CAPITOLO
VIII.
Il Veglione.
Sono vicine le dieci. Il
Ballo di Beneficenza che si dava nel Carnevale 18.. al Teatro Comunale di
B...... cominciava soltanto in detta ora a farsi animato.
Molte Signore e
Signorine nei palchi. Toilettes femminili semplici, ma di molto buon gusto. Una
folla di di allegri giovanotti, molti uomini maturi che potrebbero restare a
casa coi loro bimbi.
Qualche vecchio non
ancor convinto. Varie mammine imbronciate non si sa perchè e finalmente una
scelta orchestra. Vi era anche Alfredo poco lieto, e non danzava per anco. Pare
che aspetti qualcuno o qualcuna che non viene mai.
Ma eccola, Violetta,
giunta in palco in quel momento, con due suoi congiunti. Prima fila sinistra, N.
13. Qualche supestizioso proponeva di togliere da tutti i teatri il N.
13; e di conservare quel numero quando si fosse trattato di tredici
milioni, invece di dodici, i quali arrivassero pure in Venerdì.
Violetta era bella e più
elegante in quella sera, ma si potrebbe giurare, che appena giunta in teatro,
non avesse il solito suo umore giocondo (nervosismo). La maggior parte delle
donne, quando si tratta di balli, di soirees, diventa nervosa - o per incidenti
nel vestito, o per qualsiasi altra contrarietà intima.
Le signore e le
Signorine vorrebbero e non vorrebbero andare alla festa e talvolta finiscono
coll'andarvi, ma tardi, ma di mal umore. Violetta ballava a meraviglia......
Fatta dal suo palco una rivista in platea (ridotta come di consueto a sala da
ballo) corrispose con un leggiero segno del capo al saluto dell'amico pittore,
ma Alfredo per la malaugurata perspicacia degli innamorati concepì il sospetto,
come la Signorina Violetta, si occupasse di cercare collo sguardo, un'altro
individuo, di sfoffa più appariscente, non ancora forse entrato in teatro. Vanitas
vanitatum et omnia vanitas, pensò Alfredo. Ma chi potrà essere colui che
Violetta attende? Cocciuto, in quella sua idea gelosa, Alfredo cominciò a fare
il permaloso, a girare sù e giù, inquieto, pei corridoi, a spiare la porta
d'ingresso alla platea e contemporaneamente il palco di Violetta. Nè per quella
sera egli andò nel palco Giacinto.
Entrava, in quel mentre
in teatro, Cirillo Buonpensieri, giovane scultore, amico d'infanzia di Alfredo.
Un simpaticone, pieno di arguzie - leale di carattere e di mente concreta.
Abbracciò il suo Alfredo, si accorse del di lui pessimo umore, non ne fece gran
caso, perchè lo conosceva assai.
Cirillo, senz'altro,
prese a fare un valtzer con una Signora colossale, di mezza età, ma dovette
fermarsi due volte per respirare, giurando in suo cuore, di non ballare più con
quell'omnibus vivente. Entra in quel momento, a valtzer finito, un conoscente;
è il Commendatore Sig. Aringa; uomo di mezza età, esile appunto come il suo
nome, vestito sempre con ricercatezza - languissant di tutte le eleganti
signorine della Città. Un buon diavolo, in massima. Peccato che si permetesse
facilmente di pigliare in giro certuni suoi conoscenti, dei quali era forse
invidioso.
L'invidia è una droga,
che entra in tutte le pietanze, e non v'è anima al mondo, che non l'abbia
assaggiata. Comincia dall'infanzia; voi la vedete anche fra bambini quando si
rubano l'un l'altro un dolce, od un giocattolo. Vita mortal, tutta d'invidia
piena scrive l'Ariosto. Naturalissimo pertanto che un pochino d'invidia,
nutrisse anche il buon Commendatore.
.... Un grande inchino,
con saluto, al palco di Violetta, la quale corrisponde con altrettanta
espansione. Aringa detto fatto, va nel palco della signorina e ritorna poco
dopo, in platea, con essa, per ballare la polka.
Ecco l'individuo che
Violetta cercava appena giunta in palco, pensò Alfredo, e credesi indovinasse.
