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Carolina Invernizio
Il bacio d'una morta

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VI.

 

Non vi era dubbio. Guido si era pazzamente innamorato della Dama Nera, che gli ricordava sua moglie.

Cercò di raddoppiare di carezze, di premure con Nara, perchè l'infernale creatura non si accorgesse del suo cambiamento; e già pensava in cuor suo di sbarazzarsi di lei.

Un primo delitto ne trae sempre seco un secondo; come un tradimento, ne trae sempre molti altri!

Guido non aveva più scrupoli.

Ogni qual volta egli poteva sfuggire a Nara, correva al villino dei Campi Elisi e vi passava delle ore intiere, inebriandosi alla vista di Clara, che, se lo guardava alla sfuggita con affetto e se sospirava di quando in quando con soavità, difficilmente pronunziava una parola in presenza di lui.

Ciò metteva al colmo la passione di Guido.

Un giorno, che giunse alla palazzina più presto del solito, trovò Clara sola.

Ella sedeva su di una poltrona, vicino all'aperta finestra, che dava sul giardino.

Un raggio di sole rischiarava quel pallido volto che pareva quello di una statua.

Clara non ebbe la forza d'alzarsi quando Guido entrò e si avvicinò a lei, ma lo salutò con un sorriso e gli stese la mano che Guido si portò alle labbra.

Il contatto di quella mano gli fece un effetto stranissimo.

Gli parve di baciare la mano di una morta, tanto era fredda, e la fisonomia di Clara completava l'illusione.

In quel momento gli sembrò proprio di vedere sua moglie uscita dal sepolcro.

Chiuse gli occhi abbacinato.

Quando li riaprì, vide Clara che sorrideva di un sorriso assai triste.

— Che avete, signore? — mormorò.

Il tono della voce di Clara risuonò nel cuore di Guido.

— Anche la voce somiglia alla sua; ma no, è un'illusione la mia! —

E si mise a ridere fra sè delle sue paure, dei suoi timori.

— Divento un fanciullo, — pensò — mia moglie da tre mesi è passata agli eterni riposi. — E a voce alta: — Non ho nulla signora; — rispose — ma mi sento triste, nel vedervi così pallida. Voi soffrite molto, per la perdita di vostro marito che forse adoravate. Oh! lui felice.... —

Clara fissò i suoi begli occhi sul viso di Guido.

— Forse vostra moglie non vi amava, signore? — chiese tranquillamente.

Il conte si scosse.

— Sì, oh! sì; ma parliamo di voi.

— Io ho ben poco da dirvi. Adoravo mio marito, è vero, eppure non è la sua morte che mi rende triste, è il pensiero che nulla mi resta di lui. Eppure io l'ho sognato di avere avuto una bella bambina, coi capelli d'oro, le sembianze d'angelo, una bambina che mi sorrideva e mi chiamava mamma; ma non è stato che un sogno.

— Però voi siete giovane, siete bella, potete ancora provare la felicità di essere sposa e madre. —

Clara scosse con tristezza il capo, ma il suo sguardo languido si fissò sul volto di Guido con una tale espressione, che egli sentì il sudore corrergli lungo la fronte e gli parve di venir meno.

— Ascoltatemi, — diss'egli — a voi piacciono molto i bambini, non è vero? —

Clara spalancò gli occhi; sul suo viso di marmo, corse un'ombra fugace di rossore.

— Oh! tanto, — disse — tanto!

— Ma se vi si offrisse una fanciulla non vostra, una bambina che non ha più madre, ditemi, l'amereste? —

Clara cercò di frenare i palpiti del suo cuore.

— Che volete dire? Non vi comprendo....

— Sentite! Pochi giorni fa vi dissi che mia moglie mi aveva lasciato solo al mondo: ebbene, v'ingannai. —

Clara non poté rispondere, perchè un nodo le serrava la gola.

— Io ho una bambina che è bella come un angiolo del paradiso.

— Oh! voi felice! —

Una nube oscurò la fronte di Guido.

— Non tanto felice, signora, perchè quella fanciulla mi ricorda una colpa, perchè io l'odio! —

Clara si era voltata di repente, livida, con lo sguardo fisso, gli occhi sbarrati.

— Voi odiate un'innocente?

— Non lo era sua madre.

— Ne aveste le prove?

— Le ebbi.

— L'avete colta in fallo?

— No, ma ho trovato una lettera che mi ha spiegato tutto.

— Ed ella confessò?

— No, mi giurò che quella lettera era di un fratello.

— E non l'avete creduta?

— No.

— Perchè?

— Perchè questo fratello non poteva esistere, perchè quando io le chiesi le prove della nascita di lui, ella non seppe mostrarmele. —

Clara chinò il capo sul petto.

— E voi, — disse — che all'apparenza sembrate così buono, fate espiare ad un'innocente una colpa che forse non è mai stata commessa? E se sua madre non avesse mentito? Se quella fanciulla fosse vostra figlia? —

I tristi sguardi della Dama Nera si fissarono tenacemente sul volto di lui.

