscito dalla camera della signora, che entrai io.... La contessa era distesa presso la culla di sua figlia nello stato in cui l’avete veduta ora, ed invano io tentai di richiamarla alla vita.
— Il suo stato è grave, ma io la salverò. Ricordatevi di non lasciar entrare qui nessuno, fino a che la contessa non sia ristabilita.
— Non dubitate, signor dottore; eppoi essi, state certo, non verranno più. —
Si udiva uno scalpitìo di cavalli nel cortile. La governante andò a sollevare un lembo della cortina di seta dell'ampia finestra e giunse proprio nel momento di veder entrare nel coupé della contessa, Guido e Nara.
— Gl'infami, — mormorò — se ne vanno insieme, mentre la disgraziata sta per morire. —
Ma, nel momento stesso, il dottore inumidì di nuovo il fazzoletto del liquido rosso, e lo passò sulla fronte della contessa, che mandò un sospiro di sollievo.
Clara aveva aperti gli occhi, ed aveva cercato di sollevarsi sul letto, ma non poté. Allora stese le mani supplichevoli verso il dottore, e con voce spenta:
— Mia figlia, datemi mia figlia, — mormorò.
La governante gliela pose subito fra le braccia.
Clara era ritornata alla vita, ma la sua fede era spezzata, il suo amore inabissato. La santa donna, che non aveva mai conosciuto nulla al mondo nè di raggiri, nè d'inganni, nè d'infamie, si abbandonava ad un profondo scoraggiamento.
Ella non volle discolparsi dell'infame accusa gettatale in volto dal conte; si chiuse in un perfetto silenzio, ed invano anche la governante riusciva a strapparle di bocca qualche parola.
Clara non aveva più baci e sorrisi che per sua figlia, la sua Lilia!
Come l'amava, come ringraziava Dio d'avergliela data! Quanti baci su quella testina bionda, su quel visino delicato, i cui lineamenti le ricordavano quelli di suo fratello Alfonso!
Dapprima la contessa aveva pensato di scrivere tutto al fratello, ma poi se ne ritenne.
— Se verrà un giorno che la mia creatura sia in pericolo, o ch’io mi senta mancare, allora gli scriverò tutto, perchè non voglio lasciare quest'angioletto nelle mani di suo padre: egli l'ucciderebbe. Ma che ho fatto io a quella donna, a quella Nara, per scagliarmi tanti colpi immeritati, crudeli? Non le basta di avermi tolto l'amore di Guido, la di lui stima? Ella vuol spingermi nell'abisso, forse vuol togliermi mia figlia, l'amor mio? ma io la difenderò con tutte le forze, e guai a colei, se osasse toccare la mia Lilia! —
La contessa era diventata in poco tempo l'ombra di sè stessa, e non si muoveva quasi mai dal suo quartiere, dove si era ritirata colla figlia.
In tutto il personale della famiglia ferveva intanto una specie di ambascia, che teneva gli animi perplessi, profondamente impressionati e confusi. Tutti conoscevano quanta potenza avesse Nara sul padrone, e l'accusa da questi lanciata sulla nobile contessa. No, nessuno credeva alla colpa di Clara: il conte solo era colpevole.
Il dottore, che aveva mostrata molta pietà per la contessa, era stato licenziato; la governante era morta repentinamente per dolori intestinali dopo un pranzo fatto fra i servi, in onore della festa della contessa, pranzo a cui presiedeva il servo traditore, quell'infame che aveva tradita la padrona, ma che nessuno avrebbe pensato ad accusare, perchè lo sapevano l'occhio destro del padrone, e avevano il timore di essere per causa di lui licenziati!
Così la povera Clara si trovava sempre più isolata colla sua bambina, e quell'isolamento aveva finito per spaventarla, per mostrarle l'avvenire sotto i più foschi colori.
Anche Alfonso pareva che avesse dimenticata la sorella. Le aveva scritto da Madrid una lunga lettera, raccontandole le peripezie del viaggio, l'accoglienza del negoziante, e parlava con trasporto dell'unica figlia di questi, di nome Ines, e che dicevano la perla di Madrid.
Clara aveva sorriso dolcemente all'entusiasmo del fratello, ed aveva compreso come il cuore del giovane fosse stato tocco dalla prima scintilla d'amore.
— Che egli sia felice, come è buono! — mormorava. — Io ho fiducia nelle qualità del suo cuore, nè ho diritto di dubitare che egli non sia per la giovine che avrà scelto, quale deve essere l'uomo d'onore. Sì, la fanciulla che Alfonso amerà, sarà immensamente felice. —
Poi il fratello era rimasto lungo tempo senza dare sue nuove; forse le lettere erano andate smarrite.
Intanto Guido, sempre più traviato da Nara, aveva perduto ogni riguardo verso la moglie adorabile, ed il suo palazzo, che avrebbe dovuto essere per lui un santuario, era diventato il teatro dei suoi piaceri, delle sue orgie. La contessa, dal proprio appartamento, sentiva ogni notte il cozzar dei bicchieri, le risa smodate, l'eco della musica e dei baci.
Nara provava tant'odio contro la bella ed innocente contessa, che avrebbe voluto farla morire ad oncia ad oncia, assaporando tutti i sospiri di lei, la sua lenta agonia.
Ma se il volto di Clara portava le tracce delle sofferenze interne, il suo sorriso ineffabile, la sua innata bontà non si smentivano mai!
Una notte, che sedeva presso la culla della bambina, la quale da pochi giorni si mostrava palliduccia, febbricitante, Guido entrò nella camera di lei senza farsi annunziare.