Se Violetta mi avesse salutato meno freddamente, avrei ballato io con lei, pel
primo. Ambiziosella! Tienti il tuo decorato commendatore, chè, già le altre
signorine non ti invidiano. Esso, prima che a te ha fatta la corte a tutte
loro, per sistema, e poi quando assenti, le critica a meraviglia; meno male che
lo fa soltanto per taluna goffaggine, o per la loro discutibile bellezza!.....
Alfredo, del resto già pentito, (per la gentilezza dell'animo suo) trova
casuale il fatto e non progredisce nei dubbi sulla bontà di Violetta. Gli
rimane in corpo, soltanto, la solita gelosia dell'ignoto. Bisogna escire a
pigliare il fresco, caro Tamas (il moro innamorato nella Gemma di Vergy).
Converrà bere un bicchierino, disse Cirillo, che tutto aveva veduto e compreso.
Alfredo accetta, ma di mala voglia, perchè brucia di gelosia e vorrebbe
restare, diremo sempre di guardia in teatro.
Cirillo ed Alfredo
bevono una mezza bottiglia di Barolo, al vicino restaurant. Cirillo che vuol
cantarellare e non ne imbrocca una, intuona l'aria del contralto, nella Maria
di Rohan, «A quel che par, a giudicar, son le Lucrezie rare a trovar.
Per Cirillo quell'aria è
simpatica, ma Alfredo lo prega a smettere, perchè mi guasti l'udito, osserva, e
freme di ritornare al veglione. Ma se non balli mai stasera, gli grida Cirillo!
Ballerò, sta buono, e presto e con delle ballerine cortesi e belle - conchiuse
nervoso Alfredo - ritorniamo dunque in teatro, mio otellissimo, fece ridendo,
Cirillo. I due amici sono già rientrati in platea, dov'è riposo momentaneo del
ballo, mentre però non cessa l'andirivieni. L'ambiente si è riscaldato; si
odono sonore risate. L'allegria, come sempre, è cresciuta. Ma ormai la
mezzanotte è vicinissima, e molti si dispongono a partire per la cena di rito.
Buon appetito, specialmente agli uomini!!!
Le signorine, morrebbero
di languore, piuttosto che perdere un ballo, ma è giocoforza che seguano i loro
capi di famiglia, per le solite convenienze sociali. Esce anche la famiglia
Giacinto e con quella il Commendatore. Questi nel vestibolo del teatro, incontra
Alfredo, vuole scherzare, come al solito, dicendogli: Ma voi non avete
ancora ballato colla signorina Violetta?
Alfredo, che sogna forse
di veder accompagnate quelle parole, da un sardonico sorriso, risponde iroso:
Io non invidio il vostro titolo di Commendatore. Quegli che per verità non si
aspettava una tale apostrofe, rimane interdetto, si morde le labbra e... sarete
voi, un... dice, ma per non fare scandali, preferisce seguire la famiglia
suindicata che va a cena. Provvederò domani, mastica fra i denti, ed intanto va
a cenare nella ospital casa, senza molto appetito...
Scusami, ma tu hai torto
(dicea Cirillo ad Alfredo, mentre cenavano alla trattoria, la quale, causa la
folla impreveduta, serviva lenta ed era esausta di provviste). Bisognava
ribattere, con disinvoltura, lo scherzo del Commendatore, fosse pure fatto con
intenzione, e non trascorrere all'ingiuria. Ma che c'entra Violetta, ma che
c'entra il sig. Aringa? Non ti sei accorto, che si tratta di abitudine per
parte del secondo e di un po' di vanità per parte della prima? soggiungeva
Cirillo. Queste sono simpatie e calori che durano 24 ore al più! Non hai ancora
imparato, essere forse i di Lei parenti quelli che preferiscono Lui a te?
Poniamo che sia, per un'embrione di aristocrazia borghese, che guarisce presto.
Violetta sposerà anche un giovane povero, basta che le piaccia, ed io spero e
desidero, da buon vivant, che non affoghi in un cucchiaio d'acqua, come
talvolta, sebben raramente accade.... Sovvienti spesso della storica antica
risposta; Se Messene piange, Sparta non ride; ed impara il proverbio: Si
vous la suivè elle vous fuit e viceversa, mio buon amico, e ridi una volta
buona, come faccio io, che mi chiamarono dalla nascita: Buonpensieri.