Una specie di angoscia stringeva il cuore di Guido.

Forse ripeteva a sè stesso che Clara era innocente e che Nara era la sola colpevole. Invano cercava di ravvivare la sua collera contro la defunta; invano ripeteva:

— Lilia non è mia figlia; io non la riconosco; mi vendico su di lei del tradimento della madre. —

La coscienza gli rispondeva:

— Pazzo, disgraziato, assassino; tu solo sei il colpevole, e guai, guai a te! —

Guido era molto pallido, dalla fronte gli gocciolava il sudore e le mani gli tremavano convulsamente.

— Signore, — disse ad un tratto Clara, mentre i suoi occhi parevano supplicare — vorreste concedermi una grazia?

— Una grazia? Ma dovete ordinare; io sono vostro schiavo, felice di ubbidirvi. —

Uno strano sorriso increspò le labbra di Clara.

— Desidero di vedere vostra figlia! — disse.

Guido trasalì ed alzò la testa con vivacità.

— Se ciò può rendervi tranquilla, sono pronto ad andarvela a prendere.

— Verrò io con voi. —

Guido non si aspettava una tale proposta, e non seppe che cosa rispondere.

— Forse vi disturbo? — disse Clara dolcemente, e con uno sguardo anche più tenero.

Guido era così confuso, che continuava a rimaner muto.

Clara fece un gesto di sorpresa.

Allora il conte, reso incapace di riflettere, le prese una mano e portandola alle labbra con trasporto:

— Ah! perchè non vi ho conosciuta prima? — mormorò — quanto sono disgraziato! disgraziato ed infame! —

Il volto di Clara mostrò un'espressione ingenua di stupore.

— Perchè?

— Se sapeste, ma non posso dirvi tutto, nè voi potete venire da me; non me ne chiedete la ragione! La mia piccina, se la volete, ve la condurrò qui, ve la condurrò io stesso. Oh! Clara.... —

La contessa ritirò ad un tratto la mano, quasi spaventata.

— Clara? Qual nome avete pronunziato?

— Perdonatemi, in questo momento mi pareva di veder mia moglie, di cui voi sareste il ritratto perfetto, senza quei vostri bellissimi capelli neri. —

Un leggiero sorriso sfiorò le labbra della contessa.

Guido continuò:

— Dal primo giorno che vi ho visto non ho avuto più pace.

— Forse perchè somiglio alla vostra cara defunta? —

Guido non seppe rispondere.

Eppure la contessa diceva la verità.

Quella rassomiglianza, alla quale non pensava che con un invincibile orrore, era forse il più potente fàscino che l'attirava verso la Dama Nera.

Morta Clara per cagion sua, egli l'amava, come non l'aveva amata mai in vita, ed avrebbe commesso un nuovo delitto, e si sarebbe sbarazzato di Nara, la sola cagione di tutto. E nella Dama Nera, egli amava Clara.

Il colloquio continuò ancora pochi momenti; poi Guido chiese di andarsene, promettendo che il giorno stesso avrebbe condotto Lilia.

La contessa gli stese la bianca mano, mormorando un «arrivederci» col più seducente sorriso.

Questo sorriso scese al cuore di Guido, che se ne andò pieno di speranza e di felicità. Ma tornato a casa, gli si fece incontro Nara, coll'indignazione scolpita in viso, e gli occhi fiammeggianti di sdegno.

— Ah! tu mi nascondi i tuoi segreti, e credi che io sia tanto ingenua come la tua moglie morta, — gridò andandogli quasi addosso coi pugni chiusi e le narici frementi. — Sappi che ho scoperto tutto!

— Che hai scoperto?

— Dove vai tutte le mattine, sì.... non lo negare.... tu hai perduta la testa dietro un'avventuriera, che si fa chiamare con un nome strano, come la sua figura.

— Taci, non è vero!

— Ebbene, se non è vero, se non ti t'importa nulla di rimanere a Parigi, oggi stesso partiremo. —

Guido fece un balzo indietro, ripetendo macchinalmente:

— Partire?

— Sì.... partire,... sono stanca di questa vita separata, sono stanca di Parigi; è tempo che tu mantenga la tua promessa. —

A queste parole, Guido che teneva chiusi gli occhi, li alzò in viso a Nara.

— Quale promessa?

— Quella di essere tua moglie. —

Egli fece un gesto d'orrore.

— No, mai! — esclamò — mai! —

E si celò il viso fra le mani, parendogli di vedere lo spettro di Clara.

Non si può descrivere l'espressione feroce di collera apparsa sul viso di Nara. I suoi occhi lanciavano scintille, le sue mani convulse afferrarono le braccia di Guido, come in una morsa.

