CAPITOLO
III
La Lettera di
Alfredo
«Il
pensiero è la prima facoltà dell'uomo
«L'esprimerlo,
uno de' suoi primi bisogni;
«Divulgarlo,
la sua libertà più cara!...»
N. B.
Trascritto dal G. il S., nel titolo
Bricciole
d'esperienza.
Quale oggetto avrà mai nascosto
Alfredo sotto le coltri, nel mattino del 19 Marzo 18.. dopo una notte per lui
tanto burrascosa?.... Era una lettera lunga a Violetta. Un dolce-brusco a
quanto pare, un tragico-sentimentale, un quid da impressionare
sfavorevolmente, piuttostochè innamorare Violetta, siccome sarebbe stata
lodevole intenzione dell'estensore.
Eccola:
Lago Sebino - il 18..
Marzo 18..
Venerdì Santo.
Madonna
Mia!....
Stanotte non ebbi un
momento di quiete..... Mi ritrassi a casa esaltato, per la serata musicale, che
passai insieme a Voi, mia Regina! Mi fu siccome cosa di cielo!.. La Capinera,
romanza che io vi feci, e che il noto amico mio egregiamente musicò, ebbe da
Voi interpretazione sì meravigliosa sull'arpa, da lasciarmi estatico!....
L'arco del mio violoncello rimase paralizzato, quando il vostro delizioso
arpeggio accompagnava:
Declina
il Sol morente
Cade dal Ciel la sera,
Canta soavemente
Allor la Capinera:
Nel cor,
beato ascolto
Di quella mesta il
canto,
Tutto è in quel suon
raccolto
Di voluttà l'incanto:
Limpida,
peregrina
Nota vibrar io sento,
È l'onda mia Sebina
Un sol Divo concento:
Il flebil
canto in core
Scende e le fibre
scuote,
Sull'onde il Pescatore
S'arresta a quelle
note!...
I vostri begl'occhi
cilestri scintillanti, dimentichi ad un punto della musica, due volte fissarono
i miei, ed un lieve rossore colorì le candide vostre gote. Ed il vostro sorriso
incantatore vi fece adorabile! Mi parve allora di essere trasportato lentamente
in Cielo dagli Angioli, fra vaporose nubi! Quanto felice mi sentii in
quell'istante! Sperai che voi mi amaste, siccome già da tempo io vi amava in
segreto! Ah se mai fosse stata illusione la mia! Se la vostra fosse stata
sensazione magnetica che talvolta produce la musica sentimentale! Allora il
vostro sorriso sarebbe stato colpevole, perchè mi avrebbe ingannato! E
null'altro in quell'istante ha germogliato nel vostro cuore? Deh! siatemi
pietosa, non mi illudete, non mi abbandonate, io ne sarei troppo desolato, mi
uccidereste e Dio vi punirebbe!.... E non riederà più un giorno simile a quello
in cui vi traghettai colla mia barca dall'una all'altra sponda del Lago natio,
insieme alle vostre due sorelline tanto graziose? Voi allora, lo so, foste
aspramente ripresa in famiglia, e quando sentii, da quel bigliettino, che avete
pianto, provai un'angoscia orribile.... E non ricordate più di quei due
mazzolini di violette datemi con bel garbo dalle vispe sorelline, fiori che mi
obbligaste di accettare coll'accento - Supponete che ve li abbia dati io.
- E per quale mistero, sembrami essere io poco simpatico ai vostri. Talvolta
essi mi dileggiano. So di essere povero, e di essere inoltre inferiore ai
vostri meriti. Ma non si può permettere che un cuore sincero si illuda
lungamente. Ditelo. Non mi rubate la pace del cuore. Un altro sguardo domani
come quello di ieri e mi avrete reso felice. Ah non mutate, vi scongiuro, il
vostro antico contegno verso di me! Ma io non voglio credere che Dio ci voglia
scontenti, non voglio credere che quella luce brillante che ieri ha fatto
battere con tanta violenza il mio cuore, voglia oscurarsi in avvenire, causa la
vostra indifferenza perchè vedete, io già sperimentai, che un giorno voi mi
siete espansiva e l'altro ritrosa. Che fosse ambizione, capriccio? non lo
crederò mai! Che fosse d'altri occupato il vostro cuore, ma allora toglietemi
da questo mio celeste sogno. Consolatemi alfine Violetta con una vostra
affettuosa parola. Essa sarà per me rugiada vivificatrice «L'amore è sì dolce
in un cuore ben nato e gentile, che fa d'ogni cosa, d'ogni luogo un paradiso,
purchè possa dividerlo coll'oggetto che adora» Queste soavi frasi, io lessi fin
da fanciullo, quando sviluppavansi in me gli arcani desii. Non si avveri per me
il verso di Dante «Amor che a nulla amato amar perdona.» Guardatevi, o mia
adorabile creatura, dall'ambizione o dall'egoismo, e pensate che il cuore,
siccome il Sole, nè si compra nè si vende. L'amore non va imposto nè da
superbia nè da avarizia, egli dev'essere semplice, indipendente, spontaneo,
franco; desso può nascere e crescere anche in un solo istante.