Folle, tu credi che tutto il mondo sia felice al tuo confronto - e se pertanto
domani vi sfiderete, penserò io a riconciliarvi, previe le solite noiose
pratiche per ritrattazioni, rettifiche etc. e senza bisogno, in caso di duello,
di quelle successive strette di mano, che si usano, in stile cavalleresco, fra
i due individui in collera, dopo aver essi tentato invano di sbudellarsi!
Sono già le due dopo la
mezzanotte. Nè il Commendatore, nè la famiglia Giacinto ritorneranno al
veglione. E di tale assenza Cirillo ed Alfredo, già in platea, subito se ne
accorsero. Alfredo, quasi sollevato, per quella mancanza, chè prima aveva una
pietra sullo stomaco, disse, meglio così, e si diè tosto a ballare
disperatamente, anche cogli uomini corpulenti, fino alle 5 del mattino, quando
il teatro cominciava a vuotarsi delle persone meno inebbriabili.
Quelli che hanno cenato
meglio, siano pure anche donne, sono sempre gli ultimi a lasciare i veglioni, e
gli estremi, definitivi balli, non sono più danze, ma una vertigine
spaventosa..... Il buon vino, è più eccitante, si crede da molti, di una buona
orchestra.
Alfredo e Cirillo,
escono finalmente anch'essi. Corrono alle rispettive dimore, dopo una cordiale
stretta di mano. Alfredo si abbandona vestito sul letto, e non dorme. Se un momento
resta assopito, pensa a quella sua eterna Violetta. Sogna di chiederle scusa,
(di che non si sa). Volea lagnarsi di lei ma no'l può, e finisce come al
solito, col tentare di darle un bacio tremante, senza esito felice.
In quella sera pertanto,
meno l'avarizia, che, era rimasta in casa malata di compiacenza, al dire
dei buoni contadini, erano andati al veglione anche i quattro ladri della pace,
cioè l'amore, la gelosia, l'ambizione e l'invidia.
La cena in casa
Giacinto, andò così, così, quanto ad allegria. Tutti ebbero scarsa loquacità.
Il Commendatore sembrò ai convitati alquanto preoccupato. Violetta fece gli
onori di casa senza la solita disinvoltura, e finì per mangiar poco, e bever
nulla. Nessuno dei più anziani, propose di ritornare al veglione dopo cena, per
cui alle due dopo mezzanotte o poco più, casa Giacinto, aveva già spenti i
lumi, disposta ad aspettare, dormendo, il nuovo sole. Il signor Aringa andò al
suo alloggio in carrozza; il suo cocchiere si rivolse due o tre volte, per
chiedere al padrone, cosa comandasse, perchè gli pareva di essere stato
chiamato, ma invece il Commendatore, non aveva chiamato alcuno, aveva
brontolato fra sè per il noto incidente con Alfredo. Decise però di volerne
soddisfazione.
Violetta pure si ebbe,
durante la notte, il suo incubo. Le sembrava che le Furie, strappate le coltri,
la trascinassero per la treccia, intorno alla Camera. Svegliatasi alfine a
giorno fatto, chiamò i suoi, che la trovarono inquieta e lievemente
febbricitante. Ma, un cordiale, ed un po' di riposo ancora, Violetta si
ristabilì in breve, senza l'opera di sanitario.
Tre giorni dippoi,
correva la voce, come la Signorina Giacinto, fosse partita, a visitare alcuni
suoi parenti lontani, onde migliorare di clima, e quella voce non era una delle
solite fole.
La mattina dopo il
veglione, mentre Alfredo stava vestendosi, entrò nella sua camera Cirillo
piuttosto eccitato. Egli sapeva della imminente sfida. Te l'aveva detto ieri
sera, o mio - Guerra a fondo - che la tua era stata una deplorevole
imprudenza? So di certo che fra mezz'ora, tu sarai sfidato a duello! È quanto
desidero da tempo; disse Alfredo, è quanto voglio. Ma ti prego, mio Cirillo,
non facciamo melensaggini. Siamo intesi; non le solite convenzionalità
cavalleresche, che, in fatto di duelli, sono di troppo, e rasentano la
buffoneria. Morire o l'uno o l'altro.