— Mai! — ripeté. — E sei tu che parli così,... tu che in ginocchio imploravi un giorno il mio amore; tu che chiedevi, come una grazia, che io dividessi la tua esistenza? Mai! Tu dunque speravi, dopo avermi fatto uno strumento in mano tua, che io mi chinassi umiliata, che io lasciassi libero il passo ad un'altra donna? Disingannati, Guido: una volta fatta lega con me, non v'è forza che possa scioglierti, non v’è donna che possa strapparti dalle mie braccia. Suvvia, parliamo sul serio: quando sarò tua moglie?   .

— Te l'ho detto: mai! —

E queste parole gli uscirono chiare dalle labbra livide e convulse per l'umiliazione e il dolore sordo ch'egli provava.

Nara allentò le braccia, e il suo sguardo selvaggio si volse attorno come per cercare un'arma qualunque, da servirsene contro Guido.

Questi manteneva il suo sangue freddo.

— Dal giorno in cui tu mi spingesti ad avvelenare una innocente creatura….

— Che? Adesso credi tua moglie innocente? — gridò Nara, con la schiuma alle labbra.

E il suo viso era così spaventevole a vedersi, che Guido capì d’essersi spinto troppo. Sapeva che quella trista donna era capace di tutto, e tremò per il suo nuovo amore, che Nara diceva di conoscere.

In quell'istante tutto il passato tornò chiaro alla mente del conte Rambaldi.

Si ricordò delle parole del marchese di Chârtre, del racconto che gli aveva fatto della precoce malvagità di Nara e come egli allora, tutto assorto nell'amore della sua sposa adorata, non sentisse per la ballerina che indifferenza e disprezzo.

Ma quella femmina perversa si era impadronita di lui, di lui, che si era battuto per causa sua, che per lei era divenuto debole, infame, assassino. Nara sola era colpevole.

Eppure quella lettera scritta ad Alfonso esisteva. Clara non aveva negato, ma aveva asserito trattarsi di un fratello.

Era forse possibile? Qual mistero era mai quello? E perchè Clara si era rifiutata di rivelarlo?

Guido si celò un'altra volta il viso fra le mani per non vedere lo spettro vendicatore, ma Nara gliele abbassò con violenza.

— Io esco, Guido, perchè ho la testa in fiamme; se quando torno, mi ripeterai ciò che or ora mi hai detto, guai a te, ricordalo, guai a te! —

Guido non si mosse, non fece un gesto.

Nara, coll'animo pieno di odio e di rabbia, uscì dalla stanza.

Allora il conte divenne livido, gli mancarono le forze, tanto che fu obbligato ad appoggiarsi tremante ad una seggiola.

— Miserabile, vile, io sono maledetto! Clara, la tua vendetta incomincia; per me non vi sarà più felicità nè dolcezza nella vita, e già prevedo che un giorno quella colpevole creatura mi trarrà sul banco degli accusati. —

Si guardò attorno con terrore.

— No, vivaddio, prima la morte che il disonore pubblico, l'infamia! — mormorò.

Si voltò, perchè la porta si era riaperta ed appariva la governante, tenendo per mano Lilia.

Vedendo il conte, la buona giovane fece l'atto di ritirarsi e Lilia si strinse alle gonnelle di lei, guardando coi suoi occhioni dolci, che ricordavano quelli della madre, suo padre, che non aveva mai avuto un atto di tenerezza per lei.

— Fermatevi, signora Elena, — disse Guido.

La sua voce tremava, e la governante, sebbene sorpresa, si avanzò, dicendo a Lilia, in puro accento inglese:

— Vai, carina, a dare un bacio al babbo. —

La bambina si reggeva a mala pena sulle gambe deboli; pure, all'invito della governante, si staccò da lei, e tendendo le piccole braccia, fece per correre da suo padre. Ma inciampò sul tappeto e sarebbe caduta, se Guido non fosse stato pronto a sorreggerla.

Un debole grido uscì dalle labbra del conte, un'indicibile commozione gli strinse la gola; l'uomo fu vinto, e il padre, aprendo le braccia, strinse la figlia come delirante, coprendola di baci e di carezze, mentre Lilia gli diceva con voce infantile, che assomigliava ad un'onda armoniosa, divina:

— Babbo, io ti voglio tanto bene! —

Guido, sconvolto, inebriato da quella musica celestiale, rispondeva baciandole le guance rosee, i lunghi riccioli biondi:

— Lilia, Lilia mia. —

Un fruscìo di vesti nella camera vicina, lo fece trasalire, e in quel momento provò un vero spavento.

Pensò alle minacce di Nara e disse a sè stesso che l'infame donna si sarebbe vendicata sulla bambina.

Bisognava salvarla, salvarla ad ogni costo.

L'odio per la sua creaturina, era scomparso in un attimo; ora egli non pensava che ai mezzi di salvarla.

La Dama Nera gli apparve luminosa dinanzi allo sguardo. Si, a lei avrebbe confidato Lilia. Ma come fare, senza che Nara se ne accorgesse?

Guido depose la bambina nelle braccia della governante, e rapidamente, a bassa voce, disse:

— Vestite subito la piccina ed uscite con lei senza che la signora se ne accorga. Aspettatemi all'angolo del boulevard. Fate presto. —

La signora Elena comprese che qualche cosa di grave doveva succedere, ed uscì in fretta dal salotto con Lilia, nel tempo stesso che Nara entrava dall'altra parte in abito da passeggio. Ella pareva affatto calma.

