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Federico Luigini da Udine
Il libro della bella donna

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INTRODUZIONE

 

Bartolomeo della nobile famiglia de' Lovisini o Luvigini d'Udine fu insieme al fratello Lodovico, mentr'erano in corte del cardinal di S. Marco o patriarca d'Aquileia Marco Barbo, creato conte palatino lateranense dall'imperatore Federigo III con diploma dato in Roma nel palazzo apostolico il giorno di lunedì, secondo del mese di gennaio l'anno 1469. Da Bartolomeo e Paola Manina, sorella di Francesco Manini, canonico di Cividale del Friuli, uomo dotto, nacque il nostro Federigo; ma Gian Giuseppe Liruti nelle sue Notizie delle vite ed opere scritte da letterati del Friuli (Venezia, Modesto Fenzo, 1762) non potè accertare l'appunto dell'anno della nascita, nè quello della morte; nè altre notizie di conto. Solo egli parla a lungo di altri letterati di questa nobil casata; di Francesco, Luigi, Bernardo e Riccardo fratelli di Federigo e di Marcantonio e Giambattista suoi cugini.

Il Capodagli nella sua Udine illustrata scrive di Federigo: «Fu poeta non meno illustre di sangue, che chiarissimo d'erudizione, come si vede da molte sue opere così volgari, come latine, leggiadramente e dottamente spiegate. Scrisse anche in prosa tre libri intitolati: Della bella Donna, li quali essendo pervenuti in mano di Gerolamo Ruscelli, (il quale tenea con lui più che amicizia strettissima fratellanza) li diede egli in luce e li dedicò a Lucrezia Gonzaga Manfrona l'anno 1554 (Venezia per Plinio Pietrasanta in 8°), con lettera del 4 gennaio dell'anno medesimoDettata è quest'opera in forma di dialogo, aggiunge il Liruti, e sono gl'interlocutori Jacopo Codroipo, nella cui villa di S. Martino si finge fatto il colloquio in tempo di caccia, Pietro Arrigoni, Nicolò della Fornace, Vinciguerra e Ladislao, e lo stesso Luigini, tutti gentiluomini friuliani, ed è dedicata dal Luigini a monsignor Giovanni Manini suo amicissimo e parente.

Elpinice, sorella di Cimone, si lasciava dipingere da Polignoto, nel Pecile, o portico vario d'Atene, e andava altera, s'altri dicesse che la mano che l'aveva ritratta l'aveva anche accarezzata. Le belle italiane del secolo decimosesto erano sommamente vaghe di vedere adombrate le loro sembianze nei dipinti de' gran, maestri ne' libri de' retori. E quando pure una sola parte di loro avesse ad essere illustrata coi colori o con la parola, consentivano all'amputazione della bellezza, cedendo i capelli, o il labbro, od altro ad una imagine esemplare, che poi crediamo, per singolare astrazione, non rimirassero che in quello che avea di loro, quasi il capolavoro ignoto di Balzac, di cui non restava intatto che il piè divino, fondamento alla fantasia per ricreare la meravigliosa figura.,

Il Firenzuola, e il Luigini da Udine facevano così lo Zeusi, e componevano la Bella Donna delle più belle parti di signore, che nominavano e celebravano. Quella parte diveniva come loro, e forse era la breccia per onde entravano nella rocca.

Il Luigino, ad essere più libero con le sue modelle, finse un sogno, dove alcuni gentiluomini, non bene paghi delle esterne bellezze, s'internano altresì nelle occulte. La sua mente dalle vaghezze naturali trapassa ai poeti, quasi pittore che in una galleria pingesse un'Elena, e girasse l'occhio ora alle leggiadre donne, che s'ignudan per lui, ora ai ritratti della femminile bellezza che quivi splendono degli ottimi artefici. Egli ammirava Trivia ora nel sereno del cielo, ora nello specchio della notturna onda. Il Luigino si lascia andare all'estasi di questa contemplazione voluttuosa; e crediamo che lo squillo delle trombe di guerra e il rumore delle armi non lo farebbero avventarsi alla spada e allo scudo come già Achille tra le figlie di Licomede, ma piuttosto darsi alla fuga, e seppellire come Paride la viltà nelle dolcezze dell'involato talamo.

Plinio lodò Polignoto di essere stato il primo a far sorridere le sue imagini, rompendo la rigidità dei lineamenti, solita ai pittori che furono innanzi a lui. L'imagine del Luigino è della vecchia maniera; non apre la bocca, e i goffi scherzi dei suoi formatori non la torranno di certo dalla sua indifferenza.

Manca il riso e forse manca la varietà dei colori. Forse è pur di quei vecchi greci, che non ne adoperarono che quattro. Ma il graduarli e l'intonarli è quello che importa. Velasquez, dice il Beulè, ha dipinto l'Incoronazione della Vergine, con non altro che rosso ed azzurro, ed ell'è tuttavia un miracolo di varietà di colorito. Che pochi colori ebbe il Petrarca a ritrar Laura? ma qual varietà, e quale armonia!