Cirillo alla vista di
quella faccia d'ira livida ebbe paura, e tosto, per mettere, secondo la
consueta sua bonarietà, possibilmente, un po' di acqua sul fuoco, provò a dire,
con flemma. E che muoiano anche i padrini. Alfredo, non potè sorridere,
tanto era inqueto. Cirillo allora, giovane di cuore e di pronto ingegno,
soggiunse: giacchè tu vuoi così, ritorneremo, ai vecchi costumi della antica
Grecia, o dei popoli Indiani. Lascieremo in disparte, per un momento, la
moderna cavalleria, e ricorreremo alla barbara cicuta, od all'acido prussico
moderno. Inutile pertanto la spesa di sciabole, di fioretti, di pistole, di
carabine. Due misere pillolette, allestite dal nostro amico vice speziale
Brichetti, e tutto, in pochi minuti, sarà finito. Sei contento così? Altro
rimedio non v'ha, perchè noi non siamo esperti nella scherma e le pistole
possono tirare storto ammazzando invece qualche innocente passeggero. Una
Pillola dunque col veleno, l'altra senza. Se muore il Commendatore avrà cessato
di corteggiare le Signorine, se morirai tu, avrai finito di essere innamorato
fino nella suola delle tue scarpe. Cirillo era una gran testa e trovava lì per
lì, espedienti famosi. La sfida venne, pochi momenti dopo. I padrini del
commendatore furono due ufficiali della Territoriale; quelli di Alfredo -
Balena e Cirillo.
Il vice farmacista
signor Bricchetti Galeno (questo il suo nome di battesimo, che i lettori ancora
non sapevano) fece un balzo all'indietro, (come quello tanto noto di Don
Abbondio), quando udì proporsi da Cirillo la confezione di una pillola
avvelenata. Non aveva tosto indovinata la intenzione di Cirillo, e senz'altro,
se ne schermì non senza meravigliarsene. Ma quando comprese meglio le sibilline
frasi di Cirillo, acconsentì sorridendo e raccomandandosi, del resto, ad ogni
buon conto, per il più profondo segreto. Non si sa mai, diceva! Siamo in tempi
molto rigorosi per le farmacie!
Le due pillole
identiche, saranno allestite fra un'ora; e lei signor Cirillo verrà a ritirare
il pacchetto, con patto, ripeto, del massimo riserbo...
Il seguente mattino, i
due nemici, all'ora precisa, erano sul terreno. La località, dietro il muro di
cinta di nord, del cimitero della città.
Non poteva scegliersi
miglior luogo, per la ragione, che uno dovea restare cadavere, ed all'istante,
per la efficacia dell'acido prussico.
I due ufficiali eran là
seri, impettiti; Balena era più pallido dei morti. Cirillo, fingeva
distrazione. Alfredo ed Aringa, non si guardavano, ma dimostrarono grande
risoluzione.
Se non chè Cirillo, al
punto di procedere, coll'intervento degli altri padrini, alla scelta del numero
pei duellanti, onde poi scegliessero per primo o secondo l'una delle due
pillole, propose, che, contrariamente all'uso, avessero i duellanti a
stringersi la mano, prima del duello.
Nessuno oppose diverso
parere, ed ecco il Commendatore ed Alfredo a darsi la mano a vicenda. Quelle
due mani, però non si staccarono sì presto, ed i duellanti chiedendosi
reciproco perdono, si abbracciarono commossi, lasciando ciascuno cadere dagli
occhi due goccie limpide, che assomigliavano a brillanti davvero non chimici!
Lord che era dovunque,
come l'aria, alla vista di due pillole di pasta, gettate a terra da Cirillo, si
affrettò ad ingoiarle. Non allarmarti Alfredo, disse Cirillo! Nemmeno Lord ne
morirà, perocchè in quelle due pillole era soltanto farina bianca con zucchero!
Un breve turbine, finito
serenamente per la bontà d'animo di due uomini, che avevano fatta a vicenda, od
un'erronea interpretazione, od una imprudenza e per la ingegnosa trovata di un
sincero amico.
"Honny soit qui mal y pense!"
(Vitupero a chi pensa
male!)
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