Guido cercò contenere la sua commozione.

— Uscite? — disse con tranquillità.

— Sì, devo fare alcuni acquisti.

— Permettete che vi accompagni? —

Nara fece un gesto di stupore.

— Voi verrete con me?

— Perchè no? Ho pensato che sono un pazzo, che v'irrito senza ragione e ve ne chiedo perdono. —

Un lampo di diffidenza passò sulla fronte di Nara, ma ella non lo dette a divedere.

— Venite, allora, se così vi piace.

— Un momento, amica mia! Vado a cambiarmi il vestito e torno. —

Nara sedette sul divano per attenderlo.

Guido, invece di passare nella sua stanza, corse in quella della piccina: Lilia e la governante erano pronte per uscire.

— Aspettate un momento, — disse il conte.

Ed afferrando una mano della signora Elena, con un singhiozzo nella voce:

— Voi amate mia figlia? — le chiese.

— Darei la mia vita per lei. —

Il viso del conte raggiò, e fu quasi per portare la mano della governante alle labbra. Ma si contentò di stringerla, e sempre in fretta le disse:

— Ebbene, se amate mia figlia, recatevi con lei dalla signora che v'indicherò e ditele queste precise parole: «Il signor conte le consegna sua figlia, pregandola a salvarla, perchè la bambina corre un gran pericolo.» —

La governante sussultò.

— Dite il vero, signor conte?

— Zitta, che alcuno potrebbe sentirci. Andate subito, ma prima datemi ancora qui mia figlia perchè io l’abbracci. —

E la coprì, infatti, di baci e carezze, poi, scritto in fretta e furia l'indirizzo della Dama Nera, strinse un’altra volta la mano della governante, corse in camera, si cambiò il vestito, e raggiunse Nara che non si era mossa di salotto e non sospettava di nulla.

Pochi minuti dopo, sdraiato con lei sui morbidi cuscini del loro elegante equipaggio, Guido, raggiante di speranza, come non era mai stato da molto tempo, discorreva di mode, mentre il pensiero volava all'isolata palazzina, dove forse in quel momento la Dama Nera stringeva fra le braccia la sua piccina, promettendole di farle da madre.

Sua figlia e la Dama Nera! Ecco le aspirazioni di Guido in quel momento; e Nara non si accorgeva di quello che passava nell'anima dell'amante.

Nara era persuasa che qualche cosa stava per succedere; ma più abile ancora di Guido nel dissimulare, mostrava sul volto i segni di una gioia crudele.

Era bella, quel giorno, come un incanto, tanto che i passeggieri, vedendo passare quella superba coppia, sdraiata sui cuscini dell'elegante veicolo, si voltavano a guardarla, esclamando con un sospiro d'invidia:

— Come sono felici! —

Nello scendere di carrozza, sotto il vestibolo del palazzo, Nara si appoggiò con civetteria al braccio di Guido, e mentre salivano l'ampio scalone, con una voce tutta carezze:

— Che hai Guido? — domandò — sei tornato tanto serio! —

Il conte si scosse e tentò di sorridere.

— Non ho nulla, te l'assicuro.

— La pace fra noi è tornata, non è vero?

— Oh! sì.

— Non attendo che di essere sola con te, per dirti quanto mi hai fatto bene, quanto ti amo! —

Guido non rispose, ma un rossore improvviso gli salì alle guance.

Costretto a subire ancora le carezze ed i baci di lei, era per il conte una tortura, giacché ormai sentiva una ripugnanza, un odio intenso verso quella donna, che l'aveva disonorato, che l'aveva spinto a commettere un delitto. E la sua tortura aumentava di più in più, pensando alla Dama Nera, che egli amava, ma della quale si riconosceva indegno.

— Qual’è la donna onesta che poserebbe la sua mano nella mia? — si diceva. — Ah! ora,... ora comincia l’espiazione. Clara, sei vendicata! —

Ed immobile e freddo come una statua, subì gli abbracci, i baci convulsi di Nara; ma ella comprese che invano tentava riscaldare quel cuore divenuto di pietra, e piena di sdegno, respinse da sè Guido, e con voce sorda, convulsa, esclamò con accento d'odio selvaggio:

— Ah! è così che abbiamo fatta la pace? tu m'inganni; lo so, lo sento; ma trema, Guido.... tu non mi conosci ancora! —

Il conte non rispose.

Venne l'ora del pranzo; Nara fu sorpresa di non vedere nè Lilia, nè la governante, e chiese al conte che ne fosse. Egli si strinse noncurante nelle spalle.

Nara chiamò i domestici, i quali le dissero che la governante era uscita da molte ore con la bambina, e non era ancora tornata.

Quindi passò nella stanza della piccina. Ogni cosa era al suo posto.