Ma ormai, un nero
presentimento mi ripete che io mi sono illuso, e perciò la mia pace sará
irreparabilmente perduta! E se mai qualche estraneo, per suo mal'animo
avversasse l'armonia Celeste del mio cuore innocente, ditegli Voi, che «Chi
ferisce di spada perisce di spada.»
Sempre V.° Alfredo.
Ecco, per verità, noi
che non abbiamo i calori di Alfredo, nè gli stessi suoi interessi, dobbiamo per
la quiete della coscienza, osservare in primo luogo, essere stata la sua lettera
troppo, troppo lunga, tanto da sembrare un Panegirico di Santi, e le cose
lunghe diventan serpi; in secondo luogo colle sue apostrofi enfatiche, e coi
suoi dubbi, avrà forse fatto paura a Violetta anzichè intenerirla; in terzo
luogo da ultimo, lo avremmo consigliato, se fossimo allora stati in tempo, a
preferire quattro forti accenti a voce ed in fretta, a dei monumenti di
sentimentalità? Perciò noi lo raccomanderemo alla vostra pietà o signorine
dell'epoca nostra, e voi dal canto vostro lo raccomanderete alla Provvidenza,
onde il misero, possa districarsi dal crudele suo Labirinto.
Ai dì nostri gli amanti
da Medio Evo sono una rarità, ed anzi crediamo che non ne esistano
assolutamente più. Non sarebbe, del resto, inopportuna la loro ricomparsa, «in
questa inferma e mercantile età,» onde riaccendere in alcune anime troppo
tiepide, la semispenta lampada dell'amor vero
E dopo tutto quanto si è
detto in argomento, come si potrebbe non accordare indulgenza al povero
Alfredo, se egli in una notte di grave eccitamento nervoso, ha scritto una
lettera meridionale?
Pensiamo intanto che
egli era in perfetta buona fede, e nel concetto della sua Epistola amorosa,
stante il suo carattere fu anche troppo discreto, perchè non fece le frasi a
sensation per esempio. Io ti amo, ti amo, ti amo, e vado superbo che nessuno
potrà mai amarti, quanto io ti amai.
Se non che noi crediamo
sia ormai tempo, di dire una parola, anche sull'Essere morale ed intellettuale
della nostra seconda Protagonista, di cui al Capitolo I.° di questo Libro.
Violetta, dunque, esimia
suonatrice d'arpa, e rara volta cantatrice, secondo l'umore, era una giovane
gentile, tanto da renderla simpaticissima. Di molto sentimento, ma non
fantastica. Talvolta parea che avesse gli istinti delle ardenti andaluse, e
talora la calma inglese. Non appena fuori del Collegio monastico, aveva avuti i
suoi ideali, che col tempo si dileguarono in lei, non avendo forse, colpito nel
segno, o non essendo stati al livello del di lei nobile pensare. La scuola del
sopradetto Collegio, l'aveva, insieme alle altre alunne, abituata alla perfetta
calma, alla sommessione ai Superiori, alla dissimulazione di ogni forte
aspirazione, mentre ella, per natura, sentiva molta vivacità, bisogno di
espansione e di libertà, che là entro, per sistema, venivano limitate. E da
quella prima educazione, che può mettere radici sull'avvenire della gioventù,
dal passaggio brusco della quiete, dell'apatia del chiostro al turbinio
sociale, sorse un carattere nervoso, dubitoso, impressionabile per qualsiasi
anche semplice contrarietà. Per quanto sopra, Violetta, figura sceltissima
morale e fisica, vedea i suoi tardi ideali meno coloriti dei primi, e scemata
la sua nativa giocondità e l'indole affabile.
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