PARTE PRIMA
CAPITOLO
I
I Ladri della Pace.
Trentacinque anni or
sono, vale a dire al tempo della Epopea Garibaldina, memorabile nella storia di
questo secolo per le patriottiche audaci imprese, e per le vittoriose
battaglie, la gioventù che vi aveva preso parte valida, restituitasi al
domestico focolare, si abbandonava con diritto, a qualcun ozio di Capua, e
naturalmente, onde non degenerare dai comuni progenitori, Adamo ed Eva, faceva,
come suol dirsi, all'amore, anche senza paradiso terrestre.
Ciò premesso, noi faremo
la presentazione, come è d'uso nella buona Società, dei signori Ladri della
Pace, secondo il titolo del libro odierno.
I principali, i più
pericolosi, sono l'Amore e la Gelosia di lui sorella germana.
Per quanto riflette poi
ai due Protagonisti del nostro Romanzo (più di uno stavolta, per il melius
est abundare quam deficere) si trova inutile di osservare troppi dettagli.
Questi seguiranno il corso degli avvenimenti che noi svolgeremo, basterà quindi
avvertire intanto, che uno dei protagonisti era Blandis pittore nullatenente
celibe, l'altra la signorina Giacinto benestante; giovane il primo, più giovane
la seconda, capo esenziale secondo la legge universale - Simpatici assai, buoni
educati, intelligenti, e della poesia e della musica, entrambi amanti - Alfredo
e Violetta, bei nomi accolti anche dal sommo Verdi nella sua Traviata
Alfredo, dopo parecchi
mesi di semplice candida amistà verso Violetta, amistà nudrita soltanto da
Apollo, il Dio della Musica, della Poesia e delle Arti, il Principe delle Muse,
venne ferito in cavità, da Cupido, il Dio dell'amore, e Violetta, parea volesse
seguirne le traccie, ricordando la Psiche voluttuosa, rivale, per bellezza, di
Venere.
Ma Alfredo, ingenuo e
timido quanto una gazzella1, era stato un immenso illusionista. Non
potea trattarsi semplicemente degli effetti della buona musica, eseguita con
impegno a mezzo dei due scelti istrumenti, che sono il Violoncello e l'Arpa?
Oh! le Romanze!....... le sirene di terra ferma!
Violetta invece, meno
aerea di Alfredo, un giorno gli era gentile, espansiva, affettuosa, e l'altro
indifferente forse per pura questione meteorologica, e di tale indifferenza, da
ammazzare non solo un Cristiano, ma anche un Toro.
Però la maschile
fierezza, aveva tentato di venire in soccorso del ferito Pittore, ma egli che
poco prima, si era confortato di Apollo, di Minerva e di Marte, abbandonò quei
suoi primi auspici, per seguire a capofitto Venere, non conoscendo bene ancora
il proprio labirinto amoroso, dal quale, ad onta de' suoi sforzi, non sarebbe
escito, se non colle ossa sconquassate.
Oh! la indimenticabile
Francesca da Rimini, esclamava tante volte, fra le sue veglie, Alfredo, oh! il
verso splendido «Amor che al cor gentil ratto s'apprende» (Dante - Inf. Canto V)
trascurando poi il successivo = «Amor che a nullo amato amar perdona» molto
docente2.
Noi presumiamo di avere,
sebbene forse precocemente, compreso, siccome l'amore di Alfredo per Violetta,
dovesse essere fra i soprannaturali, e fra gli incurabili, quanto le malattie
croniche............. Se non che appena il misero Alfredo s'ebbe in petto la
freccia amorosa, sviluppossi in lui una complicazione da impensierire qualunque
medico curante, vogliam dire, la gelosia, raramente dal vero amore
scompagnata, quel mostro che fece diventare l'innamorato Otello, strangolatore.
La gelosia di Alfredo, non era tale da farlo assassino, perchè di carattere
mite, che, in ogni caso, in luogo di strangolare, si sarebbe strangolato. Ma
appunto perchè di mite indole, egli soffriva dippiù. E di chi e di quali cose
geloso? Di tutto e di tutti, senza un punto sicuro, quindi geloso dell'ignoto,
e sprovvisto di qualsiasi diritto. In conclusione quel povero Alfredo, per
colpa della sua testa vulcanica, o della sua tenerezza di cuore, o perchè
infine, fosse troppo artista; provava già da tempo le pene dell'inferno, nella
bolgia riservata, prima ancora, di scendervi. La sua consueta giocondità, la
quiete, il sonno, la pace, perduti!