— Non può essere fuggita, — disse fra sè — a meno che Guido non ne sia andato d’accordo, ma se è così, guai a lui! —

Tornò in salotto e trovò Guido, calmo e tranquillo, che desinava solo.

— Non avete capito che vostra figlia non si trova? — disse Nara con accento sardonico.

— Chi lo dice? — rispose freddamente.

Nara fece un gesto di sorpresa.

— Non avete sentito che da quando è uscita colla governante, non è più tornata?

— Torneranno, state tranquilla e venite a desinare! —

Nara non poteva sfogare la sua rabbia, perchè i domestici andavano e venivano.

Quando il pranzo fu finito, i due complici si trovarono soli. Nara si alzò, ed incrociando le braccia al petto, gridò:

— Dov’è la piccina?

— Che volete che io sappia?

— Sì,... voi lo sapete; ma badate, Guido!...

— Le vostre minacce non mi spaventano; e d'altronde perchè minacciate? Sono forse io che ho allontanata la piccina? E se alla bambina succedesse qualcosa, che colpa ne ho io? Voi che speravate di sbarazzarvi di lei, dovreste esserne contenta. —

Nara si avanzò lentamente verso di lui, ed accostando quasi il suo viso a quello di Guido, con voce rauca e sibilante, esclamò:

— Ah! infame.... mentitore.... credi che io non ti legga in cuore? Che non t'indovini? Ripeti, ripeti ancora che tu non sai dov’è Lilia!

— Non lo so. —

Gli occhi di Nara s'iniettarono di sangue.

— Ebbene, la troverò io! — disse, e fece alcuni passi per uscire dalla stanza.

Il conte si morse le labbra, strinse i pugni, e con voce sibilante urlò:

— Fermatevi! —

Nara lo guardò, con quello sguardo freddo ed acuto che ghiacciava il cuore, e facendo un leggiero movimento di disprezzo con le spalle, si avvicinò all’uscio.

Guido non resistette. Di un balzo fu a lei, la cinse per la vita e la gettò sul divano.

— Voi non uscirete, — gridò — non uscirete!

— Compìte la vostra opera, — rispose Nara, guardandolo con aria stravolta — uccidetemi, come avete avvelenato vostra moglie! —

Il conte tentò di farla tacere, ma lei, dibattendosi sotto la stretta di lui, continuava a gridare:

— Sì, avvelenatore, vigliacco, assassino! —

Guido perdette affatto la testa: colla schiuma alle labbra, gli occhi quasi fuori dall'orbita, si gettò addosso a Nara, e la strinse alla gola, mentre ella continuava a rantolare:

— Uccidimi, assassino, avvelenatore! —

La voce si spense ben presto sulle di lei labbra, i suoi occhi divennero immobili, il corpo si abbandonò. Era svenuta.

Guido fu preso da spavento. Temendo di averla uccisa, si precipitò fuori del salotto, corse nella sua stanza, prese il cappello ed uscì di casa come un pazzo.

Non sapeva quello che si facesse, nè dove andasse. Sudava e camminava colla fronte bassa, i pugni chiusi.

Ella l'ha voluto, — diceva tra sè — ella l'ha voluto! —

Andava di qua e di là a casaccio, arrestandosi di quando in quando per asciugarsi il sudore, colla fronte agitata da fantasmi orribili, minacciosi.

Giunse senza avvedersene ai Campi Elisi, e si trovò presso la palazzina della Dama Nera; ma al momento di oltrepassare il cancello, che era aperto, si fermò.

— Che dovrò dir loro, se mi vedono in questo stato? Dio mio, purché mia figlia sia salva, che importa di me e della mia vita? Che io sia davvero un assassino? Mi pare di diventar pazzo. —

Si asciugò un'altra volta il sudore, e messa da parte ogni titubanza, suonò violentemente il campanello.

Era già sera, pure egli vide come una forma oscura, che si staccava da una pianta, avanzandosi verso il cancello.

Era il giardiniere.

— Buona sera, signore, — disse questi, togliendosi il berretto — è venuto un po’ tardi. —

Guido si sentì venir meno.

— Che vuoi tu dire?

— Tutti i miei padroni sono partiti. —

Il conte afferrò il braccio del giardiniere.

— Partiti? Come? Quando? Perchè? Erano soli? Non vi era una bambina con loro? Parla, in nome di Dio, parla! —

Il povero giardiniere si trovava davvero un po’ imbrogliato a rispondere.

— Sono partiti che saranno due ore, — balbettò — ma non so dove fossero diretti; del resto, signore, hanno lasciata una lettera per lei.

— E perchè non me lo hai detto subito? Va'.... corri, va’ a prenderla.

— L'ho qui nella giacchetta, signore. —

E la trasse infatti e la porse a Guido, che si affrettò a rompere il sigillo. Ma era buio, e non ci vedeva a leggere.

Invano Guido lo tentò. Non vedeva che caratteri misti, confusi che pareva gli ballassero dinanzi agli occhi una ridda fantastica, infernale.