Narra il Magalotti in una delle sue lettere, che cinquantasei anni prima egli aveva ascoltato un'arietta di Giulio Rospigliosi (sulla cattedra di S. Pietro Clemente VIII), la quale gli era entrata sì in cuore, che la recitava di continuo tra sè e sè.

 

Vaghi fiori già sparsi di gelo,

Fanno pompa di rara beltà,

E di perle cadute dal cielo

Ogni rosa conchiglia si fa.

 

«O poter del mondo, soggiunge il Magalotti, vaghi fiori, sparsi, pompa, gelo, rara beltà, perle, cielo, rosa, conchiglia. Si può egli immaginare specie più graziose e suoni più delicati?»

Così diremmo del libro del Luigino; è tutto lieto di specie graziose e di suoni delicati. Se riguardiamo all'economia del libro è debole e inferiore al Firenzuola; se al dialogo, non è bene spezzato e ripreso; se alle sentenze, non troppo rare; se agli scherzi, infelici; ma v'è un tal sentimento e amore della beltà femminile, questo sentimento ed amore si esprime con tal gentilezza, che l'animo n'è invescato, e non sa levarsi da questa visione popolata di belle forme e sembianze soavi. Ci sentiamo trasformare, ma non è la trasformazione di Circe, sibbene il gustar dell'erba di Glauco,

 

Che'l fe' consorto in mar degli altri Dei.

 

Dell'altre opere del Luisini, il Liruti cita parecchie poesie italiane, un sonetto in lingua friulana, la versione italiana di un'operetta spirituale di Erasmo, un libro di Proverbj: Liber Proverbiorum Federici Luisini. Esso è a un di presso, soggiunge il biografo, sul gusto lavorato degli adagi del Manuzio, facendo a molti proverbj, ed altri detti latini la sua erudita spiegazione. Del suo valore nella poesia latina cita il Liruti a saggio il seguente tetrastico, il cui argomento è questo: De muliere mixta patri, accipiente sponsum filium susceptum ex patre.

 

Vir, conjux, genitrix, natus, fraterque, sororque,

Hic duo sint quamvis, nomina plura jacent.

Error enim sceleri causam dedit. Inscia nupsit

Illi, quem genait filia mixta patri.

 

Notevole è la leggenda medievale di S. Gregorio Magno, descritta in versi in dialetto normando, della quale parla il Littrè nella sua storia della lingua francese (Paris, Didot 1863). Gregorio nasce dall'amore incestuoso di un fratello con sua sorella ed esposto per nasconder l'onta, torna, non conosciuto e non conoscente, presso sua madre, e la sposa. Svelato il mistero, abbandona tutto e fa penitenza diciassette anni. I Romani, per divina istigazione, lo fanno papa suo malgrado, ed egli assolve la madre, che senza conoscerlo, va a -confessarsi da lui, e finisce santamente la vita.

 

E deservit, après sa mort

Aveir el ciel verai confort

E la corone pardurable

Ensemble o vie espiritable.

 

Gli è maggior conforto che un epigramma del Luigini.

Il Luigini pare si desse singolarmente alla letteratura, direm così, femminile e galante. E le donne italiane, in quell'età felice, per coltura, per ispirito e per grazie eran degne ispiratrici degli scrittori, e quelli che più le amavano meglio scrivevano. Certo la leggiadria ariostesca fu rara nei prosatori; ma se non era quel fiore di gentilezza che arieggiava talora alla spuma dell'acque, onde emerse Venere, era però un tratteggiar più libero e più vago; e la bellezza delle donne sommergeva la pedanteria. E dal conversar delle donne più che dalle disputazioni erudite ebbe il dialogo allora una forma spesso spedita e snella e talora vivace; forma che non potrebbe conseguire adesso che risuonano soltanto le discussioni del parlamento.

Il Lessing, parlando degli sforzi del cronista Costantino Manasse a descrivere la bellezza di Elena, dice: «Mi sembra di vedere dei macigni strascinati a grande stento sulla cima di un monte per servire alla fabbrica d'un palazzo, i quali, appena giunti colà, precipitano dalla parte opposta. Che imagine presenta alla mente questa congerie di parole?» E il medesimo, a un di presso, egli dice delle cinque ottave spese dall'Ariosto a pingere Alcina. Egli concede al Dolce che il poeta vi si dimostri perito della bellezza femminile, ma sostiene che il suo ritratto non gli dà nessuna idea precisa della fata, e lo commuove solo in quei tratti che descrivono il moto e la grazia. Ora, del Luigini si può ben dire che sia un Sisifo della pittura verbale; e che la sua Elena abbia qualche cosa di vaporoso e d'incerto, che non aveva per fermo quella del Crotoniati; se non che egli, più che dipingere il bello, ne discorreva e teorizzava; e ad ogni modo non è senza diletto l'indefinito che ci permette di figurarci leggendo la donna che più amiamo.

Il Luigini parla altresì della virtù e de' bei costumi; come Pigmalione ottiene da Venere che gli animi la statua.

 

gli Editori

DELLA BELLA DONNA

DI

M. FEDERICO LUIGINO

A

MONSIGNORE GIOVANNI MANINI




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