E chi oserà dunque
negare, che l'amore e la gelosia, non sieno i principali ladri della pace?
Suicidarsi? No, perchè
sebbene infelici, bisogna avere il coraggio di vivere per gli altri che di noi
vivono.
Alfredo trascinava
pertanto, da lunga stagione, una misera vita, piena di tristi presentimenti. Egli,
ne' suoi frequenti soliloqui, si chiedeva cos'è la vita? E tosto risovvenivasi
di avere letto questi bei versi:
«Il passato non è, ma ce
lo pinge
La dolce
rimembranza,
«Il futuro non è, ma ce
lo finge
La
credula speranza
«Il presente solo è, ma
in un baleno
Passa del
nulla in seno;
«Dunque la vita è
appunto
Una
memoria, una speranza, un punto.....»
Sì, ma, del resto,
abbiamo un bel dire noi filosofi. Quell'innamorato Pittore, ad onta dei mille
proverbi, dei quali aveva dovizia, non sapeva cessare un solo istante, del dì e
della notte, dal pensare a Violetta, dal vedersela dinnanzi agli occhi, siccome
un raggio di luce ardente, vivificatore.
Oh! almeno sorgesse in
favore del nostro tribolato artista, qualche straordinario avvenimento, tale da
compensarlo del suo dolore, o da guidarlo in più fortunato calle! Noi, del
resto, che conoscemmo la peregrina di lui costanza, negli affetti più caldi,
avremmo dei dubbi, su qualsiasi cambiamento.
Ma ahimè, il nostro
esaltato, a quanto pare, pretendeva talora l'istesso amore di Beatrice, per
Dante, il quale, si narra, sia stato più puro di quello degli Angioli3,
talora l'amore furente della desolata Didone, vittima del tradimento di Enea, e
talora finalmente sarebbesi accontentato della via di mezzo, dell'amore della
Francesca da Rimini pel suo Paolo, quando s'ebbe il bacio tremante.......»
«Questi che mai da me
non fia diviso
La bocca mi baciò tutto
tremante»
(Dante - Inf. Canto V).
Nè mai il caro artista,
voleva piegarsi, per Iddio, all'amore dei tempi moderni, così ragionevole, e
dagli altari, e dal Sindaco benedetto. E per quel suo malaugurato istinto delle
mele proibite, caddero sul di lui capo malanni pubblici e privati, oltre alla
censura della odierna imperante, concreta società.
- Lugete Veneres, Cupidinesque -
(piangete o Veneri,
piangete o amori)
«Il matrimonio è la
tomba dell'amore» scrisse un romanziere illustre=«Il matrimonio lega i
nomi e le sostanze, non il cuore» e quegli per prudenza, soggiungeva, che, il
matrimonio «poteva essere la culla dell'amicizia» Sarà bene, del resto, che
noi non ne facciamo il nome, onde non esporre lo scrittore di buona fede, alla
spietata vendetta delle nubende e consorteria
Era il mattino del 19
Marzo 18.., giorno di S. Giuseppe, nome del defunto padre di Alfredo, ma
questi, contro il suo costume, non si era per anco svegliato, nè pel vicino
cinguettio dei passeri, nè per quello di due rondini, allor allora giunte sul
suo verone.
Egli era assopito,
siccome accade a persona stanca sì, ma afflitta da recente cordoglio. Egli
aveva vegliato tutta la notte a scrivere, a gesticolare, a parlare fra se. Le
di lui buone sorelle, ritratti parlanti della loro madre esemplare, poco tempo
addietro defunta, erano già entrate due volte in punta di piedi, nella
cameretta del fratello, onde porgergli l'usato Caffè, ma due volte se ne erano
subito ritirate, per non turbare il riposo al loro diletto, accorte dalla quasi
esaurita candela, come egli si fosse coricato da pochi istanti. Se non che Lord,
il bracco bianco, affezionato al suo padrone, non volendo saperne di quella
novità, che ritardava la sua passeggiata alla caccia, a forza di guaire e di
saltargli sul letto, finì, il bestione, col destare Alfredo. Questi siccome
uomo che abbia smarrita la tramontana, fissò intorno lo sguardo attonito,
nascose sospettoso sotto le coltri, un oggetto che teneva fra le mani sudate, e
si riassopì.
|