Il giardiniere si accòrse dell'imbarazzo di Guido.

— Venga con me in casa, — disse — accenderemo un lume, così ci vedrà meglio. —

Il conte lo seguì, divorato dall'impazienza.

Appena il lume fu acceso, aperse il foglio con rapidità e lesse con stupore:

 

                     « Signor Conte,

 

«Non vi spaventate se non trovate vostra figlia, e se per qualche tempo non sentirete più parlare di lei.

«Vi giuro che è in salvo; io non l'abbandonerò mai, e sarò per Lilia una madre.

«Voi mi rivedrete forse un giorno, quando avrete imparato che cosa vuol dire soffrire, quando avrete versata la prima lacrima del dolore.

«Siete per andare incontro a prove durissime, a pericoli immensi. Forse il vostro nome sarà per essere disonorato; ma affrontate tutto con coraggio!

«Ricordatevi quanto avrà sofferto vostra moglie innocente, reietta da voi, da voi disprezzata, calpestata in ciò che una donna ha di più sacro: nell'onore di madre.

«In nome di lei, vi comando di vivere. Ricordatevi che qualcuno veglia su voi, ricordatevi soprattutto che vi sarà sempre vicina coll'anima

                                                   « La Dama Nera. »

 

Se un colpo di fulmine fosse caduto ai piedi di Guido, egli non sarebbe rimasto più sorpreso alla lettura di quel foglio misterioso; quelle frasi un po’ ambigue non erano tutte chiare nello stesso modo.

In quella lettera si nascondeva un segreto. Ma quale?

Perchè la Dama Nera s'interessava tanto di lui, della moglie morta, di Lilia? Lo ignorava, e per quanto interrogasse il suo pensiero, questo non sapeva rispondergli. Capì però che egli non era indifferente a quella donna misteriosa, ed ebbe fiducia in lei.

Pensò alla figlia, e si chiese se non era stata un'imprudenza la sua di affidarla in mano d’estranei. Ma scacciò tosto questo pensiero. Non gli assicurava la Dama Nera che la piccina era in salvo?

Colla testa in fiamme, tenendo sempre stretta la lettera, Guido uscì dalla palazzina e si diede ad errare nel buio dei viali.

Tutto ad un tratto trasalì, e mandò un debole grido.

Pensò a Nara che egli aveva lasciata stesa sul divano, inerte, irrigidita, forse morta.

L'aveva proprio strangolata?

Grosse gocce di sudore gl'imperlavano le tempie e gli cadevano come lacrime sul viso.

             Assassino? Egli era una seconda volta assassino?

Allora non gli restava che fuggire, non gli restava che nascondersi; ma dove, in qual luogo? Prima di tutto bisognava accertarsi della verità.

Fermò una vettura che passava, per farsi condurre al palazzo; voleva affrontare arditamente il pericolo.

Non gli diceva la Dama Nera di aver coraggio, che egli doveva subire delle prove durissime, ma che bisognava vivere, e che qualcuno vegliava su lui?

La Dama Nera avrebbe indovinata la sorte che l'aspettava?

Quando la vettura si fermò alla porta del suo palazzo, egli fu tentato di non scendere. Nessun movimento si notava nei dintorni. Il palazzo era tranquillo. Guido calmò la sua agitazione, pagò il vetturino, e in fretta e furia salì l'ampio scalone di marmo, che conduceva al suo appartamento.

Ma giunto sul pianerottolo, prima di premere il bottone del campanello, celato nella modanatura della porta, si fermò un istante.

Un silenzio perfetto regnava in tutto il palazzo.

Guido calmò i palpiti del cuore e suonò. Un domestico venne ad aprire e trovandosi in faccia al padrone, s'inchinò rispettosamente, tirandosi da parte.

Il conte si sentì crescere il coraggio, e con voce abbastanza ferma:

— Dov'è la signora? — chiese, mentre entrava e il servitore richiudeva la porta.

— Sarà un'ora che è uscita, — rispose il servitore.

— Uscita? Impossibile!

— Eppure è così, signor conte.

— Ah! — esclamò Guido, con un sospiro di conforto, che sollevò il suo petto oppresso — non si sentiva poco bene?

— Non mi pare, signor conte: appena vossignoria l'ha lasciata, la signora ha chiamata la cameriera, perchè la vestisse. —

Guido credeva di sognare. Eppure si ricordava di aver lasciata Nara stesa sul divano, irrigidita, colle labbra violacee, gli occhi immobili come quelli di un cadavere. No, non si poteva essere commedianti a tal punto!

Per persuadersene, Guido passò nell'appartamento di Nara e fece subire un interrogatorio alla cameriera, e costei rispose press’a poco come il servitore.

Quando la signora l'aveva chiamata, l'aveva trovata un poco pallida, e si lamentava di un gran male di testa, anzi era persuasa che fosse uscita appunto per questo.

— Ha fatto attaccare la carrozza? — chiese il conte, che la lontananza di Nara pareva averlo sbarazzato di un gran pensiero ed era divenuto quasi ilare.