Egli barcollava, si capiva che era alquanto ubriaco; gli occhi aveva rossi, ardenti, amaro il sorriso, pallido il volto.
Clara, vedendolo, non poté a meno di provare un sentimento di disgusto, di collera concentrata; ma pensando a sua figlia si fece a lui dinanzi, frapponendo il suo corpo come una barriera della piccola culla.
— Che desiderate, signore? — diss'ella freddamente.
— Ah! ah! signore.... mi chiama signore, — gridò.
Clara impallidì maggiormente.
— Parlate piano, mia figlia riposa: venite nel salotto.
— No, voglio rimaner qui! — balbettò Guido. —
Si lasciò cadere sopra una seggiola e restò per un momento cogli occhi fissi, quasi vitrei, balbettando fra sè:
— Che mi ha detto Nara? Non lo ricordo più. Che cosa sono venuto a far qui?... Ah! sì, ecco il foglio. —
E trasse da una tasca del soprabito un foglio che spiegò, mentre Clara, pallida, affranta, stava in piedi dinanzi a lui.
— Ecco, — diss'egli continuando a balbettare — voi dovete firmare qui, in fondo, poi vi lascio subito, non temete, non voglio disturbarvi, di là mi aspettano. —
Clara, disgustata, ma sempre temendo per sua figlia, prese il foglio e vi gettò un'occhiata. Era la cessione di una parte dei suoi beni a favore di Guido.
La giovine contessa ne fu indignata.
— Non firmerò mai questo foglio, — disse — la mia sostanza mi appartiene, e ne serbo la metà a mia figlia e l'altra a mio fratello. —
Guido fu preso da un accesso di rabbia, che parve far svanire in lui i fumi dell'ubriachezza.
— Voi firmerete, — gridò — io lo voglio, Nara lo vuole.
— Chi è questa Nara che qui comanda? — disse la contessa pallida d'indignazione.
La portiera della camera si sollevò improvvisamente e comparve la ballerina. Ella vestiva un soprabito chiaro con dei ricchi ricami, che le scendeva quasi fino ai piedi e le celava una sottana di seta nera; in testa portava un cappello ornato di fiori e di piume, e il suo volto rivelava una impudica sensualità.
— Nara sono io! — disse, fissando il suo occhio pieno d'odio sulla contessa, che a tutta prima rimase come fulminata, stringendosi presso la culla di sua figlia.
Guido, che risentiva gli effetti del vino, era caduto, ridendo, su di una seggiola.
— Ah! ah! — disse sghignazzando — che scena di effetto,... eccole alle prese.
— Sì; Nara sono io! — ripeté di nuovo la ballerina, avanzandosi di alcuni passi — io, la padrona di questa casa, del cuore di Guido, io che, presto o tardi, sarò sua moglie. —
La contessa, bianca come i veli che circondavano la culla di sua figlia, avrebbe fatto pietà alle pietre.
Ella si portò due o tre volte senz’accorgersene le mani alla fronte, balbettando:
— Sogno o divento pazza?
— No, bella mia, siamo in piena ragione! — esclamò la ballerina. — A te dunque è permesso aver degli amanti, e vorresti che tuo marito facesse l'anacoreta! Tienti il tuo Alfonso, io mi tengo il mio Guido, e guai se me lo tocchi! —
Il conte rideva a gola aperta a quelle frasi ignobili, impudenti; pur tuttavia finse di rivoltarsi contro la ballerina.
— Nara, Nara, sono crudeli le tue parole.
— Lascia fare, bello mio, — diss'ella con insolente disdegno — la tua virtuosa moglie, ha bisogno di una lezione. —
La contessa pallida e terribile stese il braccio.
— Uscite, uscite subito, — disse — o vi faccio gettar fuori dai miei servi.
— I tuoi servi! i tuoi servi? Ah! ah! ah! i tuoi servi ubbidiscono a me, intendi? —
La contessa sentiva stringersi le tempie da un cerchio di fuoco.
Guido si alzò barcollando, e si avvicinò a lei.
— Andiamo, mie colombe, ora basta: tu, Clara, firma qui sotto, e ti lasceremo in pace.
— Indietro, signore, indietro!
— Firma, ti dico.
— No, mai!
— Ah! ah! la prendi su questo tono?... Nara, aiutami.... le toglieremo la piccina. —
Un grido straziante uscì dalle labbra della contessa, ella fece per slanciarsi sul marito come una leonessa ferita.
— Indietro, infame, indietro! —
Guido suo malgrado retrocesse, mentre Nara faceva un passo avanti.
Ma Clara, con quanta forza le dava il suo amor materno, sollevò una seggiola.
— Il primo che si avvicina, — disse con una calma orribile — gli spacco la testa.
— Firma, — disse con voce rauca Guido — o giuro a Dio, che tua figlia la faccio in pezzi!
Lilia si era svegliata e chiamava piangendo la mamma.
Era una scena straziante, orribile.
La povera signora era esausta di forze.
— Date qua, — disse — datemi quel foglio, firmerò;… ma levatevi subito dalla mia presenza. —
Guido e Nara avevano vinto.
Quando la contessa ebbe firmato, essi fecero per uscire dalla stanza.
— Quella donna è infame e vile insieme; — disse la contessa al marito — ma voi siete più vile di lei. Andate, e che Dio non vi punisca come meritate! —
Poi tornò presso la culla di sua figlia e sollevatala fra le braccia, mormorò fra sè:
— Bisogna fuggire, bisogna lasciare questa casa! Dio mio, che ho mai fatto per condannarmi a soffrir tanto? —
E scoppiò in un pianto dirotto.