— Nossignore, ha mandato a prendere una vettura di piazza.

— Sta bene; non voglio saper altro; quando torna fatemi chiamare. —

E si ritirò in camera sua.

Ora che Guido si trovava tranquillo sulla sorte di Nara, si lambiccava il cervello per indovinare dove mai si fosse recata. Forse Nara era andata in cerca della piccina, ma non l'avrebbe trovata. La Dama Nera era partita per portarsela con sè.

E pensando alla misteriosa vedova, rilesse il foglio da lei scritto; mille idee attraversarono il suo cervello e pensò a quel vago pericolo che lo minacciava.

— Ella mi esorta ad aver coraggio, ed a vivere.... ebbene, sì, lo farò, lo farò, qualunque disgrazia mi possa accadere. —

E le sue labbra si posarono a lungo su quel foglio, che portava ancora il profumo delicato che avvolgeva la bella e misteriosa creatura, alla quale abbiamo posto nome la Dama Nera.

Scorsero così due ore.

Nara non tornava, ma Guido si mostrava poco inquieto. Già si decideva a chiamare il cameriere, affinché l'aiutasse a spogliarsi, quando il domestico entrò dicendo che un signore vestito di nero, grave come un magistrato, chiedeva di parlargli.

— Il suo nome?

— Mi ha detto che sarebbe stato inutile dirlo, perchè il signore non lo conosce, ma aveva urgenza di vederlo.

— Conducilo in salotto, — disse Guido — verrò subito. —

E appena il cameriere fu uscito, Guido lasciò sfuggire un'esclamazione di dispetto.

— Che seccatura! — esclamò. — Chi mai può essere quest'incognito? Che vorrà da me? —

Si dette un'occhiata allo specchio, si aggiustò i capelli e passò in salotto.

Il visitatore l'attendeva in piedi. Era un uomo di una quarantina d'anni, dal portamento fiero e superbo, ma dallo sguardo dolcissimo, affascinante.

— Con chi ho l'onore di parlare? — disse Guido che aveva ripresi i modi spigliati del gentiluomo, avanzandosi verso lo sconosciuto.

— Il mio nome non vi direbbe nulla, signor conte, perchè non lo conoscete. —

Guido fece un movimento di sorpresa. L'incognito se ne avvide e proseguì:

— Vi dirò dunque semplicemente la mia qualità: sono il procuratore della repubblica. —

Il conte Rambaldi restò un minuto immobile, colla fronte in sudore, il cuore senza bàttiti, come colpito dal fulmine.

Che voleva da lui quel magistrato? Sarebbe venuto a lamentarsi da parte di Nara? Ma Nara era viva, e da questo lato non aveva nulla da temere. Ella, d'altronde, non poteva accusarlo, perchè sapeva che perdendo lui, perdeva sè stessa. Questo pensiero restituì a Guido un po' di coraggio.

Fece segno al magistrato di sedere, sedette egli stesso e, con voce che cercò di rendere calma:

— A che debbo, signore, l'onore della vostra visita? — chiese.

— Ad una ragione molto grave, ed alla quale io stesso prestai poca fede. Ecco il motivo perchè sono venuto in persona da voi, signor conte. —

Il procuratore si fermò un istante.

Guido voleva parlare, ma la parola si spense sulle sue labbra.

— Ero solo nel mio gabinetto un'ora fa, — disse lentamente il magistrato — quando mi fu annunziata una signora, che desiderava di vedermi. Voi indovinate già chi fosse, signor conte.

Guido fece un gesto di testa negativo.

— Ve lo dirò io, allora. Era una giovane donna bruna, bellissima, un ex-ballerina, che ho conosciuto in altri tempi e che adesso vive con voi. —

Il magistrato parlava col tono di un perfetto gentiluomo.

Guido non rispondeva, ma i suoi occhi si facevano sempre più cupi.

— Voglio parlar di Nara, — disse il procuratore.

Il conte non mosse palpebra; ma con un accento sardonico:

— Forse è venuta a dirvi che la tratto male? — esclamò.

Il magistrato scosse la testa.

— Vi avrà detto che io ho allontanato mia figlia dal palazzo, ed essa veniva a cercarla.

— No,... signor conte.... —

Guido si sentiva gelare il sangue, pure si strinse nelle spalle e sorrise amaramente.

— Allora non vi comprendo, signore.... —

 Il magistrato lo guardò fisso.

— Nara si accusa di aver avvelenata la contessa Rambaldi con la vostra complicità, necessaria.... —

Guido scattò come una molla, il sangue gli era salito al viso: i suoi occhi scintillavano.

— E voi avete prestato fede a simile accusa? — esclamò.

— No; — rispose con calma il magistrato — ma Nara afferma avere le prove di quello che dice, insiste per il disseppellimento del cadavere, dice che ha delle vostre lettere, nelle quali vi dimostrate stanco di vostra moglie, che vi ha tradito e desideravate liberarvene senza chiasso. Io ho dato ordine perchè Nara fosse trattenuta ed ho voluto venire in persona ad avvertirvi. Se Nara per qualche suo scopo particolare desidera perdervi, e voi siete innocente, come credo, non avete che a congratularvi della prova che Nara chiede. —

Guido era pallido come un morto, e faceva ogni sforzo per mantenere il suo sangue freddo.

— Come! Voi vorreste?... — disse il conte, con accento soffocato.

— Tale è il nostro dovere, signore; e, come vedete, uso con voi tutto il riguardo ch’io posso in questo doloroso ufficio. Invece di mandar brutalmente due agenti, vengo io stesso a dirvi quanto accade: nessuno qui lo saprà: voi verrete con me nella mia carrozza.

— Ma dunque, io sono in arresto? — esclamò Guido, facendo un nuovo sforzo supremo, disperato, per contenersi.

— No, vi conduco semplicemente in casa mia; aspetto da Firenze una risposta per telegrafo, quindi deciderò di voi. —

Guido, fremente, incapace di proferire una parola, fece un passo indietro. Sul tavolino ingombro di oggetti, stava uno stile triangolare, artistico. Il conte l'afferrò rapidamente.

Ma il procuratore, più lesto di lui, avendo indovinato l'atto, lo fermò, nel momento che il conte stava per cacciarsi il pugnale nel petto.

— Così dunque, vi confessate colpevole? — disse freddamente e con voce grave il magistrato.

Guido si lasciò cadere l'arme, poi si celò il volto fra le mani, e diè in singhiozzi.

Il procuratore ne fu commosso.

— Suvvia, signor conte, non lasciatevi abbatter così. Venite con me.

— Ed è vero.... è proprio vero?... —

Sì dicendo, dal viso, si portò le mani al petto.

Ad un tratto trasalì, e rialzò il capo con vivacità.

Aveva sentito sotto le dita il contatto della lettera della Dama Nera.

Non gli diceva quella creatura misteriosa, che egli avrebbe sofferto, ma che quelle sofferenze sarebbero state un'espiazione? Bisognava vivere, e sfidar tutto.

— Sì, avrò coraggio! — esclamò il conte ad alta voce — sì, sfiderò il destino, che mi è avverso.... —

E le sue guance si erano accese, gli occhi scintillavano.

Il magistrato fu talmente stupito a siffatto cambiamento, che per un minuto non poté articolar parola.

Guido lo guardò superbamente.

— Signore, — disse — permettete che io vada in camera a prendere il cappello, e sono con voi. —

Il magistrato esitava.

— Temete forse che io fugga o che tenti nuovamente d'uccidermi? Vi avverto che ho cambiato pensiero,... e vi do la mia parola di gentiluomo....

— Basta così, signor conte, — interruppe il magistrato. — Andate; io vi attendo qui. —

Guido aprì l'uscio del salotto e traversò il corridoio che conduceva nella sua stanza.

Il magistrato poteva vederlo dal suo posto. Un candelabro a tre becchi, posato su di un cassettone, illuminava la camera di Guido.

Il conte si avvicinò per prendere il candeliere e mancò poco non gettasse un grido trovandovi sotto un biglietto aperto, non firmato, ma la cui scrittura era perfettamente uguale a quella della lettera che teneva nel soprabito.

V’erano due sole righe di scritto e dicevano:

 

«Coraggio: per qualunque cosa vi succeda, non lasciatevi abbattere. Qualcuno veglia su voi.»

 

Come era capitato, quel biglietto in quel luogo? Chi ve l'aveva posto?

La Dama Nera? Ma come si era introdotta in camera sua?

Guido suonò febbrilmente il campanello ed apparve il servitore.

Il magistrato vide che questi aiutava il conte a mettersi il soprabito e non sentì le domande di Guido.

— Chi è stato qui durante la mia assenza e quella della signora? — mormorò Guido al domestico.

— Nessuno, signor conte.

— Non mentire, voglio sapere da te la verità!

— La verità è, signor conte, che durante la sua assenza, anch’io son andato fuori con Sandrina e Giacomo.

— Chi è rimasto in casa?

— Stefano, signor conte.

— Vai subito a chiamarlo.

— Non lo troverei, perchè è uscito subito dopo che noi siamo tornati. —

Guido fece un gesto di dispetto, pure capì che bisognava dissimulare. E rivoltosi al servo:

— Io esco con quel signore, — disse — forse non tornerò a casa a dormire; durante la mia assenza, bada bene che l'appartamento non venga abbandonato.

— Non dubiti, signore.

— Dammi il cappello e vieni a far lume. —

Il domestico eseguì. Il visitatore era già pronto.

Guido, con un inchino da gentiluomo, senza ostentazione, fece passare innanzi a sè il magistrato.

Una carrozza li aspettava alla porta.

Ma prima di salire, Guido portò inosservato alle labbra il biglietto della Dama Nera, e disse fra sè, con rassegnazione:

— Ora, sia di me quello che vuole il destino! —

 

 

 




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